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sabato 13 luglio 2024

Inscribed - In Silent Oblivion

#PER CHI AMA: Techno Death
La Florida e le sue spiagge si confermano luogo dove le band death metal spuntano da sempre come funghi. Pensate a mostri sacri quali Atheist, Cynic, Death, Morbid Angel o Nocturnus, tanto per citarne alcuni. E ora anche gli Inscribed, originari di Miami e alfieri di un sound che coniuga, nelle sue tre song di questo EP di debutto intitolato 'In Silent Oblivion', i dettami di Atheist e Death, senza tralasciare qualche deriva dei Cynic. Si parte con la cavalcata death thrash di "Oracle of Chaos", che mette in mostra una bella linea di basso, qualche linea di chitarra sghemba e una discreta prova vocale del frontman Lucas Moore (che oltre a cantare, suona anche la batteria, come il buon vecchio Mike Browning nei Nocturnus). Quello che più mi ha colpito durante l'ascolto del dischetto, oltre alla notevole perizia tecnica, è la freschezza degli assoli, di stampo puramente classico in grado di deliziarci con ottime melodie. La seconda "Silent Oblivion" è arrembante, quasi caotica all'inizio, per poi diventare via via più cervellotica nei suoi giri di chitarra, evocando indissolubilmente Atheist e Cynic, e rendendo fin troppo palese che questo giovanissimo trio statunitense (non si arriva ai vent'anni), sia cresciuto a dosi di 'Unquestionable Presence', 'Focus' e 'Human'. Il tutto, soprattutto quest'ultima influenza, è confermato dalla conclusiva "Empress of Cold", che evoca non poco, i giochi di un giovane Steve Di Giorgio che debuttava nella band di Chuck Schuldiner e soci. Ancora notevoli gli assoli che si muovono a pari passo con un indiavolato basso e un riffing altrettanto nervoso e bellicoso. Insomma, un più che discreto debutto, ideale per chi ha ancora fame di sonorità death "made in Florida". (Francesco Scarci)

Skymning - Artificial Supernova

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Power/Death
Psicotici e furiosi preparatevi alle danze, a qualcosa di claustrofobico. Gli svedesi Skymning non risparmiano i classici riff death e thrash, anzi, li miscelano con parti elettroniche, a volte fastidiose, ma comunque sempre dosate di una certa melodia che le tiene unite al resto del discorso musicale eseguito dagli strumenti classici. Buona la voce, piuttosto arcigna tipica del death e di un certo black. Certi riff dissonanti hanno una buona funzione catalizzatrice d’angosce. A ben vedere, si possono notare anche degli influssi abbastanza moderni di grind, con spunti di chitarre alla Carcass. Una cosa che non posso approfondire con mio grande dispiacere, per mancanze di testi e di sufficienti spunti bibliografici, è il concept di fondo, che posso solo intuire, leggendo i titoli. Dal primo cd prodotto, i nostri, hanno mantenuto la componente power-black-death, infarcendola qui di parti più meccaniche e industriali (al limite dell'EBM). Veramente validi, spaziando in una vasta categoria di generi pronti ad abbracciare molti più ascoltatori, e ciò, non può che essere positivo per far girare il proprio verbo.

Bríi - Último Ancestral Comum

#PER CHI AMA: Atmospheric Black/Trance
Devo arrendermi e ammettere che la proposta sonora della one-man-band brasiliana Bríi, è palesemente sconcertante quanto affascinante. La commistione di generi esibita nella loro ricetta musicale è spiazzante e per molte orecchie, poco avvezze alla sperimentazione, risulterà persino incomprensibile. 'Último Ancestral Comum' è la loro più recente uscita e fin dal primo brano ci si imbatte in un meltin' pot tra musica trance, ambient e atmospheric black metal, dalle tinte psichedeliche e space oriented. La produzione a bassa fedeltà, differenzia questo disco dalle precedenti release, e potrebbe non aiutare la comprensione totale di questo artista, al secolo Caio Lemos (aka Serafim), che già opera in altre band del settore tra cui Bakt, Rasha, Vauruvã, Kaatayra, coniugando una forte spiritualità e una profonda vena allucinogena che si esprime tramite il verbo del black metal più teso e atmosferico. Si parte con "Viajante Universal", un brano emozionale e di ottimo impatto, di oltre 12 minuti, che mette subito in chiaro gli intenti sonori del musicista brasiliano, il quale lavora molto di fino per mixare i generi citati, che sono così distanti fra loro. Quando si aprono le violente chitarre, per l'ascoltatore si apre un buco nero nello spazio, da cui si viene inghiottiti per entrare in un cosmo cervellotico e super emotivo. Nella seguente "Alienígena Interior", il viaggio continua in maniera più aspra e assume un sound al confine con il suicide black metal, tra urla lancinanti e ritmiche dal tiro infuocato per placarsi nel mezzo e riesplodere in un tripudio di melodia e violenza, quasi fosse una lunga intro degli Ozric Tentacles all'ennesima potenza oscura. Dieci minuti di grande crossover sonoro di ottima fattura. Quindi non farà clamore, cadere in un brano come "Ecos da Imaginação", che è un puro esempio di come la musica trance possa essere ancora suonata in un contesto intelligente e inserita in una lisergica cascata di suoni metallici, scream e derive black, per traghettare il disco alla canzone conclusiva, "Cada Canto do Universo", che sfugge dal mostrare la componente metal, a favore di risvolti etnici, in un suono che potrei facilmente mettere in relazione, per assurdo, agli stilemi degli Enigma, togliendo il canto gregoriano e ampliando il calore del folk latino, ma senza mai rinunciare a quella vena malinconica, cosmica e ipnotica intrinseca, che è presente per tutta la durata dell'album. Molto bello l'artwork di copertina, come lo è sempre stato per le uscite di Brii. In conclusione, possiamo guardare questo disco come un riassunto delle varie sperimentazioni fatte da Brii, nei precedenti album, con uno standard elevato dei brani, una ricerca dell'intreccio sonoro atta a spiazzare l'ascoltatore, l'utilizzo dell'elettronica e la ricerca di nuove strade ritmiche da usare come base di partenza. Un artista particolare per una musica ricercata e intelligente, per un genere che ha possibilità creative infinite. (Bob Stoner)

