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sabato 5 dicembre 2015

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!

#PER CHI AMA: Dark/Post/Alternative, Cult of Luna, Klimt 1918, The Ocean
Ogni numero di magia è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata "La Promessa". L'illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino, o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, sia inalterato, normale. Ma ovviamente... è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato "La Svolta". L'illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ora voi state cercando il segreto... ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Per questo ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo "Il Prestigio". Ho voluto parafrasare le parole dell'inizio del film di Christopher Nolan, "The Prestige", in quanto lo svolgimento di questa ennesima perla dei bresciani Sunpocrisy, si muove esattamente allo stesso modo dell'illusionista. Il sestetto infatti parte con qualcosa di (apparentemente) ordinario e tranquillo che ben presto sarà in grado di strabiliarvi con tutta l'innata capacità e l'inventiva di cui sono dotati questi ragazzi, che ormai rappresentano il top in ambito post del nostro bel paese. 'Eyegasm, Hallelujah!' è il secondo mirabolante disco dei Sunpocrisy che in questa nuova release abbandonano quell'approccio più viscerale del funambolico e innovativo 'Samaroid Dioramas', per lanciarsi in un qualcosa di più meditativo che scomoderà, come vedrete, alcuni mostri sacri del panorama metal mondiale. Si parte con "Eyegasm", una song dall'attacco psichedelico che vede Jonathan Panada alle voci, alla stregua di Marco Soellner dei Klimt 1918 all'epoca di 'Dopoguerra'. Dicasi lo stesso delle atmosfere, cosi evocative e che seguono per certi versi quelle della band romana, prima che il sound esploda in un fragoroso e vibrante post dai contorni djent (Born of Osiris e Tesseract i riferimenti rintracciabili). Il raggiungimento della maturazione musicale dei mostri è ufficialmente sancita dalla sola opening track che conferma che il full length di debutto non era stato dettato da un banale colpo di fortuna. In "Eyegasm" c'è tutto quello che possiate pretendere da un pezzo: atmosfere lisergiche, montagne di groove, vocals pulite/growl, chitarroni che si inseguono e susseguono, ubriacandoci di emozioni, colori e suggestioni. Suggestioni che rimangono agganciate anche con la successiva "Mausoleum of the Almost", song incollata letteralmente alla prima, che grazie a una tempesta magnetica di basso e splendide vocals, elabora la nuova magia dei nostri. Una calma magmatica che ribolle ed esplode come quelle fontane di lava che si vedono emergere in questi giorni dal maestoso Etna. La song cresce, le chitarre squarciano l'etere con frastagliati suoni di scuola Cult of Luna che mi emozionano come da troppo tempo non accadeva. La storia continua, quel viaggio fatto di simboli e parole viene ulteriormente affrontato dai nostri. Si passa attraverso la noisy "Transmogrification" per giungere a "Eternitarian", una traccia infinita, come solo i Sunpocrisy e pochi altri sanno condurre, una song guidata dallo splendido connubio di synth e chitarre, una song che chiama in causa anche gli Anathema nelle parti più eteree. Le chitarre continuano ad affrescare l'aire di splendide note con la voce pulita di Jonathan a proprio agio anche sul tappeto post black che deflagrerà verso il sesto minuto e ci accompagna in ipnotici giri di tremolo picking, screaming corrosivi e meditative atmosfere, fino alla fine del brano. Un altro intermezzo acustico che li per li mi ha evocato nella mente i Radiohead di 'Ok Computer': sublimi tocchi di piano che preparano a "Kairos Through Aion", brano dal forte mood malinconico che si riflette in un andamento più ritmato che non tarderà a sfociare in rabbia adrenalinica di scuola The Ocean, uno dei pochi retaggi rimasti delle vecchie influenze (ravvisabile anche in "Gravis Vociferatur" e in alcune movenze in sede live), nei solchi di questo nuovo disco. Ma la traccia si conferma sorprendente verso la sua metà, ancora a voler giustificare le mie parole iniziali ossia partire da un qualcosa di normale che ben presto si trasformerà nel prestigio degli illusionisti Sunpocrisy. Anche questa volta infatti, il sound dell'act lombardo diviene nebuloso, votato quasi a uno space rock onirico, che saprà sorprendervi e illuminarvi. Di "Gravis Vociferatur" abbiamo già detto, forse la song che più avvicina la band al collettivo berlinese ma che comunque spinge i nostri verso le vette del perfetto post-metal. La tempesta stellare a cui siamo sottoposti viene smorzata da un altro splendido break centrale, affidato all'enorme lavoro delle chitarre, per cui vorrei spendere un plauso particolare a quella ispiratissima di Matteo Bonera. Detto anche di una certa originalità in fatto di titoli dei pezzi, arriviamo alla esoterica "Festive Garments" che ha qualche punto in comune col passato recente della band e che non disdegna anche qualche rimando ai Tool, non fosse altro per il growling imperioso di Jonathan e per sprazzi di un dark rock sognante, nella seconda metà. La cura maniacale nei dettagli, musicali ancorchè grafici è minuziosa e ben studiata a tavolino, cosi era lecito attendersi a conclusione del disco "Hallelujah!", con i suoi ultimi incredibili e spettrali 10 minuti. L'inizio è affidato alla celestiale elettronica di Stefano Gritti e poi via via tutti gli altri strumentisti convergono in una traccia che richiama una sorta di Novembre più orchestrali (in salsa post doom) miscelati agli *Shels. Trovo poche altre parole da spendere per i Sunpocrisy se non dire che ormai rappresentano la punta di diamante del metal nostrano che li spinge di diritto nel gotha dei maggiori esponenti del post- a livello mondiale. (Francesco Scarci)

