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sabato 6 febbraio 2016

Lambs - Betrayed From Birth

#PER CHI AMA: Sludge/Post Black, Converge
Una manciata di minuti (13 per l'esattezza) bastano ai romagnoli Lambs, uno degli ultimi acquisti in casa Drown Within Records, per dimostrare di che pasta sono fatti. Tre pezzi, "Fear is Your Key", "You Will Follow Me Down" e "And Your Time Will Be Collapsed", per mostrare la bontà di una proposta che racchiude in sè un suono che combina il post hardcore moderno, quello decadente e malinconico, con le oscure tenebre del post black alla Altar of Plagues. Il cd irrompe con un riffing che sembra quasi di "katatonica" memoria (era 'Brave Murder Day'), che lascia subito spazio ad un approccio più votato a psichedelia e crust punk, contrappuntato da ritmiche serrate che sconfinano nel post black e a sperimentalismi di natura francese (Blut Aus Nord e Deathspell Omega), con uno screaming efferato a condire il tutto. Non mancheranno anche vertiginosi rallentamenti al limite del doom a rendere il contesto ancor più accattivante. La seconda traccia ha un mood punkeggiante, lanciandoci a razzo con una bella cavalcata selvaggia, interrotta da un muro su cui forte è il rischio di sfracellarsi. Rallentamenti in stile Converge infatti, sono in grado di garantire alla song un interessante effetto onda, tra frustate hardcore e melmose decelerazioni sludge. Il ritmo infernale viene mantenuto anche nel terzo brano, in cui l'andatura si fa ancor più schizofrenica e in cui probabilmente, la band palesa anche la maggior maturità compositiva, e una certa abilità nel muoversi sia in territori tirati che in quelli più ragionati, cervellotici e anche intimistici, in cui la componente melodica si fa maggiormente apprezzare. 'Betrayed From Birth" è di sicuro un buon biglietto da visita, ora mi piacerebbe gustarmi un prodotto più organico e strutturato che segua questo trend. (Francesco Scarci)

giovedì 4 febbraio 2016

Slowrun - Resonance

#PER CHI AMA: Rock atmosferico/Ambient
Se avete paura di sostare nel purgatorio delle anime, deviate il vostro ascolto a musiche più convenzionali e scontate. Diversamente, rimanete con me armando le vostre mani. L’una, d’una fiaccola accesa di fuoco e di benzina. L’altra, di speranze malinconiche e rabbiose che attendono quel gancio alla vita che ha il sapore del sangue già versato e pronto ad essere ancora messo in gioco. Benvenuti nel deserto di velluto degli Slowrun. Faremo diversamente stasera. Io per ogni traccia, anziché dire, chiederò, e voi ascoltando, replicherete a voi stessi, certo, non a me. Giochiamo. I dadi li metto a giro. La posta è alta solo se giocherete al mio gioco. Il nostro casinò lo inaugura “Ascent”. La traccia non è musica, ma stridere strumentale ferroso di maglie dissonanti e troppo vicine, rugginose e stanche. Perché non assecondate i suoni, il silenzio, la malinconia perdendo senso e sapore del giorno? Cosa cerchi? Cosa vuoi? O forse cosa vorresti che non hai il coraggio di chiedere? Ecco “Blinding Light”: la song dei quattro finlandesi ha l’arroganza pudica che tu non avresti. È deciso, è stellato nelle punte callose della chitarra, è immaginoso e concreto. Da e toglie. Toglie e da. Poi termina con un riff che trasla in un altro giro sgranato di corde. Ecco un’altra domanda. Cosa vuoi essere? Non c’era nulla prima. C’era una soffitta polverosa. Eri solo. Poi. Hai alzato il volume. Vita ed incanto. Rabbia e pace. “Remember”. Ascoltate. Come se non ci fosse stato il tempo. Questa “Fragments” accarezza gli estimatori d’anime nel vento. Scioglie i pensieri di chi sa scordare la propria anima alla fine del giorno. Come vi fa vibrare questa traccia? E ora “Introspection”. Si ripete la ritmica. La song cerca l’ipnosi dei sensi. Accarezza per accarezzarsi. È culla al cullarsi. E voi? Quando è stato l’ultima volta che avete cullato un pensiero? Torno. State comodi. Torno al vostro antro ambient maliconico ed oscuro. Ai chiaroscuri dell’anima, al sorseggiare vino rosso da calici medievali. Si. Torno con “First Hour”. Per questo pezzo ho solo una domanda : “cosa provate la notte svegliandovi avvolti da buio e silenzio ed ombre?” Siamo alla settima traccia. “The Way”. Il titolo della song è curativo. Scevro da domande. Impossibile alla gogna. Lasciatemi dire che il chiedere non è che il dire. Lasciatemi dire che la musica è parole anche se strumentale. Lasciatemi dire che l’ispirazione provata è proporzionale alla qualità dell’ascolto, così vi invito nella grotta degli Slowrun. Vi perdere, ma solo se vorrete. Tra domande e torce avrete le vostre risposte. Buon ascolto. (Silvia Comencini)

