venerdì 12 dicembre 2025

The Rootworkers - Don't Beat a Dead Horse

#PER CHI AMA: Garage/Desert Rock
L'ultima fatica discografica, in realtà il primo full length della band marchigiana The Rootsworkers, è alquanto interessante, non per lo stile scelto ma per il tipo di registrazione che lo caratterizza e lo identifica nell'atlante geografico musicale mondiale. D'altronde, come sempre dichiarato, le radici della musica di questa band sono radicate sulle rive del delta blues americano delle origini. Quindi, è un suono caldo e umido quello che ci attende, ma anche corposo che richiama i classici ritmi e stereotipi del genere, e li rivive anche con un sound granuloso, ruvido e psichedelico, che sta a metà strada tra il garage e il desert rock. La cosa strana è che alla fine questa soluzione non soddisfa né uno né l'altro stile, perché il risultato, sarà per l'effettistica usata sulla voce e quei bei riverberi vintage, li fa assomigliare più ai nipotini (anche se meno sperimentali), del mitico Captain Beefheart nel disco 'Clear Spot', che cercano di risuonare questo album alla maniera dei Mother Superior, non la band americana che collaborò con Henry Rollins, ma quella svedese di 'The Mothership Movement', splendido esempio di garage rock del 1999. 'Don't Beat a Dead Horse' è un album molto bello, giocato su suoni retrò, distorsioni e sonorità che si srotolano tra un rock aspro e un vellutato blues d'altri tempi, come nel caso di "Desert", mentre in "Unstoppable Pleasure", la mente torna ai primi anni 2000 e al modo ruffiano di fare indie rock degli EELS in 'Soul Jacker', anche se in questo disco, e va sottolineato, il classic rock blues è sempre e comunque predominante. Molto interessante "It's Gone (and Its Allright)", song dal piglio cool e suoni dilatati, una voce graffiante alla Tom Waits, un pathos che mette in risalto una ricerca sonora bella e certosina, a forza inseguita dalla band, che immerge le canzoni in un misto di suono lo-fi, ronzii e suoni rudi annessi, per una cavalcata verso il mitico "Rancho de la Luna", quel posto che ha dato vita a suoni e album dal sound immenso. I The Rootworkers lavorano sulla personalità, sfornando suoni veri, reali, fatti di sudore e polvere, che provano di continuo a ritagliarsi uno spazio sonoro proprio, cosa non certo facile in questo ambito musicale, ma la qualità compositiva e il buon gusto verso certe sonorità, li aiutano a non farli cadere nel mai così scontato baratro della deriva stilistica. Per concludere, possiamo definitivamente approvare questa nuova fatica dei The Rootworkers e catalogarla tra gli album doverosi di un ascolto a tutti i costi. Lasciatevi trasportare dal calore liquido di "Dead Flower Blues", per una fuga psichedelica di tutto rispetto. Un disco da ascoltare a tutti i costi, dove la mia preferita è l'acida e irriverente "Not My Cup of Tea". (Bob Stoner)

(Bloos Records - 2025)
Voto: 70

mercoledì 10 dicembre 2025

Nimbifer – Vom Gipfel

#PER CHI AMA: Raw Black
L'ultimo assalto sonoro dei tedeschi Nimbifer, l'EP 'Vom Gipfel', è una nuova incursione in quel black metal crudo e ferale, che li ha resi uno dei nomi caldi della scena underground dopo l'ottimo 'Der Böse Geist' dello scorso anno. Un nuovo trittico di tracce a incarnare il nucleo più gelido e battagliero del black teutonico, che potrebbe riecheggiare nella potenza grezza e nello spirito nichilista dei primi Darkthrone, con una vena epica che non disdegna neppure l'influenza di certe atmosfere dei Bathory più ancestrali. La produzione sembra volutamente lo-fi, funzionale e in linea col genere, un muro sonoro dove il tremolo picking delle asce, affilate come lame di ghiaccio, si fonde in un impasto sonoro che lascia poco spazio a pulizia e modernismi, mentre il basso si muove in sottofondo come un'ombra minacciosa e la batteria, martellante e primordiale, suona secca e distorta. Il cantato di Windkelch è poi un urlaccio disperato, che squarcia il magma sonoro con urgenza quasi ritualistica. "Der Berg" spicca per la sua marcia inesorabile e le sue algide melodie ossessive, un'esemplificazione perfetta della loro miscela tra furia ed epicità, mentre il lancinante cantato del frontman, fa sgorgare sgraziatamente dalla propria gola tutto il proprio dissapore. Subito dopo, "Das Ende" s'introduce più compassata, ma non temete perché il ritmo sfocerà ben presto in un blast beat corrosivo con una qualche venatura folk in sottofondo a evocarmi un che dei Windir, soprattutto nella parte conclusiva. La chiusura "–Rückkehr–" è ahimè un inutile brano ambient che nei suoi quattro minuti scombina tutto quanto ascoltato sin qui. In conclusione, 'Vom Gipfel' è un lavoro di raw black metal, essenziale, onesto e brutale, caldamente consigliato a chiunque sia devoto al suono dei primi anni '90, ma soprattutto a chi non cerca produzioni patinate o elementi progressivi. (Francesco Scarci)

