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martedì 18 giugno 2019

Ysengrin - Réincrudation

#FOR FANS OF: Occult Black Metal, Mortuary Drape
Ysengrin is a French band founded in Normandy back in 2005. Currently, the band consists of three musicians, being Guido Saint Roch the only founding member of this band. Ysengrin began as a solo project, but Guido has traditionally been accompanied by other two musicians in order to complete the line-up. The current bass player, known as Alrinack and Inkantator Kour, who shares the duties of playing the keys, performing the vocals and other stuff with Guido, are involved in many other underground projects. So in practice Ysengrin continues to be Guido´s personal project.

The Ysengrin´s sound is usually defined as “hermetic dark metal” and it can hardly be restricted to only one subgenre. The band´s peculiar and primitive style flows between the boundaries of doom, death and black metal. Conceptually, the music is strongly influenced by esoteric and occult themes, which play a major role in the forge of Ysengrin´s very personal creations. The ambience is dark and suffocating and the production has been traditional raw, yet very atmospheric. Ysengrin´s core sound is clearly represented in the album 'Réincrudation'. This is in fact not a new work, but a compilation of the remastered old demos 'Archivum MMV-MMX' and 'Alchimëte'. 'Réincrudation' portraits the very personal sound of Ysengrin in its purest form. The compositions have a primarily slow pace, very doomish and atmospheric. The first half of the album contain tracks like “Abstinence”, which have a pretty repetitive pace with very simple drums and riffs with a quite raw and crushing tone. The variety only comes in form of interludes, which strengthen the mysterious atmosphere of the whole work. Anyway, the most interesting tracks come at the last part of this compilation. A remarkable example would be “Antéros”, which has more diverse structures. Vocally speaking, the band combines the typically death metal growling vocals with a clean one. The growls are quite primary and remind me the most traditional and underground death metal scene. On the other hand, the clean ones have a distinctive occultist touch, as they sound like a sorcerer invoking a demon. The peak of 'Réincrudation' is undoubtedly the longest and most elaborated track entitled “Mystéres De L ´Artifex”. The production in this track seems to be better balanced and cleaner, yet still rasping. It combines the aforementioned harsh and clean vocals with better structured guitars riffs. The track flows more naturally and it has a more coherent structure, less weird, which could be worse for some people, but it is much better in my opinion. It also contains some interesting keys in the background and even some bells who add a mysterious touch. Experimentation and weirdness don´t disappear as Ysengrin still introduces some dissonant guitars riffs which reinforce this gloomy and occult ambience.

Ysengrin´s music is in fact not an easy one to digest. Though I must admit that the 65 minutes that this work lasts have been a hard tack for me, there are still some good points to highlight, which save the album for me. When the tracks are better composed and have a more varied touch Ysengrin´s occult metal can have some interesting details and remarkable sections as it happens in songs like “Mystéres De L´artifex", for example. This is obviously a demo compilation, a fact which makes understandable that the band had yet some aspects to polish. Last tracks, as I have mentioned, mark the correct path for the band so it would be interesting to see what Ysengrin can offer in 2019. (Alain González Artola)