(Dunk! Records - 2015)
Voto: 75

Sailing to Nowhere - To the Unknown

#PER CHI AMA: Power/Hard Rock
Un marinaresco monologo di violino accompagna il corso di un veliero nell'infinità dell'oceano. Le placide onde marine cominciano ad infrangersi con crescente intensità sullo scafo: sarà una notte burrascosa. Con la tempesta sopraggiungono anche i pirateschi riff di Andrea Lanzillo, chitarrista e songwriter dell gruppo, che ci introducono nel brano opener “No Dreams in My Night”. Questi 7 minuti di “notte senza sogni”, mettono subito in mostra qualità e peculiarità dei romani Sailing To Nowhere: l'aggressività conferita dall'ottimo lavoro di Lanzillo alla sei-corde e dalle cavalcate in doppia cassa di Giovanni Noè, arriva sempre a sfociare in chorus fortemente melodici, anche se spesso questi energici sprazzi di potenza vengono fin troppo sovrastati. L'impianto melodico della band rappresenta infatti (da buoni italiani), la sua caratteristica dominante, con le linee vocali di Veronica Bultrini e Marco Palazzi (rigorosamente in pulito) e cori quasi epici che rimangono fissi in testa all'ascoltatore fino alla fine dell'album. Brano che incarna alla perfezione tutto ciò è sicuramente la seconda traccia, "Big Fire", che possiede senza dubbio i chorus più orecchiabili del disco, insieme alla semi-ballad "Lovers On Planet Earth", sempre sostenuti da un sound azzeccato che riesce a metterli in risalto nella giusta misura. Molto pregevoli anche le parti di tastiere: suoni semplici ma assai azzeccati e, soprattutto, gli viene conferito il giusto spazio: non vengono limitate solamente ad “accompagnamento”, ma in diverse occasioni si fanno largo nel sound ed emergono con dei buoni passaggi strumentali (vedi per esempio nell'opener track). Questo senza comunque mai esagerare e sfociare nella monotonia, come spesso accade in questo genere, per quegli onnipresenti tappeti di archi, che, se eccessivi, portano alla noia e di conseguenza non vengono valorizzati. Fila spedita invece (dopo che le atmosfere si erano smorzate con la più lenta "Strange Dimension"), l'omonima traccia "Sailing to Nowhere", la quale sembra rappresentare lo spirito dei sei navigatori, compagni in questo viaggio senza meta, che incontra riff potenti e un drumming incalzante dall'inizio alla fine. Come ultima song, troviamo inaspettatamente una cover di una canzone pop, ovvero “Left Outside Alone” di Anastacia, riarrangiata però in chiave metal, o meglio, in chiave Sailing To Nowhere. Come da loro stessi affermato infatti, seppure si tratti di un brano che non c'entra con l'album, fa parte in qualche modo della storia del gruppo, dato che era un brano che veniva da loro utilizzato come riscaldamento in sala prove. Si conclude dunque in questo modo il primo full-length dei Sailing To Nowhere, gruppo che negli ultimi tempi sta riscuotendo un discreto successo all'interno del panorama metal italiano, grazie soprattutto alla release di questo lavoro. I “navigatori” della capitale si sono presentati al pubblico con il loro suono melodico, non sempre apprezzato dai puristi del metallo, ma che comunque rappresenta una diffusa branchia del genere. In ogni caso l'album è ben realizzato, si percepisce che è frutto di un lavoro che ha richiesto lungo tempo e grande collaborazione fra tutti i componenti (ed anche di un'ottima produzione). La prima prova per l'ensemble romano ha mostrato di che pasta sono fatti, ma aspettiamo nuove notizie dall'oceano, per osservare come evolverà il percorso stilistico di questi marinai! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Bakerteam Records - 2015)
Voto: 75

