Cerca nel blog

venerdì 16 dicembre 2011

Rust Requiem - Migrationis Obscura Aetas

#PER CHI AMA: Black rituale, Burzum, primi Bathory
Beh, la prima cosa che di sicuro balzerà all’occhio, anzi all’orecchio di chi si avvicinerà a questo cd, è la scelta di aver cantato l’intero album tutto in latino, questo con l’intenzione di voler mantenere intatto il passato a noi familiare, quello portatore del nostro bagaglio culturale che trae origine dagli antenati romani che furono padre dell’antico splendore delle civiltà europee. Fatta chiarezza su questo aspetto, passiamo alla musica, esempio di funereo depressive black metal, portatore di angosce e orripilanti paure. L’idea di Ianvs, mente e unico membro dei Rust Requiem, è quella di presentare un’opera concettuale sulla spiritualità umana, sulla sua forza e sulla sua fragilità. Progetto ambizioso, estremamente interessante, ma dall’esito non del tutto sofddisfacente. La musica stenta infatti a decollare, catalizzando l’attenzione dell’ascoltatore, per il primo quarto d’ora (e nella quarta traccia soprattutto), su cerimoniali liturgici decisamente noiosi. Poi si scatena la furia black, con i suoni che risultano sempre troppo gelidi, colpa probabilmente di una produzione non proprio all’altezza e le soffuse vocals di Ianvs che fanno fatica a risollevare un cd che ha ben poco di vincente da offrire. Il genere proposto, quello del filone depressive black, trova anche qui i suoi momenti strazianti, oscuri, opprimenti in cui l’unico pensiero a prevalere è quello dell’autodistruzione, però ormai è diventato troppo “commerciale” e di aria fresca in queste scarne note ce n’è ben poca. Laceranti esplosioni elettriche interrompono poi i catatonici momenti di ansia, creati dalle oscure sinfonie di organi sinistri: cavalcate black sullo stile dei primi Burzum e primi Bathory, contraddistinguono infatti le rare parti più movimentate di questo cupo lavoro, portatore di morte e disperazione! Inquietante. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 55

Dark End - Damned Woman and a Carcass

#PER CHI AMA: Black/Death/Gothic, Cradle of Filth
Gli emiliani Dark End a tre anni dalla loro fondazione, giungono al traguardo della prima release ufficiale. “Damned Woman and a Carcass”, fin dalla sua intro, rievoca i vampireschi intermezzi dei Cradle of Filth; poi, via si parte con la musica, un mix di black death melodico arricchito da aperture sinfoniche, che comunque mantengono come punto di riferimento la band di Dani “Filth” e soci. Sicuramente le vocals (ad opera di Pierangelo Oliva, voce dei Confusion Gods) non sono urlate come quelle del buon vecchio Dani, assestandosi infatti in gorgheggi squisitamente death; la musica apre ad atmosfere gotico-decadenti, probabilmente influenzate dalle poesie di Baudelaire estrapolate dallo “Spleen” e da “Les Fleurs du Mal” che costituiscono le liriche di questo lavoro, disegnando poi articolati giri chitarristici non propri del genere. Il risultato, pur non evidenziando nulla di originale, si lascia piacevolmente ascoltare grazie a quel suo alternarsi di momenti di furia selvaggia, tipica del black, con le parti più orchestrali dovute al sapiente utilizzo delle keys, ad opera di Simone Giorgini, eccellente pianista e compositore; sicuramente l’inserimento di ritmiche più orientate verso stilemi tipici del death progressive, frequenti cambi di tempo e parti acustiche, contribuiscono a migliorare la qualità di “Damned Woman and a Carcass”. Da segnalare infine, la chiusura affidata a “Love Will Tears us Apart”, interessante cover dei Joy Division. Siamo comunque di fronte ad una band dalle idee ancora non del tutto chiare ma sono certo che con un pizzico di esperienza in più, qualche buon suggerimento e brillante idea, l’act italico, avrà tutte le potenzialità per sfondare! (Francesco Scarci)