(I, Voidhanger Records - 2019)
Score: 55

https://i-voidhangerrecords.bandcamp.com/album/r-incrudation

Rancorum - The Vermin Shrine

#PER CHI AMA: Death Old School, Entombed, Morbid Angel
Se la francese Les Acteurs de l'ombre Productions è focalizzata nella promozione di band del proprio paese, ecco che un atteggiamento analogo viene perseguito anche dall'etichetta rumena Loud Rage Music, attenta nello scovare band interessanti nel proprio nutrito sottobosco. E cosi, ecco arrivare da Bucarest i Rancorum, moniker che non mi fa proprio impazzire, ma che a livello musicale, non appaiono proprio degli sprovveduti. Alfieri di un death metal old school, il quintetto rumeno esordisce con 'The Vermin Shrine', sei mortifere tracce che presentano vari rimandi nel proprio tortuoso sound. Se ascoltiamo l'opener "Voidification", è inevitabile non pensare ai Morbid Angel nei saliscendi ritmici imposti dai cinque musicisti. Ritmica solida, massiccia, poco spazio alle melodia, in un brano ritmato che mette in mostra certamente un bravo vocalist dietro al microfono, un'ottima produzione, bella potente ma poco altro. Con "Bedlam of Saints" ci trasferiamo invece in Svezia, Stoccolma per l'esattezza, per godere di quei riferimenti musicali che resero grandi gli Entombed nel periodo d'oro tra 'Left Hand Path' e 'Clandestine'. Certo non si raggiungono le velocità vertiginose di quei due album, ma i nostri Rancorum ci deliziano con un sound massiccio, assai ritmato che rievoca proprio i gods svedesi e i loro compari Grave e Dismember, il trittico delle meraviglie per ciò che concerne il death metal scandinavo. La musica non cambia poi di molto anche con le successive "Nadiral" e "The Shining", due brani che vanno dritti per la loro strada senza proporre troppi stravolgimenti alla proposta del combo rumeno, solo che questa volta nelle linee di chitarra ci sento un che di 'Testimony of the Ancients' dei Pestilence. Peccato solo manchi quella delirante componente progressive che rese grande l'ensemble olandese, sebbene non abbia nulla da obiettare nei confronti dei Rancorum per ciò che riguarda il livello tecnico-esecutivo. Il limite di 'The Vermin Shrine' sembra essere alla fine la sua eccessiva monoliticità che non apre neppure a qualche sprazzo melodico. Questo ne rende l'ascolto probabilmente poco entusiasmante, necessitiamo infatti di parecchi ascolti per assimilare la proposta della band. Si prosegue intanto con la veemente "Towards Below" che con la conclusiva title track, hanno ancora da regalarci quindici minuti di suoni percussivi, assai ritmati nel primo caso, che a metà brano sembra quasi avvicinarsi al death doom, ma che finalmente regala un tagliente assolo finale. Con l'ultima "The Vermin Shrine" ci caliamo negli abissi per un pezzo che ha ancora modo di evocare l'essenza di un mostruoso a tre teste formato da Morbid Angel, Entombed e Pestilence. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2018)
Voto: 70

https://rancorum.bandcamp.com/

lunedì 17 giugno 2019

Zatemno - В петле

#PER CHI AMA: Black/Death/Folk, Moonsorrow
Dalla Russia con amore, ecco arrivare i moscoviti Zatemno con il loro full length di debutto, 'В петле', fuori per la sempre attenta Aesthetic Death. Un disco che include quattro soli pezzi di black/death metal melodico contaminato da influenze popolari. Per giustificare questa mia affermazione, vi basti dare un ascolto all'opener "Вступление", dove compare l'utilizzo di una fisarmonica, ma sia chiaro che non abbiamo a che fare (almeno in questa circostanza) con nulla di etno-folk in stile Eluveitie, visto che il duo picchia davvero duro con linee di chitarra iper tirate, relegando solo a pochi frangenti l'utilizzo dell'inimitabile strumento aerofono che torna nell'incipit acustico di "Лишь только ветер". Qui ad accompagnarla c'è un pezzo parlato (ovviamente in russo), poi la song prende una strana piega visto che si avvicina maggiormente ad uno di quei brani suonati dagli artisti di strada in una qualche fiera di provincia, con uno screaming (unica forma di musica estrema) che si sovrappone ad un cantato artistico-teatrale, in una sorta di rivisitazione dei Pensées Nocturnes. Sono un po' disorientato in effetti, ma la title track ripristina le cose con un sound più estremo, pur sempre contaminato da influenze popolari, in un incedere di violenza, folklore e follia che miscela i Pensées Nocturnes con i Moonsorrow. L'ultimo pezzo, "Копотью солнца", si muove tra un black stralunato, punk, linee melodiche death metal, folk e infine anche drone, affrontando poi a livello lirico, tematiche legate ai meccanismi distorti di alienazione e conflitto della mente umana, fino al suicidio. Insomma, 'В петле', il cui significato è "sulla forca" (o con il cappio al collo), è un album abbastanza eterogeneo e particolare che forse non demarca esattamente alcun limite imposto dal duo russo nella visione musicale che hanno in mente. Il mio consiglio è quello di dargli un ascolto attento, perché alcune cose lasciano intravedere una vena assai originale dei nostri. Bene, ma si può e deve fare ancora meglio. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 69

