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giovedì 17 marzo 2011

Wraithmaze - Adagio in Self-Destruction


Le informazioni che ho a disposizione per questa band finlandese sono veramente scarse, a partire da una copertina quasi indecifrabile a causa della sua scurezza; tutto ciò che è nelle mie mani è racchiuso nel booklet (scarno) del cd, che a parte i testi, ci informa che abbiamo a che fare con un terzetto formato da Jarkko Rintee alle vocals, Matti Auerkallio alla batteria e Janne Kielinen a synths e chitarra. Allora partiamo subito con l'analisi della musica dei nostri che fin dall'iniziale "Anxiety", mette in luce un sound capace di combinare doom a suoni che demarcano tratti orrorifici, il che cattura immediatamente la mia attenzione: riffone ultra pesante in apertura di disco con voci demoniache in sottofondo e una sinistra tastiera (a dominare tutto il brano) che sembra presa in prestito dalle colonne sonore dei film di Dario Argento e poi tutto ad un tratto uno squarcio nel cielo e le ritmiche che partono nel loro inquietante e assai melodico incedere. Riffs di scuola scandinava infatti pestano che è un piacere e il growling riposseduto di Jarkko a sprigionare fiumi di paura. Con "Contradiction" e il suo possente alone di mistero, mi sembra di cogliere nel sound dei nostri, influenze dei connazionali Gloomy Grim: ritmiche mid-tempos, sintetizzatori che creano tenebrose ambientazioni horror, da brivido l’effetto finale se ascoltato nel buio di una stanza; eccellente anche il chorus “Walking Contradiction” che si imprime nella testa e non lo si riesce più a rimuovere alimentando la nostra sete di adrenalina. Si prosegue sulla stessa linea anche con la pomposa “Burn Liver Burn”, song che continua a mettere in luce le buone qualità del combo finnico che pur non andando a cercare chissà quali raffinati suoni, ha il merito di produrre brani accattivanti, combinando costantemente ritmiche black assai ariose e sinfoniche intervallate con intermezzi ambient (vedi la title-track). “In the Depts of Oblivion” le vocals, in versione più screaming, urlano su un tappeto black sinfonico di reminiscenza primi Dimmu Borgir, che va via salendo di intensità nel corso del brano fino all’epilogo tastieristico. “Equilibrance”, sesta traccia di questo intelligente lavoro, è una suite lunga quasi dodici minuti, che ancora una volta apre con tetre melodie per poi lanciarsi in un mid-tempo che tocca il suo apice in un bridge posto a metà brano, con melodie colme di malinconia che decisamente mi hanno riportato ai primi lavori di My Dying Bride e Anathema, quindi senza alcun dubbio positivo. La conclusiva”Observations of Cremation” è una song che funge da outro ad una release senz’altro positiva che mi ha permesso oggi di scoprire una nuova (l’ennesima) realtà proveniente da una nazione unica, la Finlandia! Benvenuti Wraithmaze! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75