(Vendetta Records - 2025)
Voto: 66

lunedì 8 dicembre 2025

Asunojokei - Think of You

#PER CHI AMA: Blackgaze/Post Hardcore
Il terzo album dei giapponesi Asunojokei, 'Think of You', rappresenta un ulteriore e deciso passo avanti nella definizione del loro stile unico, da loro battezzato Blackened J-Rock. Questa particolarissima commistione di blackgaze, prende vita grazie a un sapiente equilibrio tra la grinta del black metal atmosferico e l’eleganza melodica tipica del pop e del post-hardcore nipponico. È un mix che s'ispira a illustri predecessori come i Deafheaven, ma che porta queste sonorità su un piano inedito, aggiungendo una profondità emotiva rara. La produzione è incredibilmente pulita, fin quasi al limite della perfezione per un genere che solitamente abbraccia una certa ruvidità sonora. Questo rende però possibile cogliere ogni singolo dettaglio degli arrangiamenti. Le chitarre di Kei Toriki brillano con un carattere cristallino, dove i riff in tremolo picking si distendono in melodie aperte e luminose. Il basso fretless di Takuya Seki dona una dimensione jazzata che sorprende per quanto s'integri naturalmente nel tessuto sonoro. Alla batteria, Seiya Saito si muove con estrema versatilità tra frenetici blast beat e passaggi più lenti e riflessivi. Dal canto suo, Daiki Nuno si destreggia tra urla screamo cariche di intensità emotiva e linee vocali pulite molto più confidenziali rispetto ai lavori precedenti. Ci sono momenti in cui il suo screamo, talvolta dal taglio quasi punk, può sembrare un po' in contrasto con la ricchezza strumentale, ma questa scelta aggiunge una tensione che non passa inosservata. L’album si apre con "Dawn", una traccia che funge da dichiarazione d’intenti. Qui i toni post-hardcore iniziali sbocciano in una travolgente esplosione blackgaze, stabilendo subito il mood del disco. "Stella" è un altro snodo fondamentale: i delicati arpeggi iniziali creano un’atmosfera sospesa che viene poi interrotta da growl rabbiosi, in un gioco di contrasti tra presente e ricordi più oscuri. "Angel" si distingue per una tonalità più melodiosa nella sua apertura e si impreziosisce ulteriormente con un assolo di basso sinuoso e jazzato che sembra quasi avvolgere l'ascoltatore nel cuore della notte, prima di sfociare nell’inevitabile climax sonoro. Il richiamo ai Deafheaven rimane ben percepibile lungo tutto l’album, ma gli Asunojokei sanno come affermare la propria identità, seppure con influenze evidenti. Ad esempio, in "Zeppelin", il gruppo intraprende un viaggio che parte da un’introduzione emo-punk dal taglio malinconico per arrivare a esplosioni di riff travolgenti e orecchiabili. Questa traccia emerge come uno degli inni più memorabili del disco, rimanendo impressa nella mente molto dopo l’ascolto. 'Think of You' alla fine brilla per personalità: ogni brano mostra la maturazione della band, sia nella composizione che nelle intenzioni emotive. Il risultato è un lavoro potente e ben definito, in grado di sposare la forza del metal con una sensibilità più melodica e riflessiva. È una colonna sonora perfetta sia per le giornate illuminate dal sole sia per le notti cariche di malinconia. Un ascolto consigliatissimo per chi ama il lato più emozionale e intimo del metal, dove le atmosfere "gaze" prendono il sopravvento sull’austerità tipicamente associata al genere. (Francesco Scarci)

(Vinyl Junkie Recordings - 2025)
Voto: 73

Tsorvat - Reflections of Solitude

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal
M piace andare a pesca negli acquitrini più isolati, lo trovo decisamente stimolante. Il pescato di oggi mi porta negli States con la one-man band dei Tsorvat e il demo di debutto, 'Reflections of Solitude', che si colloca nella scia del depressive suicidal black metal, con riferimenti stilistici che vanno dai primi Shining (quelli svedesi) agli umori rarefatti e disperati di altre formazioni più atmosferiche (Lustre). Come spesso accade in questi casi però, non si va a reinventare la ruota, si prova semmai a farla girare nel modo più corretto per i canoni del genere. Questo per sottolineare che il mastermind originario della California, non propone nulla di nuovo, regalando riff glaciali, tetri e al contempo introspettivi in un contesto estremo, mitigato dalla presenza di sinistre tastiere ("From the Ruins of Memory"), quasi una rinnovata versione dei Burzum dei tempi d'oro, quelli dotati di un suono monotono e ipnotico, in cui il gracchiato isterico delle vocals s'insinua in una ritmica in cui la batteria predilige blast beat veloci ("White Nail") per contrastare la melodia delle chitarre o un sound che si farà decisamente più oscuro ("The Murmuring Grove"). La catarsi si raggiunge nella conclusiva "Spiritbound", il pezzo migliore del lotto, per frenesia, convinzione, melodie e disperazione delle sue vocals. Insomma, un disco per pochi fan incalliti del depressive, che cercano nella musica, uno specchio delle proprie angosce più profonde. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 61

