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lunedì 13 settembre 2021

Barbarian Prophecies - Horizon

#FOR FANS OF: Black/Death
Absolutely the best Barbarian Prophecies album I've ever heard. It's just so diverse but not overly experimental. It's got elements of death metal and black together but it's also weaved into the genre of melodic death metal. The vocals are brutal (female) it doesn't sound like female vocals at all. But yes, these guys did a great job on everything on here. They seem to capture all avenues of metal here which makes it so not boring or long drawn out 52 minutes of boredom. It's anything but that. I like the tempo changes, the melodies, the brutality and the calm (when there is some!). I'm greatly appreciating the band's effort to step up their potential.

I do have to say that the vocals are yes a bit harsh making the music a bit drowned out, but not to the super degree that it is. It's actually all right, it's just at time a bit overbearing. But I didn't take points off because of it. I think it did fit the music well, it's just a little over-the-top but decidedly that, an excellent effort. What took me to liking the album so much was that it has so much variety and the riffs are totally original. I like the melodies a great deal. They kicked ass on the guitars/drums totally. They're not a lot of lead guitar action just a lot of melodies (as I've stated). Perfectly fine because a lot of leads can make or break an album.

I actually got to listen to this well before the album was released. I totally had a perfect "A" a couple of months ago before the albums release because I was that impressed. It really struck me as a great melodic death release. The production, sound quality, mixing was all there. The guitars stole it for me but as a band an ultimate success. No complaints really other than what I said before about the vocals. But that's rectified entirely. "Alpha" has to be my favorite track on the whole release though I liked all the song. A monument in their discography. It's amazing what a few years can make and maturity!

You'll have to wait till November for the CD to come into circulation. For the time being, Spotify and YouTube has the whole album. This band has come quite a ways since their 20 years in circulation via the music scene. They really have no holds barred on here but there are breaks during the songs it isn't all brutal. The melodies stole it for me. And the rhythms, but all in all an excellent release. Barbarian Prophecies needs to get more well known in the scene. Maybe popular in Spain (their origin) but not so much the United States. I'm hope that press will change that and they'll get noticed! Check them out! (Death8699)


giovedì 9 settembre 2021

Yawning Sons - Sky Island

#PER CHI AMA: Post Rock/Grunge
Quello degli Yawning Sons è un progetto anglo-americano formatosi nel 2008 e inizialmente costituito da membri delle leggende californiane del desert rock, Yawning Man e dai post rockers inglesi Sons of Alpha Centauri. Da qui la crasi dei due nomi con 'Sky Island' a rappresentare l'incontro delle due realtà musicali, che tornano quasi dodici anni dopo il loro debut del 2009, 'Ceremony to the Sunset', in un lavoro raffinato, che sembra prendere le distanze dagli stili musicali delle due band madri. "Adrenaline Rush" e quel suo pulsante basso in apertura, si muove infatti attraverso sonorità prog rock che mi hanno evocato Porcupine Tree e Riverside, e che ci riserva uno spettacolare coro che si affianca alla voce di Marlon King (chitarrista dei Sons of Alpha Centauri). Blues rock invece per la suadente "Low in the Valley" che si dipana tra post-rock e post-grunge, con la mia sottolineatura assegnata alla strepitosa voce di Dandy Brown (Hermano, Orquesta del Desierto), uno degli ospiti che popola questo lavoro. "Cigarette Footsteps" vede invece alla voce il mitico Mario Lalli (Yawning Man e Fatso Jetson) in un pezzo compassato ed ipnotico, per un viaggio nei meandri del post rock più onirico. Con "Passport Beyond the Tides", la band arriva ad esplorare mondi lontani e dilatati, a cavallo tra synth wave e space rock, in una caleidoscopica girandola di emozioni esclusivamente affidata al suono della sei corde e dei synth. Ci si muove veloci ed è il momento di "Shadows and Echoes", che ci stupisce per la presenza alla voce di Wendy Rae Fowler (We Fell to Earth) con quel suo stile canoro accostabile a Dolores O’Riordan, in un pezzo sciamanico dai forti rimandi malinconici. Ci si avvia verso il finale dove mancano ancora a rapporto una beatlesiana "Digital Spirit", sorretta dai vocalizzi di un altro mitico personaggio, Scott Reeder (Kyuss, The Obsessed e Fireball Ministry). E ancora, "Gravity Underwater" dove al microfono ritorna Dandy Brown in un pezzo dal forte piglio settantiano che però non mi ha convinto del tutto, nonostante il suo ottimo assolo. In chiusura la strumentale "Limitless Artifact" per un pezzo che incarna invece sia il desert rock dei Yawning Man che il post rock dei Sons of Alpha Centauri, a fare questa volta, una crasi dei loro stili musicali. Un elegante ritorno. (Francesco Scarci)

