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martedì 30 giugno 2015

Oktor - Another Dimension Of Pain

#PER CHI AMA: Doom Gothic
Io proprio non riesco a cogliere la decantata “altra dimensione del dolore” in questo primo full-lenght dei polacchi Oktor che giungono a questo risultato dopo dieci anni di attività ed un solo EP a inizio carriera. Il disco si basa su tre corpose tracce principali (“Conscius Somaton Paradise”, “Mental Paralysis” e “Hemiparesis Of The Soul”) a cui vengono affiancati in preludio e coda degli intermezzi strumentali, ove è protagonista un plastico, brillante e fastidioso pianoforte. Nonostante una necessaria competitività della prima delle tre, la proposta è alquanto scontata e presenta alcune parentesi decisamente fuori luogo con la totalità del lavoro, che rendono ancor meno appetibile quel poco fatto validamente. Il cantato in lingua madre è intrigante ma fatica ad esprimersi in modo eccelso a causa di una musicalità discordante che non riesce ad amalgamarsi ad esso. Una gamma di parti frammentate tra loro, impediscono a tutte queste idee miscelate, di condurre da qualche parte questo album della durata di ben cinquantacinque minuti, che si chiude, ironia della sorte, con un brano intitolato “Undone”. Non ci siamo. (Kent)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 50

domenica 28 giugno 2015

Griftegård - The Four Horsemen

#PER CHI AMA: Doom, My Dying Bride
La Ván Records ci delizia con un'altra perla musicale, cosi come ci sta abituando da qualche tempo a questa parte l'etichetta tedesca. Questa volta ci conduce in Svezia per farci meglio conoscere i Griftegård, band attiva dal 2004, ma con un solo Lp nella propria discografia e una manciata di EP e split cd alle spalle. Solo due i pezzi che costituiscono 'The Four Horsemen': la title track, cover song degli Aphrodite's Child, band progressive greca di fine anni '60, in cui militava il mitico Demis Roussos, scomparso proprio quest'anno. E forse "The Four Horsemen" vuole essere un tributo a uno dei bassisti più talentuosi del rock, che si rifaceva nel suo stile, a Paul McCartney e Brian Wilson. La canzone, nel suo oscuro incedere doom, riscopre la poesia psichedelica della band greca, e di quella song di primissimi anni '70, dischiudendo la magia musicale che trasudava dalle note immortali degli Aphrodite's Child. La seconda traccia, "A Beam in the Eye of the Lord", è un puro pezzo doom che potrebbe evocare i My Dying Bride, fatto salvo per la voce pulita di Thomas Sabbathi, che solo in alcuni frangenti, cambia registro e si getta su tonalità più profonde. Il brano è lento e disperato e racchiude l'essenza tipica del genere, galleggiando in un mare di cupa desolazione (e ottime melodie). Peccato che il dischetto duri solamente 16 minuti, mi sarebbe piaciuto approfondire maggiormente il sound dei Griftegård, vorrà dire che mi affiderò a internet per saperne di più di questi nuovi cavalieri dell'apocalisse. (Francesco Scarci)