https://deathknellprod.bandcamp.com/album/-

Bjørn Riis - A Storm is Coming

#PER CHI AMA: Progressive Rock, Porcupine Tree, Pink Floyd
È davvero incredibile come dalla penisola scandinava escano continuamente proposte musicali originalissime e di una qualità altissima. Bjørn Riis, già frontman degli Airbag, ci delizia con questo 'A Storm is Coming', sei epici brani sul tema delle relazioni umane, della perdita di qualcuno di caro, scritta come un dialogo tra due persone. I pezzi sono struggenti ed emozionalmente intensi, si sente un lontano eco delle grandi band degli anni d’oro del rock, una su tutti i Pink Floyd, come nella splendida suite di apertura "When Rains Fall", cosi come pure band più recenti che portano in alto la bandiera del prog, e penso ai Porcupine Tree, come nel secondo pezzo "Icarus". Il dialogo tra la voce e la chitarra solista è il punto forte del disco, anche se ormai di assoli ne abbiamo tutti avute piene le orecchie, le evoluzioni di Bjorn sulla sei corde sono più che altro slanci di espressività che la voce non può raggiungere, layer di emozione che si posano uno sull’altro. Il risultato finale dei brani è senza dubbio qualcosa di unico e particolarissimo, che affonda le sue radici nella migliore tradizione del prog internazionale e che cerca di rievocare i fasti di uno dei generi musicali più belli mai inventati dall’uomo, a mio parere, con successo. Per tutta la composizione siamo come sospesi su nuvole di fumo bianco, in un cielo terso ed infinito, dove niente è turbato da niente e dove la perfezione è così immacolata da trasmettere tristezza e senso di impotenza come quella che prova un marinaio solo in mezzo al mare e in mezzo al cielo. Se non ci credete provate ad ascoltare "You and Me" e poi ne riparliamo. Si prosegue con "Stormwatch", un pezzo che con il suo quarto d’ora di lunghezza copre svariati paesaggi, oltre che alle usuali sospensioni estatiche anche dei pesanti riff distorti che arrivano come un fulmine a disturbare la calma del tappeto di synth e chitarra acustica, poi ancora assoli di gilmouriana memoria e linee vocali sentite e accorate. Ogni brano è un viaggio che porta ad esplorare le sfaccettature della propria interiorità e che porta a chiederci se siamo in grado di sopportare il dolore che una perdita può lasciare o il vuoto che le relazioni tra noi, per la loro profonda imperfezione, si lasciano dietro. 'A Storm is Coming' è un modo splendido di far fronte a queste emozioni che ci affliggono ma che ci permettono anche di andare oltre noi stessi, di crescere e trovare qualcosa che da soli non riusciremo mai nemmeno a cercare. Tutto questo nella consapevolezza chre non possiamo evitare il dolore e il vuoto, così come non possiamo fermare l’avanzata delle nubi cariche di pioggia e fulmini, così come di fronte alla tempesta che si avvicina minacciosa, non possiamo far altro che aprire le braccia ed accogliere tutta la sua magnifica e spaventosa potenza. (Matteo Baldi)