Aara - Anthropozän

#PER CHI AMA: Black melodico
'Anthropozän' è uscito originariamente nel 2019 come release esclusivamente digitale. Forti di un accresciuto interesse nei confronti del combo elvetico dopo lo strepitoso 'En Ergô Einai' dello scorso anno e l'altrettanto buono 'Triade I: Eos' di quest'anno, la Debemur Morti ha pensato di rilasciare questa release in un elegante 7". Un brano per lato: la corrosiva ed introspettiva "Anthropozän 1" sul side-A che si muove tra scorribande black e frangenti più atmosferici, dove a mettersi in mostra sono quelle riverberanti e melodiche linee di chitarra che sferrano attacchi all'arma bianca. Più compassata, almeno nei primi secondi, "Anthropozän 2", visto che si lancerà da li a breve in un vorticoso ed intrigante giro di chitarre, sopra il quale si palesa la caustica voce urlata di Fluss. Poi un break, il suono di un temporale, a stemperare le sferzanti ritmiche infuocate imbastite dal duo svizzero, prima di ripartire impetuosi più che mai e senza pietà. Splendida la melodia palesemente derivante dalla musica classica che va a chiudere il brano e sancire che gli Aara sono una di quelle realtà della new generation, da tenere assolutamente in considerazione. (Francesco Scarci)

White Ward - Debemur Morti

#PER CHI AMA: Post Black Sperimentale
La Debemur Morti ha affidato l'arduo compito agli ucraini White Ward di celebrare con una loro uscita discografica, la duecentesima uscita dell'etichetta francese. Autori di due eccellenti album negli ultimi quattro anni, i sei ucraini rilasciano questo 'Debemur Morti', che affida alla title track in testa all'EP la missione di aprire le danze del qui presente. E la compagine conferma sin dai primi secondi le proprie qualità con quelle trame di piano e sax che avevo amato alla follia in due brani di 'Futility Report', ossia "Deviant Shapes" e "Stillborn Knowledge". Proprio da quelle sonorità nascono e crescono le melodie dell'act di Odessa che nei nove minuti dell'opener, ha modo di abbracciare black metal, sonorità progressive di scuola Ne Obliviscaris (anche a livello vocale) e suggestivi mondi sperimentali di scuola Ulver, per una song che potrebbe affiancarsi per bellezza e intensità, alle due canzoni sopra citate. E poi attenzione alla guest star dietro al microfono, ossia Lars Nedland (Borknagar, Solefald) che sfodera una prova strepitosa che innalza ulteriormente il livello qualitativo di un pezzo che ha ancora modo di lanciarsi in una portentosa ed epica cavalcata conclusiva che peraltro carica ancor di più di aspettative la successiva "Embers". Da applausi comunque. Ancora pianoforte e sax a braccetto per i primi quattro minuti della seconda traccia, con forti richiami che mi conducono a 'Blood Inside' degli Ulver, prima che sciabolate di post-black nudo e crudo vengano propagate in modo più o meno intermittente nei restanti quattro giri di orologio di una release che ha il solo difetto di durare troppo poco. (Francesco Scarci)

