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lunedì 24 aprile 2017

Rossometile - Alchemica

#PER CHI AMA: Gothic Rock, Nightwish, Lacuna Coil
La band di oggi arriva (con notevole ritardo) da Salerno: si tratta dei Rossometile e l’album in questione è il loro ultimo lavoro in studio, 'Alchemica', ormai datato 2015. Trattasi di un disco prevalentemente hard rock con delle pesanti influenze gotiche e pop-melodiche, senza farsi mancare nemmeno qualche sprazzo progressive. Ciò è il risultato dei diversi cambiamenti di direzione musicale intrapresi nel tempo dalla band, attiva sin dal 1997. Con l’ingresso in line-up della cantante Marialisa Pergolesi e grazie alla sua soave voce, i Rossometile sembrano essersi stabilizzati su questo gothic-rock di 'Alchemica', senza abbandonare comunque le sonorità pop che caratterizzavano i precedenti lavori, 'Tirrenica' e 'Plusvalenze'. Il risultato è un richiamo a certi mostri sacri come i primi Nightwish o i nostrani Lacuna Coil, certo un po’ meno aggressivi e senza grandi artifizi sinfonici. Qualche sfumatura dai toni più pesanti la si avverte nel brano “Le Ali Del Falco”, che con i pregevoli assoli di Rosario Runes Reina, contribuisce ad aumentare il tiro dell’album. Il lavoro dei Rossometile è sicuramente impreziosito dalle vocals di Marialisa, che si destreggia egregiamente anche su registri quasi lirici inseriti nei pezzi (cito ad esempio “Nel Solstizio d’Inverno” ). Le liriche sono tutte cantate in italiano, quasi insolito in questo contesto, molto rischioso più che altro. La band salernitana tuttavia, riesce nell’intento di non cadere nella banalità dei testi, proponendo anche qualche passaggio davvero ispirato, focalizzandosi su temi introspettivi e di interiorità complesse. Quest’ultimo lavoro dei Rossometile è un disco adatto a chi predilige sonorità più leggere, con le componenti melodiche e pop-eggianti che sovrastano spesso e volentieri quelle più dure: l’album scivola via avvolgendosi nelle sue atmosfere gotiche, senza intoppi ma senza nemmeno lasciare un segno particolarmente evidente. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

sabato 22 aprile 2017

Path of Desolation - Where The Grass Withers

#PER CHI AMA: Melo Death, Dark Tranquillity
Although theirs sounds more like a monicker for a doom or a depressive black metal band, the guys of Path of Desolation are far from those styles. Coming from the Swiss city of Lausana, this melodeath quintet (at least, they were a quintet when they recorded this album) has been playing since 2013, and they had their first studio experience with their 2014 EP 'Soaked Jester'. 'Where The Grass Withers' is their first LP, and is a more than a decent demonstration of melodic death metal, in the vein of Dark Tranquillity, with their heavy use of synths although lacking the clean vocals. The album shows all the other elements that we’ve come to associate with this genre, like the Maiden-esque riffs mixed with more thrashy ones, nice acoustic guitars and the use of more traditional song structures. Everything is in the proper place, and the band shows that they’ve have studied every trick known in the “Gothemburg’s Guide To How To Melodeath”. The problems with the album start to show when you play it in full a couple of times. For example, the production lacks some strength, sounding clean and nice but kind of generic, and although there isn’t any truly bad song, it’s hard to point out real standouts. Nevertheless, this isn’t really a tedious album: singer David Genillard delivers great death growls and there are a couple of nice moments in this album, like the opening “The Crown and the Empty Hall”, the piano in “The Hunting Prey”, the featuring of Anna Murphy (ex member of fellow Swiss folkmetallers Eluveitie) in “The Uninvited” or the mixing of acoustic guitars and electric guitar melodies in “Exit Nightmares”, a nice closer for the album. But this is an album that prefers to use what it’s already known to success than trying to capitalize in its unique traits, which isn’t really a bad thing: we all like to watch action or horror movies, even if there are a lot of storytelling tropes that we’ve seen a hundred times and maybe more. But sometimes the repetition of elements will only appeal to fans of that particular genre, as it’s the case with the debut LP from this Swiss band. Having said that, Path of Desolation have the potential to release truly great albums if they manage to develop their strengths, which they’ve, and find a sound that they could call their own. (Martin Alvarez Cirillo)

