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lunedì 18 novembre 2024

Internecine - The Book Of Lambs

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Le musiche e i testi di questo album sono stati scritti interamente da Jarad Anderson (R.I.P. che fu in passato attivo con i Morbid Angel e gli Hate Eternal), mentre le parti di batteria sono state affidate a Tony Laureano (Angelcorpse, Nile) ad eccezione di due brani suonati da Derek Roddy (ex di Hate Eternal e Malevolent Creation). L’album è stato prodotto da Erik Rutan (ex Morbid Angel, e ora negli Hate Eternal e Cannibal Corpse) che ha peraltro suonato tutti gli assoli di chitarra. È chiaro quindi che un disco del genere non possa essere altro che feroce death metal di stampo americano, dai ritmi generalmente molto tirati e dalle linee di chitarra estremamente varie, in continuo movimento. Poco più di mezz’ora di death metal assolutamente coinvolgente, ottimamente suonato e registrato. Un disco che ha deliziato e potrebbe ancora deliziare tutti gli amanti della musica estrema e della perfezione tecnica. Per chiarimenti riguardo il concept lirico vi cito lo stesso Jarad: “this record is dedicated to the time of the destruction, I anxiously await the day of cleansing of this disgusting earth which the masses have created, for I am one, for I am war!!!”. Fate voi.

(Hammerheart Records - 2002)
Voto: 75

https://www.metal-archives.com/bands/Internecine/898

Craft - Terror Propaganda

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Metal
Questo disco è composto da otto brani di ottimo black metal d’ispirazione darkthroniana. Ciò non significa che si tratti di un gruppo clone, significa piuttosto che il gruppo rivisita alla propria maniera, le morbose melodie dell’incommensurabile gruppo norvegese. Buona la produzione, grezza e perfettamente comprensibile. Ottimi i brani: dinamici mid-tempo si alternano a veloci sfuriate. Per quanto riguarda il concept lirirco invece, basterebbe fare caso all’etichetta per cui esce questo disco (originariamente per la Selbstmord Services). Si parla infatti di odio nei confronti del genere umano e di voglia di annientarlo. Si parla di verità. Infine, assai bello l’artwork del booklet (sinceramente underground ed in bianco e nero) e soprattutto l’immagine sul retro del cd; chi emula vince.
 
(Selbstmord Services/Season of Mist Underground Activists - 2002/2018)
Voto: 70
 

giovedì 14 novembre 2024

We Fog - Sequence

#PER CHI AMA: Post Rock/Math
Devo ammetterlo, questa band veronese ha molte qualità anche se, con questa nuova seconda uscita, a distanza di anni dal precedente 'Float' del 2017, non ha voluto mostrare evidenti segni di cambiamento stilistico, e l'istrionico attaccamento ai canoni del post rock e indie rock di fine anni '90/2000, li rende volutamente alfieri di un sound che un tempo fu venerato da molti. Oggi il trio si trova un po' fuori tempo massimo a livello commerciale e neanche la produzione di un guru di questi generi musicali, come la mente degli Ulan Bator, Amaury Cambuzat, dietro alla console di regia, poteva cambiarne la sorte, spingendoli verso lidi sonori più attuali, visto che fu proprio lui, anni or sono, a scrivere album indimenticabili, proprio nel segno del miglior post rock. Però di fatto, questo suo suonare un po' vintage, non ci distoglie dal giudicare 'Sequence', un buon album, suonato con passione e molto motivato, fruitore dei giusti suoni da usare per ottenere l'effetto sonoro desiderato e senza pensare al mercato discografico. Il disco ha molte divagazioni ai confini dell'indie/math rock e la mano di Cambuzat si sente eccome; il suo modo di intendere il sound globale e in particolare della batteria, è infatti inconfondibile, ma la bravura e l'esperienza dei We Fog è assodata da tempo e questa musica la sanno fare bene, molto bene. L'apertura del disco "A Father's Love", è potente e aggressiva, perfetta come biglietto da visita, al pari della trascinante "Meat Without Feet", mentre "No Land for Hope" (dove peraltro Cambuzat suona il synth), con i suoi cambi altalenanti, trasmette malinconia e una voglia di estraniarsi da tutto quello che ci circonda. Non male anche il video di "Kind Warrior". Qualche critica leggera a mio avviso, potrebbe cadere sugli effetti usati in alcune parti vocali, che a volte non rendono giustizia alle stesse, dando l'impressione, di essere poco considerate e tenute come in disparte. Capisco la scelta di emulare l'effetto tipico stile vecchia radio, tipico del post rock, ma a mio avviso, il cantato rischia di estraniarsi troppo dalla musica. Comunque, tralasciando le mie inutili esternazioni personali, direi che 'Sequence', è un buon disco, che si lascia ascoltare in maniera fluida, che mostra una band in ottima salute compositiva, e che dopo ripetuti ascolti, risulta anche più intrigante, tagliente e rumoroso, più di quanto lasci trasparire la rustica immagine paesana di copertina. Da ascoltare con cura e un pizzico di nostalgia per ricordare un'epoca sonora che a molti mancherà sicuramente. (Bob Stoner)