domenica 5 settembre 2021

Jordsjø - Pastoralia

#PER CHI AMA: Prog Rock
I Jordsjø sono un duo proveniente dalla Norvegia, con all’attivo già diverse uscite (dal 2015 se ne contano 8 tra demo, split, EP e album veri e propri). Qui ci troviamo nell’ambito del progressive più puro, e non parlo di prog metal alla Dream Theater o cose del genere, mi riferisco proprio al progressive rock che negli anni '70 irrompeva sulla scena mescolando in modo fino ad allora inaudito il rock figlio della rivoluzione 60s con il folk, il jazz e la musica classica. E se è vero che, a volte, il connubio ha generato mostri, è innegabile che abbia anche dato vita a diverse esperienze interessanti. I Jordsjø si tengono dalla parte “buona” della barricata. Quella che riesce ad ibridare linguaggi non sempre facilmente conciliabili in modo equilibrato ed elegante, senza eccedere nel virtuosismo autoindulgente o soluzioni eccessivamente cervellotiche e tenendosi bene alla larga dal gigantismo o la magniloquenza che caratterizzano le esperienze meno felici (e ahimè non sono poche) di quel movimento. In 'Pastoralia' i due scandinavi sembrano avere preso a modello i primi Gentle Giant (ascoltare i 7 minuti di "Skumring i Karesuando" per credere), filtrandoli attraverso le lenti del folk e certo jazz di stampo nordico, smussando gli angoli e smorzando il toni generali fino ad ottenere un prodotto di altissimo artigianato che riesce a risultare fuori dal tempo, nel suo coniugare prog anni '70 ad un afflato nordico quasi pop, soprattutto nell’uso della voce. Ecco allora che ci sono momenti in cui la ripresa del folk nordico risplende come un diamante, come nella notevolissima title track o l’incantevole "Fuglehviskeren", dove sembra di ascoltare i Pentangle. Altre volte ad emergere è l’amore per certe atmosfere jazzate ("Beitemark"), fino a far confluire nella conclusiva "Jord III" tutto il loro mondo fatto di arpeggi acustici alternati ad ispirati fraseggi elettrici, flauti, mellotron, piani elettrici e strutture complesse ma mai astruse. Disco molto bello, davvero di alto livello. Un must have per gli amanti del genere. (Mauro Catena)

(Karisma Records - 2021)
Voto: 80

https://jordsjo.bandcamp.com/album/pastoralia

venerdì 3 settembre 2021

Miles Oliver – Between the Woods

#PER CHI AMA: Indie Folk Rock
Cantautore e poeta parigino abituato a fare tutto da sé (armato di chitarre acustiche ed elettriche, piano e loop station) e a dividere il palco con nomi del calibro di Shannon Wright, Wovenhand e Be Forest, Miles Oliver è al suo quarto album, al solito registrato in proprio, in perfetta solitudine. Pare che 'Between the Woods' sia nato al ritorno da un tour di settimane negli US e che abbia visto la luce inizialmente come libro, una sorta di diario del tour corredato da fotografie e poesie che hanno poi originato le 12 canzoni racchiuse qui dentro. Fedele al motto che “l’importante è la canzone, e non il modo in cui si presenta”, i 12 brani si susseguono scarni e scarnificati da un lavoro di sottrazione che lascia ben poca carne attaccata ad uno scheletro fatto di chitarre acustiche, talvolta doppiate dall’elettrica raramente accompagnate da un piano elettrico, un basso o una drum machine altrettanto essenziale. Il risultato, lungi dell’essere minimamente originale, è comunque sincero nel mostrare le proprie fragilità attraverso una voce stridula che ricorda vagamente quella del compianto Vic Chesnutt, e interessante nel suo voler offrire un’affresco che, nelle parole dell’autore, rappresenta la sue personale visione della cultura americana. Dalle radici folk blues dell’iniziale "Save Me" (dove la voce non è sorretta da strumenti) alle menti alienate di "Deamontia", fino alla vendetta di una donna oppressa di The Song I hate, unica concessione ad un rock più o meno rumoroso, il lavoro si dipana attraverso bozzetti acustici ("Last Time"), fino all’immancabile dedica a Kurt Cobain di "Myberdeen" e la danza dolente di "This is a Lie", screziata di elettronica povera, che chiude con la giusta dose di malinconia un lavoro di ottimo artigianato. E se è vero che le canzoni non sempre lasciano il segno, Miles sembra sincero nel mostrarci il suo mondo, e l’impressione è che possa dare il meglio sé nella dimensione live. (Mauro Catena)