(Self - 2016)
Score: 65

venerdì 21 aprile 2017

Swans - The Glowing Man

#PER CHI AMA: Post Rock/Folk
Una duplice apostatica invocazione (“preghiera”, la chiama Michael Gira), stigmatizzante i tumori sociali: la droga e la morte come soluzione ("Frankie M"), l'abuso (sessuale) e la sua ossessiva ricorrenza ("When Will I Return?"), fino a profetizzare una sorta di apocalisse della civiltà, scorticata ("The World Looks Red / The World Looks Black"), onirica ("People Like Us"), cangiante ("Finally, Peace"). Sparute evanescenze soniche ("The World Looks Red / The World Looks Black" è una sorta di re-cover dei Sonic Youth di "Thurston Moore", già occasionalmente militante nei Swans inizio carriera), post rock (le black-heart-dissonanze di "People Like Us"), aural-folk ("Finally, Peace"). Panorami musicali circolari. A lungo termine, una progressiva aggregazione sonora, ma anche lirica, per generare, alimentare e sublimare tensione emotiva: le tre monstre-track "Cloud of Unknowing", "The Glowing Man" e "Frankie M", settantacinque minuti in tutto, potranno ricondurvi dalle parti del Von Trier inizio novanta. Fascinazione, empatia, minimalismo, epica, auto indulgenza, ipnosi, (dis)soluzione finale. 'The Seer', 'To be Kind', 'The Glowing Man'. Tre album tripli in quattro anni, sei ore complessive, un unico profetico, ossequioso, scintillante, monumentale opus sonoro. Prendere o lasciare. (Alberto Calorosi)

(Young God Records - 2016)
Voto: 85

https://swans.bandcamp.com/album/the-glowing-man

giovedì 20 aprile 2017

The Chasing Monster - Tales

#PER CHI AMA: Post Rock, If These Trees Could Talk
Non mi capita spesso che un album colpisca la mia attenzione esclusivamente per la sua copertina: in questo caso però, essendo un appassionato di astronomia, non potevo non rimanere affascinato dalla cover dei The Chasing Monster, che vede la silhouette di due persone con uno splendido cielo stellato in background, peraltro con colori viranti ad una tonalità arancione per l'uscita digitale e verde-blu per il cd. Ma veniamo ad analizzare gli aspetti più contenutistici che puramente estetici. 'Tales' rappresenta il disco di debutto dei The Chasing Monster, quintetto di Viterbo che narra qui la storia di Emm e Oliver all'alba del loro ultimo giorno sulla Terra, attraverso sette gemme dedite ad un sognante post-rock. Chi siano i due personaggi non mi è dato di saperlo, però la passione del combo italico per sonorità criptiche e decadenti, si palesa immediatamente nell'opener "Itai", che ci consegna un suono cristallino, un must per questo genere. La song, interamente strumentale, lascia trasparire tutta la vena malinconica che imperversa nelle note dei quattro laziali con suoni dilatati e nostalgici, una sorta di colonna sonora per quando il nostro sguardo volge verso un panorama all'orizzonte ma in verità non lo sta realmente guardando, è da tutt'altra parte, raccolto con i suoi pensieri. E questo sarà il filo conduttore di un disco che cresce attimo dopo attimo, si gonfia, innescando un caleidoscopico ventaglio di emozioni. Lo si evince dalla successiva traccia, "The Porcupine Dilemma", una song che, oltre ad affidarsi a delle interlocutorie spoken words, con i suoi arpeggi va salendo d'intensità, e in modo inversamente proporzionale, la sua elettricità va dirigendosi verso un mood più disperato, provando a trascinarci in un vortice emozionale in bilico tra il depressive e il post rock (alla fine si rivelerà la mia song preferita). Solo il parlato conclusivo ci salva da una commovente esplosione di lacrime. "The Girl Who Travelled the World" affida il suo incedere alla narrazione di una voce femminile - chissà se si tratti proprio della ragazza che ha viaggiato per il mondo e chissà se quella ragazza è Emm, - a chitarre tremolanti e ad un drumming lento, a tratti tribale, in un mix tra post rock e shoegaze che, seppur in una forma molto (ma molto) più leggera, mi ha evocato addirittura sentori proveniente da 'Brave Murder Day' dei Katatonia. La narrazione, questa volta maschile, prosegue in "Albatross", un pezzo in cui il ruolo di protagonista accanto alla chitarra, è assunto da una batteria profonda che scandisce il tempo del brulicare dei nostri pensieri, ma che apre prima ad un etereo cantato e poi ad un bell'urlaccio, in grado di innescare un riffing più pesante, orientato al post-hardcore (retaggio degli esordi della band), permettendo poi al sound di aumentare il proprio vigore energetico. "La Costante" è un breve brano strumentale che vede comparire come guest star alla chitarra, Theodore Freidolph degli inglesi Acres, nell'ennesima scalata emozionale di quest'intrigante 'Tales', la cui edizione digitale ingloba peraltro i dialoghi completi tra i due protagonisti. "Creature" affida il suo flusso emotivo al basso e poi alla voce femminile, con il tremolo picking in sottofondo che va ad armonizzarsi successivamente e offrendo calde melodie avvolgenti, pregne ovviamente di quella malinconia che preannuncia l'arrivo consapevole della parola fine, la fine di un amore, di un'amicizia, di una vita, non lo so. Quel che è certo è che quella consapevolezza sembra conferire una certa serenità che con "Today, Our Last Day on Earth" va a concretizzarsi attraverso un ultimo malinconico atto, l'ultima parola, l'ultima carezza, un ultimo sorriso, "l'ultimo addio come la fine di un viaggio", esaltando definitivamente la prova di questi cinque musicisti di casa nostra, pronti a prendere il volo come l'albatro da loro narrato. Bravi, bravi davvero. (Francesco Scarci)