venerdì 4 dicembre 2015

Jungbluth - Lovecult

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore/Screamo
“This one should be clear, but can’t be said too often: we strongly disagree with any pro-views on fascism, racism, nationalism, sexism, homophobia and every other form of oppression”. A volte la musica riesce a creare forti legami empatici, a prescindere dal genere musicale, se fondata su principi che ci toccano da vicino. È quanto mi è accaduto con il terzo album degli Jungbluth, terzetto HC di Münster, che prende il nome da Karl Jungbluth, comunista e antifascista tedesco, che durante la seconda guerra mondiale ha combattuto nella resistenza contro i nazisti. 'Lovecult' è, conviene dirlo subito, un piccolo capolavoro hardcore che riesce a coniugare in modo perfetto furia strumentale, inventiva e testi incompromissori. I tre ragazzi tedeschi riescono a sprigionare una potenza devastante fatta di furiose cavalcate noise, stacchi precisi e un cantato potente e viscerale. 'Lovecult' è un album a tema che, come si evince dal titolo, parla di amore ma, come è facile intuire dalle premesse, non lo fa in modo sognante e piagnone. Niente sofferenze emo da cameretta, in queste tracce, ma una lucida analisi che intende sviscerare il concetto di amore nella società odierna, che capitalizza tutto, anche le nostre emozioni, finendo per renderle dei bisogni come altri, per i quali siamo disposti a pagare. Non è necessario pagare invece per godere di questa mezz’ora scarsa di grande hardcore punk: il disco è infatti disponibile in dowload gratuito, ma se apprezzate il contenuto, e non potrete non farlo se amate il genere, allora è disponibile il vinile, anche in una splendida edizione limitata in vinile verde. Inutile menzionare le tracce migliori: sono 10 gemme che scorrono veloci e inesorabili, e una volta arrivati in fondo non potrete fare altro che ricominciare da capo. E ancora. E ancora. “Don't respect something that has no respect - Fuck nazi sympathy!" (Mauro Catena)