The Fifth Alliance – Death Poems

#PER CHI AMA: Post Black/Sludge, Made Out of Babies, Red Sparrowes
Entrare lentamente e in totale stato d'animo degradato, nell'ottica di amare alla follia 'Death Poems', è una sensazione unica, violenta, disturbante quanto illuminante e liberatoria. Sentire l'urlo straziante, carico di tensione, la rabbia, la gelida cognizione della realtà, la morte che, come esprime il titolo di quest'album di debutto della band olandese, si finge affascinante per illuderci ancora una volta, mostrandosi bella in tutta la sua maestosità. Paragonarli ai Battle of Mice e unirli al suono rarefatto, catartico, primitivo degli A Storm of Light, all'estraneità mistica degli Jesu, non è sufficiente per descrivere questo cd autoprodotto dalla qualità davvero notevole. Il ruvido delle loro composizioni si tinge del feeling astratto tipico dei Red Sparowes ma con tratti nervosissimi e virate interstellari, con cataclismi umorali dai connotati doom, ottimi per un brusco ritorno alla realtà più cruda e drammatica. Considerateli sludge e vi avvicinerete ai Fall of Efrafa, pensate agli sperimentalismi black e li immaginerete seguaci dei Solstafir, vedeteli post hardcore e li troverete discepoli dei Made Out of Babies, ascoltateli alternative rock e ammirerete lo spirito selvaggio dei mitici Queen Adreena con la splendida voce femminile (la vocalist Silvia è incredibile!) dalle doti e abilità al di sopra della media, vicina proprio alle delizie della migliore Katie Jane Garside e all'immortale Julie Christmas. Gli undici minuti dell'iniziale "Your Abyss" sono l'eclissi per ogni forma di luce, senza speranza ne via d'uscita, il mondo nero e oscuro vissuto come in un abisso infernale. Questo primo lungo brano, apre l'iniziazione e segna il passo a ciò che ci si deve aspettare dalla musica del combo olandese, un contorto e psichico trattato di moderno doom acido, frammentato e suonato con l'ardore dell'hardcore più lisergico, che in tempi moderni si riassume col termine un po' anonimo di post hardcore. Un album con una personalità fortissima, soluzioni sonore nevrotiche e granitiche che portano avanti il verbo dei già citati Made Out of Babies, che lo amplificano e lo caricano di nuovi stimoli sonici, lo rivisitano e lo rivitalizzano. Siamo di fronte all'emotività fatta musica, quindi, dimenticate i tecnicismi inutili e fatevi investire da questa pioggia di lava incandescente, alla fine ne rimarrete affascinati. Album semplicemente stupendo! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 90