Elfsgedroch - Voor de Groninger Poorten - Hoogmoed Eindigt in As

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
L'EP 'Voor de Groninger Poorten, Hoogmoed Eindigt in As' degli olandesi Elfsgedroch, è un'immersione profonda nel black metal venato di lievi influenze folkloriche. L'EP è interessante in quanto le sue liriche rappresentano una cronaca in musica di un momento cruciale della storia olandese, ossia l'assedio di Groninga del 1672, noto anche come il Gronings Ontzet. A livello musicale tuttavia, la proposta non può dirsi altrettanto entusiasmante, in quando i tre brani che compongono l'EP, tra l'altro concepiti come capitoli narrativi, si dipanano con una musicalità alquanto piatta e scontata che non rende giustizia alle tematiche storiche affrontate. "1665 – De Slag bij Jipsinghuizen" alterna momenti furiosi a passaggi acustici, creando un contrasto dinamico che simboleggia la calma prima della tempesta. "1672 – De Opmars" ricomincia laddove si era conclusa la precedente song, ossia con una ritmica furiosa, un cantato che è un grido rauco e stridulo e un sound che cerca di trovare attimi di atmosfera per stemperare una ferocia intrinseca. La conclusiva "1672 – Gronings Ontzet" conclude l'assedio con una risoluzione quasi epica, in cui il riffing sembra farsi più celebrativo e compassato, pur mantenendo una tonalità cupa e severa. Alla fine però, non mi rimane nulla dentro, se non l'amarezza di aver sprecato una bella occasione di mettersi in mostra. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 55

venerdì 5 dicembre 2025

Glorious Depravity - Death Never Sleeps

#FOR FANS OF: Death Old School
New York-based band Glorious Depravity is back with their essential sophomore effort, five years after the remarkably solid debut album ‘Ageless Violence,’ where this young band showed great devotion to 90s metal. The project consists of five members with a good degree of experience in the metal scene, as they are part of different projects that range from traditional heavy metal to more extreme tendencies. With Glorious Depravity, the focus was clear and plain: to display some brutality under the metal banner, with no room for modern tendencies.

'Death Never Sleeps' is the name of the new beast, and it confirms the potential of this band. From the eye-catching album artwork, which depicts a hellish landscape, it is clear that the band has done its best to outperform its debut. The production is faultless, clear yet powerful, allowing both the drums and the guitars to show their full potential and sound like a true wall that hits the listener from the very beginning. Doug Moore’s performance as the singer is undoubtedly one of the highlights of this album. His vocals are tremendous, and even though variety is not usually a characteristic in metal albums, he tries to add some nuances as he combines growls with different levels of depth and occasional high-pitched screams, like the ones you can hear in the devastating track "The Devouring Dust".

Pace-wise, the album is quite varied. Glorious Depravity successfully combines speedy sections with slower ones that are truly headbanging-inducing. I can easily imagine that songs like "Freshkills Poltergeist" or "Carnage at the Margins" could create some nice mosh pits at a concert, which is always a good sign for a metal album. One of my personal favorites is "Stripmined Flesh Extractor" with its relentless fury. This track could certainly create some chaos among fans. In each song, the fast, medium, and slower sections are excellently combined as these tempo changes flow naturally through the entire composition. The riffing is as heavy and solid as you can imagine; the whole album is full of crushing riffs that will make you move your head like crazy. There is almost no room for solo virtuosity, although the album closer "Death Never Sleeps" gives away a glimpse of it.

All in all, ‘Death Never Sleeps’ is a very good album that will delight die-hard fans of 90s metal. This effort, however, has a contemporary feel to its production that makes it sound fresh. In any case, expect no less than a classic and satisfying, neck-breaking dose of pure metal.

(Transcending Obscurity Records - 2025)
Score: 80

mercoledì 3 dicembre 2025

In the Woods... - Otra

#PER CHI AMA: Prog Death
Che cambio stilistico hanno fatto gli In the Woods... dai loro esordi a oggi! Li ho amati nel loro black primordiale ma atmosferico di 'Heart of the Ages', passando per le porzioni progressive di 'Strange in Stereo' e 'Three Times Seven on a Pilgrimage', fino ad arrivare alle ultime uscite, con "Otra" a riaffermare la band nella scena norvegese non come black metal puro, ma come una raffinata fusione di avantgarde, progressive e death melodico, in grado di richiamare l'epos degli Enslaved più riflessivi e la malinconia dei Katatonia. Una produzione pulita e atmosferica, essenziale per gli arrangiamenti complessi contraddistinguono il lavoro; le chitarre sono stratificate, bilanciando un rifferama accattivante a passaggi acustici e melodici, con il basso a pennellare una base progressiva e la batteria a privilegiare ritmiche elaborate. La voce è pulita, baritonale e drammatica, un recitato epico che troverà spesso modo di spezzarsi in scream e growl più crudi. Affidandosi a tematiche introspettive poi, i nostri ci consegnano sette nuovi pezzi: "The Things You Shouldn't Know" è una sintesi prog-black, "A Misrepresentation of I" è un pezzo più diretto con un groove marcato, mentre "The Crimson Crown" è una traccia più riflessiva e compassata nella sua ritmica possente ma pur sempre mid-tempo, che si spingerà verso orizzonti di Katatonia memoria, pur mantenendo presente il cantato growl. Poi spazio alle oscure atmosfere di "The Kiss and the Lie", un brano che dopo un tiepido approccio, deflagra in un'esplosione death melodica. "Let Me Sing" lascia intravedere qualche influenza folk rock, mentre le conclusive "Come Ye Sinners" e "The Wandering Deity" aprono a ulteriori orizzonti musicali, capitanati da Amorphis e soci. Insomma, 'Otra' è un album complesso, non proprio immediato di primo acchito, ma che necessita di ripetuti ascolti per capire la nuova dimensione musicale in cui gli In the Woods... saranno in grado di portarvi. (Francesco Scarci)

