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giovedì 23 novembre 2023

Gurkkhas - A Life of Suffering

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Le interruzioni escogitate per questo album sono incessanti. L’album ha suoni ed evoluzioni ritmiche molto dinamiche e nitide. La batteria ed il cantato marcano costantemente questo tipo di composizione nei modi più disparati. L’insieme ha i suoi rallentamenti ad effetto, non ha velocità stratosferiche. Quello dei francesi Gurkkhas (band scioltasi nel 2003 e recentemente riformatasi) è un ottimo esempio di death metal, dove la doppia cassa e la voce gutturale segnano anche il passo dell’album. In generale tutti gli strumenti convergono in varie strutture potenti e coinvolgenti per chi vi è affine. Un attimo di pausa è inserito tra i brani alla quarta traccia con un breve strumentale, un po’ tribale e parecchio misteriosa. Poi 'A Life of Suffering' continua preciso, non sempre cupo, ma intenso di spunti trascinati e mitragliati. Questi francesi sono esperti, infatti non è il loro primo album assieme, dopo l'uscita di 'Engraved in Blood, Flesh and Souls' del 2000.

(Morbid Records - 2001)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/Gurkkhas

Fides Inversa - Historia Nocturna

#PER CHI AMA: Black Metal
I Fides Inversa sono una band black metal italiana che ha guadagnato un'attenzione significativa nel panorama underground. Il loro album 'Historia Nocturna' è un'esperienza intensa e oscura. Attraverso una combinazione di atmosfere tetre, riff di chitarra taglienti e una potente sezione ritmica, il gruppo laziale riesce a creare un viaggio sonoro avvincente. Le tracce sono ricche di contrasti musicali, con momenti di furia e aggressività (le parti più prominenti) che si alternano a sezioni più riflessive e meditabonde. La maestria tecnica della band è evidente, sia nella precisione delle chitarre che nell'incisività della batteria, il tutto arricchito da un'atmosfera suggestiva creata da synth, un bel basso tonante e arrangiamenti ben curati, senza peraltro dimenticare la performance al microfono di Wraath con la sua voce aspra e potente che aggiunge intensità e profondità alle composizioni, trasmettendo l'angoscia e la passione dietro ogni brano. I miei brani preferiti? La iper dinamica "A Wanderer's Call and Orison" che nelle sue vorticose ritmiche mantiene intatta la componente melodica, la più morigerata "Syzygy" e la distruttiva (e saturnina nella seconda metà) "I Am the Iconoclasm". Per quanto riguarda le liriche, queste affrontano oscuri temi esoterico-metafici, esplorando l'oscurità interiore e offrendo una prospettiva critica sulla società moderna, aggiungendo cosi profondità e mistero all'intero lavoro. Nel complesso, 'Historia Nocturna' è un'opera che sfida e affascina gli ascoltatori, portandoli in un viaggio sonoro intriso di malvagità e complessità emotiva, catturando l'essenza del black metal e portandola in una direzione personale e coinvolgente. (Francesco Scarci)

(World Terror Committee Productions - 2020)
Voto: 75

https://fidesinversa.bandcamp.com/album/historia-nocturna

lunedì 20 novembre 2023

Death Dies - The Sound of Demons

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Thrash
Li avevo potuti ammirare solo dal vivo, senza mai aver apprezzato le loro precedenti produzioni e devo dire che in sede live mi hanno sempre fatto una buona impressione perché riescono ad avere un impatto grezzo e violento. Oggi, finalmente posso ascoltare su cd il loro primo full-length. I Death Dies sono una perfetta commistione tra parti thrash e black metal, quindi riff molto diretti e granitici, dove vi fa capolino una voce femminile dal tono operistico con una timbrica da soprano ben in evidenza, praticamente presente in quasi ogni pezzo, che rafforza ed accentua alcuni passaggi chitarristici. In più, qua e là, troviamo degli accenni di tastiere. Valida la concezione dei brani che si impongono con il loro andamento molto sostenuto e pieno di riff sentiti e diretti. Vi ricordo che all’interno dei Death Dies militano ex membri degli Evol: Samael Von Martin, Rex Tenebrae e Demian De Saba, e proprio per questo, in alcuni momenti si può respirare ancora quella vena alla Evol con melodie stranianti e misteriose ("Danza Macabra"). Non mancano neppure momenti più marziali ed emotivamente coinvolgenti ("Spartan Pride"). Segnalerei pure "Destroyer", per me una vera killer song, ascoltare per credere. L’unico appunto che mi sento di sollevare è l’uso frequente della voce femminile come soprano che, seppur usata in modo egregio, non convince, risultando poco spontanea e in disaccordo con il riffing e l’impianto delle song, ma comunque va apprezzato lo sforzo di non propinarci la solita solfa, adottando soluzioni diverse dal solito. Sono convinto però che proprio per questo non tutti ne hanno apprezzato l’utilizzo. Comunque fu decisamente una buona prova per la band di Padova.