(Self/Flowing Downward - 2023/2024)
Voto: 74

https://flowingdownward.bandcamp.com/album/ltimo-ancestral-comum

Mercenary - Ever Black

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Groove Death
I Mercenary esordirono con 'First Breath', come una promettente band danese che proponeva un death metal ibrido, farcito da influenze di Machine Head, primi Fear Factory e anche un po' di Nevermore, per quanto riguarda le chitarre. Nonostante tutte le varie influenze, sono riusciti a mantenere un classico stile nordico (svedese in primis) anche nel secondo 'Ever Black', fatto di riff melodici, tristi e accattivanti, supportati da passaggi atmosferici e cori che sì imprimono facilmente nella memoria di chi li ascolta. Si tratta di cori epici (ascoltate la seconda track) efficacemente sdoppiati da due voci, una growl e l’altra più stilisticamente power, che rendono i brani caratteristici e originali, dotati di un’impronta maestosa. L’uso delle due voci, in questo caso è sapiente, non forzato né tanto meno artificiale, in grado di conferire un buon equilibrio. Buona anche la dose di riff e gli assoli alla fine sono ben fatti e quasi mai banali, in sintonia con ciò che dice la melodia del brano. Anche le tastiere sono qui usate in un modo equilibrato, senza appesantire il tutto con i tipici inutili strazi melodici: la loro posizione all’interno dei brani è pressoché perfetta. Non che questa band sia stata in grado di stravolgere gli equilibri della scena death nordica, ma sicuramente ha portato una ventata di freschezza e originalità.