Warkings - Revolution

#PER CHI AMA: Power Metal
Il terzo album pubblicato dal supergruppo elvetico composto da The Viking, The Spartan, The Crusade, The Tribune e da una, aperte le virgolette, sacerdotessa, chiuse le virgolette, che prende il nome di Morgana e che molti (tra cui l'autore di codeste righe) vedrebbero bene in Mad Heidi con addosso la medesima tutina color groviera indossata da Paolino Accola in occasione dei campionati del mondo del novantadue, l'album, si diceva, coniuga con cronometrica abilità il poderoso rigore teutonico nei confronti dell'assenza di originalità a una spiccata propensione per quella specifica forma di sciatto macchiettismo involontario che prende il nome di "cinesata". A partire dai costumi di scena stile tutto-a-un-euro per proseguire con il package dell'album, i titoli, i testi e il trito power espresso un po' ovunque qui come sugli altri due dischi e, parliamoci chiaro, sul novantanove percento della roba power metal che si sente in giro. Si discostano, timidamente, i singulti groove di "Spartacus", il finto-gregoriano di "Deus Io Vult" trafugato dal primo album degli Enigma, le blandizie melodic della conclusiva "When Dreams Die", quelle dark-schlager di "Sparta pt. 2" e, di tanto in tanto, una ridicola indulgenza sul wah-wah di "We Are the Fire", soprattutto. Poi c'è "Fight!". La canzone che ha portato qui voi tutti. L'ineffabile cover, in stile power metal lealista, di "Bella Ciao". Che i vostri amici emiliani, a ragione, non esitano a definire "una delle cose più grame che abbia mai sentito", ma che a voi, si dica piano, non dispiace affatto. (Alberto Calorosi)

lunedì 11 novembre 2024

Obscura Qalma - Veils of Transcendence

#PER CHI AMA: Symph Black
Un pacco espresso è in arrivo direttamente da Venezia, con l'EP degli Obscura Qalma, intitolato 'Veils of Transcendence'. Un bell'esempio, seppur assai breve, di black sinfonico, che mi ha evocato, sin dall'iniziale "Ophidian’s Enthronement", i greci Septicflesh, sia per orchestrazioni bombastiche che per un'attitudine atta a emulsionare quest'ultime con il black e il death. Ne viene fuori un lavoro intrigante, sicuramente ben suonato, con ottime (growling) vocals, la cui pecca alla fine, potrebbe essere ascrivibile di suonare un filo derivativa. Nonostante ciò, i quattro pezzi qui contenuti, scorrono che è un piacere, tra le scorribande dell'opener, con quella sua esponenziale crescita in termini di pathos, che ci porterà fino alla fine e la più devastante "The Divine Malice Conflagration". Quest'ultima, pur mantenendo intatta la componente orchestrale, che azzarda in più di un'occasione di palesare reminiscenze di Dimmu Borgir(iana) memoria, sciorina un assolo conclusivo da urlo, di chiara matrice heavy classica, che ne arricchisce ulteriormente la qualità. La componente sinfonica si fa ancor più forte in "Enochian Abyss", song intessuta di estremismi sonori frastagliati sempre accattivanti e di una componente solistica a dir poco ribollente. A chiudere ci pensa "Hexed Katharsis", forse il pezzo meno convincente del dischetto, complice un registro chitarristico che richiama, in taluni frangenti, i classici "tonfi" ritimici del deathcore orchestrale, ma che al sottoscritto piaccono comunque un botto. Dimenticavo, la seconda pecca del lavoro sarà alla fine la sua durata troppo striminzita, troppo poco per farsi sedurre appieno da queste sonorità. (Francesco Scarci)

