#PER CHI AMA: Dark/Post/Alternative, Cult of Luna, Klimt 1918, The Ocean |
Ogni numero di magia è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata "La Promessa". L'illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino, o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, sia inalterato, normale. Ma ovviamente... è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato "La Svolta". L'illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ora voi state cercando il segreto... ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Per questo ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo "Il Prestigio". Ho voluto parafrasare le parole dell'inizio del film di Christopher Nolan, "The Prestige", in quanto lo svolgimento di questa ennesima perla dei bresciani Sunpocrisy, si muove esattamente allo stesso modo dell'illusionista. Il sestetto infatti parte con qualcosa di (apparentemente) ordinario e tranquillo che ben presto sarà in grado di strabiliarvi con tutta l'innata capacità e l'inventiva di cui sono dotati questi ragazzi, che ormai rappresentano il top in ambito post del nostro bel paese. 'Eyegasm, Hallelujah!' è il secondo mirabolante disco dei Sunpocrisy che in questa nuova release abbandonano quell'approccio più viscerale del funambolico e innovativo 'Samaroid Dioramas', per lanciarsi in un qualcosa di più meditativo che scomoderà, come vedrete, alcuni mostri sacri del panorama metal mondiale. Si parte con "Eyegasm", una song dall'attacco psichedelico che vede Jonathan Panada alle voci, alla stregua di Marco Soellner dei Klimt 1918 all'epoca di 'Dopoguerra'. Dicasi lo stesso delle atmosfere, cosi evocative e che seguono per certi versi quelle della band romana, prima che il sound esploda in un fragoroso e vibrante post dai contorni djent (Born of Osiris e Tesseract i riferimenti rintracciabili). Il raggiungimento della maturazione musicale dei mostri è ufficialmente sancita dalla sola opening track che conferma che il full length di debutto non era stato dettato da un banale colpo di fortuna. In "Eyegasm" c'è tutto quello che possiate pretendere da un pezzo: atmosfere lisergiche, montagne di groove, vocals pulite/growl, chitarroni che si inseguono e susseguono, ubriacandoci di emozioni, colori e suggestioni. Suggestioni che rimangono agganciate anche con la successiva "Mausoleum of the Almost", song incollata letteralmente alla prima, che grazie a una tempesta magnetica di basso e splendide vocals, elabora la nuova magia dei nostri. Una calma magmatica che ribolle ed esplode come quelle fontane di lava che si vedono emergere in questi giorni dal maestoso Etna. La song cresce, le chitarre squarciano l'etere con frastagliati suoni di scuola Cult of Luna che mi emozionano come da troppo tempo non accadeva. La storia continua, quel viaggio fatto di simboli e parole viene ulteriormente affrontato dai nostri. Si passa attraverso la noisy "Transmogrification" per giungere a "Eternitarian", una traccia infinita, come solo i Sunpocrisy e pochi altri sanno condurre, una song guidata dallo splendido connubio di synth e chitarre, una song che chiama in causa anche gli Anathema nelle parti più eteree. Le chitarre continuano ad affrescare l'aire di splendide note con la voce pulita di Jonathan a proprio agio anche sul tappeto post black che deflagrerà verso il sesto minuto e ci accompagna in ipnotici giri di tremolo picking, screaming corrosivi e meditative atmosfere, fino alla fine del brano. Un altro intermezzo acustico che li per li mi ha evocato nella mente i Radiohead di 'Ok Computer': sublimi tocchi di piano che preparano a "Kairos Through Aion", brano dal forte mood malinconico che si riflette in un andamento più ritmato che non tarderà a sfociare in rabbia adrenalinica di scuola The Ocean, uno dei pochi retaggi rimasti delle vecchie influenze (ravvisabile anche in "Gravis Vociferatur" e in alcune movenze in sede live), nei solchi di questo nuovo disco. Ma la traccia si conferma sorprendente verso la sua metà, ancora a voler giustificare le mie parole iniziali ossia partire da un qualcosa di normale che ben presto si trasformerà nel prestigio degli illusionisti Sunpocrisy. Anche questa volta infatti, il sound dell'act lombardo diviene nebuloso, votato quasi a uno space rock onirico, che saprà sorprendervi e illuminarvi. Di "Gravis Vociferatur" abbiamo già detto, forse la song che più avvicina la band al collettivo berlinese ma che comunque spinge i nostri verso le vette del perfetto post-metal. La tempesta stellare a cui siamo sottoposti viene smorzata da un altro splendido break centrale, affidato all'enorme lavoro delle chitarre, per cui vorrei spendere un plauso particolare a quella ispiratissima di Matteo Bonera. Detto anche di una certa originalità in fatto di titoli dei pezzi, arriviamo alla esoterica "Festive Garments" che ha qualche punto in comune col passato recente della band e che non disdegna anche qualche rimando ai Tool, non fosse altro per il growling imperioso di Jonathan e per sprazzi di un dark rock sognante, nella seconda metà. La cura maniacale nei dettagli, musicali ancorchè grafici è minuziosa e ben studiata a tavolino, cosi era lecito attendersi a conclusione del disco "Hallelujah!", con i suoi ultimi incredibili e spettrali 10 minuti. L'inizio è affidato alla celestiale elettronica di Stefano Gritti e poi via via tutti gli altri strumentisti convergono in una traccia che richiama una sorta di Novembre più orchestrali (in salsa post doom) miscelati agli *Shels. Trovo poche altre parole da spendere per i Sunpocrisy se non dire che ormai rappresentano la punta di diamante del metal nostrano che li spinge di diritto nel gotha dei maggiori esponenti del post- a livello mondiale. (Francesco Scarci)
(Self - 2015)
Voto: 90
https://www.facebook.com/sunpocrisy
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