Cerca nel blog

giovedì 27 agosto 2015

The Elysian Fields - Suffering G.O.D. Almighty

BACK IN TIME: 
#PER CHI AMA: Swedish/Hellenic Death, Dissection, Rotting Christ, Dark Tranquillity
'Suffering G.O.D. Almighty' è stato l'ultimo album dei greci The Elysian Fields, datato ormai 2005, poi il silenzio. Nell'ultimo periodo stanno uscendo re-issue dei primi lavori del combo ateniese, ma preferisco raccontarvi dell'ultima fatica di uno dei gruppi storici della scena ellenica, che ho seguito fin dall'esordio, 'Adelain', risalente addirittura al 1995. A distanza di quattro anni da '12 Ablaze', il duo composto da Michael K. e Bill A. riparte dallo swedish death metal marchio di fabbrica della band (un ipotetico mix tra Dark Tranquillity e i Dissection), arricchendolo però, delle classiche atmosfere tipiche dell'influsso mediterraneo (Rotting Christ docet) e di una componente techno-elettronica fino ad ora mai preponderante nell’economia dei dischi dell'ensemble. Gli interventi del synth di Michael divengono quasi l’elemento portante dell’intero album con il sound che diventa ancor più accattivante, non fosse per una produzione non proprio brillante, che penalizza non poco il risultato finale. Ad ogni modo, i nove brani che costituiscono 'Suffering G.O.D. Almighty', scorrono via piacevolmente, alternando momenti più tirati, con chitarre che costruiscono trame fantasiose ed esplosive (che ricordano i nostrani Edenshade), ad altri più cadenzati, dove sono gli arrangiamenti elettronici a farla da padrone. I momenti death-doom si sono notevolmente ridotti rispetto al passato. Gli Elysian Fields sono maturati lungo gli anni e lo dimostrano gli spunti originali ed intelligenti che costellano questo disco. I vecchi fan della band non saranno rimasti sorpresi di fronte alla classe e all’eleganza del combo dell'Attica, capace di stupire in continuazione, alternando montagne di riff, breaks acustici, parti sinfoniche e semplici tastiere al limite del prog. Se proprio devo trovare un difetto a 'Suffering G.O.D. Almighty' è l’assenza di un batterista di ruolo, sostituito dall’artificiale e freddo programming di Michael. Bel balzo qualitativo a cui non è corrisposta l'attenzione che la band realmente meritava, un peccato. Non è comunque troppo tardi per dare una chance a questo album. (Francesco Scarci)

(Black Lotus Records - 2005)
Voto: 80

Norilsk - The Idea of North

#PER CHI AMA: Doom/Black, Celtic Frost
La Hypnotic Dirge Recors sarà anche rimasta in standby per un po' di tempo, ma dopo che le attività sono riprese presso l'etichetta canadese, le cose sono andate migliorando con una serie di uscite interessanti: i Verlies, gli Atten Ash e questi Norilsk. Curioso come il nome derivi da quello di una città siberiana, e quando penso alla Siberia, associo inevitabilmente il tutto a gelidi suoni funeral doom. I canadesi Norilisk non vanno proprio cosi distanti dal genere. Lo attesta il riff posto in apertura a "Japetus", che introduce il sound sofferto del duo del Québec; diciamo che rispetto al doom tradizionale o al funeral doom dell'est Europa, la proposta dei nostri rimane un po' più atmosferica ma assai complicata da digerire. La musicalità della band non è di cosi facile assimilazione, data una certa dissonanza di fondo nelle linee melodiche e dalla presenza di un avvolgente manto di malignità che pervade la song (e il disco), anche a livello vocale, con lo screaming acido di Nicolas ad alternarsi al suo malefico growl. In "Planète Heurt" ecco il rallentamento tenebroso che stavo aspettando, e a salire quella sensazione di respiro affannoso dovuto a un luogo angusto che degenera in uno stato d'ansia. Il senso di asfissia va peggiorando man mano che la song procede a rallentatore, per poi dissolversi improvvisamente quando uno splendido assolo restituisce quella serenità che sembrava andata perduta. In "Throa" il sound malsano dei nostri, qui dotato di una vena di Celtic Frost memoria, macella non poco i nostri timpani per la sua monoliticità di fondo, interrotta fortunosamente da "La Liberté Aux Ailes Brisées", song di più ampio respiro, soprattutto per la freschezza delle sue chitarre. Cosa attendersi invece da un brano intitolato "Nature Morte"? Poco in realtà, se non suoni che potrebbe accompagnare la visione di un frutto morso lasciato su un tavolo, o meglio, un teschio abbandonato. Il disco prosegue nella sua compattezza con l'orrorifica "Potsdam Glo", un breve pezzo strumentale e la title track, "The Idea of North", che lungo i suoi nove minuti, sfodera probabilmente la miglior performance del duo nord americano, offrendo un doom sorretto da una bellissima e suadente chitarra black che impreziosisce il brano con una certa vena malinconica, in quella che è la song più completa di questo aspro e indigesto lavoro, capace di incutere timore ma anche grande curiosità. La conclusione del disco è affidata a "Coeur de Loup", altra traccia costituita da suoni cupi e a tratti teatrali nella sua manifestazione vocale. Decisamente ardui da affrontare, i Norilisk in questo disco aprono nuovi orizzonti sonori nell'ambito doom. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2015)
Voto: 75