(Ván Records - 2015)
Voto: 70

Dekadent - Veritas

#PER CHI AMA: Blackened Death Prog, Anaal Nathrakh, Old Man's Child, Devin Townsend
Il panorama metal sta espandendo sempre più i propri confini: il black non arriva più solo dal nord Europa, il doom non è ormai da tempo prerogativa dell'Inghilterra, e lo swedish death ormai potrebbe definirsi semplicemente melodic death metal. Il sound esplosivo di 'Veritas' arriva dalla Slovenia e da una band, i Dekadent, che sono in giro già da un decennio, con quello di oggi che rappresenta il quarto lavoro dell'act di Ljubljana. Musicalmente i nostri sono ben difficili da etichettare, in quanto l'impianto sonoro di 'Veritas' affonda le proprie radici nel metal estremo degli Anaal Nathrakh, ma tuttavia, punti di contatto con il melodic death e una certa vena progressivo/sperimentale del folletto Devin Townsend, è riscontrabile fin dalla opening track, "Of Acceptance & Unchanging", song che mostra una certa maturità a livello di songwriting, ma soprattutto una padronanza invidiabile nella matassa di pezzi furiosi, sprazzi acustici e chorus melodici. L'esito alla fine è davvero convincente, considerando la ragguardevole durata della opening track e i suoi quasi 10 minuti. "Dead Opening" irrompe con una splendida cavalcata stracolma di groove che genera anche un certo trasporto emotivo che tende ad una diffusa malinconia (complice anche il fatto che questa traccia la si ritrova a supporto del film che appare nel bonus dvd), grazie anche alle ariose tastiere, di scuola Townsend, che chiudono il pezzo. Un bombastico riffing stile Old Man's Child è la matrice sonora di "Pasijon", song che si avvicina al black dei norvegesi, arricchendolo di colate di groove e di chitarre death da metà brano in poi, mentre i vocalizzi del bravo Artur si mantengono più orientati al versante growl. Ma il sound dei Dekadent è un fiume in continua evoluzione, non stupitevi quindi se sul finire la traccia si spinga ancora una volta in territori progressivi. Ascoltare un brano del quartetto sloveno si rivelerà infatti come guardare un film con tre tempi, con un susseguirsi di colpi di scena. Con "Nervation's End" si ritorna alle scorribande stile Anaal Nathrakh, e un sound violento e oscuro che lentamente si arricchisce in melodia: la comparsa di una tastiera, un assolo che mi ha fatto rizzare i peli sulle braccia, in una miscela di suoni lenti e oscuri che nel frattempo hanno già dimenticato la veemenza iniziale del brano, che vira addirittura verso versanti onirici, prima di implodere su se stessa in un fragoroso come back death metal. Avete presente i Dimmu Borgir più orchestrali? Ecco come si presenta "Valburga", almeno inizialmente; ovvio che da li a poco, la song proverà a percorrere altre strade, grazie alla mutevole essenza dei suoi musicisti. Death metal e black avanzano a braccetto avvolti in una veste barocca e pomposa, sospinta da una suadente furia grind che trova attimi di riflessione in fraseggi e assoli di natura progressiva. "Beast Beneath the Skin" è un'altra cavalcata senza sosta, in cui il turpiloquio musicale è dettato dal riffing selvaggio dei nostri che in questa song non riesce stranamente a trovar pace. Il finale di 'Veritas' è affidato alle note di "Keeper's Encomium", song velata di una malinconia diffusa che richiama alla grande la follia di Devin Townsend, in un coacervo di suoni doom, death progressive e ambient, per quella che sembra essere la migliore traccia del lavoro. Lavoro che comprende anche un bonus dvd con un cortometraggio di 24 minuti di cui Artur è il regista, e con le musiche dei Dekadent a sugellarne l'essenza decadente. Altri contenuti bonus, tipo i trailer ufficiali della release stessa, ne completano il contenuto. Che altro dire, se non invitare voi tutti ad accostarvi a questo elegante e complesso bel lavoro. Bravi! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 85