Moodie Black - MB I I I . V M I C H O A

#PER CHI AMA: Noise/Rap
Avevamo lasciato Moodie Black poco tempo fa con la recensione del precedente 'MBIII', ed ecco che a sorpresa il duo americano, rilascia una nuova release di altri quattro brani, dal titolo che si lega ed evolve il suo predecessore. Anche in questo 'MB I I I . V M I C H O A' troviamo l'incedere lento e le sonorità industriali che minano i codici canonici dell'hip hop originale e più standardizzato, focalizzando ancora una volta lo strappo artistico verso una scena troppo abusata e priva di fantasia e sperimentazione. A mio avviso, anche stavolta la band di Los Angeles coglie nel segno, aprendo le frontiere con un suono violento e gelido, che non si risparmia, sdoganato dai dogmi del genere, distorto, affascinante ed introspettivo, senza una continuità ritmica, anzi, il taglio sonoro è frastagliato, fatto di fotogrammi diversificati e scomposti tra loro, minimali, industriali, noise oppure orchestrali, con aperture nelle composizioni che sembrano piccole colonne sonore fatte per un paesaggio post bellico, post guerra nucleare, apocalittico, accompagnate da uno spoken word duro e drammatico, anch'esso prevalentemente distorto come fosse una band harsh/EBM. In quest'ottica la canzone più rappresentativa è la conclusiva "32" (anche se il disco mantiene costante uno standard di qualità e produzione molto alto), che si presenta come una perla preziosa, oscura e radiosa allo stesso tempo, che rappresenta a dovere il percorso artistico intrapreso dai Moodie Black in questi ultimi tempi, con un ponte al minuto 1:43 che spacca la song in maniera brutale, drammatica ed inaspettata, con una sensibilità compositiva da vero fuoriclasse, come se la musica fosse virata in un grigio e cupo brano dell'ultimo Nick Cave, per poi rientrare in una coda esasperata dalle tinte minimal-rumoristiche, ossessive e soffocanti. La musica dei Moodie Black è un aut-aut, uno strappo contro il mondo da cui è stata generata, una musica che si ama o si odia, che non si associa facilmente e banalmente al contesto hip hop, perchè è frutto di un risultato artistico che vuole essere più alto e libero dai confini commerciali e stilistici. Quattro brani tutti da scoprire, pieni di immagini musicali diversificate tutte da apprezzare. Altra prova molto interessante e fantasiosa che associata al precedente 'MB III', forma un full length di tutto rispetto. Ascoltare per credere! (Bob Stoner)

venerdì 14 giugno 2019

Target - Deep Water Flames

#PER CHI AMA: Techno Death/Progressive, Meshuggah, Cynic
I Target me li ricordo bene: band cilena uscita con il debut nel 2011, 'Knot of Centipedes', un disco che sottolineava le eccellenti doti tecniche dell'ensemble di Santiago. Poi un gran silenzio, interrotto fortunatamente da un EP nel 2017, che mi faceva ben sperare per il proseguio della band che pensavo ormai desaparecida. Ed eccoli finalmente tornare con il secondo lavoro, questo 'Deep Water Flames' che ha permesso al quartetto di strappare un contratto con la Australis Records e strappare a me un sorriso per la loro proposta musicale. Quanto contenuto in questo disco infatti ha un che di miracoloso, dato che i nostri hanno pensato bene di combinare il techno death dei Meshuggah con il post metal dei The Ocean. Non capite quanto io abbia goduto e stia godendo tuttora all'ascolto di un pezzo come "Inverted Gloaming", che pone l'accento sulle capacità tecnico-esecutive, ma incredibilmente anche sulla creatività compositiva dei nostri. E allora preparatevi al classico muro di riffoni poliritmici, come i gods svedesi insegnano, ma anche a larghi tratti atmosferici, catchy quanto basta per far gridare al miracolo. Aggiungete a tutto questo un ottimo dualismo vocale, tra il growl e il suadente pulito dello stesso Andrés Piña e capirete il perchè del mio entusiasmo. "No Solace Arises" è più ritmata, ma altrettanto efficace nella sua portata emozionale, grazie a delle melodie di fondo assai gradevoli e ad una serie di cambi di tempo e break strumentali da URLO e lo scrivo in maiuscolo proprio per sottolinearlo a gran voce. Bravi, bravi e poi bravi. Non è una proposta semplice, ci vuole coraggio, perchè il rischio di essere etichettati come cloni è proprio dietro l'angolo, soprattutto quando pezzi come "Oceangrave" o la successiva "Surge Drift Motion", sembrano essere stati pensati da Jens Kidman e soci. Spaventosi a livello percussivo, paranoiche a livello chitarristico, orrorifiche per l'utilizzo dei synth, signori, 'Deep Water Flames' si candida ad essere uno dei top album sul versante techno death di questo 2019. Mamma mia che mazzate ci rifilano tra faccia e pancia, un uno due, diretto e montante, da knockout. E poi che dire quando in "Surge Drift Motion", la band smorza i toni, anzi spegne la luce completamente e regala un assolo (di scuola Cynic) da brividi. Un intermezzo ombroso per scrollarci di dosso l'incredulità che si è nel frattempo posata sulla mia faccia di fronte a tali sonorità ed è tempo di farci investire ancora dalla sublime ed ingannatoria atmosfera di "Drowned in an Everlasting Mantra", tranquilla all'inzio ma poi dirompente al massimo. Ancora tanta carne al fuoco, perchè mancano all'appello "Blackwaters", song assai mutevole nel suo incedere baldanzoso, e la lunga "Random Waves", oltre nove minuti di rabbiose e ubriacanti ritmiche, dove i Target saranno in grado di intrappolarci nella loro matrice sonora, merito delle tele intessute da questi incredibili musicisti e dell'ottima verve di cui è dotata la compagine sudamericana. Ah dimenticavo, l'ascolto di 'Deep Water Flames' è altamente consigliato da consumarsi in cuffia per assaporare al meglio la debordante miscela sonora (quasi noisy sul finire del penultimo pezzo) esplosa dalla strumentazione di questi artisti. Una bomba ad orologeria pronta ad esplodervi addosso. (Francesco Scarci)