(Self - 2015)
Voto: 85

giovedì 3 dicembre 2015

Cosmic Church - Vigilia

#PER CHI AMA: Black, Burzum, Thy Serpent
Lo ammetto: sono rimasto tremendamente affascinato da quel losco figuro vestito di rosso, immerso nella lussureggiante foresta finlandese. Probabilmente quel misterioso uomo è Luxixul Sumering Auter (LSA), colui che si cela dietro al moniker Cosmic Church, band per cui confesso la mia infinita ignoranza e dispiacere per aver tralasciato un musicista (qui coadiuvato da S. Kalliomäki e Rauka) con ben otto tra EP e split, oltre a due full length all'attivo, dal 2006 a oggi. La cosa incredibile poi, è che nel lasso di tempo dall'uscita di 'Vigilia' a oggi (circa un mese e mezzo), il mastermind finnico abbia già rilasciato un altro split album con Blood Red Fog e Shroud of Satan. Comunque bando alle ciance, immergiamoci nell'atmosfera magica di 'Vigilia', un EP di 4 lunghi pezzi per un totale di 33 minuti, all'insegna di un black metal melodico, contrappuntato da belluine vocals e sfuriate di un serratissimo sound vestito di nero. Il factotum nordico parte con l'eterea "Vigilia I": ottima l'overture melodica, dove non tarda a comparire lo screaming burzumiano del sacerdote rosso, la cui proposta sonora si muove poi tra suoni mid-tempo e feroci galoppate, con un finale decisamente accattivante guidato da magnetici synth in sottofondo. "Vigilia II" è un pezzo di ben 12 minuti, dal piglio inizialmente più rock oriented, ma non temete perché in pochi secondi riemergerà il glaciale e tagliente sound di LSA, fatto di ritmiche funamboliche, blast beat e urla non di questo mondo. Fortunatamente lungo il brano, trovano spazio anche frangenti più atmosferici, altrimenti avrei corso il rischio di essere torturato da cotanta brutalità. Non fraintendetemi però, la tempesta elettrica scatenata dal musicista di Tampere, è sempre ben controllata e negli ultimi 4 minuti, la melodia di fondo assume dei contorni quasi magici pur rimanendo ancorato al suo estremismo sonoro. La furia esplosiva prosegue con il frastuono di "Vigilia III", che prosegue con spaventose rasoiate ritmiche in cui batteria, basso e chitarre si uniscono fragorosamente, vertiginose grida e le sporadiche melodie. Il finale è affidato a "Vigilia IV", la song relativamente più tranquilla del lotto, avvolta da un manto oscuro, più rallentato, spennellato di una certa dose di velate melodie intrise di malinconia, e complici quei timidi synth relegati sempre in background. Insomma, 'Vigilia' può essere anche per voi un ottimo modo per avvicinarsi ai Cosmic Church e approfondire ulteriormente la conoscenza della band finnica, ascoltando la vasta discografia. (Francesco Scarci)

(Kuunpalvelus - 2015)
Voto: 70 

mercoledì 2 dicembre 2015

Hard Reset – Machinery & Humanity

#PER CHI AMA: Post Grunge/Alternative Rock
La band fiorentina dopo un EP omonimo datato 2012, cerca il grande salto sostenuta dalle ali di una forte etichetta come la Sliptrick Records per esportare nel 2015 la sua musica fuori dai confini nazionali. Con i testi in inglese e una formazione a tre, gli Hard Reset mostrano la propria idea di rock in quindici titoli ben amalgamati tra loro. Coscienti di essere i figli legittimi del suono da grande arena di Foo Fighters e Placebo, i nostri portano avanti degnamente la loro visione di post grunge, anche se onestamente manca la caratteristica tensione della musica di Seattle e se devo paragonarli stilisticamente ad una band del periodo, preferisco accostarli musicalmente ai Therapy?, più easy ed orecchiabili (e che ovviamente non sono di Seattle!) . La verve è quella giusta ed il canto gioca bene le sue carte trascinando una band tra ballate rock ed escursioni più rumorose ma comunque sempre contenute ("Drawbridge"), quasi a voler sottolineare la volontà ferrea di creare musica rock valida per i passaggi radiofonici internazionali ("Beautiful Cloud" e "Tweed"). Il fatto è che ci riescono veramente e il tutto è anche accattivante, con testi anche interessanti e un lavoro completo che dimostra come si possa far rock orecchiabile con stile e cervello, mantenendo intatta la propria credibilità. Altri accostamenti che mi sento di azzardare sotto il profilo sonoro, sono quelli con gli Sparta dell'ex Jim Ward degli At the Drive-In, i Biffy Clyro ed i primi Manic Street Preachers, anche se devo ammettere che la band toscana dovrebbe essere più aggressiva in certi frangenti e puntare a suoni più rudi e d'impatto, magari prendendo spunto proprio da "When the Lights go Down" o What I Hope to Find", due brani dove il trio fiorentino osa maggiormente, raggiungendo ottimi risultati in fatto di potenza e tiro. Comunque il terzetto italiano mostra carattere e anche una certa originalità; tra i brani non ci sono lacune e l'insieme delle tracce è omogeneo e divertente da ascoltare, di facile approccio, mai banale, immediato e snello. Un album completo di buon rock moderno, certamente non da sottovalutare, insomma una bella prova! (Bob Stoner)