mercoledì 16 marzo 2011

Helheim - Asgards Fall


Che bella sorpresa! Voi non avete idea di che cosa abbia provato dopo aver infilato questo mcd di 6 pezzi nel mio impianto stereo, un intelligente mix tra viking e black metal. Lasciate perdere i precedenti vuoti lavori della band norvegese, finalmente H'grimnir e soci (qui aiutato anche da Hoest, vocalist dei Taake) hanno colto nel segno, facendo un bel passo in avanti rispetto al precedente album “Kaoskult”. Fin dall’iniziale “Asgards Fall I”, il quartetto di Bergen ci propone il proprio personalissimo ed evocativo sound, fatto di sfuriate black da contraltare a passaggi folk in cui fanno la comparsa tipici strumenti della cultura nordica, decisamente suggestivi e più volte usati in passato anche da Quorthon, nella versione più epica dei suoi Bathory. La seconda traccia è un breve intermezzo che ci introduce ad “Asgards Fall II”, mid-tempo di ben 12 minuti che ci consegna degli Helheim rinnovati (e a questo punto non vedo l’ora di ascoltare anche l’imminente full lenght): l’epicità si fa ancora più forte ed echi di “Hammerheart” dei già citati Bathory si mischiano al sound degli esordi degli Einherjer, miscelando il tutto con gli Enslaved più folkish del periodo “Below the Lights”. Mi sembra quasi di essere stato catapultato nel Valhalla, con gli Helheim che narrano le gesta incredibili dei guerrieri descritti dalla mitologia norvegese, proponendo il tutto con suoni estremamente melodici (bestemmia!!!) ma evocativi, esaltanti e che si imprimono facilmente nelle nostre teste con dei motivetti orecchiabili (ah seconda bestemmia!!!); ma dopo tutto che male c’è, cerchiamo di ampliare un po’ di più i nostri confini mentali e goderci quanto di buono il panorama estremo ha da proporci. Tuoni minacciosi chiudono il brano e la trilogia iniziale e ci aprono le porte alla seconda parte del cd, introdotta dallo scacciapensieri di “Helheim VII”. E via si riparte con il black di “Dualitet Og Ulver”, cavalcata che ricorda il riffing glaciale ma efficace dei mai troppo compianti Windir fino a chiudere questa sorprendente release con “Jernskogen”, rifacimento (abbastanza inutile) di una song già proposta nell’album “Blod & Ild”, vero e proprio capolavoro della band scandinava. Se il buon giorno si vede dal mattino, le mie mani si stanno già sfregando in attesa di ascoltare “Heiðenðomr ok Motgangr”, che probabilmente potrà rappresentare il vero e proprio trampolino di lancio per una band che non è mai stata troppo presa in considerazione nel panorama black internazionale. Le buone premesse ci sono tutte, ora vogliamo i fatti! (Francesco Scarci)

(Karisma Records/Dark Essence)
Voto: 80

martedì 15 marzo 2011

Raventale - After


Come back discografico per Mr Astaroth, leader della one man band ucraina Raventale, che a poco più di un anno e mezzo dal precedente “Mortal Aspirations”, torna col suo black doom atmosferico. Se tanto avevo apprezzato la precedente release, con “After” mi sembra che il talentuoso polistrumentista abbia fatto un leggero passo indietro, proponendo sonorità molto più derivative che in passato. L’album si apre con “Gone”, dieci minuti di un doom soffocante, cadenzato e desolante, in cui la voce del nostro eroe si conferma sofferente e disperata, senza tuttavia mai travalicare in uno screaming blackish. Il sound continua ad avere come punti di riferimento i grandi maestri del genere (quelli degli esordi però), Anathema e My Dying Bride, mostrando ritmiche permeate di un pathos e di una drammaticità, oramai vero marchio di fabbrica per l’artista di Kiev. Passaggi ambient si accavallano a frangenti acustici, in cui le sole emozioni ad emergere non possono che essere quelle di un’autunnale malinconia. Finalmente, il cd inizia a prender quota e posso riconoscere le qualità dei Raventale, che nella breve (per i loro consueti standard) title track torna a mostrare anche quella cattiveria palesata nei precedenti lavori, pur mantenendo comunque quell’alone mistico di sempre. Passano i minuti ed è il turno della strumentale “Youth”, altri 5 minuti di gelidi paesaggi tipici della steppa, in cui ancora una volta, si incuneano ritmiche che richiamano alla memoria gli Anathema di “The Silent Enigma”. Ben venga quindi in questo caso l’essere derivativi, anche se gli originali rimangono irraggiungibili, anche perché il limite del buon Astaroth, è quello di essere talvolta un po’ troppo ripetitivo nei suoi giri di chitarra. Siamo quasi alla conclusione del cd ed è il turno di “Flames”, song più orientata verso il black nordico piuttosto che capace di continuare a percorrere la strada del funeral doom ascoltato fino ad ora: un po’ Immortal (quelli più epici), un po’ Burzum (quello più melodico) e un po’ Dimmu Borgir (quelli meno sperimentali), i Raventale spingono il loro sound verso la Norvegia. C’è da dire però che questa traccia non è altro che una ri-registrazione di “Shredding the Skies by Fire”, brano presente nel debutto “Means on a Crystal Field”. Quando pensavo che ormai il cd si fosse concluso dopo la quarta traccia, fa capolino una bonus track di 7 minuti, che alla fine risulterà anche essere la mia traccia preferita del disco, sicuramente la più varia, anche se i fantasmi di Burzum e Satyricon emergono ancora una volta, in una song che fa del minimalismo il suo credo. D’altro canto lo dicevo in apertura di recensione, questo “After” è decisamente l’album più derivativo del nostro amico Astaroth, tuttavia potrei continuare con un bel “chi se ne frega”, se dopo tutto la musica che salta fuori dalle tracce di questo cd, si lascia ascoltare piacevolmente continuando a trasmetterci oscure gelide emozioni; vorrà dire che passeremo sopra anche questo peccato veniale… (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 75