Obese - Kali Yuga

#PER CHI AMA: Stoner, Queens of the Stone Age
Gli Obese sono una band di recente formazione, proveniente dall'Olanda più precisamente dalla città di Utrecht. Il quartetto ha esordito l'anno scorso con il singolo "The Lion", accompagnato da un bel videoclip che ha consentito alla band di entrare con stile nel folto gruppo di band stoner che popolano l'attuale scena. Questo, insieme ai live, ha stimolato l'interesse di Argonauta Records che ha pensato bene di non lasciarsi sfuggire un'occasione così appetitosa. Detto fatto, l'act dei Paesi Bassi è entrato in studio e ha sfornato l'album 'Kaly Yuga', nove tracce di duro stoner con influenze sludge, che ben si abbinano al palato dei musicofili più appassionati del genere. Il packaging è un digipack semplice, ma graficamente appagante per via di un design dallo stile neoclassico e comunque essenziale anche per quanto riguarda le informazioni sulla band. In concomitanza al lancio dell'album, l'ensemble ha affrontato un breve tour europeo, come dire, alla vecchia maniera con tanto di furgone sgangherato (e annessa foratura di una gomma durante il viaggio), parecchi chilometri macinati, ettolitri di birra e tanto sudore sui palchi dei piccoli e grandi live club. Su Internet trovate anche un video documentario che mostra simpatici retroscena e alcuni luoghi suggestivi incontrati per la strada. Passando alla musica, 'Kali Yuga' apre (sarebbe meglio dire esplode) con "Enion", una martellata doom che mette in chiaro subito il taglio sonoro degli Obese. Chitarra pesante, ruvida e distrutta a livello molecolare dall'uso massiccio delle distorsioni e riplasmata insieme al basso per devastare e lasciare intontiti davanti al muro di decibel erto. Ritmica al limite del doom, impreziosita dal lavoro curato del batterista che da sfogo alle sue doti tecniche. Il vocalist rincara la dose sfruttando il proprio timbro vocale graffiante e maturo, quasi un growl melodico che aumenta l'impatto sonoro e conferma il taglio tenebroso del brano. Verso la fine, la chitarra si diletta in riff più eleganti e si comincia a sentire l'influenza dei QOTSA, che verrà confermata dai successivi brani. "The Bitter Blast" infatti sfrutta l'appeal della band americana per poi trasformarlo in un mix sonoro più cupo. La chitarra ovviamente contribuisce molto in questo frangente, si sente anche il buon lavoro a livello di arrangiamenti, mentre l'assolo a tre quarti di brano, allenta la tensione e regala un momento di positività all'ascoltatore. Tutto sarebbe stato vano se la sezione ritmica non fosse all'altezza, ma basso e batteria viaggiano sempre appaiati come il pilota di sidecar e il suo fedele passeggero. Bellissimo il finale in crescendo, che lascia i riff stoner alle spalle e si butta a capofitto in un meraviglioso tripudio sludge. "Red as the Sun" è il brano utilizzato per il recente video della band e la scelta è di quelle giuste, con la canzone che esprime al meglio l'essenza del quartetto olandese. Groove a palate, riff che cavano il fiato dai polmoni e una ritmica trascinante che rende il brano ossessivo. Si apprezza anche la qualità della registrazione, non eccessivamente hifi e che segue il filone vintage del genere. Un esordio ben riuscito, gli Obese riescono bene nel loro intento senza eccedere in sperimentazioni, ma andando al sodo ovvero scrivendo dei pezzi che si fanno apprezzare per la loro carica energetica e per l'impatto ruvido che avrà sulla vostra pelle da rocker. (Michele Montanari)