(Sliptrick Records - 2015)
Voto: 70

New Adventures in Lo-Fi – So Far

#PER CHI AMA: Indie Rock, Built to Spill
Finalmente, dopo un paio di EP di assoluto spessore, arriva anche l’esordio sulla lunga distanza per i torinesi New Adventures in Lo-Fi, grazie ad una coproduzione che ha visto impegnate ben tre etichette: Stop Records, Waves for the Masses e Cheap Talks. Il pezzo d’apertura, “Expectations”, una ballad delicata ma inquieta un po’ Smashing Pumkins un po’ primi Motorpsycho, è uno dei migliori pezzi che mi sia capitato di ascoltare quest’anno, e per quanto mi riguarda i NAILF hanno già vinto. E il resto del programma non delude, mantenendosi sempre su quel confine tra rabbia e malinconia che urla college rock in ogni nota, e cosí ci si trova a trovare qua e là echi di Built to Spill, Modest Mouse, ma anche R.E.M. (a cui il nome pare proprio un aperto omaggio), oltre alla cover di “Shoe-in” di Geoff Farina che è di per sé già un manifesto programmatico. I tre del resto, non avevano mai fatto segreto delle loro influenze, basta ascoltare i loro EP o 'All Mixed-Up', raccolta di cover e rarità disponibile in download gratuito, come tutto il catalogo, sulla loro pagina di bandcamp. Quello che conta, peró, non è tanto questa o quell’influenza, ma la qualità delle canzoni, sempre molto alta, grazie a un suono di assoluto spessore (e che dimostra una volta di piú che le chitarre le sappiamo registrare bene anche qui da noi) e, non da ultima, una pronuncia inglese totalmente credibile. Tra i vari brani, quasi tutti mediamente piú “rumorosi” dell’opener, meritano una citazione almeno, la lunga e epica “Klondike”, con il suo muro di distorsioni, e i saliscendi emozionali delle altre due ballate “Nobody’s Rest” e “WG's New Year's Resolutions, Circa 1942”. Un disco di ottime canzoni, che si staglia sullo sfondo della scena indie italiana alzandone, di fatto, il livello. (Mauro Catena)

(Stop Records - 2015)
Voto: 75

martedì 1 dicembre 2015

Soul Racers - Kill All Hipsters

#PER CHI AMA: Stoner/Psych, Kyuss
A conferma che la scena stoner italiana è in rapida crescita, oggi parliamo dei lombardi Soul Racers. Anzi, per la precisione il progetto è stato fortemente voluto e portato avanti da Vincenzo Morreale (voce e chitarra) che ha riunito i musicisti giusti per dare alla luce questo EP registrato all'Eleven Studio di Busto Arsizio. 'Kill All Hipsters' è un disco sincero e schietto come una grappa nostrana, forte e intenso, ma che non nasconde particolari retrogusti o profumi. Quindi tanto stoner per gente dura, dalla pelle cotta dal sole e la gola secca per le ore passate sotto il sole del deserto. Le influenze di Vincenzo sono quelle di un ragazzotto che ha passato la giovinezza tra Kyuss & co., Nebula, Orchid e affini, facendogli venire voglia di suonare quei riff mastodontici e assoli psichedelici mentre la sua voce urlava al mondo. L'EP apre con "She's Gone", una bella cavalcata stoner con tutti i crismi, veloce e con i suoni giusti. Il riff che conduce è tanto semplice quanto immediato e permette alla traccia di entrare subito nel cervello di chi ascolta e rimanervi li ad oltranza. La sezione ritmica di basso e batteria va dritta al sodo e sostiene con decisione l'intera canzone, mentre la voce matura del vocalist convince e si sposa alla perfezione con il mood sonico. Bello il break a tre quarti del brano, un giro di chitarra fuori dal genere che precede l'assolo finale con annesso raddoppio di tempo. Segue "We are Living" da cui è stato tratto l'omonimo video che vi consiglio caldamente di andarvi a vedere, vi strapperà sicuramente un sorriso e nel frattempo ascolterete questa traccia che eredita l'appeal della precedente. Questa volta la band ostenta della sana arroganza, sempre con riff stoner che puntano al groove e meno al muro di suoni, infatti il mix è sempre ben bilanciato e la canzone si lascia ascoltare senza intoppi. Il disco chiude con "Space Line", personalmente la traccia che preferisco e da cui è stato tratto il secondo video di 'Kill All Hipsters'. Un brano oscuro e da cui si percepisce anche il lato space rock dei Soul Racers, infatti la clip vede il trio milanese suonare in veste di astronauti o simili con l'intermezzo di una vecchia pellicola del secolo scorso. La traccia è più lenta delle precedenti e qui risulta molto piacevole il giro di basso che come spesso accade nel genere, riesce a prendersi una piccola parte di notorietà. Il tocco space è dato in particolare dal finale, dove la chitarra si destreggia in un assolo carico di feedback e delay a richiamare i suoni liquidi che spesso si associano a questo sottogenere del rock. La durata supera i sei minuti e avremmo apprezzato un break più deciso con annesso cambio di direzione, questo per mantenere alto il livello di attenzione per tutta la durata. Resta comunque che l'esordio della band è buono e mette in luce le doti di leader di Vincenzo che con passione porta avanti un progetto che ci auguriamo di veder crescere e arrivare all'incisione di un full length prodotto da una buona etichetta. (Michele Montanari)