Ophite – Basic Mistakes

#PER CHI AMA: Blues Grunge Rock
Sono giovani e carini, risultano freschi e dinamici, vengono direttamente da Parigi ma sono multietnici e trendy e suonano un pop intelligente pieno di colori e variegate influenze. Il funk, il rock, il britpop e un certo tipo di hip hop, suonato veramente, con attitudine artistica e non esclusivamente commerciale. Ricordano la freschezza dei primi Texas e la verve di Martina Topley-Bird nelle atmosfere cool ed energiche, un soffio di riot girl alla Sleater Kinney, le indimenticabili Elastica e il blues rock spinto dal fascino retrò anni '90 dei The Duke Spirit. Un ingorgo di suoni che ruotano nell'ellisse del sistema solare del pop di buona fattura, ben suonato e ben calibrato, fatto appunto per il semplice piacere di essere ascoltato. Basso e voce danno un supporto eccezionale a tutte le sei tracce del cd ma anche la batteria e le evoluzioni chitarristiche, suonano deliziose con le sonorità che resero grandi i 4 Non Blondes e Alanis Morrissette negli anni '90. Un vero e proprio tuffo nel passato con un'ottica di ristrutturazione moderna ed efficace dai suoni pieni, centrati e filtrati a dovere. Ottimi suoni che vanno d'amore e accordo con le sonorità dei The Roots del capolavoro 'The Seed'. Una band atipica per il mondo odierno ma tutt'altro che scontata, se le venisse data una produzione d'alta classe e una visibilità adeguata, sicuramente ne aumenterebbero le possibilità di riuscita commerciale. Una musica inventata e ragionata per essere apprezzata sotto tutti i punti di vista. Magari non risulteranno del tutto originali ma sicuramente la proposta è molto buona e convincente, con una vocalist di tutto rispetto (ascoltate l'acustica "My Pretty Columbine" per rendervi conto delle sue qualità!) e una composizione talmente gustosa e di qualità da fare invidia a molti, anche nei richiami reggae alla Police di "Phoenician Sailors". Un EP ben riuscito e di gran classe. Questa giovane band ha tutte le carte in regola per crescere a dismisura e questi primi sei brani autoprodotti sono da ascoltare a timpani spiegati! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 75

venerdì 26 giugno 2015

Kera – Kera

#PER CHI AMA: Death Progressive
La band parigina dei Kera (di cui si sono riuscito a recuperare poche informazioni) si presenta con ottime prospettive in ambito death metal progressivo e melodico, con una potente produzione ed un'esecuzione di qualità superiore alla media, firmata Thanatos Production. Tre brani per un totale di circa venti minuti con un sound che incanala la forza d'urto dei Darkest Hour in un vortice di stili che si sposta dai Misery Index agli immortali Machine Head, passando per i Superjoint Ritual e Soilent Green, per quel pizzico di sludge metal in più. All'interno di questo mini cd si può inoltre trovare un certo classicismo oscuro alla Monstrosity e una buona dose del granitico sound degli High on Fire, cui la voce, in più situazioni, trova più di qualche riferimento. Un grande calderone dove tutto il mescolato ha un unico intento, creare un pesante e strutturato prodotto sulla falsariga dei maestri Mastodon e dei loro concept mastodontici, anche se i Kera calcano la mano e spingono l'acceleratore più sul metal che sull'heavy psichedelico. Tutti i brani sono degni di nota ma forse "Silence", in chiusura del disco, apre alla band nuove soluzioni sonore, verso lidi veramente progressivi, sfoderando un assolo pirotecnico, che occupa circa metà del brano, dotato di un sano retrogusto seventies. Un EP che va preso in seria considerazione anche se la band, che ha tutte le carte in regola per raggiungere vette altissime, deve cercare una sua esatta identità sonora che la possa contraddistinguere da altre inserite nello stesso ambito. Lo stile dei nostri attinge a piene mani dalle opere di tante realtà metal che a tratti rischiano di nuocere all'originalità stessa della proposta. Una band dalle enormi possibilità, per tre brani davvero molto interessanti! (Bob Stoner)