mercoledì 19 aprile 2017

Trollband – In the Shadow of a Mountain

#PER CHI AMA: Pagan Black/Folk, Wardruna, Otyg, primi Vintersorg
Senza togliere nulla al lavoro più recente dei Trollband, datato 2013, ritengo che l'ispirazione che ha portato alla creazione del loro primo full-length, sia di quelle folgoranti, che non capitano sempre nella carriera di un artista. Di quest'album se ne è già parlato a suo tempo, quando uscì nel 2011, e oggi vede la luce in ristampa tramite la Vegvisir Distribution, che saggiamente ha pensato di rimetterlo sul mercato per non farlo finire nel dimenticatoio. Infatti, questo disco merita molto rispetto, perché pieno zeppo di riferimenti cari a generi come il pagan metal, il folk metal, il black metal sinfonico e, il suo carattere istrionico all'interno di queste vesti del metal estremo, lo rendono originale e dinamitardo. Seppur ovviamente derivativo dal sound di band più blasonate, bisogna ammettere che di personalità questo pugno di canzoni ne ha da vendere e su tutte spunta il fatto che l'album si faccia ascoltare senza remore né lacune, in un continuo sorprendere l'ascoltatore con il suo profilo cinematografico, ideale per essere la colonna sonora per un documentario sui vichinghi. Lo scambio tra strumenti moderni, melodie e suoni antichi rappresenta un'apoteosi mistica (da ascoltare la title track "In the Shadow of a Mountain" degna dei Wardruna). L'atmosfera è quella sciamanica della divina Hagalaz Runedance: ancestrali leggende senza tempo si fondono con la ferocia di un tipico combo black metal (complice una voce affascinante e maligna) quando c'è da far tremare le menti assopite del mondo moderno e farle tornare ad un passato crudo e violento ("Heathen Blood") con il tutto che rimanda ai bei momenti dei Forsth, degli Otyg, dei Waylander o di Vintersorg della prima maniera. Nel loro sound c'è spazio per alcune forme di classic metal ed è una cosa che si sposa perfettamente con la componente black più veloce e guerriera, i brani sono molto variegati e niente è lasciato al caso, ben curate le ariose parti di tastiera e le suite folk pensate alla perfezione e ben suonate ("We Live"), con la voce narrante e un suono generalmente grezzo ma avvolgente e stranamente caldo, che risultano centratissimi. La copertina è perfetta per il loro stile mitologico e fantastico, bisogna poi sottolineare che a dispetto della comunanza del genere, la band canadese non ha nulla a che vedere con il sound festaiolo e alcolico dei Korpiklaani (senza nulla togliere al mito della band finlandese) ma vive di musicalità più introspettiva e sinistra. Riascoltato a distanza di qualche anno, quest'album suscita ancora tante arcaiche emozioni offrendo una proposta variegata e assai valida nel vasto ed inflazionato mondo del folk metal mondiale. Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

