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martedì 26 aprile 2016

Presumption – From Judgement to the Grave

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Spiritual Beggars, Candlemass
Orange Goblin, Pentagram, Nebula, Trailer Hitch, Candlemass, Acrimony, Sheavy, Sixty Watt Shiaman, Bigfoot, Spiritual Beggars, una lunga carrellata di nomi della prima ondata stoner negli anni novanta che non bastano per inquadrare questa band francese totalmente autoprodotta. Le varie sfaccettature dello stoner rock di scuola Man's Ruin e un artwork di copertina a metà strada tra i Cathedral degli EP 'Statik Majik' e 'Hopkins' e i Karma to Burn di 'Almost Heathen', in una corsa acida e psichedelica verso qualcosa di interessante, fresco e accattivante, pesante, introverso ed energico. Il cd in questione è 'From Judgement to the Grave' che rappresenta il secondo prodotto dalla band di Le Mans dopo un primo album del 2013. Uscito nel 2014, l'EP rispolvera molte caratteristiche del suono psichedelico tipico del deserto, anche se il quartetto francese predilige senza indugi, aggiungere un tocco di classic heavy vintage alla Spiritual Beggars o di doom in stile Candlemass per rendere il risultato più appetibile, fantasioso e variegato. Suonano con abilità i quattro francesini e molto spesso si lasciano andare in cavalcate di acidissimo blues impolverato e sporco cantato in inglese, in modo più che mai coinvolgente, dal bassista/cantante Moomoot che mi ha ricordato spesso l'energia vocale che si trovava nei primi dischi degli Alabama Thunder Pussy o nelle vocals del mitico Christian "Spice" Sjöstrand dei già plurinominati Spiritual Beggars. Solo il brano "La Meffraye" è cantato in lingua madre e devo ammettere che fa uno strano effetto sentire lo stoner rock cantato in francese. Dopo un po' di ascolti, emerge più che mai la qualità dei nostri che dà più valore alla personalità e alla versatilità della band. Il disco scivola veloce senza falle e la cosa che si fa più notare è la facilità con cui questi space rockers transalpini riescono a spostarsi musicalmente dai canyon e i saloon dei deserti americani alle ben più oscure cattedrali europee senza difficoltà alcuna, giocando con intrecci sonori molto contrastanti tra loro collegati spesso con genialità e tanta abilità compositiva. Ascoltatevi l'intro del disco e tutto di un fiato la seguente "Albert Fish Blues" con il suo intermezzo acustico bluesy e progressivo, vellutato e ammaliante, e un finale doom dallo straziante odore di apocalisse per capire l'astratta tipologia di stoner rock che questa band riesce a suonare. La quintessenza dello stoner riveduta e risuonata intelligentemente! (Bob Stoner)