lunedì 1 febbraio 2016

Consciousness Removal Project - Tides of Blood Part I

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Neurosis, Tool
È la sesta proposta questa dei Consciousness Removal Project che si concretizza in 'Tides of Blood Part I'. Se vi piacciono 'Panopticon' o 'Oceanic' degli ISIS, andrete letteralmente fuori di testa per questa “Marea di Sangue”. È il caso di riflettere sul nome della band e sul titolo del disco, che sono stati pensati e collegati con maestria. Consciusness Removal Project, la rimozione dello stato di coscienza è l’obiettivo di qualsiasi meditazione e serve a staccare l’anima dal corpo terreno per sollievo al nostro spirito imprigionato in questo corpo terreno, e 'Tides of Blood' per una mezz’ora vi permetterà di provare quest'esperienza. Antti Loponen, principale compositore ed esecutore del disco, assieme all’egregio batterista Artturi Makinen, ha ideato delle maree di sangue ('Tides of Blood' appunto) che si alzano e si abbassano a tratti lentamente e a tratti per assolvere al compito di rimozione della coscienza. A parer nostro l’esperimento è largamente riuscito! In generale, il disco alterna lunghi ambienti onirici ad efferate spinte di rabbia, una dicotomia che è ereditata dal genere e che costringe l’ascoltatore ad espandere la propria percezione. La presentazione grafica è forse l’unico punto debole di quest’opera, la scelta del font sia interno che esterno e in generale l’artwork, a mio avviso, non rende giustizia ad un’opera così bella. In ogni caso per una piccola mancanza per gli occhi, le orecchie ringrazieranno e chiederanno a gran voce un altro play. Siamo di fronte ad una composizione particolare anche nella divisione delle tracce. Troviamo due nodi principali su cui gira tutto il disco, “Beyond the Line” e "Brute Force Majeure", gli unici pezzi in cui è presente la voce. Questi due mostri di suono sono incorniciati da una breve intro che dà inizio al disco come fosse un rituale ed infine troviamo un ultimo pezzo strumentale di coda, che racchiude perfettamente lo spirito della registrazione e dà un giusto commiato all’opera. Il significato dei testi, presenti all’interno del cd, è molto profondo, seppur presentino una poetica ed una terminologia molto semplice che non sempre contribuisce a conferire più suggestione alla musica. Antti dice di non avere paura ad oltrepassare la linea perché anche se in questo modo tutto ci sembra più verde, in realtà dall’altra parte, regnerà la pace eterna. Alcune immagini che ci regalano i testi sono ben riuscite, come le linee disegnate sulla sabbia del deserto che vengono lavate via dalla marea di sangue ed altre invece sono meno efficaci ma fortunatamente è la musica in sé ad essere densa di significato tanto da farci dimenticare il significato delle parole. Tolti questi piccoli appunti, il messaggio di pace che 'Tides of Blood' porta in dote nelle sue liriche ci appare chiaro e forte ed è sicuramente da elogiare. Ora però parliamo di musica. L’opera inizia con una preghiera in una lingua sconosciuta di un monaco eremita che sembra ripreso dall’interno di una grotta, la voce del santone sfuma per atterrare dolcemente sul vacuo incipit di “Beyond the Line”. Il pezzo come detto è uno dei due pilastri del disco, e si estende per più di dieci minuti di ineffabile leggerezza e truce realtà. La chitarra di Antti a volte infligge potenti sferzate di frequenze basse e oscure e a volte si allarga in splendidi arpeggi sorretti da voci lontane. La batteria di Artturi segue con molta carica emotiva l’evolversi del pezzo ed incatena con le sue ritmiche tutti gli scenari che il pezzo offre, e sono molti. Punto di forza sicuramente la performance vocale di Antti con uno screaming basso, sporco e potente in stile Aaron Turner, inoltre la scelta delle voci di accompagnamento crea un’aura religiosa e mistica che ricorda a tratti gli OM e i Tool. Dopo un poderoso finale si apre ”Brute Force Majeure”, un’altra apocalittica composizione di quasi dodici minuti che costituisce forse il pilastro più importante del disco. Il pezzo inizia con un crescendo che trasforma la canzone da esile ed eterea a potente e rabbiosa, proseguendo con sognanti intrecci di basso e chitarra dal sapore molto Toolliano fino ad arrivare ad intensi passaggi di riff distorti e di ritmiche serrate proprie dei primi ISIS. Gli ambienti onirici sono egregiamente valorizzati da dolcissime voci femminile e spaziali interventi di lap steel guitar. Anche qui è forte la componente religioso-esoterica, efficace nel dare al tutto un sapore misterioso e primordiale. Arriviamo infine a “A Thousand Hollow Words”, pezzo di chiusura del disco introdotto da una piccola traccia di suoni malati. La sensazione è quella di essere nel mezzo di una radura in un fitto bosco ed osservare gli animali che si rincorrono, le foglie che sfregano tra loro e le nuvole che fanno il loro corso. D’un tratto il tempo si rompe, le nubi scaricano pioggia e l’ambiente diventa ostile e minaccioso. Ma un senso di protezione e forza interiore permea l’intera opera, tanto da far sentire l’ascoltatore al sicuro da qualsiasi cosa possa accadere. Consiglio ai fan di ISIS, Tool, Neurosis, Rosetta e a tutti gli appassionati di post metal, l’ascolto di 'Tides of Blood Part I', sarà un dolce naufragare in questa marea di sangue. (Matteo Baldi)