martedì 5 novembre 2024

Sordide - Ainsi Finit Le Jour

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Non sono un fan dei Sordide, il loro black hardcore caotico non risuona nelle mie corde, sebbene la loro musicalità sghemba possa richiamare i Deathspell Omega, band a cui sono particolarmente legato. Avevo già recensito il loro precedente 'Les Idées Blanches', sottolineando come la proposta del terzetto originario della Normandia, fosse disarmonica nel suo caustico incedere. Ascoltando poi l'incipit di questo loro quinto lavoro, 'Ainsi Finit Le Jour', non posso che confermare quelle mie parole. I tre musicisti transalpini non fanno altro che minacciare i nostri padiglioni auricolari, sin dall'iniziale "Des Feux Plus Forts" fino alla conclusiva "Tout Est à la Mort", attraverso un complicatissimo viaggio di oltre 53 minuti, in cui la band continuerà a prenderci a scudisciate in faccia, con un sound tiratissimo, feroce, e che alla melodia lascia uno spazio davvero risicatissimo. E quindi, quei 53 minuti appaiono come una montagna insormontabile, un infinito viaggio nelle insane menti di questi loschi figuri, cosi caustici nella loro personale visione musicale. Le chitarre sono abrasive al pari della carta vetrata utilizzata sulla carrozzeria della vostra preziosa automobile, al pari poi delle aspre vocals che contraddistinguono l'intero disco. Nella lunga e velenosa "Nos Cendres et Nos Râles", i nostri provano a rallentare un attimo il ritmo sferzante a cui ci avevano abituato, ma dopo poco, ripartono con una ritmica ipnotica, sferragliante, che entra nel cervello e lo deturpa dall'interno come il peggiore dei virus. L'ensemble prova a cambiare canovaccio nella successiva "Le Cambouis et le Carmin", un lacerante pezzo mid-tempo in bilico tra sludge e black, che tuttavia continua a non emozionarmi, forse per l'eccessiva glacialità di fondo che la musica di questa band riesce a malapena ad emanare. Non trovo emozione, non trovo gioia, non trovo tristezza, ma solo un grande freddo perpetrato da atmosfere oscure, rarefatte e malate ("Sous Vivre") o ancora da vorticosi ritmi post black ("La Poésie du Caniveau") che tuttavia finiscono per non soddisfare il mio palato. Se proprio devo identificare un paio di brani che ho particolarmente apprezzato, direi "Banlieues Rouges", la canzone più breve del lotto, quella che arriva subito al dunque nella sua essenzialità e immediatezza e di contro, "La Beauté du Désastre", invece tra le più lunghe, forse complice il fatto di avere un lungo break centrale, in cui la bestialità della band viene tamponata da sperimentalismi sonori e canori, che esaltano le qualità del trio di Rouen. Discorso analogo infine, per la conclusiva "Tout Est À La Mort", che vede i nostri infilarsi in territori sludgy più compassati e meditabondi, consentondoci quindi di assaporare una musicalità più emozionale e meno impulsiva. Alla fine, 'Ainsi Finit Le Jour' si rivela un album davvero ostico da affrontare, consigliato esclusivamente a chi mastica questo genere di sonorità; gli altri si tengano rigorosamente alla larga. (Francesco Scarci)