(Prophecy Productions - 2025)
Voto: 75

Meteora - Broken Mind

#PER CHI AMA: Symph Death
Gli ungheresi Meteora si ripresentano sulle scene con l'EP 'Broken Mind ', nonostante un altro EP sia uscito solamente ad agosto, ma in realtà, questo lavoro è il secondo capitolo di una trilogia. Il dischetto affonda inequivocabilmente le proprie radici nel death metal sinfonico, epico e grandioso, rievocando la maestosità orchestrale degli Epica, ma anche accostabile a certe sfuriate dei Dimmu Borgir, pur mantenendo una vena progressiva che ricorda i momenti più complessi degli After Forever. E per proporre questo sound, la produzione cristallina è un must, ideale per esaltare ogni strato sonoro: il muro di chitarre e gli arrangiamenti sinfonici sontuosi, tra pianoforti e i cori operistici affidati alla cantante della band, Noémi. La sezione ritmica è bella potente, e l'opener "Broken Mind" lo conferma subito, grazie a un basso che gronda presenza e una batteria dinamica che spazia tra cavalcate furenti (ma melodiche) e groove più compassati, mentre l'alternanza vocale si dipana tra la suadente e potente voce di Noémi e il growling possente di Máté Fülöp. "Morningstar" s'introduce con una vena più melodica, con la voce della frontwoman che tesse delicate linee vocali, un'esemplificazione del bilanciamento tra durezza e melodia che i Meteora hanno affinato nel corso della loro carriera. In "Elysion" compare invece un cantato maschile pulito che sottolinea la versatilità della band magiara, ma che non mi convince pienamente. Il pezzo migliore, a mio avviso, è la conclusiva "In My Name," il brano più lungo del lotto e forse anche quello più ambizioso, che funge da cattedrale sonora, dove tutte le caratteristiche della band convogliano in un unico punto: voci pulite maschili e femminili, riff pesanti sorretti da orchestrazioni sinfoniche e growl, accelerazioni rabbiose, interrotte solo da un intermezzo di piano e violoncello, rievocando le atmosfere più riflessive del doom, prima di riesplodere in un finale di intensità epica. 'Broken Mind' alla fine è un disco che, sebbene di breve durata, è denso e stratificato, un ascolto che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati di sonorità sinfoniche ma che non disdegnano incursioni anche nel death metal più tecnico. Ora, non possiamo far altro che attendere il terzo capitolo. (Francesco Scarci)

(H-Music - 2025)
Voto: 70

lunedì 1 dicembre 2025

The Old Dead Tree - London Sessions

#PER CHI AMA: Gothic/Prog/Dark
I The Old Dead Tree sono sinonimo di qualità nella scena prog francese e non solo. Quasi trent'anni di esperienza, per carità inframmezzati da sospensioni della loro attività, e i cinque parigini sono ancora qui. Dopo l'ottimo lavoro dello scorso anno, 'Second Thoughts', ecco arrivare un EP registrato nientepopodimeno che negli Abbey Road Studios di Londra. Da qui 'London Sessions' appunto. Quattro pezzi che si muovono sempre con diligenza ed eleganza nei paraggi di un gothic dark rock possente e ispirato, e in cui la voce di Manuel Munoz la fa sempre da padrona. "Feel Alive Again" apre le danze con una dichiarazione d'intenti ben precisa, guadagnarsi la credibilità dell'ascoltatore con un prog dark ordinato, senza sbavature, e in cui i tremolo picking delle chitarre s'intrecciano con le vocals del frontman, in un contesto malinconico e atmosferico. Nessun atto di forza, non c'è voglia di stupire con chissà quali architetture musicali, ma il solo puro desiderio di emozionare. Un'emozione che si fa più riflessiva nella seconda "Time Has Come", in cui la linea melodica delle chitarre rimane compatta, ma in cui la voce di Manuel, forse si fa più rancorosa. Al contrario della successiva "By the Way", un brano uscito in realtà nel lontano 2005 nello straordinario 'The Perpetual Motion', e qui riproposta semplicemente in modo più cupo e languido, al pari dell'ultima "What Else Could We've Said" (anch'essa presente su 'The Perpetual Motion') per una più melliflua reinterpretazione, con tanto di archi a sostegno, di una vecchia hit della band, che alla fine mi fa riflettere se queste sessioni londinesi siano una semplice mossa commerciale o un dischetto a testimoniare la vitalità della band? A voi l'ardua sentenza. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2025)
Voto: 70

