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giovedì 1 febbraio 2018

Deconstructing Sequence - Cosmic Progression - An Agonizing Journey Through Oddities of Space

#PER CHI AMA: Experimental Black/Death, Dodheimsgard, Akercocke
Deconstructing Sequence atto III: dopo le recensioni dei due EP da parte dei miei colleghi, tocca oggi al sottoscritto prendersi carico dell'ascolto del debutto sulla lunga distanza della band polacca e dirvi cosa ne penso. Iniziamo col dire che il concept astronomico/fantascientifico cominciato in 'Year One', prosegue anche in questo 'Cosmic Progression - An Agonizing Journey Through Oddities of Space'. Dicasi altrettanto della proposta musicale del quartetto che prosegue in territori estremi sperimentali che si muovono dal black/death dinamitardo della opening track, "Lifeforce Awakens", a sentori progressivi o addirittura elettronici. Ma andiamo con ordine e lasciamoci travolgere dalla tempesta solare dell'opener, in cui la matrice di fondo è decisamente estrema, ma il cui impetuoso incedere viene spezzato da break di sintetizzatori, voci campionate, tappeti elettro-sinfonici e in generale da un cataclisma sonico piuttosto complicato da decifrare, che potrebbe chiamare in causa i Solefald più folgorati, gli Aborym di 'Dirty' oppure i Dodheimsgard. Le partiture industrial orchestrali, abbinate a scheggie dal vago sapore grind, irrompono nella folle “V4641 Sgr”, una song difficile da inquadrare e probabilmente anche da digerire, complice un drumming in hyper blast-beat , dotata di un suono non del tutto naturale. Le melodie non sono affatto male, ma sembra che la band abbia voluto strafare, facendosi prendere talvolta un po' troppo la mano. Sia chiaro, le idee ci sono, anche piuttosto originali, che nei turbinii cervellotici del pezzo, evidenziano una certa influenza anche da parte della corrente estrema britannica, guidata da Mithras e Akercocke. Tuttavia, non si può neppure pensare che sparare una selva di riff ubriacanti uniti ad una batteria che sembra suonare in modo troppo artificiale, possa sortire degli effetti miracolosi. Ci vuole equilibrio. E forse in "Memories of the Sun, Memories of the Earth", la band sembra aver capito la lezione e si muova con maggior cognizione di causa. Il rischio di bruciarsi con una proposta simile è infatti assai elevato, il caos supremo non giova decisamente a nessuno. Il quartetto polacco però se ne fotte di schemi, generi ed etichette, va dritto al sodo, sciorinando ritmiche destrutturate, assalti sonori simili ad una forma di terrorismo sonoro da denuncia alle Nazioni Unite, growling e harsh vocals, synth bizzarri e chi più ne ha più ne metta, in una song tanto interessante quanto estremamente pericolosa ("My Way to the Stars"). "Dark Matter" ha un approccio iniziale più votato al death metal per poi evolvere verso un black freddo, ma dal taglio comunque moderno, che ha il pregio o il difetto (questo decidetelo voi) di cambiare il suo umore un centinaio di volte. "Luminous (In the Process of Merging)" ha un attacco corale, con la traccia che si muove su un mid-tempo sorretto da un lavoro esagerato di gran cassa e da un riffing tagliente. Man mano che si va avanti, i pezzi si fanno ancor più sperimentali e cinematici, corredati da arrangiamenti bombastici e da una linearità ritmica simile ad una sinusoide. "Heading to the Virgo Constellation", nella sua architettura death orchestrale, mi ha ricordato un che degli ultimi Septicflesh, in chiave ultra vitaminizzata però. Un piccolo break a inizio brano in "Supernova (The Battle for Matter Begins)" serve quanto basta per prendere un po' di fiato prima della pirotecnica conclusione dell'album. I nostri infatti si lanciano con il solito roboante attacco ai sensi, guidato da un riffing furioso di scuola death americana, voci digitalizzate, campionamenti vari, un cibernetico frangente atmosferico in un bordello sonoro non indifferente. A "Run Starchild... You Are Free Now!" l'arduo compito di chiudere il cd con onore, in un trionfale quanto devastante pezzo strumentale che decreta la follia cosmica dei Deconstructing Sequence. (Francesco Scarci)