Kraaker - Musikk Fra Vettenes Dom


Quando leggo nei flyer informativi Norvegia ed experimental black, non so perché ma un fremito mi percorre la schiena, tanta è la curiosità e il desiderio irrefrenabile di ascoltare qualcosa di davvero sorprendente in questa noiosa estate. Ahimè già dalle prime note di questa release, la mia eccitazione viene subito estinta dalla dabbenaggine della proposta musicale dei nostri. Non si può prendere per i fondelli i fans (tanto meno chi scrive le recensioni), spacciando qualcosa per ciò che realmente non è: eh si perché il nostro duo norvegese non fa altro che proporre un concentrato di black old school, con qualche piccola variazione al tema, ma alla fine gli ingredienti della scuola scandinava ci sono tutti: riffing mitragliato zanzaroso, vocals belluine, suoni glaciali e qualche rallentamento presagio della comparsa di qualcosa di realmente sperimentale che possa comparire da un momento all’altro, ma che ben presto, ho inteso, non arriverà mai. I nostri musicisti erranti, al pari di corvi oscuri (questa l’autocitazione di questi strani individui), non producono assolutamente nulla di interessante, nuovo o tanto meno sperimentale, ma solo un black thrash inconcludente che rende quest’estate tra le più noiosi di sempre… (Francesco Scarci)