Solar Dawn - Equinoctium

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Melo Death
Arrivavano dalla Svezia con all’attivo due demo (1997 e 2000) con il moniker Jarawynja e un mcd, 'Frost-Work' del 2001, targato sempre Mighty Music come questo 'Equinoctium'. Otto brani di death metal tipicamente svedese influenzato da melodie heavy ma con un tono più estremo, a tal proposito potrei citare come influenze a tutti ben note, i primi In Flames e i primi Dark Tranquillity. Non mancano momenti cadenzati vicino a quanto possono aver proposto i conterranei Amon Amarth, che rendono questo cd vario e fruibile. In questa band peraltro c'erano membri di Unmoored, Thy Primordial, Dawn e Scar Symmetry. Il lavoro dei Solar Dawn, dimostrava ancora una volta, che a proporre queste sonorità erano moltissime band, ma che ben poche avevano la classe e la bravura per poter dire la loro musicalmente. Gli svedesi, direi, che se la cavavano davvero bene, incastonando una sequela di riff azzeccatissima in quanto ad intensità ed armonia, abbinando altresì una voce melodica e pulita a fare da contraltare ad una più roca e cattiva. Un album vivamente consigliato per i soli nostalgici del genere.

domenica 19 novembre 2023

The Spacelords - Nectar of the Gods

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Eccomi di nuovo a recensire gli space rockers teutonici The Spacelords, quelli che prima di scrivere un nuovo disco, devono assumere un bel po' di funghetti allucinogeni (quelli in copertina tanto per capirci) accompagnati in sottofondo da una "Light My Fire" qualunque dei Doors, senza tuttavia rinunciare anche ai dettami dei Tool e forse di qualche altra combriccola del sottobosco kraut rock. Ecco, in pochi spiccioli come recensirei questa nuova fatica del trio di Reutlingen, che rispetto alle precedenti release, si affida questa volta a quattro nuove tracce, anziché le consuete tre. 'Nectar of the Gods' apre con il basso tonante della title track, in un déjà-vu di tooliana memoria per poi stordirci con melodie caleidoscopiche che potrebbero fare da colonna sonora all'Holi Festival in India, in un tripudio di colori cangianti atti a celebrare la psichedelia offerta dal terzetto. Molto più cauta e timida, "Endorphine High" si muove nei meandri di un ipnotico post rock in salsa psych progressive, tra delay chitarristici ed atmosfere dilatate ma comunque soffuse, che con un bel narghilè e sostanze proibite a portata di mano, potrebbero stimolare ampiamente i vostri sensi. Se ci mettete poi che le durate dei brani oscillano tra i nove e i 14 minuti, beh preparatevi ad affrontare uno di quei trip che vi lascia schiantati sul divano. Un trip come quello che inizia con la terza e tribale "Mindscape", tra percussioni etniche e fascinazioni oniriche, a cui fa seguito un riffing di Black Sabbath (iana) memoria, tra stoner, montagne di groove rilasciate dal rincorrersi delle chitarre, saliscendi emozionali che servono a rendere la proposta il più appetibile possibile, senza correre il rischio di sfracassarsi le palle nell'ascoltare questi pachidermici pezzi. E invece, i The Spacelords ci impongono di mantenere costantemente la guardia alta, di settarsi armonicamente con i loro viaggi atemporali, in turbinii sonici e cosmici davvero apprezzabili. Ma questo non lo scopriamo di certo oggi, visto la maturità ormai acquisita dal terzetto germanico nei quindici anni di onoratissima carriera. Carriera che oggi vanno a celebrare con l'ultima "Lost Sounds of Lemuria", una maratona di 14.14 minuti che parte cupa, pink floydiana nei suoi tratti cosi educati, tra chitarre riverberate, atmosfere sognanti di settantiana memoria, e un organo che chiama in causa il buon Ray Manzarek, in una progressione sonora che di fatto, ci indurrà fino al suo epilogo ad ascoltare in religioso silenzio. Ancora una volta, obiettivo centrato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2023)
Voto: 75