(Necrotorture)
Voto: 65

Infinity - The Arcane Wisdom of Shadows

#PER CHI AMA: Black svedese, Dissection
Una mistica intro apre le danze di questo capitolo, il quarto, per gli olandesi Infinity. “The Arcane Wisdom of Shadows” ci regala più di 50 minuti di black metal che fin dalle sue prime battute non può che rievocare nella nostra memoria le note di “Storm of the Light’s Bane” dei compianti Dissection. Rispetto alla band di John Nodtveidt e soci, al combo olandese manca però quella malvagia melodia che ha invece caratterizzato il sound dell’act svedese; per il resto direi, che gli Infinity potrebbero (ma ne dubito perché manca la classe dei Dissection) diventare gli eredi della grande band scandinava, in attesa tuttavia di capire se i riformati Unanimated hanno le palle per prendere in mano il testimone dei Dissection. Il feeling maligno emanato dal suono del duo olandese, è quello tipico di marca svedese: ritmiche veloci, riff taglienti come rasoi, qualche mid tempos a rallentare qua e là la furia black, un paio di frangenti acustici, qualche leggero sprazzo melodico e l’ugola vetriolica di Baldragon Xul a decretare la fine dei giochi. I nostri, con un leggero ritardo di 13 anni, cercano di ripetere quanto fu proposto nel 1995 dai miei idoli, con risultati non del tutto soddisfacenti. Questo, se volete, può essere il limite di “The Arcane Wisdom of Shadows”, che comunque potrà piacere a chi soffre ancora di nostalgia per quei tempi: la nuova release degli Infinity potrà dunque fare al caso vostro. Da segnalare che le prime mille copie sono state rilasciate in un lussuoso formato digipack. Che altro dire: disco onesto ma non fondamentale. (Francesco Scarci)

(Bloodred Horizon Records)
Voto: 60

sabato 10 dicembre 2011

Smohalla - Resilience

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, Ved Buens Ende, Arcturus, Ulver, Limbonic Art
Gli Smohalla sono una band francese che avevo già avuto modo di ascoltare e apprezzare ai tempi dell’EP di debutto “Nova Persei”. Era il 2007 e ora finalmente è uscito il full lenght e non posso che rilevare che nel corso degli ultimi quattro anni, la qualità del terzetto transalpino si è elevato, in termini qualitativi, di molto. Partendo da una copertina di indubbio riferimento esoterico-massonico, i nostri sfoderano otto brani, che non fanno altro che confermare l’assoluto valore della scena francese. Non siamo di fronte a mostri sacri come Deathspell Omega o Blut Aus Nord, ma se mi è concesso, poco ci manca, proprio perché gli Smohalla ci offrono su un piatto d’argento una musica che, pescando dal sound enigmatico di Ved Buens Ende, a cui aggiungono le orchestrazioni degli Arcturus più ispirati, e con un tocco della schizofrenia dei già citati Blut Aus Nord, il risultato ha davvero del sorprendente. Difficile identificare una song piuttosto di un’altra, in quanto tutte le canzoni qui contenute hanno un che di originale e inebriante da proporre: non esiste infatti un canovaccio ben preciso che i nostri seguono nella costruzione, totalmente disarticolata, dei loro pezzi e questo è per le mie orecchie assai buono. La musica dei nostri, partendo da lontanissimi richiami in stile Limbonic Art, innesta nel suo interno suggestioni oniriche (“Marche Silencieuse” tanto per capire), inserti elettronici, frangenti ambient, arrangiamenti da brivido, passaggi d’avanguardia che esulano in modo inequivocabile dal metal e per non farci mancare nulla, anche feroci sfuriate black metal (“L’Homme et la Brume”); il tutto è impreziosito ulteriormente dalle vocals di Slo (le liriche sono tutte in francese) che si dilettano in un doppio ruolo, screaming (stile Solefald) e cleaning (stile Ulver). Ecco, forse proprio dai Solefald, i nostri risultano più influenzati, ma non da un punto di vista stilistico, ma in termini di improvvisazione e ciò è quello che renderà gli Smohalla la vera sorpresa di questo 2011 (in coabitazione con i Solstafir), che sta per concludersi. Se il buongiorno si vede dal mattino, i nostri sono destinati ad un futuro glorioso, in compagnia dei più grandi nomi di sempre. Eccellente debutto, da avere ad ogni costo! (Francesco Scarci)