(Self - 2015)
Voto: 85

domenica 31 gennaio 2016

Blot – Ilddyrking

#PER CHI AMA: Viking Pagan Folk Black Metal, 
Sulla pagina facebook di Pagan Storm Webzine, la band norvegese dei Blot era in lista per la corsa alla vittoria tra i migliori album pagan folk black metal del 2015. A ragione e in pieno merito si aggiudicano il nostro plauso per aver dato vita ad un album veramente entusiasmante, dal suono fiero e guerriero, prodotto divinamente e in totale indipendenza. Caricate quindi le vostre armi e spiegate le vele che cavalcheremo i mari a bordo di una qualche nave vichinga alla ricerca di conquista, sorretti da una colonna sonora di tutto rispetto, gelida e tagliente e dotata delle dovute diramazioni acustiche cariche di suggestioni disseminate negli angoli dei nove insidiosi e aggressivi brani ("God of War" è una gemma in tal senso). Tutti i pezzi ivi contenuti sono violenti e velenosi, velocissimi e carichi d'atmosfere bellicose, con lo screaming micidiale, cosi come la batteria e i riff di chitarra. La lunghezza dei brani è moderata e consente un ascolto molto easy dell'intero lavoro, molto impegnato ma piacevole e fluido. Attivi dal 2007 e provenienti da Kristiansand, non dovrete confonderli con l'omonima band di Oslo; i nostri dopo aver fatto uscire un EP nel 2009, si rivolgono ora al grande pubblico con un full length, ricercato e curato nei dettagli, pieno di carattere, e pronti per uscire dai sotterranei dell'immenso oceano del black metal a sfondo epico, pagano e folk alla maniera di Nordheim, Tyr, gli immancabili Bathory, Bifrost e primi Enslaved. L'anima dei Dissection è intrinseca nel DNA di questa band norvegese e la cover di "Where Dead Angels Lie", usata come bonus track in fondo al cd, ne è la dimostrazione e la conferma di quanto il loro suono paghi il tributo alla band svedese, risultando comunque, sempre originali, genuini ed interessanti. I Blot sono alla fine un'ottima band, dalla struttura saldamente legata alle origini di questo genere ma in grado di mostrare un lato più versatile e carismatico, un'alta qualità d'esecuzione e una certa padronanza tecnica, in un lavoro egregio contenente cinquantadue minuti di cristallina e gelida potenza. Immancabile l'ascolto per i guerrieri più puri del pagan metal. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 80

sabato 30 gennaio 2016

Opera IX - Back to Sepulcro

#PER CHI AMA: Occult Black
Sono passati più di vent'anni da quando vidi per la prima volta gli Opera IX dal vivo, in compagnia degli Evil, in un piccolo paese sperduto nella provincia di Verona. Da allora di cose ne sono cambiate parecchie in seno alla band, con una serie di avvicendamenti, il più clamoroso dei quali è stato quello di Cadaveria, che hanno portato ad avere oggi il solo Ossian come membro fondatore della band, con tutti i nuovi elementi che si sono uniti allo storico frontman nel 2014, tra cui la nuova e convincente vocalist Abigail Dianaria. Questo 'Back to Sepulcro' è una raccolta di vecchi brani ripresi e reinterpretati dalla nuova line-up, più un nuovo pezzo, "Consecration" che vuole dare un assaggio di quello che saranno i nostri nel futuro. Vorrei iniziare col mettere subito in guardia i fan di vecchia data della band che si può vivere tranquillamente anche senza quest'album, che rispolvera vari classici del passato, dotandoli di una nuova veste occulta. Inviterei piuttosto nuovi proseliti ad avvicinarsi agli Opera IX e assaporare la sacralità di "Sepulcro", un pezzo vecchio di 21 anni ('The Call of the Wood'), che mette in luce le eccelse qualità della nuova singer, che quasi quasi apprezzo più di Cadaveria, e di un sound che continuo a percepire anche a distanza di anni, come magico ed esoterico, e di riuscirmi ancora ad emozionare sulle note di quest'infinita traccia, guidata dalle magiloquenti tastiere di Alexandros. Fantastica e ispirata anche la più violenta "The Oak", estrapolata dalla seconda fatica della band piemontese, 'Sacro Culto'. La song mette ancora in evidenza un uso più importante delle keys e più in generale di arrangiamenti che enfatizzano e rendono più ampolloso il sound del quintetto. Con "Act I. The First Seal" ci si muove al terzo lavoro degli Opera IX, quello dell'apertura a un pubblico più vasto, 'The Black Opera': la versione 2.0 dei nostri conferma l'intenzione di Ossian e compagni di avvalersi di orchestrazioni assai bombastiche. "Maleventum", estratta dall'album omonimo, è qui graffiante come l'originale, però la voce di Abigail Dianaria le conferisce un surplus che me la fanno preferire di gran lunga alla song del 2002. Arriviamo alla nuova e etenebrosa "Consacration", che palesa delle orchestrazioni di chiara matrice Dimmu Borgir (ricordate "Progenies of the Great Apocalypse"?) anche se poi le ritmiche sono più essenziali e scarne, ma comunque di grande effetto. In definitiva 'Back to Sepulcro' è un bel biglietto da visita per gli Opera IX per assoldare nuovi adepti nella loro confraternita dedita ad esoterismo e alchimia. (Francesco Scarci)