(Via Nocturna - 2018)
Voto: 75

https://dsprogart.bandcamp.com/

mercoledì 8 ottobre 2014

Deconstructing Sequence - Access Code

#PER CHI AMA: Progressive Death-metal, Avantgarde, Industrial
Due tracce da circa 8 minuti ciascuna. Un artwork da fantascienza vintage, con una gigantesca nave squadrata che incombe sul pianeta Terra, su un cielo rosso sangue. Una strumentazione (chitarra, basso e batteria, ma anche synth e programming) che promette grandi cose e una produzione di prima classe. Non da ultimo, l’esperienza di un precedente EP ('Year One', 2013) e gli anni di militanza nei polacchi Northwail. L’opera si apre con la celebre frase “My god: it’s full of stars…” da '2001: Odissea nello Spazio'. È il primo verso di molti, lungo tutto il lavoro, a raccontare un concept: la metafora del viaggio nella gelida desolazione dell’universo come viaggio nella disperazione interiore. Le coordinate musicali dei Deconstructing Sequence, invece, sono più complicate da tracciare: ci sono elementi degli Arcturus più sperimentali, degli Emperor, di Ayreon, persino dei Gojira. Ma è tutto modellato in un’ottica talmente personale che il risultato supera la semplice somma algebrica delle parti. “A Habitable World is Found” mette subito tonnellate di carne al fuoco: c’è il riffing prog intelligente e furioso (ascoltate la splendida intro), ci sono le cavalcate death di doppia cassa e blast beat, le aperture sinfoniche di synth, gli inquietanti arpeggi di chitarra pulita, la decostruzione ritmica del math metal e persino un accenno di industrial in alcuni passaggi più elettronici. La seguente “We Have The Access Code” apre con un piccolo capolavoro di batteria, che sfocia con rabbia in una canzone veloce, oscura e violenta. Mentre i testi raccontano di una nave persa nello spazio che l’equipaggio, disperato, continua a pilotare verso il nulla, la canzone implode in sé stessa, diventando un lento e melanconico respiro dell’universo; salvo poi tornare ad evolvere in un prog-death da antologia fino all’esplosivo finale. Le voci contribuiscono a dare colore e personalità alle diverse parti del brano: growl e harsh da un parte, spoken-words con effetto radio dall’altro, piccoli e misuratissimi gli accenni melodici. L’impressione – resa splendidamente – è quella di un continuo e disperato dialogo tra la terra e la nave, o tra la nave e lo spazio stesso. Tanta personalità creativa e un tale livello di forza narrativa di musica e testi sono davvero rare in una band emergente. Resta da vedere se, alla prova del primo full-lenght, sapranno mantenere le ottime premesse di questo piccolo gioiello del metal contemporaneo. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2014)
Voto: 80

lunedì 9 settembre 2013

Deconstructing Sequence - Year One

#PER CHI AMA: Extreme Progressive Death, Solefald, Arcturus
Si affacciano sulla piazza volti verso un pubblico dal palato recettivo per sonorità non certo lineari questi Deconstructing Sequence. Risparmiamoci pure eventuali arrovellamenti neuronali alla ricerca di trovare similitudini e fonti di inspirazione varie (sport amatissimo dai recensori... ma che dico, da chiunque ascolti la nostra musica preferita!): infatti basti dare un’occhiata veloce alla loro pagina FB per ritrovarvi nomi noti dell’ambito extreme a trecentosessanta gradi, quali Emperor, Nile, Akercocke, Arcturus e avanti così, ai quali mi permetto di aggiungere qualcosa dei Solefald. EP intenso, composto da tre pezzi di durata importante (tra i 7 e gli 8 minuti abbondanti) e artwork omaggio al film “Another Earth” (veri e propri fotogrammi della pellicola). Che dire, i ragazzi, che si definiscono alfieri di extreme progressive art, ci danno dentro: suoni molto moderni, siderali in diversi passaggi, che trasmettono senza troppa fatica l’idea di un viaggio a bordo di immense navi spaziali, attraversando il cosmo alla ricerca di una nuova realtà. Ritmiche rocciose ben disposte ad accelerazioni mai fuori luogo, intrecciate con chitarre zanzarose, momenti più tecnici affatto ruffiani (anzi, al limite del calustrofobico) inframmezzati da aperture sparate e campionature in alcuni casi al limite del cinematografico (ovviamente fantascientifico), con vocioni digitalizzati a descriverci i misteri di supermassive blackholes e via discorrendo. Insomma, di carne al fuoco ne hanno messa molta questi ragazzi ed il desiderio di chi scrive è che l’EP sia seguito a breve da un full-lenght che non perda nulla di quanto ascoltato fin qui, semmai arricchito da qualcosa in più, concretizzabile mediante un numero maggiore di tracce. Unica nota stonata è rappresentata dal terzo e conclusivo brano del dischetto, che francamente sembra esser sbucato dal nulla, completamente estraneo alla gran prova fin qui sostenuta dai Nostri, quasi come un riempitivo, un tappabuchi dal minutaggio corposo, che lascia l’amaro in bocca dopo le ottime aspettative maturate durante l’ascolto dei primi due pezzi e motivo del voto non brillante, sicuramente penalizzato da questo elemento. Peccato, ragione in più per attendere un eventuale album a venire. (Filippo Zanotti)