(Arx Productions)
Voto: 85

Carthasy - Apertures

#PER CHI AMA: Post Rock/Progressive/Alternative, Tool, Porcupine Tree, Lingua
Australia: vera fucina di talenti, terra lontana da cui arriva sempre ed inevitabilmente una ventata d’aria fresca, innovativa, una brezza che accarezza il nostro viso, in grado di scuotere i nostri sensi. Ho atteso un paio di mesi per ascoltare il nuovo EP della band di Perth, dopo che ero stato conquistato dal loro demo cd di inizio anno e direi che ne è valsa la pena: 25 minuti aperti dall’aspra “Crawl”, che ci aggredisce nei suoi soli due minuti e poco più, con un rock rabbioso e diretto allo stomaco, prima di lasciare la palla alla più atmosferica “Key to Knowhere”, una song più melliflua, che mischia sonorità shoegaze, ad una ritmica più di scuola Tooliana e dove la voce di Lindsay si fa calda, cosi come il sound, cadenzato sin dall’inizio, dalla timbrica suadente del basso e da una chitarra psicotica. Si prosegue con “Inhale” e la song è decisamente da brivido con un’apertura ariosa che presto si incupisce e in cui è sempre il basso, questa volta aiutato da un drumming ipnotico, a dettare i tempi; la voce si dipana tra il cleaning e l’effettato, mentre la musica è decisamente intrigante ed elegante, pur suonando sempre in modo semplice e lineare, una sorta di mix tra il progressive dei Porcupine Tree e l’alternative dei Tool, in un crescendo di suggestioni oniriche che elettrizza il mio cervello nella cavalcata finale. Si arriva alla tribale/schizoide/fluida “Drift” e ci troviamo di fronte al lato più sperimentale dei nostri, ma anche a quello più introspettivo e malinconico. “Drift” è una song di quattro minuti pregna di malinconia, tipicamente post rock, in cui anche la voce di Lindsay si carica emotivamente di passione e trasuda un forte senso di inquietudine. Giungiamo sfortunatamente all’ultima traccia, la title track e la band ritorna alle sonorità di matrice americana, mostrando tuttavia una semplicità nei suoni disarmante, il che conferisce una maggiore accessibilità alla proposta del combo australiano. Vorrei spendere un’ultima parola per il bel digipack di “Apertures”, che mostra una bellissima foto in copertina e meravigliose fotografie nel booklet interno, una serie di scatti che possono rappresentare un inno alla solitudine. Il viaggio è ahimè finito, attendo con ansia il full lenght della band ora, non ci sono più scuse. Magnetici! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 80

Sacratus - ...Paradise for Two

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Paradise Lost, My Dying Bride
Li avevamo lasciati poco più di due mesi fa con il loro debut “The Doomed to Loneliness” e torniamo oggi a recensire i russi Sacratus, con un nuovo lavoro, decisamente più maturo del suo predecessore. “…Paradise for Two” presenta otto tracce di cui tre ri-registrate provenienti dal precedente album. Diciamo subito che la formula non è cambiata granché, in quanto l’act di Cherkessk continua a proporre un death doom dalle forti tinte autunnali. Ciò che è migliorato sensibilmente è il songwriting, la struttura dei brani si è snellita, con pezzi più brevi, digeribili e intellegibili, le vocals continuano a rappresentare il pezzo forte dei Sacratus, muovendosi tra growlings mai estremi e cleaning vocals assai piacevoli. Ciò che di fatto fa fare un salto di qualità al quartetto è la vivacità della proposta, che richiama per certi versi i Paradise Lost di “Shades of God” o i My Dying Bride di “Turn Loose the Swans”, mostrando però più sprazzi di solarità nel loro sound, anche se comunque a parte la opening track, tutte le altre songs sono finiscono per l’essere imbrigliate in un senso di velata cupezza. Ma d’altro canto se cosi non fosse, non sarebbe di sicuro doom quello che i quattro propongono. “Shadow”, “The Hard Thinking”, “Tristeza Mia”, ma soprattutto l’arabeggiante “Revelation” (la mia preferita e forse anche la migliore del lotto), fluiscono senza intoppi e il loro ascolto non scade di sicuro nella noia, come mi era capitato invece nella precedente release. Quel che è appare chiaro è che tra le mani non abbiamo nulla di nuovo, è sempre un sound abbastanza derivativo che non apporta grosse novità al genere. Però mi sembra che l’ensemble russo stia lavorando egregiamente, anche grazie al supporto dell’attenta etichetta Darknagar Records e che quindi meriti la vostra attenzione. Per ciò che riguarda le tre tracce ri-registrate, “Madness”, “Fallen Angel” e “The Last Hope”, i nostri tornano ad ammorbarci con pezzi stralunghi in grado di rubarci una mezz’ora della nostra vita, con visioni cupe e catastrofiche. Depressi! (Francesco Scarci)