(Self - 2015)
Voto: 70

lunedì 30 novembre 2015

Regnvm Animale - Et Sic in Infinitum

#PER CHI AMA: Post Black/Punk, Krallice, Radioskugga, Anti Cimex, Agalloch
Prodotto curioso e ricco di variazioni stilistiche quello degli svedesi Regnvm Animale, che con 'Et Sic in Infinitum' arrivano al debutto sulla lunga distanza. Dopo lo scoglio iniziale rappresentato dalla terribilmente old school “Maya”, già dal primo ascolto si nota il sottobosco sonoro richiamante in ampia forma crust in stile anglo-svedese miscelato al black metal. L'ascolto di tracce come “Från Bördig Jord Till Salthed” e “Osäkerhetsprincipen” evoca atmosfere epiche volte ai radiosi anni '90 scandinavi, mentre altre come “Ars Moriendi” e “Förfallet” tendono più verso recenti sonorità americane dal piglio atmosferico e melodico. Menzione particolare necessitano le ultime due tracce “Inåt” e “Grund” che vedo un po' come due bonus track, isolate dal resto dell'opera. L'approccio può certamente ricondursi all'intrinseca malinconia e rassegnazione sprigionata da alcune parti precedenti nell'opera, ma queste la rielaborano con uno stile completamente differente, la prima tendente al post-punk con voce pulita e ritmi ipnotici, la seconda al folk con tanto di banjo e chitarra acustica. Tutte le liriche sono in svedese e le tre voci, grazie ai loro differenti approcci canori, regalano dinamismo durante lo scorrere della musica, sebbene le composizioni siano alquanto semplici. La produzione è limpida e basilare, rende i suoni puliti e brillanti anche nei momenti più oscuri e truci del disco, facendo risaltare le parti acustiche e melodiche. Alla fine, il risultato di questa seconda uscita dei Regnvm Animale, è un'opera dalle molteplici sfumature, con ancora qualche incongruenza nella visione d'insieme per quanto riguardo lo stile principale da adottare, in quanto capace di attirare maggiormente i fan di derivazione del black metal moderno piuttosto che quelli del crust. Comunque interessanti. (Kent)