The The - Ensoulment

#PER CHI AMA: New Wave/Rock
Liriche abbaglianti eppure notturne, scorticanti eppure fumose, plasmate in prossimale controcampo rispetto al naturalismo magico di William Blake, evocato, auspicato e condiviso da MJ ben prima della pubblicazione di "Some Days I Drink My Coffee by the Grave of William Blake", primo eccellente singolo dell'album. Elementari, primitive (uh, persino troppo: quello della "Casablanca Whore", Kissing the Ring of Potus" è un calembour, diciamo, obsoleto, a essere gentile). Niente più emozioni (certificato dalle liriche "Adds an alias for anonymity / A postcode for proximity" da "Zen and the Art of Dating"), soppiantate dall'IA ("I Hope You Remember (the Things I Can't Forget)") e dall'ingordigia degli umani ("Risin' Above the Need"); un nichilismo matrixiano ("Everything you thought you knew is wrong / … / Truth stands on the gallows / Liеs sit on the throne" - "Cognitive Dissident" e ancora "...Everything is not what it seems" da "Life After Life") sfiduciato dalla politica ("This greedy, unpleasant land wraps itself in a flag" ancora da "Some Days I Drink My Coffee by the Grave of William Blake") e dalla tecnologia ("Linoleum Smooth to the Stockinged Foot") che conduce a una dolente e a tratti forse scaramantica riflessione sull'inutilità dell'essere ("Where do we go when we die? / The sun may fall but the moon will rise" da "Where Do We Go When We Die?"). Suoni sinuosi e notturni, meravigliosamente escogitati e meticolosamente prodotti (dimenticate 'Nakedself' e recuperate il magnifico 'Dusk'). C'è il Leonard Cohen di 'First We Take Manhattan' in "Cognitive Dissident", il pathos compresso ("Linoleum Smooth to the Stockinged Foot") o spettrale ("Down by the Frozen River") di certe recenti sperimentazioni cinematografiche, la ballata-Johnsoniana-fino-al-midollo ("Where Do We Go When We Die?), un smaccato inchino agli Animals aromaticamente Hanky-pankettaro (di nuovo "Some Days..." da confrontare con "House of the Rising Sun") e, sì, una manciata di acronici ritornelli new romantic ("Kissing the Ring of Potus"). Grande album, difetti compresi. (Alberto Calorosi)

(Ear Music - 2024)
Voto: 78

https://www.thethe.com/

lunedì 4 novembre 2024

Urza / Calliophis - Dawn Of A Lifeless Age

#PER CHI AMA: Death/Funeral Doom
Ecco uno di quegli album semplici semplici da recensire: un bel concentrato di funeral death offerto da due band tedesche a me totalmente sconosciute, gli Urza e i Calliophis, che evidentemente, era un po' che non si facevano sentire. I nostri hanno cosi unito le forze per dar voce al loro disagio interiore e condensarlo in questo split intitolato 'Dawn of a Lifeless Age'. Due i pezzi a disposizione per ciascuna band, per circa 23 minuti a testa, fatti di sonorità apocalittico-asfissianti. Il disco si apre con i berlinesi Urza, che erano in silenzio dal 2019, quando uscì il loro debut album. Il quintetto teutonico ci propone due pezzi ben suonati ma forse troppo derivativi: se "Maunder Minimum" è il classico emblema del funeral doom, quello dotato di buone e melodiche linee di chitarra, profondità degli arrangiamenti, oscure ambientazione e vocals super growl, "Through Ages of Colossal Embitterment" si presenta invece inizialmente più abrasiva e votata ad un death doom dalle ritmiche più spinte e veementi, con parti che evocano un che dei primissimi Anathema di 'Serenades'. Dopo un paio di minuti però, il sound dei nostri torna a sprofondare in meandri depressivo-catacombali, di sicuro impatto emotivo, soprattutto alla luce di un utilizzo alternativo, e ben più convincente, delle vocals. Niente di nuovo sotto il sole comunque, anche se la qualità generale è piuttosto buona. È allora la volta dei Calliophis, band originaria della Sassonia, che ha peraltro già tre album all'attivo dal 2008 a oggi. Per loro, un ritorno dopo il convincente album del 2021, 'Liquid Darkness', e due nuovi pezzi, "Trepak" e "Endure Your Depression", che si muovono dalle parti di un death doom assai melodico ed emozionalmente toccante. Ottime melodie contraddistinguono infatti i due brani, unite ad eleganti parti atmosferiche e a una buonissima componente vocale. Se dovessi esprimere il mio personale gradimento tra le due band di oggi, orienterei la mia scelta decisamente verso i Calliophis, complici quelle sonorità soffuse ma penetranti, quelle linee melodiche di chitarra che dipingono strazianti paesaggi emotivi, e che avvicinano i nostri a certe eleganti produzioni scandinave del passato. Un bel modo per conoscere due band questo split album e indirizzarci alla scoperta delle loro discografie, se solo saranno in grado di toccare anche le vostre corde dell'anima. Le mie hanno vibrato, soprattutto in compagnia dei Calliophis e voi, chi preferite? (Francesco Scarci)