(Final Earthbeat Prod)
Voto: 55

Folge Dem Wind - Inhale the Sacred Poison


Ormai bisogna ammetterlo, la Francia è diventata una fucina di talentuose band black metal; inutile negare l’evidenza, ma Deathspell Omega, Blut Aus Nord, Alcest, Pensees Nocturne, Les Discrets (e mille altre) arrivano tutte dalla nazione dei tanto odiati cugini e anche oggi mi devo arrendere davanti alla palese superiorità di questi Folge Dem Wind e andarli ad annoverare tra le più talentuose band d’oltralpe. Fatta questa larga premessa, posso anche dire che seguo il quintetto proveniente dalla sconosciuta Montgeron, fin dal loro Ep d’esordio, “Hail the Pagan Age”, e già d’allora la band mi aveva colpito per il sound oscuro e malefico, che si delineò più marcatamente nella prima ufficiale release, ma che a mio avviso, solo con questo notevole “Inhale the Sacred Poison” sfiora apici di genialità. E lo fa fin da subito con la malatissima title track che a cavallo tra sonorità black, avantgarde e suggestioni psicotiche, ci getta in un turbine di malsana follia con i suoi 7 minuti e passa. Con la successiva “…Of Blood and Ether”, la musica dei nostri, pur palesando le nerissime radici black, ci porta a spasso attraverso territori difficilmente esplorati da gruppi black. Certo non siamo di fronte alla schizoide proposta dei norvegesi Fleurety o alla dirompente classe dei già citati Deathspell Omega, ma sinceramente certe scelte armoniche, alcune dissonanze ritmiche, la costante presenza di melmose atmosfere (ascoltatevi “Behind the Grey Veil”) e la ricerca di frammenti intimistici, non fanno che confermare le enormi potenzialità dei nostri. La terza traccia l’abbiamo già menzionata ma vorrei citarvi il meraviglioso prologo che con la musica metal ha da sicuro ben poco da spartire (chi ha citato Jazz?) e proprio in questo sta il punto vincente dei Folge Dem Wind: attaccarci selvaggiamente con i loro spietatissimi riffs di chiara matrice black nordica e poi nell’incedere aggrovigliante delle song, saperci condurre in oscuri meandri della loro malatissima mente, complici anche le vocals strazianti di Kilvaras. Voglio farvi una ulteriore premessa: “Inhale the Sacred Poison” non è un lavoro di immediata assimilazione, servono decisamente diversi ascolti per poterlo assimilare e poterlo certamente apprezzare, ma quando vi sarà entrato nelle orecchie, sarà veramente difficile farne a meno, perché ha quel quid, quella caratteristica che solo le grandi band capaci di osare l’inosabile, in grado di creare qualcosa di duraturo e sono stra convinto che i nostri abbiano queste caratteristiche. Eccezionale “…Of Reptilian Fires”, song che in sé, racchiude tutta la raffinata ricercatezza di brutalità e sperimentazione, nonché della ineffabile semplicità nel gestire lunghi pezzi con estrema disinvoltura. Il disco gira che è un piacere tra stralunate linee di chitarra, urla disumane, inserti post metal, frammenti impazziti di jazz, facendo la gioia di chi come me, è alla costante e frenetica ricerca di sonorità fuori dal comune e quelle proposte dai Folge Dem Wind, di sicuro racchiudono qualcosa di magico, esoterico, onirico e profondamente malvagio. Seducenti! (Francesco Scarci)

(Code 666)
Voto: 75

lunedì 14 marzo 2011

Hierophant - Hierophant


Periodo florido questo per la scena italiana: dopo il post hardcore degli Amia Venera Landscape, il post metal dei A Cold Dead Body, il cyber metal degli Aneurysm o il death grooveggiante dei Mothercore, ecco approdare sulla scena un'altra interessante realtà, quella dei temibili Hierophant. L'album omonimo della band di Ravenna è un concentrato corrosivo di musica brutale che cammina su binari paralleli, (e che sia ben chiaro, mai si incontreranno), di black metal e hardcore, quest'ultimo tra l'altro, di quello più intransigente e selvaggio. Le nove feroci saette qui contenute, creano una miscela sonora corrosiva, soffocante e insalubre, che difficilmente potrà dare ossigeno ai vostri polmoni: 35 minuti al termine dei quali vi sembrerà di impazzire, schiacciati dall'insanità di cui è pregno questo cd. Già partendo dalla prima traccia, è possibile scorgere che nel DNA dei nostri è racchiuso qualcosa di malato, angosciante e psicotico, che ben presto prenderà il sopravvento. È lento ma assai minaccioso il suo incedere, pronto per esplodere nella seconda "I Am I, You, Nobody", tre minuti di musica lacerante e opprimente che propone malefici suoni black sorretti da strazianti urla, tipiche del movimento hardcore old school in pieno stile Integrity. E proprio il vocalist Dwid Van Hellion della band di Cleveland, compare in veste di ospite nella terza rasoiata, "As Kalki", che inizia all'arma bianca, all'insegna di un crust punk oltranzista per poi virare verso sonorità più ragionate. Lo stesso dicasi per la successiva "Mother Tiamat", song dall'aura decisamente sinistra che, senza mai pestare particolarmente sull'acceleratore, ha il pregio di captare la nostra attenzione su suoni che potremo immaginare come un inconcepibile mix tra Isis ed Enslaved. Non so, forse sto scrivendo cazzate, ma vi garantisco che non è affatto semplice caratterizzare il sound degli Hierophant, per quanto potrebbe essere facile e diretto fin dal primo ascolto. Ma è questo in realtà quello che mi frega e disorienta, perché ad un ascolto molto superficiale, l'idea che potremo farci di questo sorprendente ensemble, sarebbe totalmente sbagliata e finirei per etichettarlo come un classico hardcore, ma sta qui l’errore e la necessità di approfondire meglio l’ascolto di questa release e scavare a fondo nella psiche di questi ragazzi, sicuramente innamorati delle sonorità ancestrali punk/hardcore, ma di sicuro anche fortemente influenzati dalle devastanti e violente sonorità black metal di Darkthrone, Mayhem di primi anni ’90, in un inedito viaggio all’interno del diabolico mondo della musica estrema. Plauso per la finale “Hermetic Sermon Pt.3”, song che mostra l’amore viscerale dei nostri per Neurosis e compagnia. Vetriolo allo stato puro, ferali! (Francesco Scarci)

