lunedì 27 novembre 2023

Latex Baby - Stab

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial Black
I Latex Baby sono nati dall’unione di Dr. Morbus (proveniente dalla death/black metal band Antrum) e Fetish X (proveniente dall’harsh noise band Involucro). Quello che vi presento oggi è il primo interessante lavoro della band (prima che se ne perdessero completamente le tracce, tant'è che non abbiamo trovato nemmeno uno straccio di sito internet/ndr). Dimostrazione di ciò è il fatto che il gruppo comparve anche nella compilation 'Death Odours' dell'importante etichetta italiana Slaughter Productions. Il primo brano ("Weak Flesh Persecution") è composto da una dinamica parte elettronica a cui si sovrappongono voci filtrate e una parte noise. I due brani successivi ("Cut-Off Throat" e "Lacerated Wombs") sono sostenuti da un riffing metal che si muove tra industial, death e black e che spesso serve solo come componente ritmico (come ossatura direi) in quanto la parte principale è affidata allo strato noise assai ben sviluppato, coinvolgente e scorrevole. È molto ben riuscita l’amalgama tra le singole partiture e sono forti le sensazioni che riesce a dare lo spesso sound di "Stab". L’ultimo brano ("Pierced Clits & Razorblades") è un morbido ed avvolgente pezzo industrial, morboso e pericolosamente attraente; potrebbe tranquillamente fare da colonna sonora a qualche bella scena del film 'Naked Blood'. È un peccato che questo lavoro duri solo un quarto d’ora; avrei proprio voluto ascoltare cosa i Latex Baby sarebbero stati capaci di fare su un full-length! Disco consigliatissimo.
 
(Necro.files Music - 2000)
Voto: 70


Ashtar - Wandering Through Time

#FOR FANS OF: Black/Doom
During its over a decade of existence, the Swiss project Ashtar hasn’t been particularly active, as it has only released two albums until 2023. But as it usually happens, the quality has more importance than the quantity, and this formerly duo released two interesting albums which were worth of our time. And I say formerly, as since 2022 Ashtar has been reduced to a solo project as the Finnish musician Lehtinen is out of the band. As a consequence of this, Nadine Lehtinen, as known as ‘Witch N’ will take the duties of composing and releasing the upcoming albums, while the last offer, entitled 'Wandering Through Time', has yet been composed by the original duo. 
 
As it happened with this predecessor 'Kaikuja', the new opus is released by the well-known label Eisenwald. Ahstar’s musical formula is an interesting combination of black and doom metal. Nadine’s vocals have a distinctive black metal touch, as they are raspy and high-pitched. Pace-wise the music is undoubtedly influenced by the slower rhythm so common in the doom metal genre, while the guitar riffs have a mix of both genres, tending to a sound closer to one or another genre depending on each moment. When we talk about the pace, a song like "Deep Space and High Waters" clearly tends to a sound more doomish as it has a more mid-paced structure, although Ashtar tries to vary the pace of the track as it advances just to avoid sounding predictable and too monotonous. In any case, as the album goes on, the tracks are more heavily influenced by doom metal as their pace is slower and the riffs sound even more crushing. A clear example of it, is the long album closer "I Want to Die", which is actually a cover by Post Mortem, but it perfectly reflects how the album sounds. The first half of this effort, on the other side, is a bit more diverse in terms of structure and pace, as the black metal influence here is a bit stronger. This successfully adds some energy in the compositions, as in the aforementioned third track, but especially in the first two songs. The second track, entitled "The Submerged Empire", is my favorite one. The guitar work is excellent with some addictive melodies and the second half of this track contains some interesting surprises. For example, a remarkably beautiful violin interlude which is totally unexpected. This calmer and more delicate section is followed by a heavier one, which suddenly gains a lot of speed and fury. This ferocious final section is ended by a second and equally beautiful apparition of the violin which ends the song in style. 