Darkenhöld/Griffon - Atra Music

#PER CHI AMA: Atmospheric Black/Folk
Torna la Les Acteurs de l'Ombre con una produzione nuova di zecca, tutta made in France, come da tradizione in casa dell'etichetta transalpina. Questa volta trattasi di uno split album, in cui a condividere il minutaggio, ci pensano i Darkenhöld, trio originario di Nizza, e i Griffon, quintetto proveniente da Parigi. La proposta di 'Atra Music', questo a proposito il titolo del dischetto, si apre col folk black di quest'ultimi e i loro quattro pezzi a disposizione con i quali farci assaggiare la loro personale visione del black. Oltre alle variegate contaminazioni folk, quello che colpisce in "Si Rome Vient à Périr", è un uso alquanto originale delle voci, tra il declamato e lo screaming arcigno, il tutto su un impianto ritmico a tratti nevrotico e urticante, ma in grado anche di deragliare in anfratti più sinfonici, proprio come accade nel finale dell'opening track. Lo sferragliare di "Souviens Toi, Karbala" sembra evocare il suono della battaglia grazie ad un black tirato, interrotto solo da qualche frangente più ragionato e melodico, nonchè tribale, ancora una volta sul finire del pezzo. In "Jérusalem" rieccheggia il suono di un black battagliero, di scuola "windiriana" che sottolinea le influenze della band ma che ci dice anche che non c'è nulla di nuovo all'orizzonte, aggrappandosi ad idee interessanti fino ad un certo punto, sicuramente già largamente sfruttate da tutto quello stuolo di band dedite ad un atmosferico ed epico black metal. L'outro folkish dei Griffon ci dà modo di prepararci al sound acustico di "Marche des Bêtes Sylvestres", la prima delle quattro frecce da scoccare da parte dei Darkenhöld. Con mia somma sorpresa però apprendo che la proposta dei nostri sia interamente affidata a suoni acustici e quella che io credevo una sorta di intro, rappresenta in realtà lo standard dell'offerta dei Darkenhöld anche nelle successive "Le Sanctuaire de la Vouivre", "Les Goules et la Tour" e via dicendo ove i nostri ci deliziano con un sound all'insegna di un medieval black metal, dove la parola black è affibiabile esclusivamente alle grim vocals. La ritmica infatti, è affidata a flauti, violoncelli, arpe e percussioni, il ttuo in versione completamente unplugged. La proposta del terzetto mi ricorda per certi versi il brano contenuto in 'Rotten Light', “Dialogue with the Sun”, dei nostrani Laetitia in Holocaust, per quel suo drumming incessante che va ad intersecarsi alle chitarre acustiche e ci permettono di conoscere qualcosa di più della personalità camaleontica dei Darkenhöl. Esperimento riuscito, anche se non so quanto possa aver presa sui fan. Vedremo. (Francesco Scarci)