(Darknagar Records)
Voto: 75

Meadows End - Ode to Quietus

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity, In Flames
Con notevole ritardo, giunge finalmente sulla mia scrivania, il lavoro degli svedesi Meadows End. Un pianoforte, accompagnato da una chitarra, in chiaro stile “Göteborg”, apre questo “Ode to Quietus”, un lavoro godibile, che fa delle facili melodie, quelle che si imprimono nella testa immediatamente, il proprio marchio di fabbrica. La musica del quintetto svedese infatti è un tipico melodic death metal di matrice svedese, la cui melodia pesca a piene mani dai grandi maestri di sempre, In Flames e Dark Tranquillity su tutti, mentre a livello di pesantezza o velocità, qui ci posizioniamo su un mid-tempo mai eccessivamente pesante o serrato. Già la prima “Beyond the Dead Cold Surface” ci dimostra la relativa tranquillità con la quale la band di Örnsköldsvik ci assale, mentre la successiva “Resurrection of Madness”, song un po’ più tirata ma intrisa di cupa malinconia, ci mostra il lato più oscuro dei nostri: belle linee di chitarra, un ottimo growling e delle tastiere a rendere più accessibile il sound dei nostri. La terza “The Gloom that is his World” vede ancora la band scimmiottare i conterranei In Flames, ma d’altro canto chi può biasimarli, l’act guidato da Anders Friden rappresenta ancora la summa dello swedish death e lo dimostra il fatto che ancora decine e decine di band cerchino di imitarli, con risultati niente male, appunto come nel caso degli stessi Meadows End, che cercano di aggiungere a quelle tipiche melodie svedesi, anche quel “folclore” nordico riscontrabile nella musica degli Amorphis (“Homeland” ne è un esempio). Non manca tuttavia qualche traccia più tirata (“Coven of Blood” ad esempio), sempre però colma di un certo groove e melodie catchy, ma anche qui poi emerge forte l’eco della band finlandese, nella sua parte centrale. “My Demon”, “Starvation 23” e “Falling Asleep” chiudono infine un album che sembra non avere grosse pretese, se non allietare il pubblico con una proposta “easy listening”, che sicuramente sarà apprezzata dagli estimatori del genere melo death ma anche dalle frange meno estreme e più votate al metal atmosferico. Interessanti, ma non del tutto al passo con i tempi. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70

giovedì 8 dicembre 2011

Drastique - Pleasureligion

#PER CHI AMA: Death/Gothic/Electro, Devil Doll
Chris Buchman, dopo il debutto "Thieves of Kisses" uscito nel 1998, si ripropone accompagnato dalla cantante Fay e dall'ex-Ensoph Mahavira. Il cambio di monicker da Drastic a Drastique sembrava suggerire una radicale svolta stilistica del progetto e invece "Pleasureligion" si presenta come la naturale evoluzione del suo predecessore, mantenendosi sui binari di un gothic metal avanguardista, coadiuvato da orchestrazioni sinfoniche e vocals estreme. Rispetto a "Thieves of Kisses", il nuovo album è comunque nettamente più violento e questo appare chiaro immediatamente dall'ascolto dell'opener "5enses", dove il muro di chitarre e la velocità sostenuta non lasciano dubbi su quale sia l'intento della band: aggredire e farci vivere emozioni forti! Va detto che, nonostante l'estremizzazione del suono, il buon lavoro di Chris ai synth non è stato per nulla oscurato e nemmeno la dolcezza del cantato femminile ne ha risentito, conservando quella poesia che si era potuta apprezzare anche nell'album precedente e che ora trova in Fay l'interprete ideale. Anche lo screaming di Mahavira sa essere convincente, mentre le parti di voce pulita risultano talvolta eccessivamente pompose, rischiando di appesantire l'ascolto. Nonostante questa pecca non sia sempre trascurabile e alcuni aspetti del songwriting vadano affinati, ciò non va comunque ad intaccare il valore di alcuni episodi realmente riusciti come "The Succubus", "Voyage Dans la Femme", la romantica "Immortal Beloved" e la già menzionata "5enses", un brano che si mantiene in bilico tra la follia espressiva di Devil Doll e le ritmiche martellanti dei Samael (era "Ceremony of Opposites"). Il giudizio complessivo rimane quindi positivo e il mio consiglio è quello di avvicinarvi a "Pleasureligion" lasciando da parte certi paragoni poco calzanti con Limbonic Art e Tristania che la casa discografica decise di affibbiare ai nostri. Vi invito, anzi, a rivolgere un ascolto molto attento all'album, cercando di non soffermarvi ad una prima superficiale impressione, ma di cogliere invece ogni sfumatura della musica dei Drastique, per farvi avvolgere dalla sensuale brezza di piacere che essa è in grado di sprigionare. (Roberto Alba)

(Beyond Prod)
Voto: 70