In conclusion, 'Wandering Through Time' is a solid effort which would be a more inspired and interesting album, if the second half of the album would contain more diversity in its pace and a stronger black metal influence, as it can be heard in the first tracks. I honestly think that Ashtar’s music benefits itself from this more balanced mixture as it sounds more captivating. (Alain González Artola)
 
(Eisenwald - 2023)
Score: 70
 

sabato 25 novembre 2023

Abominator - Subversives for Lucifer

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Bastardi, brutali, selvaggi!!! In questo secondo album intitolato 'Subversives for Lucifer', gli australiani Abominator, che vedono tra le loro fila Damon Bloodstorm ex-Bestial Warlust, non si risparmiano nulla per tutta la durata del cd. Musicalmente si posizionano sulla stessa linea dei loro conterranei Sadistik Exekution e proprio Bestial Warlust. Otto tracce più intro e outro di furia barbarica. Violenza, e violenza a profusione con un death/black vecchia scuola. La differenza dal primo album si sente, ed è soprattutto a livello di stile. Qui il sound è molto più violento e malato. Non c'è un attimo di tregua, la batteria martella per tutto il lavoro, mentre le chitarre ultra-veloci, suonano alla stregua di motoseghe. L'utilizzo di due cantanti, con stili vocali molto differenti, è un'ottima scelta poiché aggiunge al complesso un ulteriore dose di aggressività con risultati disumani. Il terzetto australiano ha così sfornato un buon lavoro senza eccessivi sforzi, ma è comunque un disco che picchia sodo, con un occhio alla vecchia scuola e rozzo come pochi, anche per quello che riguarda la produzione, perché la registrazione non è certo cristallina, ma come sempre in questi casi, io penso "chi se ne frega!".

(Osmose Productions - 2001)
Voto: 70

https://www.facebook.com/AbominatorOfficial/

Hence Confetti - S/t

#PER CHI AMA: Math/Djent
I più attenti che seguono il Pozzo dei Dannati da parecchio tempo, si ricorderanno che abbiamo recensito un paio di dischi dei Mish. Ecco, il frontman di quella band, Rowland Hines, ha pensato di fondarne una tutta nuova durante la pandemia. I nostri, che rispondono al buffo nome Hence Confetti, debuttano quindi per la Bird's Robe Records (la stessa etichetta dei Mish) con questo EP autointitolato che sembra ammiccare al poliritmico sound dei Meshuggah, un genere, il djent, che avevamo comunque apprezzato anche in 'Entheogen' e 'The Entrance' dei già pluricitati Mish. Quindi, facendo tesoro di quell'esperienza, il buon Mr Hines coniuga alla grande le sonorità djent con il math, come palesato nella seconda "Buttons", tra chitarroni pesantissimi e suoni obliqui, il tutto corredato da un growling furibondo e opprimente. Non mi sono dimenticato dell'opener "New Homes" ovviamente, dove gli australiani fanno confluire un che di Devin Townsend nelle note più crepuscolari di un pezzo comunque interessante, una sorta di apripista per un disco che sembra comunque rimanere senza contorni stilistici ben definiti. Questo perchè "Rorschach" (chissà se c'è un qualche riferimento al test psicologico per l'indagine della personalità) si palesa come un delicato pezzo strumentale che poco ha a che fare con i brani precedenti ma sembra piuttosto un lungo e forse tedioso bridge per la seconda parte dell'EP. E "Ovation" e "Bandages", sebbene una introduzione più meditabonda la prima, tornano a impressionare con ritmiche violente più in linea con "Buttons" e parti atmosferiche, che mi hanno evocato in ordine i Lingua, i Tool e nuovamente il folletto canadese. La conclusiva "Bandages", nella sua dirompente violenza sonora, pur peccando a livello produttivo, quasi fosse stata registrata in modo completamente diverso dalle altre tracce, si dimostra la song più diretta, solida, Tool-oriented e ipnotica del lotto. Insomma, quello degli Hence Confetti (peccato solo che questo moniker faccia perdere un filo di credibilità ai nostri) si dimostra un buon biglietto da visita che auspico possa concretizzarsi in un più curato e lungo album futuro. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Earthside - Let the Truth Speak
Mephorash - Krystl-Ah
Ikarie - Arde