(Argonauta Records - 2015)
Voto: 75

Path of Desolation - Soaked Jester

#PER CHI AMA: Melo Death, Dark Tranquillity, Insomnium
La Svizzera è diventata ormai un calderone ribollente di metallo lavico: abbiamo abbracciato negli ultimi tempi il post metal, noise, punk, post rock, black e sludge, mancava solo il death metal, eccomi accontentato. I Path of Desolation vengono da Losanna e propongono un death carico di groove, di derivazione scandinava. Solo tre però i brani a disposizione di questo mini cd, che apre con delicati tocchi di piano in "Rest in Your Fears", ma sontuosamente cresce e divampa in un incedere oscuro che richiama per certi versi gli Insomnium in una versione un po' più brutale e variegata, come dimostra la seconda parte della opening track, un intreccio di sonorità al limite della schizofrenia e dalla quasi assenza di banalità, tuttavia non cosi facile da assimilare. Con la title track ci lasciamo conquistare da squisite melodie e dal dualismo vocale tra il growling acido di Dave e le vocals pulite, decisamente meno convincenti, del bassista Grant. Ciò che emerge e mi esalta, è comunque una certa pulizia delle linee di chitarra che ben si amalgamo con le ariose tastiere e anche una ventata di freschezza nelle idee del gruppo elvetico. Con la conclusiva "The Word", si sprecano i richiami ai Dark Tranquillity, anche se il ritmo è decisamente più cadenzato; peccato solo che a un certo punto compaia quasi dal nulla, una anonima voce femminile che prova a duettare col cantato feroce del frontman. Esperimento bocciato, semplicemente perché la signorina Anna Murphy non rivela grosse potenzialità canore. Alla fine 'Soaked Jester' si dimostra comunque un debut EP ricco di spunti e idee non proprio da censurare, anche se dalla durata troppo risicata; una song addizionale non avrebbe certo guastato, e soprattutto la mia valutazione finale ne avrebbe tratto beneficio. Da tener sotto traccia. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65

lunedì 24 agosto 2015

The Black - Golgotha

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock
Mario Di Donato è un artista dall'esperienza che supera i 40 anni all'interno dei circuiti hard rock italiani. Attraverso le varie formazioni di cui ha fatto parte sin dagli anni '70 (Respiro Di Cane, Unreal Terror, Requiem) e la sua creatura più importante a nome The Black, si è costruito attorno a sé la fama di personaggio di culto. Quest'aura affascinante e misteriosa che avvolge il chitarrista abruzzese nasce dal suo modo unico di concepire ARTE e MUSICA, entrambe connotate da una forte teatralità e indissolubilmente legate a temi di carattere religioso. Ad avvalorare la singolarità della sua proposta musicale, contribuisce in parte la scelta coraggiosa di cantare in italiano e latino fin dagli esordi ma anche l'intento ammirevole di unire la CULTURA al metal, in modo che testi, musica e immagini facciano parte di un unico corpo. Mario Di Donato, oltre ad essere un musicista di valore, è anche un pittore molto apprezzato a livello internazionale, ogni disco uscito per The Black infatti, raffigura sulla copertina i suoi dipinti e così è anche per 'Golgotha', sulla cui front-cover possiamo ammirare 'Post Mortem', la deposizione di un Cristo attorniato dai volti ambigui e traditori dei suoi carnefici. 'Golgotha' è appunto il monte dove fu ucciso Gesù Cristo, è il simbolo della sofferenza e del dramma umano ma anche il proseguimento di un viaggio all'interno di se stessi, una ricerca spirituale che l'artista abruzzese cominciò tanti anni fa. 'Golgotha' nasce dal dolore e lo sdegno per chi calpesta la vita con la violenza, è l'esplosione emotiva di un uomo sensibile e tormentato, che si trasforma in una denuncia verso questo "mondo di fango". Un hard rock dalle tinte molto oscure si potrebbe definire lo stile del sesto album di The Black (ormai datato 2000), un'opera raffinata dal suono un po' retrò, con i riff più freschi dell'heavy metal anni '80 e le inevitabili influenze dei seventies (nel cd è presente anche "Sospesa A Un Filo", cover dei Rovescio Della Medaglia e "Il Giudizio", un rifacimento di un brano dei Corvi). Gli assoli ispirati della title-track e di "Ivstitia" (che per la loro bellezza varrebbero da sole l'acquisto del disco), la voce inconfondibile ed "imperfetta" di Mario e le tastiere usate in chiave organistica, sono tutti elementi che fanno di 'Golgotha' un album imperdibile! Fondamentale per chi segue già da anni The Black ma anche l'occasione ideale per scoprire un artista a tutto campo che il grande pubblico metal ha malauguratamente da sempre ignorato. (Roberto Alba)