The Pit Tips - Best of 2015

Emanuele "Norum" Marchesoni

Luca Turilli's Rhapsody - Prometheus
Hollow Haze - Memories of an Ancient Time
Arcturus - Arcturian
Amorphis - Under The Red Cloud
Nightwish - Endless Forms Most Beautiful

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Francesco Scarci

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!
Vola - Inmazes
Thy Catafalque - Sgurr
Enslaved - In Time
So Hideous - Laurestine

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Don Anelli

Marduk - Frontschwein
Omnia Malis Est - Viteliu
Hartlott - Proliferation
Disloyal - Godless
Obscure Infinity - Perpetual Descending into Nothingness

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Mauro Catena

Riley Walker – Primrose Green
Iosonouncane – Die
Algiers – S/t
Giöbia – Magnifier
Oiseaux Tempête - Ütopiya

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Samantha Pigozzo

Lindemann - Skills in Pills
Paradise Lost - The Plague Within
Oomph! - Monster
Eisbrecher - Schock
Queens of the Stone Age - Lullabies to Paralyze

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Roberto Alba

Serpent Noir - Erotomysticism
Mgła - Exercises in Futility
Sulphur Aeon - Gateway to the Antisphere
Tribulation - The Children of the Night
Lychgate - An Antidote for the Glass Pill

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Michele Montanari

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!
Elder - Lore
Torche - Restarter

Acid King - Middle of Nowhere, Center of Everywhere
WOWS - Aion

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Bob Stoner

Arcturus - Arcturian
Yukko Haii/Macchinamorbida - The Universe in Jorge Doon (split)
Monster Magnet - Cobras and Fire - The Mastermind Redux
Paradise Lost - The Within Plague
Temple of Baal - Mysterium


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Alessio Perro

Living as Ghosts With Buildings as Teeth - Rishloo
Building An Empire - Demians
Underworld - Symphony X
Fire make Thunder - OSI
Dodge & Burn - The Dead Weather

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Claudio Catena

Iron Maiden - The Book of Souls
Calibro 35 - Space
Motorhead - Bad Magic
Il Teatro degli Orrori - S/t
Symphony X - Underworld