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domenica 30 novembre 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Waldgeflüster – Knochengesänge I
Astronoid - Stargod
Novembre - Words of Indigo

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Alain González Artola

H.E.A.T. - Welcome to the Future
Blackbraid - Blackbraid III
Sunken - Lykke

Oceans - We are Nøt Okay II

#PER CHI AMA: Metalcore/Nu Metal
Secondo capitolo per la saga "non stiamo ancora bene" degli abrasivi austro-tedeschi Oceans. Portatori di un post metal/metalcore, la band torna a distanza di un anno dall'album 'Happy', che buoni consensi aveva raccolto all'epoca, con questo 'We are Nøt Okay II'. I quattro musicisti proseguono il loro percorso musicale, in grado di mescolare sonorità a tratti caustiche con altre più malinconiche, frutto probabilmente di testi sempre convogliati verso tematiche di depressione e disturbi mentali. Temi pesanti insomma. Altrettanto la musica, bella tosta, ruvida e aggressiva, già a partire dall'opener "...Ghost" che in quasi quattro minuti, davvero smuove quei fantasmi che forse albergano, e non lo sappiamo, il profondo della nostra anima. Sonorità violente e voci urlate che vengono stemperate dalla delicatezza delle clean vocals e da parti più atmosferiche, come nel break al secondo minuto. Bel biglietto da visita, insomma. Fantasmi nu-metal si palesano invece nella seconda "Still Not Okay", che scomoda facili paragoni con i Korn, ma i cui cori super ruffiani e un cantato al limite del rap, ancora una volta, attenuano quella violenza che è possibile riscontrare in alcuni frammenti della song. La terza "Make me Bleed", il cui titolo sembra quasi voler evocare "Make me Bad" dei Korn, è una song più mid-tempo oriented almeno a livello ritmico, visto che il growling furibondo di Timo Rotten, sprigiona tutta la propria rabbia, a più riprese. A chiudere l'EP, ecco arrivare in soccorso "Atlas", aperta dalle delicate vocals del frontman, in un contesto decisamente più melodico ed educato, anche laddove le ritmiche sembrano accelerare più vorticosamente, a quasi un minuto dalla fine. Il risultato in conclusione, è soddisfacente e consigliato a tutti gli amanti del genere. Una stranezza da sottolineare: il lavoro è uscito su tutte le piattaforme digitali il 7 novembre eppure, non vi è traccia di questa release né sul sito ufficiale della band, né su Metal Archives. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 70

martedì 25 novembre 2025

Nornes - Thou Hast Done Nothing

#PER CHI AMA: Death/Doom
Ecco quel che serviva per questa nevosa fine di novembre: death doom atmosferico affidato alle mani di questi Nornes, quartetto originario di Valenciennes in Francia. 'Thou Hast Done Nothing' rappresenta il loro debutto ufficiale su lunga distanza, dopo un paio di EP usciti tra il 2018 e il 2020. Sono solo cinque i pezzi presenti in questo album, ma per quasi un'ora di musica, che sin dall'iniziale "Never Ending Failure", ci consegna delle ritmiche piuttosto opprimenti, non quelle canoniche abissali del funeral, ma comunque un rifferama pesante, contraddistinto da un mid-tempo meditabondo, le classiche growling vocals, con il tutto a evocare i My Dying Bride e i Paradise Lost degli esordi. Quindi, niente di nuovo sotto il sole, se proprio vogliamo essere schietti. Zero aperture all'originalità, il solo tentativo di inserire delle clean vocals a fare da contraltare alla voce da orco cattivo del frontman, un breve break acustico verso l'ottavo minuto per salvare le apparenze di quella che poteva essere una traccia anonima, e che trova modo di risollevarsi con un assolo elegante in chiusura. "A Rose to the Sword" non sposta fondamentalmente di un capello la proposta dei quattro musicisti transalpini, seppur si scorga qua e là il desiderio di non limitarsi ai meri insegnamenti della "Mia Sposa Morente": interessante a tal proposito, il break atmosferico percussivo al quarto minuto, laddove le due porzioni vocali si uniscono all'unisono. Altrettanto interessante la lunga parte strumentale che per un paio di minuti ci delizierà nella seconda parte del brano, con buone melodie chitarristiche e atmosfere sospese, prima di un finale un po' più ostico da digerire. "Our Love of Absurd" conserva quelle melodie malinconico-evocative di 'Shades of God' dei Paradise Lost, innalzando, in fatto di emotività, la qualità del brano per un uso più massivo (e apprezzabile) delle voci pulite a discapito di un growling qui più in secondo piano. Dopo il break atmosferico, come sempre inserito a metà brano, davvero pregevoli bridge e solo che per un minuto e mezzo ci regalano grandi emozioni. Poi il tutto si fa inevitabilmente più cupo e minaccioso, con sfuriate ritmiche estemporanee che si accompagnano al growl del cantante. E proprio da qui ripartire nella successiva "Perceptions in Grey", con un cantato più strozzato in gola, in un brano che vede il suo primo acuto a ridosso del secondo minuto, complice una chitarra più ispirata e nuovamente le salvifiche clean vocals che alla fine risulteranno quello strumento che meglio toglie dall'imbarazzo una release altrimenti troppo scontata. A chiudere, i quasi 13 minuti di "Oneness", che sono aperti da una lunga parte acustica: la prima apparizione vocale appare al terzo minuto, a sottolineare ancora una volta la voglia dei nostri di dar maggior spazio alla componente strumentale. Poi il brano si rivelerà piuttosto simile per quasi i sette minuti seguenti (e francamente limerei queste lunghe parti per aumentare la dinamica del brano), il canonico break atmosferico e una coda doom rallentante, a chiudere un disco che se fosse durato un quarto d'ora in meno, forse ne avrebbe beneficiato enormemente. Ora invece mi ritrovo a consigliarlo ai soli amanti del genere, per non rischiare di farlo cadere nell'oblio del dimenticatoio. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2025)
Voto: 68