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Death8699

Danzig - Danzig
Slayer - Seasons In The Abyss
Slayer - South of Heaven

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Alain González Artola

Light - Alone
Kataklysm - Goliath
Duelliste - Demo 2023

Aether - S/t

#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock
Non è stato certo cosi facile recensire l'album dei milanesi Aether. Nati solo sul finire del 2021, i quattro esperti musicisti sono riusciti ad attirare l'attenzione dell'Overdub Recordings che subito gli ha concesso l'opportunità, con questo album autointitolato, di mettersi in mostra attraverso una non scontata proposta musicale. Forti di pregresse esperienze in ambito jazz - la tesi di laurea del bassista su questo genere ne è la prova, ma vi basti anche ascoltare "Radiance" per carpire immediatamente le forti influenze del genere afro-americano - la band sciorina undici pezzi strumentali che poggiano la propria architettura proprio sul concetto di base di questo sound, ossia l'improvvisazione, la progressione armonica e l'elasticità ritmica proposta in maniera ineguale, scandita da fughe di basso e chitarra e rallentamenti più tenui e sofisticati ("Thin Air") che palesano ulteriori influenze musicale provenienti dal post rock e dal progressive, il tutto permeato di un tocco cinematico che sicuramente non ne guasta l'ascolto, anzi lo integra abilmente. E proprio quello delle colonne sonore potrebbe sembrare il mood offerto da un brano delicato e sensuale (al limite dell'ambient) come può essere "Grey Halo". Decisamente più jazzy la successiva "Pressure" (e più avanti sarà lo stesso anche con la bluesy "Moving Away"), che mette in mostra l'eccellente perizia esecutiva dei nostri, che tuttavia a me scalda meno il cuore perchè finisco quasi per viverla come un puro esercizio di stile. Più convincente, e per questo più vicina alle mie corde, "A Gasp of Wind" offre le luci del palcoscenico dapprima alla chitarra, per poi spostare i riflettori all'insieme degli strumenti che, pur muovendosi in ambienti oscuri, quasi tetri, ne escono forieri di speranza. Sonorità aliene emergono invece dalla più stralunata e dronica "A Yellow Tear in a Blue-Dyed Sky", in cui la scena sembra prendersela esclusivamente il basso di Mr. Grumelli. Ancora sofismi noise drone con "The Shores Of Solinas", mentre con "Crimson Fondant", il quartetto lombardo sembra abbracciare caleidoscopiche sonorità settantiane blues prog rock (il che stride peraltro con la copertina monocromatica del disco), senza tralasciare comunque quella matrice di fondo jazz su cui poggia l'intero disco. Un viaggio sonoro che si chiude con la musicalità catartica di "This Bubble I’m Floating In": questa sigilla un lavoro ambizioso, complesso e affascinante, che necessita tuttavia di una grande predisposizione di testa e animo per poterla ascoltare ma soprattutto capire. Se voi però vi sentirete pronti ad affrontarla, allora gli Aether potranno fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

https://aether5.bandcamp.com/album/aether

giovedì 23 novembre 2023

Pale Forest - Exit Mould

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Gothic Rock
Questa giovane band metal guidata da una gentil donzella e proveniente dalla Norvegia, sbarcò sul mercato nel 1998 con 'Transformation Hymns', e un sound in pieno stile The Gathering, con cui peraltro fecero un tour europeo nel 2001. Purtroppo, questo terzo lp, 'Exit Mould', suona sostanzialmente inutile per il 99% degli amanti della scena metal. Pur comprendendo il desiderio di creare atmosfere uniche e decadenti, la band nordica si avvicinava pericolosamente alla musica pop (un po' come accadde anche ai Theatre of Tragedy), salvati solo dalla distorsione delle chitarre (non proprio metal, ma almeno un po' sporche). La voce di Kristin Fjellseth, pur affascinante e melodica, sarebbe più adatta a una funzione religiosa alla vigilia di Natale che a una band metal, cosi come i ritmi della batteria risultano poco incisivi e insoliti, troppo pompati (doppia cassa? boh!). La produzione è pulita (fin troppo, in effetti) e degna di un gruppo indie-rock, non di un gruppo metal, ma per favore... Ahimè, questo sembra essere il modus operandi di molti gruppi metal che cercano di deprimersi semplicemente rallentando e ammorbidendo il prorpio sound. Spero per l'integrità di coloro che ancora credono e sono fedeli alla parola METAL, di non sentir più parlare di questi Pale Forest (fortunatamente scomparsi nel 2011). Quindi 'Exit Mould' è consigliato esclusivamente a coloro che amano i The Gathering, gli altri si tengano lontani.