(Self - 2015)
Voto: 70

domenica 29 novembre 2015

Gloomy Hellium Bath - Sistema Solera

#PER CHI AMA: Crossover/Industrial, KFDM, Pigface, Fear Factory
Il trio francese dei Gloomy Hellium Bath è una band molto strana e impegnativa soprattutto per la varietà dei generi toccati e l'impossibilità di collocare la loro musica in un determinato filone musicale, non che questo sia obbligatorio per carità. Dentro questo lavoro, dal titolo 'Sistema Solera', uscito in questo 2015, vi troviamo tranquillamente la musica dei Fear Factory periodo 'Demanufacture', la follia creativa di scuola Pigface e Iwrestledabearonce, contornate da allucinazioni perverse vicine alle sperimentazioni di KFDM, Chumbawamba e Mark Stewart and the Maffia in salsa dub, punk, pop e tecno. Si salta continuamente da un suono all'altro, con muscolose digressioni hardcore/metal che convivono con aperture pop impregnate di world music e incursioni nel digitalcore che si perdono in rumori d'ambiente e sonorità varie vicine a certi Skinny Puppy d'annata, il tutto con voci da pubblicità di serie B, gorgheggi profondi, ritmi techno, death metal old school e annesse continue atmosfere sarcastico/psicotiche care ai film pulp di Tarantino. In realtà, è ben difficile capire dove comincia la musica suonata e dove la fanno da padrone i campionamenti e gli innumerevoli rumori di disturbo sparsi ovunque all'interno del cd: in "Ouarrrrrrch" una voce in sottofondo somiglia addirittura a "Love Her Madley" cantata da un Jim Morrison passato in candeggina. Il cd ruota completamente intorno a queste stravaganti coordinate stilistiche, con palesata una vena irriverente e distruttiva, di derivazione techno/metal/hardcore oltre a una velata voglia di stupire ed apparire mainstream comunque e ovunque anche con brani di concezione estrema. Un lavoro certosino, di nove brani in poco più di mezz'ora di durata, che fanno di 'Sistema Solera' un album ambizioso, pretenzioso e desideroso di risultati, anche se, per certi aspetti, appare evidente che molte soluzioni compositive siano già state usate e riusate da molte band, soprattutto tra gli anni '90 e il 2000, e questo tipo di meltin pot musicale tra generi diametralmente opposti cosi come espresso in quest'opera, sia oggi stato ampiamente superato. La qualità è ottima e anche l'interesse rimane alto per dischi di questa caratura che rimangono comunque chicche per folli, disturbati, o semplici appassionati del crossover sonoro a 360°. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 75

giovedì 26 novembre 2015

Postcards From Arkham - ÆØN5

#PER CHI AMA: Prog/Post metal/Atmospheric Rock
Ho sempre un moto d’invidia quando scopro che dietro album così lunghi e complessi c’è un solo uomo, in questo caso il polistrumentista ceco Marek Frodys Pytlik. Me lo immagino a comporre e suonare, traccia dopo traccia; e ancor prima, a pensare un concept come questo 'ÆØN5', ispirato interamente dai racconti oscuri di H.P. Lovecraft e E.A. Poe (che segue, per inciso, il precedente 'Oceansize' del 2012, incentrato sul culto di Cthulhu). Mi aspettavo molto quindi, con presupposti del genere, ma vi avviso subito, questo disco si è rivelato appena sufficiente. La musica anzitutto: le atmosfere oscure e autunnali sono rette da melodie tutt’altro che straordinarie – “Elevate” o “Woods Of Liberation”, con le dovute differenze stilistiche, sembrano scritte per il teen-pop-rock contemporaneo. Chitarre e tastiere sono protagoniste: le prime alternano distorsioni death e arpeggi ricchi di effetti (“Thousand Years For Us”) a lunghi solo; le seconde tessono le linee principali delle melodie, prediligendo strings asciuttissimi e piano elettrici ai synth. Un basso anonimo e una batteria, purtroppo, altrettanto poco curata (sia nei suoni che nelle partiture) completano il quadro. Sopra a questo tessuto metal-melodico, la voce di Marek racconta per contrasto un mondo di orrore, oscurità e mostri in attesa: monotona e cantilenante, ricorda più un reading di poesie oscure che un cantato vero e proprio, men che meno metal (salvo un paio di episodi in growling, vedi “Aeon Echoes”). La voce – per lo più piatta, profonda e cavernosa – crea una dissonanza inquietante con la struttura prettamente melodica della musica. Come se il compianto Peter Steel leggesse Lovecraft sulle strofe di “Wildest Dreams” di Taylor Swift. Un lavoro difficile da inquadrare: l’altalena di atmosfere ed emozioni, tipica del post-rock e del post-metal, si sposa con l’ambientazione horror e il parlato oscuro tipici di un certo metal scandinavo. Le tastiere e le lunghe parti strumentali e solistiche tuttavia, non possono non far pensare ad un prog-metal contemporaneo, pur non particolarmente tecnico e, anzi, piuttosto noioso quanto a scelte di tempo. La voce, vera nota originale di un disco altrimenti banale, che alla lunga si rivela persino troppo piatto. I Postcards From Arkham strappano la sufficienza solo grazie a qualche buona idea qua e là, ma soprattutto per gli incastri melodici di tastiere e chitarre.  Da risentire nella prossima fatica. (Stefano Torregrossa)

(Metalgate Records - 2015)
Voto: 60