Valgrind - Definition of Prepotence

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Old School
Death metal che lascia spazio a godibili assoli di chitarra, quello contenuto nelle sei tracce di questo demo cd dei calabro-emiliani Valgrind, ormai datato anno 2000. Porgendo l'orecchio alla proposta dei nostri, la voce dovrebbe avere, a mio avviso, maggiore estensione, e risultare più potente, pur restando gutturale. La bio indica nel death made in Florida, il modello cui i Valgrind s'ispiravano (oggi ci sono ben cinque album all'attivo per la band italica). Posso solo dirvi che se amate lo stile dei Rabaelliun, che americani non sono, ma brasiliani, questa band può anche fare al caso vostro. I testi all'epoca inneggiavano alla "bestiale malevolenza" ed esortavano, tanto per cambiare, a "vomitare sulla croce" (la cover è piuttosto emblematica a tal proposito). Se penso invece alle ultime release ('Millennium of Night Bliss'), la vicinanza con Death e Obituary, appare decisamente la cosa più sensata.

(Self - 2000)
Voto: 60

lunedì 24 novembre 2025

Malakhim - And in Our Hearts the Devil Sings

#FOR FANS OF: Black/Death
The Swedish black metal scene has always been synonymous with quality and true loyalty to the pillars of the genre, and Malakhim is, fortunately, not an exception to this rule. Founded almost ten years ago in the northern city of UmeÃ¥, Malakhim released a powerful debut album entitled 'Theion,’ which caught the attention of the scene and established the pillars of a hopefully long career. The remarkably solid compositions of that album showed that the band had a clear idea of how they wanted to sound.

Four years later, the Swedes return with the always pivotal second opus entitled ‘And in Our Hearts the Devils,’ again under the umbrella of the well-known label Iron Bonehead Records. The fans who enjoyed ‘Theion’ have no reason to worry about the new album, as Malakhim continues to play its remarkably intense form of black metal with no room for weird experiments that could ruin the final result. The production continues to achieve a great balance in terms of actual good production, where one can enjoy the different instruments, but it is clearly inclined to retain a certain degree of rawness that fits Malakhim’s music perfectly. From the album opener "And in Our Hearts the Devils," the listener will appreciate this tasteful combination of fury that does not lack a melodic touch, particularly in the mid-tempo sections. The composition contains a good amount of tempo changes, combining a good variety of them, from relentlessly fast-paced ones to quite calm sections, and the aforementioned mid-tempo parts where their best melodic riffing shines. Malakhim has put some effort into composing this album, which you can clearly observe in how solid the compositions are regardless of the level of intensity. If you like pure fury and a bit of dissonance in the riffs, a track like "A New Temple" will delight you for sure. If, on the contrary, you prefer a more melodic touch, a song like "Sola Crucifixion" is the perfect choice with its headbanging-inducing pace and the tasteful melodic riffing.

E's vocals are another highlight of this album, as he masterfully performs his trademark shrieks, sometimes combined with different approaches that can be closer to semi-growls or a slightly clearer tone, even though he always remains within the realm of the extreme vocals you expect from a black metal band. The rest of the album continues with a similar sonic pattern, which is not a problem, as it consistently reaches a very high level. Both the guitars and the rhythmic sections are excellently composed and work together seamlessly. The different songs flow naturally in terms of intensity and pace, creating compositions that will satisfy the most demanding listener.