(Listenable Records - 2002)
Voto: 50

https://www.discogs.com/artist/401604-Pale-Forest

Gurkkhas - A Life of Suffering

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Le interruzioni escogitate per questo album sono incessanti. L’album ha suoni ed evoluzioni ritmiche molto dinamiche e nitide. La batteria ed il cantato marcano costantemente questo tipo di composizione nei modi più disparati. L’insieme ha i suoi rallentamenti ad effetto, non ha velocità stratosferiche. Quello dei francesi Gurkkhas (band scioltasi nel 2003 e recentemente riformatasi) è un ottimo esempio di death metal, dove la doppia cassa e la voce gutturale segnano anche il passo dell’album. In generale tutti gli strumenti convergono in varie strutture potenti e coinvolgenti per chi vi è affine. Un attimo di pausa è inserito tra i brani alla quarta traccia con un breve strumentale, un po’ tribale e parecchio misteriosa. Poi 'A Life of Suffering' continua preciso, non sempre cupo, ma intenso di spunti trascinati e mitragliati. Questi francesi sono esperti, infatti non è il loro primo album assieme, dopo l'uscita di 'Engraved in Blood, Flesh and Souls' del 2000.

(Morbid Records - 2001)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/Gurkkhas

Fides Inversa - Historia Nocturna

#PER CHI AMA: Black Metal
I Fides Inversa sono una band black metal italiana che ha guadagnato un'attenzione significativa nel panorama underground. Il loro album 'Historia Nocturna' è un'esperienza intensa e oscura. Attraverso una combinazione di atmosfere tetre, riff di chitarra taglienti e una potente sezione ritmica, il gruppo laziale riesce a creare un viaggio sonoro avvincente. Le tracce sono ricche di contrasti musicali, con momenti di furia e aggressività (le parti più prominenti) che si alternano a sezioni più riflessive e meditabonde. La maestria tecnica della band è evidente, sia nella precisione delle chitarre che nell'incisività della batteria, il tutto arricchito da un'atmosfera suggestiva creata da synth, un bel basso tonante e arrangiamenti ben curati, senza peraltro dimenticare la performance al microfono di Wraath con la sua voce aspra e potente che aggiunge intensità e profondità alle composizioni, trasmettendo l'angoscia e la passione dietro ogni brano. I miei brani preferiti? La iper dinamica "A Wanderer's Call and Orison" che nelle sue vorticose ritmiche mantiene intatta la componente melodica, la più morigerata "Syzygy" e la distruttiva (e saturnina nella seconda metà) "I Am the Iconoclasm". Per quanto riguarda le liriche, queste affrontano oscuri temi esoterico-metafici, esplorando l'oscurità interiore e offrendo una prospettiva critica sulla società moderna, aggiungendo cosi profondità e mistero all'intero lavoro. Nel complesso, 'Historia Nocturna' è un'opera che sfida e affascina gli ascoltatori, portandoli in un viaggio sonoro intriso di malvagità e complessità emotiva, catturando l'essenza del black metal e portandola in una direzione personale e coinvolgente. (Francesco Scarci)

(World Terror Committee Productions - 2020)
Voto: 75

https://fidesinversa.bandcamp.com/album/historia-nocturna

lunedì 20 novembre 2023

Death Dies - The Sound of Demons

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Thrash
Li avevo potuti ammirare solo dal vivo, senza mai aver apprezzato le loro precedenti produzioni e devo dire che in sede live mi hanno sempre fatto una buona impressione perché riescono ad avere un impatto grezzo e violento. Oggi, finalmente posso ascoltare su cd il loro primo full-length. I Death Dies sono una perfetta commistione tra parti thrash e black metal, quindi riff molto diretti e granitici, dove vi fa capolino una voce femminile dal tono operistico con una timbrica da soprano ben in evidenza, praticamente presente in quasi ogni pezzo, che rafforza ed accentua alcuni passaggi chitarristici. In più, qua e là, troviamo degli accenni di tastiere. Valida la concezione dei brani che si impongono con il loro andamento molto sostenuto e pieno di riff sentiti e diretti. Vi ricordo che all’interno dei Death Dies militano ex membri degli Evol: Samael Von Martin, Rex Tenebrae e Demian De Saba, e proprio per questo, in alcuni momenti si può respirare ancora quella vena alla Evol con melodie stranianti e misteriose ("Danza Macabra"). Non mancano neppure momenti più marziali ed emotivamente coinvolgenti ("Spartan Pride"). Segnalerei pure "Destroyer", per me una vera killer song, ascoltare per credere. L’unico appunto che mi sento di sollevare è l’uso frequente della voce femminile come soprano che, seppur usata in modo egregio, non convince, risultando poco spontanea e in disaccordo con il riffing e l’impianto delle song, ma comunque va apprezzato lo sforzo di non propinarci la solita solfa, adottando soluzioni diverse dal solito. Sono convinto però che proprio per questo non tutti ne hanno apprezzato l’utilizzo. Comunque fu decisamente una buona prova per la band di Padova.