Holocausto - War Metal Massacre

#FOR FANS OF: Black/Thrash, Sarcofago, early Sepultura, Sodom
In the eighties, Brazilian metal had a lot of provocative bands, but Holocausto was for sure the one that stood out the most in that area. With their constant references to the Nazi regime in their image and lyrics, it didn’t take long for them to be accused of being nazis, even if they expressed that they only adopted those symbols to express the horror of the Holocaust. And their music was as extreme as their image, because 'Campo de Extermínio' ('Extermination Camp'), their debut from 1987, still sounds as brutal and violent as it was at that time, with their sloppy technique, their blastbeats, monstrous vocals, and simple but effective thrashy riffs.

This period of rawness ended up being a little short-lived, as Holocausto decided to start changing their sound in their follow-up 'Blocked Minds', where they left the nazi image and Portuguese lyrics, and adopted a crossover thrash sound in the vein of Suicidal Tendencies. The following albums saw Holocausto with the same approach to songwriting as fellow Brazilian bands Sepultura and Sarcófago, never releasing the same album twice and experimenting with more technical riffs and some industrial and noise influences, but unlike those bands Holocausto never managed to capture the same impact of their debut. Internal turbulences and a constant change of members didn’t helped, and they split-up at some time in the mid nineties. Although they reunited in 2005 to record the hardcore-tinged 'De Volta Ao Front' ('Back to the Front'), they didn’t do a lot more.

That is why 'War Metal Massacre' is so welcome as an addition to Holocausto’s discography. With all the members that recorded 'Campo de Extermínio', with the exception of the drummer Armando Sampaio, and a cover that reminds of the one in that album, the intention is very clear and simple: they want to go back to their roots.

The most interesting part of this six-song EP is in the last three songs, the ones that Holocausto composed for this release. It’s complicated to talk about them individually because there isn’t much difference between them, but what they don’t have in variations is compensated with an incredible display of force: “Eu Sou a Guerra” (“I Am the War”), “Corpo Seco / Mão Morta” (“Dry Body / Dead Hand”) and “War Metal Massacre” show Holocausto going back where they feel like a fish in the water, with blastbeats, punchy riffs and lyrics about the horrors of war. Sometimes they sound like 'Obsessed By Cruelty'-era Sodom, but with much better sound. If sometimes critics have used terms like “war metal” and “noise metal” to describe Holocausto’s style, this are songs thet justify those claims.

“Massacre”, “Destruição Nuclear” (“Nuclear Destruction”), and “Escarro Napalm” (“Napalm Sputum”), the three other tracks from this EP, are re-recordings of songs that the band released in their first years. And here they’re present in their best versions: even if there aren’t a lot of changes, with the exception of a short rainy “Black Sabbath”-like intro, the musicians playing them, have improved their technique and the better quality sounds manages to make that the rhythms of Nedson “Warfare” Conde, who was the first drummer of Holocausto, sound as violent as they’ve to be. To “go back to their roots” is something that not a lot of bands manage to do, because a lot of times they end up sounding like tired versions of what they used to be. But with “War Metal Massacre” these Brazilians manage to combine the search into the band’s origins with the experience they’ve gained along these years. I don’t know if a lot of people were expecting new material by Holocausto, but it’s a great surprise nonetheless. There isn’t a single bit of filler in 22 minutes of music, and it’s a perfect comeback for a band that deserved a lot better. Will they manage to get that with the release of an LP? We’ll only have to wait. (Martín Álvarez Cirillo)