'And In Our Hearts the Devil Sings' is definitely a satisfying milestone in Malakhim’s career, as its excellent result will confirm the Swedish band as a project to be closely followed by fans of the genre. The level of inspiration and passion can be felt throughout the album, making it one of the best albums of this year in the black metal scene. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Productions - 2025)
Score: 87

giovedì 20 novembre 2025

Suffering Hour - Impelling Rebirth

#PER CHI AMA: Death/Black
In rete ho trovato ovunque recensioni notevoli su questo lavoro, ma dopo averlo ascoltato, mi domando se sono io la solita voce fuori dal coro o se gli altri abbiano preso un clamoroso abbaglio. Ora non voglio dire che questo 'Impelling Rebirth', degli statunitensi Suffering Hour, sia una ciofeca, ma nemmeno sto gran discone, che da più parti invece ho letto. Per me si tratta infatti di onesti mestieranti che mettono in piazza un cupo black death caustico e veloce. E su questo non ci piove, visto l'incipit violento dell'iniziale title track, dove accanto alla devastazione della ritmica, compare una voce che sembra uscire dall'oltretomba, pronta peraltro a un rituale satanico. Le chitarre, belle sghembe e ribassate, viaggiano a velocità vertiginose, il tutto con scarsi accenni melodici, fatto salvo una leggera melodia in sottofondo a ridosso di una parte più atmosferica. Poi spazio a una vena fragorosa, che ci investe come un treno uscito dai binari. La seconda "Anamnesis" palesa influenze punk thrash, in un contesto comunque sparato ai 1000 km orari. Ancora un break atmosferico a metà pezzo, giusto per stemperare una furia che, a tratti, sembra ingestibile. Attacco grind invece per "Revelation of Mortality", una song animalesca, sanguigna, dissonante e ferale che, in tre minuti, non fa prigionieri, ma lascia una striscia di sangue dietro di sé, in un finale permeato da un umore nero e abissale, in cui il suono sembra quasi implodere. Nonostante sia un pezzo di una durata appena inferiore ai tre minuti, sembra stranamente ne duri una decina. Sfiancante. Come la successiva e psicotica "Incessant Dissent", un pezzo incessante che sembra chiamare in causa i Morbid Angel più feroci. Ancora fortissime influenze thrash/death/black old school per la lunatica e conclusiva "Inexorable Downfall", che chiude un dischetto di poco meno di 15 lunghissimi ed estranianti minuti di follia. (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 66

Mastiff - For All the Dead Dreams

#PER CHI AMA: Crust/Sludge/Hardcore
Non sono un grande fan dell'hardcore scavezzacollo, ma se ci mettete un po' di sludge/doom a corrompere le intemperanze di una band, ecco che mi trovo più a mio agio a scrivere di questo genere. Gli inglesi Mastiff sono fortunatamente uno di questi esempi, con un sound si, granitico, violento, potente e profondo, ma che comunque in questo nuovo EP di cinque pezzi, 'For All the Dead Dreams', si riesce ad apprezzare sin dalle fondamenta dell'opener "Soliloquy". Riffing iperdistorto, acuito dalla pesantezza dello sludge, vocals incatramate, pochi accenni alla melodia, e alla fine solo disperazione dilagante nei tre minuti e mezzo di questa traccia. Il registro non cambia poi di tanto con la successiva "Rotting Blossoms", anche se il ritmo si fa più sostenuto, e un piccolo accenno di melodia si riesce addirittura a cogliere nelle linee di chitarra, mentre il bel caustico vocione di Jim Hodge, si fa breccia in un sound che diventerà più ritmato nella seconda parte. "Decimated Graves", al pari di "A Story Behind Every Light", ci prendono a scarpate in faccia con parti più compassate e asfissianti, che si alternano a schegge al limite del grind. È un piacere essere investiti da cotanta violenza anche per la qualità di una registrazione che sembra inghiottirci nel wormhole creato dalla brutalità soffocante della band. Violenza pura infine per la poderosa e conclusiva "Corporeal", in grado di bastonarci ancora con la sua portanza ritmica, forte di un drumming inviperito e un basso che picchia a livelli di un fabbro nevrotico. Provare per credere. (Francesco Scarci)

(Church Road Records - 2025)
Voto: 70

Hellwalker - Reincarnation

#PER CHI AMA: Death Strumentale
Se sei un cantante death metal e stai cercando una band con cui dar sfoggio della tua ugola da orco cattivo, i portoghesi Hellwalker stanno probabilmente cercando proprio te. No, non si tratta di un annuncio commerciale, ma semplicemente quello scrivono gli Hellwalker sul proprio sito bandcamp, visto che stanno cercando un vocalist che presti la propria voce per questo EP strumentale di cinque tracce. E che volete che vi dica su un disco death dove la componente vocale è totalmente inesistente? Se ci fosse un cantato qui sarebbe inserito in un contesto di death dalla vena melodica ("Boiling Point") ma che non rinuncia nemmeno a un rifferama inizialmente compassato per poi proiettarsi nella più classica galoppata di stampo scandinavo (da una traccia che si intitola "Entombed", d'altro canto che cosa vi potevate aspettare?). Granitica la quarta "Ressurector", ma di fronte alla mancanza di un vocalist, mi pare che perda il 50% in fatto di potenza. Sono certo che con un growling robusto, la proposta acquisterebbe infatti credibilità. Per ora, null'altro da segnalare, se non un tentativo di ricerca di maggior melodia nella conclusiva "Forgotten". Curioso di riascoltare il tutto con un cantante in carne e ossa. (Francesco Scarci)