Voltumna - Disciplina Eterna

#FOR FANS OF: Black/Death Metal, Vorkreist, Behemoth
The second full-length from Italian black/death metallers Voltumna is a rather finely-honed mix of black, death and more modern elements to create a rather intriguing landscape. Full of scorched riffing, tremolo-picked rhythms and a choppy series of drum-blasts, this is firmly-entrenched in the black/death metal mold that serves as the fine basis here for the material at hand as this tends to race between frantic, intense bursts or more charging mid-tempo vibes throughout. As that forms up the majority of the work here, that leaves this one with some rather fun, stylized moments throughout here with this one getting quite enjoyable with that series of riffing featured here, especially once it starts to adopt slightly-stylized chugging riffing found from most Metalcore bands. Though still keeping firmly within the more extreme style of the genre, this sort of riffing gets introduced mainly as a way of integrating a more down-beat tempo throughout here in exchange for the constant blasting and tremolo riff-work found elsewhere here and it doesn’t really come off all that intriguing as there’s not a whole lot of really intriguing work done to mix those into the music proper. It comes off as rather lazy and doesn’t keep the intensity of the rhythms featured elsewhere, coming off as distracting when it’s in the midst of more promising ventures throughout here. Even the symphonics here are much more promising even if they’re in brief spurts that don’t really continue on through the rest of the album at large. The other small issue present is the faint, tiny drum-sound here that’s pretty weak and not all that damaging as it tends to simply go through some rather enjoyable rhythms but is so far down in the mix the true power of the drumming is severely weakened here which holds this back somewhat. Still, the songs here aren’t all that terrible. Intro ‘Roma Delenda Est’ opens with a slow-building riff into a dynamic series of swirling rhythms and dexterous double-bass blasts as the raging tempos fly through intense, frenzied patterns with stylized tremolo riff-work that carries into razor-wire patterns in the solo section on through the finale which makes for a strong opening effort. ‘Prophecy of One Thousand Years’ offers a more melodic tremolo riff with swirling rhythms alongside the gradual influx of grandiose double-bass drumming with a fine mixture of sprawling mid-tempo rhythms and intense blasting that continually forces through the more restrained and melodic rhythms in the final half for a solid enough effort. The title track brings along a tight, lock-step styled rhythm with dexterous drumming that rips into a rather frantic series of swirling tremolo-picked riffs full of dizzying energy that continually rips through the up-tempo sections before settling on a mid-tempo chug for the finale in a rather decent-enough effort. ‘The Alchemist’ blisters through raging drum-work and a furious series of swirling tremolo riffs with the frantic patterns and straightforward pace keeping the charging tempo and dizzying rhythms throughout as the dynamic riffing continues charging through the final half for a strong overall track. Instrumental ‘Bellerofonte’ features ripping razor-wire riffing with plenty of intense rhythms alongside the gradually building drumming as the chug-heavy patterns carrying this one through the grandiose rhythms featured in the symphonic-laden finale that serves as a fine mid-album breather. Blasting back into ‘Bringer of Light’ opens with blistering double-bass drumming and tight, frantic chugging riff-work keeping the dynamic energy throughout here with the slightly more melodic sections balancing out the more furious rhythms with the dexterous patterns keeping the blasting rhythms on track throughout the final half for a grand overall highlight effort here. ‘Tages, Born from the Earth’ slowly fades into an epic series of chants against the droning riff-work and drumming that quickly becomes a solid mid-tempo groove-styled chug with pounding drumming alongside the occasional symphonic washes as the churning mid-tempo energy continues through the solo section into the admittedly-intense finale for an overall expendable track. ‘Carnal Genesis’ features a bouncy up-tempo rhythm with plenty of dirty tremolo-picked rhythms against the frantic drumming while allowing for the frantic energy found throughout the main riffing as the strong charging patterns and stuttering chug riff-work carries along through the final half for a dynamic, enjoyable effort. ‘Measure the Divine’ uses grandiose symphonic washes into a simple chugging rhythm with plenty of mid-tempo riffing and plodding drumming keeping this one moving along at a lifeless pace with the churning riffing getting held back here in place of the symphonic keys and chugging patterns that move through the finale for another disappointing and overall unneeded effort. ‘Teofagia’ goes for a grander symphonic scope as the rumbling guitars and plodding drumming settle into a fine mid-tempo charge with the furious riff-work bringing the first half into a more energetic pace as the pounding drumming coincides with the increased tremolo-riffing patterns whipping through the intense final half for a solid enough effort. Their cover of the Venom classic ‘Black Metal’ features the same kind of whirlwind energy and savage attack featured in the original while the lowered drumming patterns keep this from reaching the same classic status by going through a respectable homage that doesn’t really do anything new that others have done to the track before them. Album closer ‘Tirreno’ features a mid-tempo series of chug riffing with plenty of symphonic works alongside the raging drumming the blasts through the swirling tremolo riffing with rather frequent and charging up-tempo drumming keeping the fine rhythms alongside the disjointed melodic final half gives this a solid if rather disheartening closing shot. Overall this one was a slightly disappointing effort but still comes off rather nicely at times. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 75

https://www.facebook.com/voltumna