(Nuclear War Now! Productions - 2017)
Score: 80

https://nuclearwarnowproductions.bandcamp.com/album/war-metal-massacre

martedì 18 aprile 2017

Infernal Angels - Ars Goetia

#FOR FANS OF: Black, Dark Funeral, Mgła, Belphegor
Italian melodic black metallers Infernal Angels feature plenty of glimpses of pure aggression that are blended into parts of mournful, disturbing sonic extremity with sudden melodic grafts throughout here which produces a fine Scandinavian angle to the music. The album is based mostly on tight, ferocious tremolo riffing that produces a strong, thunderous base for the rest of the music to offer the frantic tempos and patterns featured throughout here. Generating plenty of intensity with the blistering drumming while remaining firmly aware of the tight, frantic buzzing melodies blazing alongside the raging music featured here, and overall there’s a solid amount of work displayed here that makes for a wholly enjoyable time. The one main problem with this one arrives in the fact that there’s just not a whole lot of deviation in the music which has a ton of opportunities to express any kind of variance here yet it doesn’t really offer that here. It’s all pretty much the same general buzzing tremolo melodies and rather tight, same-sounding rhythms for the most part, and that does tend to lower the impact of the album when it’s almost impossible to figure out where on the album you are. Still, the tracks here aren’t all that bad here. Once this gets past intro ‘Amdusias: The Sound of Hell,’ there’s quite a lot to like here as ‘Vine: Destroyer of the World,’ ‘Purson: Matter and Spirit’ and ‘Bael: The Fire Devour Their Flesh’ feature these in rather impressive, explosive manners. As well, ‘Asmoday: The Impure Archangel’ and ‘Paimon: The Secret of Mind’ drop a lot of the intensity and go for more mid-tempo melodies to really give this a bit of variation. Still, that doesn’t detract from the main flaw in this one. (Don Anelli)

(My Kingdom Music - 2017)
Score: 80

https://infernalangels.bandcamp.com/

lunedì 17 aprile 2017

Raptor King - Dinocalypse

#PER CHI AMA: Metalcore/Math
C’è chi costruisce elaborati concept album per raccontare serissime vicende personali, viaggi fantascientifici o futuri distopici. E poi ci sono i Raptor King, che si presentano con un packaging imbarazzante, un video in cui un tizio vestito da dinosauro con gli occhiali da sole viene in faccia ad una sosia di Rey dall’ultimo 'Guerre Stellari' ed una storia quanto mai improbabile e ridicola. In questo secondo EP 'Dinocalypse', si racconta di King Raptor V, un dinosauro potentissimo e senza rivali, che governava il mondo 74 miliardi di anni fa. Grazie ad un portale interdimensionale, King Raptor V viaggia nel tempo e arriva nella periferia parigina nel 2015. Assolda due improbabili scagnozzi (il chitarrista illusionista Nightsmoke e il batterista Don Coco) e decide di conquistare il nostro mondo fondando una band: i Raptor King appunto. Musicalmente parlando, siamo di fronte ad un frullato di generi e stili difficilissimo da catalogare. L’opening è affidata alla title track “Dinocalypse”, un assalto deathcore di casse e rullanti, su cui un basso tossico e le chitarre in palm-mute, costruiscono un groove intricato sullo stile dei The Dillinger Escape Plan. Pregevole il lavoro alla voce, gorgogliante e brutale. Cala la luce in “The Witch”, guidata da un riffing lento e oscuro, sabbathiano, quasi doom in certi versi, capace però di inaspettate aperture in blast-beat e accelerazioni metalcore. Sulla successiva “The Long Way To Rock (Pom Pom Pom Pom Pom)” non potrete non muovere la testa: un mid-tempo perfetto e un groove contagioso a cavallo tra rock e metal fanno da tessuto ad una canzone in grado di dare spazio alle capacità tecniche di ciascun membro. “Fight’n’Roll” accelera nelle corde di un metal più contemporaneo, violento e potente, dove King Raptor urla come un punk fatto di adrenalina, ma si ammorbidisce sui ritornelli più catchy. Chiude “Lonesome Raptor”: un blues lento e malato, melodicamente impeccabile, con una voce rauca che ricorda Tom Waits. Un lavoro talmente eterogeneo e sconnesso da spaventare, ancor di più se consideriamo l’assurda ironia dei testi e dell’intero concept. Ma i Raptor King sanno suonare, eccome: se cercate un approccio competente ma ridicolo al metalcore contemporaneo, questo gruppo fa per voi. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2017)
Voto: 65

http://www.raptorkingrocks.com/