(Hammerheart Records - 2002/2012)
Voto: 75

https://hammerheart.bandcamp.com/album/everblack

lunedì 8 luglio 2024

Manes - Slow Motion Death Sequence Remixed

#PER CHI AMA: Avantgarde
Abbiamo appena recensito il nuovo EP 'Pathei Mathos' e la Aftermath Music ci ha sorpreso con un altro regalo: il remix del precedente album 'Slow Motion Death Sequence', realizzato da una brillante serie di ospiti di alto livello. Così, uno degli album più geniali della discografia dei norvegesi Manes, insieme a 'Vilosophe', è stato riproposto in una versione che sembra un disco completamente nuovo. Le danze si aprono con "Endetidstegn", uno dei brani più significativi dell'album. Il remix eseguito dai nostrani Aborym non mostra grandi differenze rispetto all'originale; tuttavia si nota una maggiore pulizia dei suoni, riducendo l'eccessiva ridondanza dei campionamenti elettronici presenti nella versione originale. La seconda traccia, "Building the Ship of Theseus", è stata notevolmente modificata dagli And Then You Die, che enfatizzano la voce dell'eterea cantante presente nella versione precedente e introducono un cantante dallo stile più stralunato, seppur in un contesto che sembra aver perso la magia dell'originale. La complessa "Night Vision" è stata reinterpretata dai francesi Område in modo sicuramente libero e avanguardistico, ma presenta alcune ombre a livello vocale, con una performance ovattata e penalizzante. La seconda metà della traccia è stata completamente stravolta, con un susseguirsi di suoni cacofonici al limite dello sconclusionato, ma considerando gli interpreti coinvolti, era forse ciò che ci si poteva aspettare. "Endetidstegn" è stata nuovamente proposta da Jørgen Mayer in una forma più pop, ma con un'effettistica più secca e diretta, che nella seconda metà virano addirittura verso sonorità electro-dance. Prossima è "Scion", originariamente collocata in seconda posizione nell'album originale e reinterpretata dai finlandesi Throes of Dawn, che modificano immediatamente la parte vocale introducendo una voce femminile in una versione languida e quasi ambient, ma che colpisce per le linee di chitarra reminiscenti i Pink Floyd, presenti nella seconda metà. Tuttavia, la voce di Cernunnos nell'originale è un piacere per l'udito, dotata di una timbrica unica e riconoscibile, mentre nella nuova versione, la voce tende a perdersi. "Chemical Heritage", nelle mani di Fluffybunnyfeet, viene presentata in una nuova e più accelerata veste dance degli anni '80, che sinceramente non mi ha entusiasmato particolarmente, sebbene si possa apprezzarne il tentativo ambizioso. La malinconica "Last Resort" è stata reinterpretata dal musicista norvegese Kristoffer Oustad in una dilatata e minimalista veste dronica, privata della duplice componente vocale presente nella versione originale. Infine, l'ultima traccia "Poison Enough for Everyone" è stata riproposta dagli stessi Manes in una versione completamente diversa, arricchita da una forte componente elettronica (compresa una voce robotica) che accentua il lato psichedelico del brano, ma privandola della parte angosciante che costituiva l'essenza della traccia originale. In conclusione, consiglierei questo remix a chi è alla ricerca di sonorità originali provenienti da una delle band che hanno maggiormente influenzato il panorama musicale estremo. (Francesco Scarci, Silvia Parri)

(Aftermath Music - 2024)
Voto: 70

https://www.facebook.com/manes.no

Dimmu Borgir - Death Cult Armageddon

#FOR FANS OF: Symph Black Metal
I think that this a highly underrated album. Of course, the synthesizers we can do without, but the rhythm guitars are killer! The music just slays and the aura to the album is pretty eerie and evil. Silenoz varies in his vocals to his own style, then clean. He's got one of the most unique voices in black metal. I'd say this is an above par symphonic black metal release. Too many people dismissing this as garbage. I'd say the newer material isn't very good, but this one is unique in its own way. I enjoyed every moment of it. The sound variety was the greatest experience with it. Absolutely!

I don't really have anything against this release, just an overabundance of the synthesizers (as previously mentioned). The guitars are pretty killer. I like the riffs. They are heavy and melodic, too! Not to mention wholly original! Silenoz really makes his voice fit in with the music quite well! There isn't a song on here that I disliked! I liked them all! Some of the tempos fast, some just mild. I'd say the variety spices up this release. It's not just continuous blast beating riffs/drums. It varies a lot. They just diversify. And the evil female voice just hits home on here. I would have to say this whole album is underrated.

The production quality is quite good. You can hear all the riffs and synthesizers not to mention vocals, too! I think the vocals and guitars saved this release. The music is entirely their own, it's so different from what I'm used to hearing from this band. Wholly killer release! I liked the melodic guitars too! The riffs are all original and spellbinding! I am into this album all the way. Critics can say what they want, this is a solid release! They really dig deep in the sound here, the rhythms I like the most and the fact that there aren't much lead guitar activity is good. I liked this from beginning to end.

If you don't have this album, I'd venture to say, check it out! It's really diverse and original! I liked the whole hour plus of music, totally killer! I'm giving this an "78" because it deserves it. It's one of their better releases, I don't care what anyone says. It's not their best, no, but it still is original and packs a punch! It's also not chronic blast beating guitar/drums. It's balanced. They toyed around with sound, here. I would say that this is one of my favorite releases from the band, in that it's so diverse. I would urge you to buy the album because that's what I did. It really captures the listener! Own it! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2003)
Score: 78