(Black Widow - 2000)
Voto: 85

Skinny Puppy - The Greater Wrong of the Right

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Elettronica/EBM
Dopo lo scioglimento del 1995 e la morte per overdose di Dwayne Goettel nello stesso anno, erano in molti a chiedersi cosa ne sarebbe stato degli Skinny Puppy e se l'uscita dell'album 'The Process' avrebbe veramente posto la parola fine alla carriera artistica del gruppo canadese. Persino dopo il famoso concerto di Dresda nel 2000, in occasione del quale cEvin Key e Nivek Ogre si riunirono per suonare davanti ad un pubblico in delirio, i fan non riuscivano a credere fino in fondo ad una reunion che avrebbe portato ad una collaborazione stabile tra i due, tanto da rendere possibile la pubblicazione di un nuovo album in studio. Quando poi fu annunciata l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right', anche i più scettici dovettero ricredersi: la leggenda Skinny Puppy stava per tornare! Atteso dalla scena elettronica come l'evento più importante del 2004, l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right' fu accompagnata dalle inevitabili discussioni sulla validità o meno dell'album, disponibile in rete già da molte settimane prima del lancio ufficiale. Chi si è affrettato a definirlo un capolavoro e chi si è invece dichiarato contrario ad una continuazione degli Skinny Puppy senza Goettel, bocciando il disco ancora prima di averlo ascoltato. Insomma, le solite e comprensibili battaglie che hanno sempre accompagnato tutte le grandi reunion della storia della musica. Come accade spesso in questi casi la verità sta nel mezzo, perché 'The Greater Wrong of the Right' non è né un capolavoro, né l'album più brutto che i Puppy abbiano composto. Molto più semplicemente, si tratta di un lavoro diverso da quanto i fan potevano aspettarsi e questo gioca perlomeno a favore del gruppo, che ha dimostrato di tornare sulla scena per proporre qualcosa di nuovo e spiazzante, non certo per riciclarsi miseramente in nome del proprio conto in banca. Dimenticate 'The Process' e preparatevi ad ascoltare un album fresco e al passo con i tempi dell'epoca! Aspettatevi una prova al microfono profondamente distante dalle contorsioni a cui Ogre ci aveva abituato e non indignatevi se le sue accelerazioni vocali in "Pro-Test" assomiglieranno tanto a quelle rappate di un brano hip-hop, perché di hip-hop non si tratta. Lanciatevi senza alcuna remora nell'ascolto di "GhostMan", con le sue ritmiche spezzate, il caotico accavallarsi dei beat, le vocals di Ogre che improvvisamente rimandano alle deliranti performance del passato. Sbagliava chi temeva di trovarsi dinnanzi ad una banale ed infelice mescolanza degli stili espressi da Nivek e cEvin nei rispettivi progetti solisti, ma è anche vero che due brani così frizzanti come "Goneja" e "DaddyuWarbash" non sarebbero mai nati se negli ultimi anni i due musicisti non avessero dato sfogo alle proprie pulsioni artistiche separatamente. Gli Skinny Puppy del 2004 puntano ad un songwriting imprevedibile e ad una discreta presenza delle chitarre, ma senza mai avvicinarsi all'irruenza che contraddistingueva 'The Process'. La band aveva fame di novità, con la voglia di scrollarsi di dosso qualsiasi etichetta di genere, buttandosi a capofitto in una composizione estremamente libera e acquistando una visione del termine "elettronico" che prima d'ora non era mai stata così eclettica. A tal proposito, davvero emozionanti le lisergiche virate di "EmpTe" e "Past Present", entrambe costruite sulla ricerca del coro ad effetto, inserito in un tessuto di synth ipnotici che invitano mente e corpo ad abbandonarvisi totalmente. 'The Greater Wrong of the Right' è comunque un album spettacolare come e consentì di avere nuovamente tra noi il formidabile genio di cEvin Key e Nivek Ogre a mantenere vivo il nome degli Skinny Puppy... non cosa da poco. (Roberto Alba)