Solar Dawn - Equinoctium

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Melo Death
Arrivavano dalla Svezia con all’attivo due demo (1997 e 2000) con il moniker Jarawynja e un mcd, 'Frost-Work' del 2001, targato sempre Mighty Music come questo 'Equinoctium'. Otto brani di death metal tipicamente svedese influenzato da melodie heavy ma con un tono più estremo, a tal proposito potrei citare come influenze a tutti ben note, i primi In Flames e i primi Dark Tranquillity. Non mancano momenti cadenzati vicino a quanto possono aver proposto i conterranei Amon Amarth, che rendono questo cd vario e fruibile. In questa band peraltro c'erano membri di Unmoored, Thy Primordial, Dawn e Scar Symmetry. Il lavoro dei Solar Dawn, dimostrava ancora una volta, che a proporre queste sonorità erano moltissime band, ma che ben poche avevano la classe e la bravura per poter dire la loro musicalmente. Gli svedesi, direi, che se la cavavano davvero bene, incastonando una sequela di riff azzeccatissima in quanto ad intensità ed armonia, abbinando altresì una voce melodica e pulita a fare da contraltare ad una più roca e cattiva. Un album vivamente consigliato per i soli nostalgici del genere.

domenica 19 novembre 2023

The Spacelords - Nectar of the Gods

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Eccomi di nuovo a recensire gli space rockers teutonici The Spacelords, quelli che prima di scrivere un nuovo disco, devono assumere un bel po' di funghetti allucinogeni (quelli in copertina tanto per capirci) accompagnati in sottofondo da una "Light My Fire" qualunque dei Doors, senza tuttavia rinunciare anche ai dettami dei Tool e forse di qualche altra combriccola del sottobosco kraut rock. Ecco, in pochi spiccioli come recensirei questa nuova fatica del trio di Reutlingen, che rispetto alle precedenti release, si affida questa volta a quattro nuove tracce, anziché le consuete tre. 'Nectar of the Gods' apre con il basso tonante della title track, in un déjà-vu di tooliana memoria per poi stordirci con melodie caleidoscopiche che potrebbero fare da colonna sonora all'Holi Festival in India, in un tripudio di colori cangianti atti a celebrare la psichedelia offerta dal terzetto. Molto più cauta e timida, "Endorphine High" si muove nei meandri di un ipnotico post rock in salsa psych progressive, tra delay chitarristici ed atmosfere dilatate ma comunque soffuse, che con un bel narghilè e sostanze proibite a portata di mano, potrebbero stimolare ampiamente i vostri sensi. Se ci mettete poi che le durate dei brani oscillano tra i nove e i 14 minuti, beh preparatevi ad affrontare uno di quei trip che vi lascia schiantati sul divano. Un trip come quello che inizia con la terza e tribale "Mindscape", tra percussioni etniche e fascinazioni oniriche, a cui fa seguito un riffing di Black Sabbath (iana) memoria, tra stoner, montagne di groove rilasciate dal rincorrersi delle chitarre, saliscendi emozionali che servono a rendere la proposta il più appetibile possibile, senza correre il rischio di sfracassarsi le palle nell'ascoltare questi pachidermici pezzi. E invece, i The Spacelords ci impongono di mantenere costantemente la guardia alta, di settarsi armonicamente con i loro viaggi atemporali, in turbinii sonici e cosmici davvero apprezzabili. Ma questo non lo scopriamo di certo oggi, visto la maturità ormai acquisita dal terzetto germanico nei quindici anni di onoratissima carriera. Carriera che oggi vanno a celebrare con l'ultima "Lost Sounds of Lemuria", una maratona di 14.14 minuti che parte cupa, pink floydiana nei suoi tratti cosi educati, tra chitarre riverberate, atmosfere sognanti di settantiana memoria, e un organo che chiama in causa il buon Ray Manzarek, in una progressione sonora che di fatto, ci indurrà fino al suo epilogo ad ascoltare in religioso silenzio. Ancora una volta, obiettivo centrato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2023)
Voto: 75