(Demons Runamok Entertainment)
Voto: 75

domenica 13 marzo 2011

Sonic Reign - Raw Dark Pure


Vengono dalla Germania, sono un duo e suonano un black metal dalle fosche tinte raw-depressive. I Sonic Reign esordiscono sulla lunga distanza, con un lavoro di difficile impatto, poiché il sound proposto dai nostri, richiama quel suono “moderno” degli ultimi Satyricon, miscelato alla ruvidezza dei Darkthrone di “The Cult is Alive”. Chitarre graffianti, ritmiche sincopate e vocalizzi malefici non possono che rievocare anche “Volcano” di Satyr e compagni. Rari fraseggi melodici, caliginose atmosfere autunnali, parti acustiche e schegge black old school, rendono “Raw Dark Pure” un prodotto caldamente consigliato a chi ama questo genere di sonorità, così glaciali e avulse ad ogni tipo d’influenza avanguardistica, in stile Arcturus. Il debut della band teutonica però non fa certo gridare al miracolo, perchè dischi del genere ne sono ormai usciti a tonnellate negli ultimi anni. Tuttavia, la band cerca di ritagliarsi un proprio definito sound, grazie ad un doppio uso delle vocals, screaming ed effettate, ma anche grazie a qualche soluzione assai rara nel black, gli assoli. La cosa che più mi stupisce è poi la scelta della casa discografica, la Metal Blade, che negli ultimi tempi aveva esclusivamente puntato, su band metalcore. Gelida la cover del cd in pieno Darkthrone style; con un po’ di lavoro in più, i Sonic Reign potrebbero essere la sorpresa del futuro... (Francesco Scarci)

(Metal Blade)
Voto: 65

Nine - It’s Your Funeral


Anche la Spinefarm ci si mette col produrre band di questo tipo? Avevo apprezzato l’etichetta finlandese per la sua coerenza di fondo nel produrre essenzialmente band provenienti dalla Finlandia e che suonassero black, death o power. Ora, con gli svedesi Nine, si passa addirittura ad una band che suona hardcore dalle influenze punk. Se dovessi citare di primo acchito una band di riferimento, penserei agli Entombed di “Uprising”, ma poi il lavoro evolve in modo strano: il cd comunque parte forte, aggressivo, con le ruvide vocals di Johan Lindqvist a dominare la scena. La terza traccia è già più tranquilla, con una piacevole melodia di chitarra, che ricama in sottofondo, inusuali giri per tale genere. Un peccato che la produzione penalizzi il suono dei vari strumenti, per porre in evidenza, a me pare, la sola voce di Johan. Le successive songs perdono un po’ della cattiveria iniziale e il cd si avvia stancamente verso una conclusione, forse troppo affrettata, in cui la band di Linkoping, sembra suonare in pieno stile Foo Fighters, ma con vocals al vetriolo. Decisione opinabile la loro, che tuttavia rende difficile anche per il sottoscritto, riuscire a dare una valutazione del tutto chiara, del disco. Mi verrebbe da definire il sound dei nostri come “post grungecore”, voi dategli un ascolto, magari potrà anche piacervi... (Francesco Scarci)

(Spinefarm)
Voto: 55