sabato 18 novembre 2023

Theory in Practice - Colonizing the Sun

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Techno Death
Sono molto contento di recensire il terzo full-length di questi svedesi, in quanto non credevo potessero migliorare quanto già proposto sul loro precedente e immenso 'The Armageddon Theories'. E invece ci sono riusciti alla grande, dando prova di enorme creatività e perizia tecnica. La musica, per chi non li conoscesse, è death metal, oserei dire “progressivo”, per intenderci, sulla scia di gente del calibro di Atheist, Nocturnus, Pestilence ma con un tocco di melodia in più, e lo si evince soprattutto in quest’ultimo 'Colonizing the Sun' (rimasto ultimo vagito della band per parecchi anni, prima dell'inatteso EP del 2017 'Crescendo Dezign'/ndr). I pezzi comunque si presentano assai complessi ed intricati, con a volte l’inserimento di tastiere in porzioni chiave dei brani. I Theory in Practice sono qui riusciti a costruire dei brani molto fluidi tanto da non rendere greve l’ascolto anche a chi non digerisce questo tipo di sonorità. La voce di Henrik Ohlsson si presenta come un ibrido growl e lancinante, quasi stridulo. Le song sono zeppe di colpi di scena, senza seguire un mood preciso. C’è da notare che quest’album è stato registrato negli studi della band e nulla è stato lasciato al caso, con una buona registrazione, degna dei migliori standard di registrazione. Quindi vi esorto ad andarvi a scovare questo lavoro, supportare i Theory in Practice, che furono in grado di portare una ventata d’aria nuova.

Pénitence Onirique - Nature Morte

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Pénitence Onirique atto terzo. Non tanto perché sono tre gli effettivi album rilasciati dalla band transalpina ma anche perché è il terzo lavoro del sestetto di Chartres che recensisco su queste pagine. La band prosegue nel mietere vittime con il proprio sound votato ad un black a cavallo tra il sinfonico e l'atmosferico, il cui minimo comun denominatore, resta comunque un'importante componente melodica. 'Nature Morte' esploderà nel vostro hi-fi con "Désir", una cavalcata epica, potente e violenta, che ancora una volta evoca i fasti dei primissimi Limbonic Art, richiamando anche, nelle parti più sontuose, un che dei Cradle of Filth, e dei conterranei Malevolentia. Semplicemente maestosi. Quello che volevo sentire. Un sound virtuoso e sinfonico messo a servizio di un'intemperanza musicale che a volte sembra addirittura sfociare nel death metal, come accade nella seconda "Les Mammonites", in cui il cantato urlato lascia peraltro il posto ad un pulito diabolico o a un growling decisamente gutturale. I nostri però viaggiano a velocità iper sostenute, senza comunque mai rinunciare alle più che buone linee melodiche. Con il terzo brano, la title track, il misterioso ensemble francese rallenta drasticamente la propria proposta, permeandola di una discreta vena malinconica, in un mid-tempo davvero convincente, che mostra una rinnovata ecletticità anche su ritmiche non troppo sostenute, che consentono al disco di non risultare eccessivamente ripetitivo. Certo, non mancano nemmeno qui le velocità iperboliche nella sua seconda metà, ma il taglio decisamente grooveggiante delle chitarre mescola nuovamente (e in modo vincente) le carte in tavola. Un breve ed obliquo intermezzo strumentale ed è tempo di "Je Vois Satan Tomber Comme l'Éclair", che vince la palma come song con il titolo più lungo, e che torna a palesare la medesima irruenza sonora dell'opener. Si prova a rallentare il treno lanciato a tutta velocità con le atmosfere soffuse dell'incipit di "Pharmakos", ma dopo pochi secondi, i nostri tornano a pestare l'acceleratore, regalandoci ancora ottime melodie, soprattutto grazie al lavoro eccellente delle tastiere e ad un assolo posizionato verso il quarto minuto e mezzo che incanta per pathos e poi via, sparati a tutta birra con le chitarre (ben tre!) che giocano a rincorrersi, intrecciarsi e accavallarsi l'una con le altre, per un disco che trova probabilmente la sua summa nelle note conclusive della lunga "Les Indifferenciés". Questo è un pezzo atmosferico, meditabondo, con un break al quarto minuto ai limiti del post rock, che sembra quasi consegnarci i Pénitence Onirique in una nuova veste artistica. Staremo a sentire che cosa accadrà in futuro. Per ora la progressione sonora sembra andare nella giusta direzione. (Francesco Scarci)