sabato 18 novembre 2023

Theory in Practice - Colonizing the Sun

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Techno Death
Sono molto contento di recensire il terzo full-length di questi svedesi, in quanto non credevo potessero migliorare quanto già proposto sul loro precedente e immenso 'The Armageddon Theories'. E invece ci sono riusciti alla grande, dando prova di enorme creatività e perizia tecnica. La musica, per chi non li conoscesse, è death metal, oserei dire “progressivo”, per intenderci, sulla scia di gente del calibro di Atheist, Nocturnus, Pestilence ma con un tocco di melodia in più, e lo si evince soprattutto in quest’ultimo 'Colonizing the Sun' (rimasto ultimo vagito della band per parecchi anni, prima dell'inatteso EP del 2017 'Crescendo Dezign'/ndr). I pezzi comunque si presentano assai complessi ed intricati, con a volte l’inserimento di tastiere in porzioni chiave dei brani. I Theory in Practice sono qui riusciti a costruire dei brani molto fluidi tanto da non rendere greve l’ascolto anche a chi non digerisce questo tipo di sonorità. La voce di Henrik Ohlsson si presenta come un ibrido growl e lancinante, quasi stridulo. Le song sono zeppe di colpi di scena, senza seguire un mood preciso. C’è da notare che quest’album è stato registrato negli studi della band e nulla è stato lasciato al caso, con una buona registrazione, degna dei migliori standard di registrazione. Quindi vi esorto ad andarvi a scovare questo lavoro, supportare i Theory in Practice, che furono in grado di portare una ventata d’aria nuova.

Pénitence Onirique - Nature Morte

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Pénitence Onirique atto terzo. Non tanto perché sono tre gli effettivi album rilasciati dalla band transalpina ma anche perché è il terzo lavoro del sestetto di Chartres che recensisco su queste pagine. La band prosegue nel mietere vittime con il proprio sound votato ad un black a cavallo tra il sinfonico e l'atmosferico, il cui minimo comun denominatore, resta comunque un'importante componente melodica. 'Nature Morte' esploderà nel vostro hi-fi con "Désir", una cavalcata epica, potente e violenta, che ancora una volta evoca i fasti dei primissimi Limbonic Art, richiamando anche, nelle parti più sontuose, un che dei Cradle of Filth, e dei conterranei Malevolentia. Semplicemente maestosi. Quello che volevo sentire. Un sound virtuoso e sinfonico messo a servizio di un'intemperanza musicale che a volte sembra addirittura sfociare nel death metal, come accade nella seconda "Les Mammonites", in cui il cantato urlato lascia peraltro il posto ad un pulito diabolico o a un growling decisamente gutturale. I nostri però viaggiano a velocità iper sostenute, senza comunque mai rinunciare alle più che buone linee melodiche. Con il terzo brano, la title track, il misterioso ensemble francese rallenta drasticamente la propria proposta, permeandola di una discreta vena malinconica, in un mid-tempo davvero convincente, che mostra una rinnovata ecletticità anche su ritmiche non troppo sostenute, che consentono al disco di non risultare eccessivamente ripetitivo. Certo, non mancano nemmeno qui le velocità iperboliche nella sua seconda metà, ma il taglio decisamente grooveggiante delle chitarre mescola nuovamente (e in modo vincente) le carte in tavola. Un breve ed obliquo intermezzo strumentale ed è tempo di "Je Vois Satan Tomber Comme l'Éclair", che vince la palma come song con il titolo più lungo, e che torna a palesare la medesima irruenza sonora dell'opener. Si prova a rallentare il treno lanciato a tutta velocità con le atmosfere soffuse dell'incipit di "Pharmakos", ma dopo pochi secondi, i nostri tornano a pestare l'acceleratore, regalandoci ancora ottime melodie, soprattutto grazie al lavoro eccellente delle tastiere e ad un assolo posizionato verso il quarto minuto e mezzo che incanta per pathos e poi via, sparati a tutta birra con le chitarre (ben tre!) che giocano a rincorrersi, intrecciarsi e accavallarsi l'una con le altre, per un disco che trova probabilmente la sua summa nelle note conclusive della lunga "Les Indifferenciés". Questo è un pezzo atmosferico, meditabondo, con un break al quarto minuto ai limiti del post rock, che sembra quasi consegnarci i Pénitence Onirique in una nuova veste artistica. Staremo a sentire che cosa accadrà in futuro. Per ora la progressione sonora sembra andare nella giusta direzione. (Francesco Scarci)