(Thanatos Production - 2015)
Voto: 70

Vlasta Popić - Kvadrat

#PER CHI AMA: Alternative Noise, Shellac, Sonic Youth, The Ex
Nuova vibrante uscita per la Moonlee Records. L’etichetta slovena continua la sua meritoria opera di scoperta e valorizzazione delle migliori rock band dell’area balcanica. Ora è la volta dei croati Vlasta Popić, che giungono con 'Kvadrat' al loro secondo album. Diciamo subito che il disco si pone ai vertici qualitativi dell’intero catalogo della label, assieme a quel 'Dobrodošli Na Okean' degli ottimi serbi Repetitor, risalente ormai a tre anni orsono. Come i “Sonic Youth di Belgrado” anche i Vlasta Popić collocano in maniera prominente il loro suono nell’ambito dell’alternative a stelle e strisce. Oltre alla band di Thurston Moore e Kim Deal, a cui viene spontaneo riferirsi (anche per via delle vocals femminili), i tre rocker di Zagabria sono assimilabili per certi versi agli Shellac, anche se l’impianto ritmico è sempre piuttosto sostenuto, una sorta di ibrido pop-punk dalle forti componenti noise, per cert versi vicino ai grandissimi The Ex. 'Kvadrat' mette in fila nove brani ruvidi ed energici, spigolosi e martellanti, cantati nell’idioma madre, che si dimostra lingua inaspettatamente versatile e adatta al rock. Si viaggia cosí senza un attimo di posa tra i riff granitici e tiratissimi dell’opener “Tržište”, al tiro irresistibile di “Ako Nisam Dobra”, fino alle sfuriate chitarristiche di “O Vodi”, la furia punk di “Slijepa Naša (Mržnja)” e il power pop al rumor bianco di “Maštanje”. Non ci sono cedimenti lungo questi 38 minuti scarsi, non ci sono momenti di stanca o di eccessiva pesantezza. Uno dei dischi che potreste finire per ascoltare di più in questi torridi pomeriggi d'estate. Piacevolissima sorpresa che vorrei tanto vedere alla prova del live. (Mauro Catena)

(Moonlee Records - 2015)
Voto: 75

Misty Morning - GA.GA.R.IN

#PER CHI AMA: Stoner Doom Psichedelico
Torniamo a parlare di band italiane e oggi andiamo a conoscere i Misty Morning, una band romana che vede la sua fondazione nel lontano 1995. Solamente nel 2007 la band concretizza i suoi obiettivi e grazie al consolidarsi della line-up, auto produce il primo album 'Martian Pope'. In seguito iniziano i live che raggiungono anche il nord europa e permette alla band di firmare con l'etichetta Doomanoid Records (UK). Alla band si aggiunge anche il quarto ed ultimo elemento che con le tastiere avrà il compito di dare più ampio respiro ai suoni dei nostri e divenire così una band stoner doom con influenze psichedeliche e prog. Nasce così questo 'GA.GA.R.IN' (Galactic Gateways for Reborn Intellects), un concept album complesso, ricco e dalle buone qualità. Dopo la prima traccia acustica introduttiva che fa molto 'Into the Wild' & Eddie Vedder, si inizia con la traccia che da il titolo all'album. Un pezzo sporco e cattivo, dai riff incalzanti, ritmica martellante e tastiere velocissime che scatenano un'energia incontenibile. Varie influenze serpeggiano tra le note, ma la band ne esce a testa alta con un brano costruito ed eseguito con stile e sapienza. I suoni sono vintage, ma con quelle sfumature "Silicon Valley", meriterebbe un voto superiore pari a 100 perché rappresenta la perfezione in tema di musica ambient elettronica, con suoni pieni ed avvolgenti, ricchi di misticismo spazio-temporale che pulsa all'unisono con l'universo. La traccia sfuma e annuncia "Mourn o’Whales", un inno alla antica specie cetacea che in universo parallelo domina e distrugge, una sorta di culto di Cthulhu rivisitato. Dopo alcuni campionamenti del soave canto del gigantesco orrore dei mari, le chitarre aprono con un riff epico e pregno di riverbero e delay. I suoni post rock accompagnati da batteria e basso, esplodono nel main riff, oscuro e tenebroso, in stile Black Sabbath. Il timbro del vocalist calza a pennello, ruvido e dissacratore che decanta le lodi di una natura marina che domina incontrastata e dove ogni specie ha il suo ruolo ben definito. Lo stesso dicasi degli strumenti e degli arrangiamenti dei Misty Morning, che utilizzano cambi di ritmica, assoli e quant'altro per plasmare gli oltre dieci minuti di canzone. Simpatica la trovata di introdurre una traccia cantata in giapponese, ovvero "Doomzilla" (presente anche nella versione inglese), una cavalcata rock classica che regala un'atmosfera interessante grazie alla lingua orientale, oltre che rappresentare una buona idea per agganciare il mercato giapponese. Direi che 'GA.GA.R.IN' alla fine è un bell'album che avrebbe potuto essere ancora meglio se le tastiere fossero utilizzate in modo attivo nella composizione dei brani. I vari interludi sono avvolgenti, mistici e spaziali, veri trip sensoriali che meriterebbero più spazio, e non solo quello tra un brano e l'altro. I testi sono belli e pregni di atmosfera, non la solita cantilena di frasi messe giù a caso che si infilano senza fatica nelle strofe e ritornelli. Quindi all'interno del disco c'è tutto quello che deve esserci; se la band riuscisse a focalizzare meglio alcune idee, direi che il botto che i nostri possono fare si sentirà non solo a Roma, ma fino nelle profondità oscure e tetre dell'abisso liquido. (Michele Montanari)