S.C.I.O. – Discorsi Distorti

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock
Quasi un'ora di deliri sonori in compagnia del basso elettrico di Stefano Scioni (alias S.C.I.O.), uno che ai tempi della sua militanza negli UDE, ha aperto per i mitici Scisma. Questo è il suo debut ufficiale per la Overdub Recordings, intitolato 'Discorsi Distorti'. Una sorta di presentazione del disco viene fatta dal polistrumentista emiliano con l'introduttiva "Primo Cielo", che spiega l'esperienza dell'ascesa al monte Cusna, la visione delle stelle, l'insegnamento del cielo e dello spazio sulla necessità di svanire in un buco nero (una metafora che credo debba valere come insegnamento all'umanità), un eccessivo uso delle parole che porta solo a discorsi distorti. Ecco un sunto, alquanto destrutturato, del razionale/idee/pensieri che si celano dietro a questo monolitico disco di ben 15 tracce che si muovono tra l'alternative rock e lo stoner, tutto (o quasi) rigorosamente in modalità strumentale. Si inizia dalle cupe atmosfere di "Blame the Colours", tra suggestioni in chiaroscuro e quelle che sembrano chitarre stratificate (è in realtà un basso) al limite dello stoner. È poi il turno della brevissima interferenza elettronica "Elettronoia", che ci introduce alle spagnole spoken words di "Respiri Verso l'Aria", un pezzo più intimista che per questo ammicca al post rock, quello più notturno, freddo, quasi distaccato ma che con quelle sue tormentate linee di basso, ha invece un effetto opposto, in grado quindi di scaldarci quell'anima impassibile che giace in mezzo al nostro petto. Inquietanti voci in sottofondo aprono e ci accompagnano per oltre un minuto in "Tra le tue Parole", per poi lasciare spazio a un brillante, melodico ma stralunato pezzo che dovete assolutamente ascoltare. In "Pseudoumani", fa finalmente la sua comparsa la voce del frontman, sorretta da pulsanti linee di basso e da un'atmosfera darkeggiante che per due minuti e mezzo incutono una sorta di timore reverenziale; poi spazio ad una splendida cavalcata con batteria, basso e synth a guidarci in questo valzer sonoro. Un altro simbolico bridge ambientale ("Nostalgia e DNA") per cui vale la pena quasi esclusivamente soffermarci a riflettere sul titolo ed eccoci arrivati alle super distorsioni di basso di "About Brunale", song dal piglio noise (nella prima parte), più alternative nella sua progressione verso la coda del brano, e dove ancora a mettersi in mostra sono senza ombra di dubbio le melodie architettate dal polistrumentista italico. "Il Sole è Solo Mio" potrebbe quasi essere una dichiarazione egocentrica messa in note da Luigi XIV, mentre "Sasha Corri" lascerà un sapore jazzy ai vostri palati. Il disco si sposta verso le sperimentazioni orientaleggianti della brumosa e claustrofobica "Riferimenti in Circolo", mentre il basso introduttivo di "Le Prigioni di Jaco" ricordano un che dei Tool più psichedelici e la sua progressione include altre influenze della band californiana, in quello che forse è il brano più movimentato (insieme alla splendida e caleidoscopica conclusione affidata a "Dorotea") e anche i miei preferiti del disco. Gli sperimentalismi proseguono nella più angosciante "Conquiste" o nelle parole sconnesse di "La Luce di Rol" che fanno da introduzione ad un pezzo parecchio introspettivo. Un lungo viaggio in grado di estrapolare attraverso la musica, i pensieri angoscianti di Stefano su una società esclusivamente destinata all'estinzione. (Francesco Scarci)