(Rot'em Records - 2025)
Voto: SV

mercoledì 19 novembre 2025

Cobol Pongide - Kosmodron

#PER CHI AMA: Kosmische musik/Space music
Entrare in contatto con il mondo di Cobol Pongide non è cosa da poco conto, poiché, sotto la sua veste quasi fumettistica, si nasconde un personaggio istrionico, che si snoda tra musica, scrittura e scienza. La sua musica sembra una perfetta colonna sonora per un cartone animato di ufo robot di fine anni '70 che prende in prestito trovate sonore che resero grande Alberto Camerini negli anni '80, con un campionario di effetti e stili usati in passato dai Rockets e Devo, per un risultato musicale molto nerd, passatemi il termine in senso benevolo, che trasuda fantasia cervellotica e stile cosmico da cameretta del piccolo scienziato in erba. Il tutto non è affatto male considerando che molti dei suoni provengono dal mondo dei giocattoli, e i testi si dividono tra denuncia sociale e politica con un sarcasmo tagliente che sembra uscire dalla bocca di Eta Beta. Che sia un genio o un truffatore musicale che spaccia finte sigle di cartoni in salsa kosmische music, non riesco a deciderlo. Il fatto è che si fa ascoltare molto volentieri in una condizione di apertura mentale e totale disimpegno dalle distorsioni e dai ritmi violenti, sicuramente più elettronico di rock'n roll robot, e si muove bene in forma intelligentemente elettro-pop. A prima vista potrebbe anche essere scambiato per una ricetta usa e getta demenziale ma che in un ascolto approfondito, in realtà non lo è affatto. Nel suo universo di pop cosmico navigato a bordo di un Commodore 64 e una serie di suoni giocattolo, da tempo Cobol Pongide, che è anche un vero scienziato e scrittore (cercate i suoi libri in rete), si è tracciato una linea sonora originale e piacevole, che deve essere capita e accettata, e che presenta una sua personale visione/revisione in chiave futurista della musica cantautorale italiana, e il suo ultimo 'Kosmodrom' ne è una generosa conferma nella sua discografia. Si può in Italia fare musica pop intelligente al giorno d'oggi? Nell'ascoltare quest'album, che sembra essere il perfetto prosecutore delle idee teletrasportate nel futuro del buon Camerini, direi proprio di si. Un disco che sorprende per la sua mai banale immediatezza e la sua ricerca sonora tra future disco ed elettronica vintage handmade. Da ascoltare assolutamente, con enorme curiosità e massima libertà mentale. (Bob Stoner)

(Dischi Durevoli Records - 2025)
Voto: 68

Psycho Symphony - Silent Fall

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Thrash/Progressive
I rumeni Psycho Symphony non si sono mai sciolti eppure non esistono uscite ufficiali dal 2002, quando venne rilasciato l'EP 'Schizoid'. Quest'anno tuttavia, ritorna in auge 'Silent Fall', il lavoro che uscì originariamente in cassetta nel 1997 e poi CD-r nel 2000, e che soltanto oggi, vede la luce formalmente grazie alla Loud Rage Music e a un nuovo remastering. La band di Carei muove i propri passi lungo un sottile confine fra il progressive anni '70 e il techno thrash progressive degli anni '80/'90 (per intenderci, gente del calibro di Watchtower, Anacrusis o Psychotic Waltz). Ascoltando l'album vi accorgerete infatti i vari punti di contatto con le band suddette attraverso la sofisticazione degli arrangiamenti che con l'iniziale "The King", vi farà già capire come il quartetto fosse in grado di costruire una matrice ritmica davvero complicata alternata a momenti più tecnici, evocando in certi passaggi, anche i Cynic di 'Focus' (assai palese ad esempio nel break atmosferico centrale "Temptations"). Solida e talvolta debordante ("Bloodthirsty Desires") la prova del bassista, a fungere da collante tra melodie e ritmica, al pari della folgorante prova alle pelli del drummer Gindele Gábor "Gabica", fantasioso e preciso nel passare da momenti dal piglio jazzy a esplosioni thrash. Notevole anche la prova delle chitarre, abili nel ricamare riff ultra tecnici o assoli raffinati (spettacolari a tal proposito "The Temple of Delight" o la disturbante e assai complessa, "Over the Walls"). Ho tenuto per ultimo la prova del cantante, che a mio avviso, rappresenta il punto debole dei nostri. Non sono infatti riuscito a digerire la sua voce nasale per quanto, in un contesto del genere, potrebbe essere anche particolarmente originale ed espressiva nella propria drammaticità. In chiusura, la lunga suite "Reality Falls Asleep I & II" è perfetta a riassumere la vena onirico-lisergica dei nostri (nella prima parte) combinata con la componente più veemente della band (la seconda metà). Insomma, se anche voi come il sottoscritto, vi siete persi questa release quasi trent'anni fa, beh avrete modo di rifarvi e capire come il thrash progressivo si sia ahimè nascosto nel sottobosco in un'epoca e in un contesto geografico alquanto complicati. (Francesco Scarci)

(Self/Loud Rage Music - 1997/2025)
Voto: 76