giovedì 2 settembre 2021

Kryptan - S/t

#PER CHI AMA: Black/Death
Chissà per quanto tempo ce li porteremo avanti gli effetti dettati dal Covid-19, non solo in termini clinici ma anche musicali. Non poteva rimanere immune a tale situazione un personaggio sensibile come Mattias Norman, ex bassista dei Katatonia, che da quell'evento ha maturato l'idea di fondare i Kryptan, oscuri portatori di black metal della vecchia scuola scandinava. Solo quattro i pezzi a disposizione per il mastermind svedese, sufficienti però a sviscerare in una ventina di minuti, il desiderio di Mattias di riproporre quelle sonorità maestose e taglienti che hanno reso grandi gente del calibro di Dissection, Lord Belial o Naglfar, questi almeno i primi nomi che mi sono venuti in mente. Si parte dalle vorticose ritmiche di "A Giant Leap For Whoredom" e si percepisce forte quell'assonanza musicale con i maestri svedesi, complici urticanti melodie corredate dallo screaming efferato di Alexander Högbom. Interessanti, ma francamente nessuna ragguardevole idea da aggiungere ad una scena un po' stantia. Ci si riprova con la martellante "Bedårande Bran" dove questa volta ci sento un che di Unanimated e Sarcasm nell'icnipit, mentre in quelle feroci e veloci, emerge un che dei Marduk e in quelle più atmosferiche, cenni dei primissimi Dimmu Borgir quasi a rendere omaggio a tutti i mostri sacri degli anni '90. "Blessed Be The Glue" evoca il black norvegese degli Immortal, in particolare di un brano come "Blashyrkh", tra epiche galoppate black e assalti thrash metal. Tutto molto bello ma sentito milioni di volte. In chiusura l'inequivocabile "Burn the Priest", un brano che avrebbe potuto tranquillamente stare su uno degli ultimi lavori degli Anaal Nathrakh, per un attacco finale all'arma bianca. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2021)
Voto: 70 
 

mercoledì 1 settembre 2021

Dez Dare - Hairline Ego Trip

#PER CHI AMA: Punk Rock
Un po' di insana follia punk rock era tempo che non la ascoltavo. Dovevo attendere questo frescone inglese nato in Australia che, durante il famigerato lockdown, ha pensato di mettersi in proprio e buttare giù un po' di stravaganti pezzi orecchiabili. Ecco la genesi di questo 'Hairline Ego Trip' dei Dez Dare. Nove brani che partono dal punk primigenio di "Dumb Dumb Dumb", tanto selvaggio quanto scanzonato per poco meno di due minuti di musica. La cosa prosegue con il garage rock di "Conspiracy, O' Conspiracy", niente di travolgente ma mostra un tocco che palesa già una certa personalità. Quella che emerge forte invece in "King + Queen Monstrosity", laddove potrebbe sembrare stravagante, ma non lo è affatto, parlare di psych punk doom, vista la natura slow motion del brano. Esperimento riuscitissimo. Si passa ad un surf rock sporcato di venature stoner con "My My Medulla", un pezzo che ci conduce direttamente agli anni '60. Non male ma un po' lontano dai miei gusti musicali. Divertente ma troppo vintage. Si continua a percorrere la strada dello stoner/desert rock polveroso con "Sandy’s Gonna Try" ed un cantato che invece sembra uscire da uno dei brani dei Sex Pistols, ma l'energia che emana ahimè non è la medesima. "Break My Vice" sono 100 secondi di uno stralunato post punk, mentre "Crowned by Catastrophe" ha quasi un piglio blues rock nel sua cantilentante incedere ipnotico. "Goodbye Autonomy" mette in scena altri 107 secondi di un sound tanto stravagante quanto difficile da etichettare senza doverci scrivere una tesi che descriva cosa il musicista di Brighton voleva realmente proporre. Ancora punk rock con la lunghissima "Tractor Beam, Shitstorm", quasi dieci minuti di musica psicotica e ridondante in grado di destabilizzare i sensi con i suoi giri di chitarra in loop ma anche in grado di sottolineare l'imprevedibile genialità di quest'artista britannico. (Francesco Scarci)