https://www.facebook.com/dimmuborgir

Nostalghia - Echoes from the Moonriver

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Quante volte parlando di musica ci si sente dire che non si sente più niente di buono, che tutto è stereotipato e costruito a tavolino? Sicuramente, condivido il fatto che siano tempi duri per il rock, ma quando ci si imbatte in una band come i Nostalghia, mi viene spontanea la risposta da dare a chi non crede più alla creatività nel mondo del rock, e in questo caso più specifico, del metal estremo. Cercate nell'underground più profondo e libero, e vedrete che di musica bella e fantasiosa, sarete in grado di scovarla. 'Echoes from the Moonriver' è il penultimo album di questa one-man-band messicana, un piccolo gioiello di atmospheric black metal, dalle tinte fosche, con intromissioni di arie eteree di matrice folk, dai tratti medievali e cinematografici. Un capolavoro di peculiarità con solo quattro brani lunghissimi, che a volte evocano l'epica di 'Bergtatt' degli Ulver di un tempo, a volte l'epica degli Agalloch e la sospensione degli Alcest, alternando lo screaming a voci melodiche e una costruzione musicale di ampia visione, sempre in equilibrio tra un sound ritmico, aspro e violento, legato allo stile del suicide black metal degli esordi, e risvolti pieni di rimandi gotici, ambient folk, suonati e pensati con maestria dal talentuoso Alex Becerra, che unisce alle sue composizioni le rivisitazioni di testi poetici, che tra i vari citati, include Alejandro H. Monarres e Arthur Rimbaud. L'album scorre veloce con la sua indole da concept album, assemblato come una lunga colonna sonora e una attraente foga ritmica, un po' sul modus operandi di 'Aesthetica' dei Liturgy. Inoltre è attraversato, a tratti, da riflessi raccolti dal miglior post rock. Una nota speciale è da spendere poi per il gusto con cui questo musicista messicano si contraddistingue per l'artwork di copertina a gradazione altamente artistica, senza dimenticare i titoli che con "Our Mariage with Eternity" mi ha letteralmente mandato in estasi. Metteteci dentro l'apporto magistrale di clarinetto e sassofono di Valeria Dávil, per un tocco classico che sorprende sui brani "Misery of Mine" e "Sur le Long Fleuve Noir", track che supera i 17 minuti per un concetto di potenza, tecnica e qualità compositiva che si esalta minuto dopo minuto. Un artista tout court, che non deve passare inosservato. Ascoltate mille volte la svolta jazz, che appare nel suddetto brano, e il dialogo del sax con la base di sottofondo, che arriva a confondere l'ascoltatore che non riesce più a distinguere le influenze medievali e progressive da quelle jazz. Quanta avanguardia si nasconde tra queste incontrollabili note? Siamo di fronte a un'ottima concezione di musica estrema, se vogliamo in parte paragonabile all'estro compositivo di Ishahn, ma estraneo al mainstream e ai compromessi. Un album splendido, capace di colpire al cuore e alle orecchie dell'ascoltatore, per la sua freschezza compositiva oltre che per la sua capacità di ridare all'atmospheric black metal un significato profondo e di riguardo. Distribuito dalla etichetta italiana Flowing Downward, 'Echoes from the Moonriver' è da ascoltare, riascoltare e gustare ripetutamente, prima di passare al nuovo capitolo uscito da poco, dal titolo 'Phaneron'. (Bob Stoner)

martedì 2 luglio 2024

Manes - Pathei Mathos

#PER CHI AMA: Avantgarde
C'erano una volta i Manes, quelli del mitico 'Under Ein Blodraud Maane', fautori di un black metal estremo sperimentale, che forse mai si era sentito prima del 1999. Poi vennero altri album ancor più stravaganti, di cui lo splendido 'Vilosophe', rimane probabilmente la pietra miliare della band norvegese, guidata fin dagli esordi da Tor-Helge Skei (aka Cernunnus). Poi è successo un gran casino, fatto di molteplici scioglimenti, compilation, direzioni avantgarde-jazzistiche intraprese, creazioni di band parallele (i Manii) e io, francamente, non ci ho capito più nulla. Oggi i Manes ritornano con un EP nuovo di zecca, 'Pathei Mathos', che presenta quattro brani e rivela una band ulteriormente trasformata nella sua pelle. Questa volta, l'act di Trondheim si avventura nella creazione di pezzi dal tono morbido, atmosferico e quasi psichedelico, con la voce di Marita Hellem che s'inserisce in una cornice ambientale che evoca i primi The Third and the Mortal, arricchita però qui da una sofisticata componente elettronica che impreziosisce gli arrangiamenti e il pathos dei brani. Dalle note seducenti di "Submerged" (il primo singolo estratto) si passa a "Fallen", ancora più coinvolgente, creando una sensazione di fluttuare in uno spazio-tempo senza confini definiti, in un'atmosfera estremamente onirica e dilatata che lascia un senso di torpore lisergico. Gli intrecci di synth all'inizio di "A Vessel for Change" non fanno altro che disorientare, rendendo l'ascolto di "Pathei Mathos" un'esperienza magica e inaspettata, sostenuta da una performance vocale eterea sempre impeccabile, che si fonde ancor meglio con la struttura sonora impartita nella seconda metà del brano. Ultima perla affidata a "End of the River" e a un suono che si fa qui angosciante, vibrante, emozionante, potente, vario, oscuro, malinconico, e forse potrei continuare a lungo per descrivere le contrastanti sensazioni che un lavoro come questo, potrebbero indurre anche nelle vostre anime dannate. (Francesco Scarci)

(Aftermath Music - 2024)
Voto: 76

https://manes.no/