(Synthetic Symphony/SPV - 2004)
Voto: 80

domenica 23 agosto 2015

Shrine of the Serpent - S/t

#PER CHI AMA: Doom/Sludge
Provenienti da Portland in Oregon, questi tre ragazzi e ottimi musicisti spiazzano le mie aspettative con tre brani di perfetto, calibrato e potente doom metal altamente suggestivo. La band nasce nel 2008 col moniker Tenspeed Warlock, dopo un demo ed uno split decidono nel 2014, di cambiare nome in Shrine of the Serpent, ampliare le loro vedute e sfornare nel 2015 questo album indipendente carico di splendido buio eterno. Una bella copertina tetra, in digipack nero con una figura di un sovrano dal volto scheletrico attorniato di serpenti, rende bene l'idea di cosa si nasconda musicalmente dentro al cd. I tre brani sono di lunga durata, cadenzati e toccano insieme quasi mezz'ora di oblio sonoro. La band, pur riflettendo tanti degli insegnamenti dei grandi maestri, mostra una sua particolare personalità e suona sludge metal nel migliore dei modi, anche se il suo vero pregio è aver trovato la chiave moderna per esprimere la più classica musica del destino... questo omonimo album è il reale, pesantissimo, attuale, intelligente confine naturale tra sludge e doom metal! Meno sperimentali di Sunn O))) e Khanate, anche se il taglio ferale è molto simile, gli Shrine of the Serpent ricordano il suono, di velluto nero come la pece, del capolavoro 'Rampton' dei Teeth of Lions Rule the Divine od ancor più, il passo lento del leggendario 'Dopesmoker' degli Sleep, rievocano i sapori alchemici del poco considerato bel progetto Ramesses e del loro mitico EP, 'Baptism Of The Walking Dead', senza dimenticare i luminari primi Neurosis e Cathedral (quelli del brano "Cathedral Flames" in apertura dell'album 'Endtyme'). La voce è drammatica, le chitarre sono avvolgenti e spesse, il suono è caldo e non scade mai in facili costumi dalla forzatura vintage; tutto è teso, psicotico, in balia costante di una crisi di nervi, ogni nota sembra sospesa sopra un vortice di oscurità, non c'è luce in nessuno dei tre brani e la cosa sorprendente è che riescono a coinvolgerti pienamente, prenderti per mano durante l' ascolto e proiettarti in una foresta lisergica di distorsione dilatata e magica ("Gods of Blight" è immensa), ottenendo un risultato che è proprio come entrare in un sogno sinistro e viverlo a rallentatore. Un'altra perla nasce dal sottosuolo, non fatevela mancare! Ottimo debutto! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 85

Last Avenue - Integration Protocol

#FOR FANS OF: Industrial, Rammstein
The last French industrial metal band I listened to were dreary, sloppy and boring. Without naming names (*cough*Voron*cough*), I will admit that said band at least had the decency to pump their latest album full of meaty riffs to distract from the general dullness. This time round, however, it is a different French industrial metal band - Orlean's Last Avenue - who have the task of gracing my ears. Fortunately, these guys have also decided to insert many hefty riffs into the heart of their newest record, 'Integration Protocol'. But, even more fortunately, there is more than just the one aspect that makes this effort so rewarding to listen to... Firstly (and quite unusually for an industrial metal band), this album is injected with a youthful vibrancy that boosts the energy up and prevents it from dragging along at a snail's pace (you listening, Voron?). There is plentiful variety of tempos throughout 'Integration Protocol', making the whole affair sound like Pitchshifter on steroids. The tracks, "Wireless Ghost" and "Pieces of Metal Planet", are masterclasses in energy. They contrast satisfyingly with the mid-tempo stompers like "Fear To Stay" and "Spying From The Future". The band names their primary metal influence as Rammstein - and nothing else is made more obvious! The ball-crushing riffs pound away exactly like Lindemann & co. and the electronic backbeats add another brilliant dimension to the music. This is an area where many industrial bands have failed, but Last Avenue appear to shine. The synthesized keyboard effects are always present; either carrying a discernible melody, or providing the wonderfully mechanical atmosphere. They never feel irrelevant or segregated. The vocals are also impressively diverse. Déj's distant wailing is always tuneful and atmospheric, whilst his screams are fully-rounded and downwright pissed off. The digitized vocals in "The Factory" and "This is Personal" are also surprisingly effective! Usually this technique is innately annoying, but Last Avenue pull it off in a remarkably Kraftwerk-esque way. The only disappointment in this area is that the vocals are few and far between. Quite often, minutes can fly by with no voice and this only forces the riffs to try and hold the focus. Luckily, the riffs are the highlight of 'Integration Protocol'. From the chromatic ascendancy of "Self Made Drone", to the chunky chugging of "Kill The Past" - every riff is packed with energy, variety and 100% headbangability! The opening riff of track 2, "Wait", is quite possibly my new riff of the year - and the breakdown of the previously mentioned "Kill The Past" is a close runner up! There are even guitar solos on this album, and impressive ones at that! Are you listening, every industrial metal band ever? It CAN work! Some of the song titles and lyrical themes may be a little too clichéd towards the 'factory/mechanical/futuristic' concepts, and the whole effort may be a song or two too long. But all in all, this is my industrial hit of the year, and any fan of Combichrist, Kaos Krew or Pitchshifter should get with the sound laid down by Last Avenue. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 75