Feradur - Legion

#PER CHI AMA: Melo Death/Thrash, Amon Amarth
In uscita questi giorni il comeback discografico dei lussemburgo-teutonici Feradur. 'Legion' rappresenta infatti il secondo lavoro per il quintetto originario della capitale del piccolo stato mittle europeo, con qualche membro poi dislocatosi ad Amburgo e Colonia, in Germania. 'Epimetheus', il debut del 2015 era arrivato solamente nove anni dopo la nascita della band, ora abbiamo atteso quattro anni per gustarci il secondo album dei nostri, con questo ritmo non è detto che il prossimo lavoro possa uscire fra un paio di anni. Comunque, parlando dei contenuti musicali delle undici tracce qui incluse, posso dire che in mano ci ritroviamo un Lp dedito a sonorità melodeath, dalle influenze più disparate. Si va dal sound degli Amon Amarth di "A Hadean Task" agli Iron Maiden di "Fake Creator", ma andiamo con ordine. I nostri sono sicuramente diligenti nello svolgimento del loro compito, affidandosi sin dall'opener "Deus (Finis Saeculorum)" a ritmiche robuste, ben dosate, una produzione bella piena, e ritmi incandescenti. Ascoltatevi a tal proposito la roboante "Kolossus", una bella cavalcata death thrash, che vi riporterà ai fasti degli anni '90, pronti per lanciarvi in un infuocato headbanging, anche se poi il finale sembra virare verso territori più moderni, ad un black death dotato di ottime melodie al servizio di una buona tecnica. Sia ben chiaro che nessuno ha scoperto l'acqua calda, un nuovo continente o inventato un nuovo genere musicale, i Feradur suonano quello che più amano e più ha plasmato la loro crescita musicale, un death metal venato di qualche influenza progressive, che trova addirittura il modo di sfociare in influenze folkloriche. Si perchè l'inizio acustico di "Omen of Incompleteness" ci proietta al Kantele finlandese di Amorphis memoria, in un brano che evolve successivamente in un sound macinaossa stile Arch Enemy. Ben più ruffiana "Fake Creator", vuoi per le melodie che si stampano immediatamente in testa, ma anche per l'uso delle keys, che lasciano poi il posto ad un bel rullo compressore fatto di ritmiche tirate e un growling omicida, merito dell'ultimo arrivato, in seno alla formazione, l'unico vero tedesco della compagnia, Mario Hann, che suona nei Reapers Sake e ha peraltro collaborato con altre band, sia dietro la consolle che come guest, vedi Firtan o nel nuovo EP dei Luzidity. Intanto, qui si continua a viaggiare su tempi sparatissimi con un bel tremolo picking in sottofondo, mentre le chitarre sembrano invece richiamare il NWOBHM con le linee melodiche in stile Iron Maiden. C'è tempo ancora di farci sparare in faccia altre granitiche tracce, il disco dura infatti oltre 50 minuti: "Of Greater Deeds" è una bella mazzata in pieno volto con una serie di cambi di tempo da urlo ed una prova alla batteria di "D-" Mich Weber davvero notevole, senza mai perdere di vista il lavoro dei due axemen, che ne combinano di tutti i colori alle sei corde. Più oscura "The Night They Were Taken", dura, quasi spettrale nella sua componente solistica, che mi ha evocato per certi versi i primi Testament, poi altro sublime cambio di tempo e sembra di ascoltare un altro brano, compresso, caustico, serrato, feroce. Si cambia ancora registro con il mid-tempo di "Amplification Monolith", un brano che s'ispira nuovamente agli Amon Amarth e che vede nel ricamo chitarristico delle due asce, il punto di forza della compagine lussemburghese. Poi il finale, affidato alla marziale "Maelstrom" e a quel prepotente gorgo che crea un ambiente denso ma atmosferico prima dell'uscita sparata a mille, con chitarre di Overkilliana memoria. Si arriva intanto alla conclusiva e strumentale "Into Stygian Depths", un breve outro che chiude questo secondo episodio della saga Feradur. Ben fatto. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 75

https://feradur.bandcamp.com/