(Doomanoid Records - 2014)
Voto: 75

domenica 21 giugno 2015

Chromb! - I & II


#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock, John Zorn, Frank Zappa
Avevo già avuto modo di dire come avessi la netta sensazione che la Francia fosse uno dei luoghi più fertili e brulicanti della musica piú interessante, libera e difficile da incasellare, e la scoperta di questo quartetto di Lyon non fa altro che avvalorare la mia tesi. Difficilmente infatti, mi è capitato di trovare negli ultimi tempi tale e tanta vitalità e vivacità quanto in questi due album licenziati dai Chromb!. A partire dagli splendidi artwork (entrambi i lavori si avvalgono delle illustrazioni di Benjamin Flao), è evidente la cura che i Chromb! ripongono nel loro progetto, musica libera e senza schemi, affidata alla creatività di una formazione di stampo quasi jazzistico (basso, batteria, sax e tastiere). 'I' esce nel 2012 e incanta col suo mix di rock, blues e jazz, il tutto molto free-form e innervato di umorismo in dosi massicce. Le sei tracce oscillano tra pulsioni jazz con scansioni drum n’bass dell’opener “Il l’a Fait Avec Sa Seur”, il caos controllato e latineggiante di “Apocalypso”, il blues sofferto e cantato con voci stridule in stile Les Claypool (“Tu Est Ma Pause Dèjeuner"), fino alle sperimentazioni libere di “Maloyeuk”. Il tutto lascia in bocca il gusto inafferrabile e beffardo di certe cose di sua maestà Frank Zappa. La parola normalità non sembra far parte del vocabolario dei quattro, e quindi di normalizzazione non c’è nemmeno l’ombra in 'II' che esce nel 2014 e anzi spinge ancora più a fondo sul pedale dell’imprevedibilità e dell’eclettismo sonoro. Il suono è ancor più curato e le invenzioni dei musicisti più raffinate, in particolare il tastierista Camille Durieux fa un uso più esteso del pianoforte, come nelle parentesi classicheggianti di “Monsieur Costume”. A volte i francesi giocano a spiazzare con architetture non lineari, come nella dance-music dislessica di “Il Dansait La Chance”, o negli accostamenti volutamente azzardati di “A Fond De Chien”, che non potrei definire altro che punk barocco. Difficile poi non restare a bocca aperta di fronte a “La Saulce”, trascinante meticciato tra hard-prog e Beastie Boys. Difficile rimanere indifferenti, anche se a volte il voler seguire forzatamente percorsi non lineari, può far correre il rischio di perdere la strada. Tuttavia la stravaganza musicale dei Chromb! non sembra essere frutto di una scelta deliberata e ostentata, quanto di una necessità di deragliamento dai binari prestabiliti, per attingere in continuazione nuove energie da tutto quello che li circonda, senza vincolo e costrizione alcuna. Stravaganti e vitali, in una parola, eccitanti. (Mauro Catena)

(I - Self - 2012)
Voto: 75

(II - Self - 2014)
Voto: 80