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domenica 13 giugno 2021

Frozen Wreath - Memento Mori

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
È una nuova creatura sonora quella proveniente da Szombathely in Ungheria che risponde al nome di Frozen Wreath. Il duo magiaro ha da poco pubblicato per la Filosofem Records questo debut intitolato 'Memento Mori', che include otto tracce cantate in ungherese, all'insegna di un black atmosferico. Nulla di innovativo, faccio le debite premesse: parte "Megsárgult Fényképek" e il sound proposto sembra un ibrido tra black e folk, con velocità esagerate e blast beat a profusione coniugate con melodie folkloriche. Il risultato non ha nulla di trascendentale fatto salvo quell'assolo finale in grado di regalarmi piacevoli emozioni. La seconda "Halott Igéret" prosegue sparandomi in faccia ritmiche vorticose, quasi i due musicisti ungheresi vogliano dimostrare di essere abili blacksters di un sound in realtà in voga quasi trent'anni fa (Darkthrone docet). Si salvano solo per quei break atmosferici con tanto di spoken words a donare un pizzico di mistero ad una proposta che rischierebbe invece di fare una pessima figura invece per una qualità contenutistica non proprio cosi esaltante. Con "Miért?" si torna ad un black mid-tempo di stampo folk con la voce del frontman Roland Neubauer (che abbiamo già incontrato nei Witcher) che abbandona il classico screaming scolastico per abbracciare un cantato pulito in un contesto epico in stile Isengard, il che non mi dispiace affatto, anche se arrivato 27 anni dopo quel 'Vinterskugge' che mi fece adorare il side project di Fenriz. "Ősz" riprende con un black ferale scoordinato che mi fa francamente storcere il naso e presto anche skippare sul lettore cd. Non è certo questa la versione dei Frozen Wreath che prediligo, a base di quel black old school con cui sono cresciuto nei famigerati anni '90. Non saranno pertanto questi Frozen Wreath a farmi tornare il desiderio di rivivere quelle emozioni vissute oltre un ventennio fa. I due di oggi sono più convincenti infatti nella loro versione più melodica, come in questo pezzo quando un piano si prende la scena e guida le clean vocals dei nostri in una seconda parte decisamente più riuscita, merito anche di un comparto melodico più piacevole. La band però deve ancora avere le idee confuse e in "A Kőszikla Megmarad" propone un black troppo ragionato che alla fine non sa proprio che direzione pigliare e dopo una sconclusionata parte centrale vira verso un finale atmosferico. Furia black invece per "Feltámadás", in cui sottolinerei le chitarre stile Windir, in un pezzo che vanta un organo a metà brano, prima dell'ennesima scorribanda black nel finale. La title track è forse il pezzo migliore del disco, grazie alla sua lunga parte atmosferica introduttiva e ad una seconda metà, per quanto all'insegna di un black scolastico, meglio riuscita rispetto ai precedenti pezzi. Ancora meglio la conclusiva "Fagyott Koszorú", il pezzo più cupo, lento e ben assortito di questa prima release dei Frozen Wreath, che dovranno far decisamente di più in futuro per uscire da quell'underground affollato di band uguali a questa. (Francesco Scarci)

(Filosofem Records - 2021)
Voto: 63

https://frozenwreath.bandcamp.com/releases

Cult Of Occult - Ruin/Black Sea

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Da Lione ecco tornare i Cult of Occult, duo che avevo avuto modo di conoscere nel 2015 in occasione della logorante uscita di 'Five Degrees of Insanity'. Dopo allora i nostri hanno rilasciato un altro album, 'Anti Life', ed un paio di split, prima che questo 'Ruin/Black Sea' vedesse la luce. Francamente non capisco però perchè venga definito un EP dal sito Metal Archives, trattandosi di un due pezzi di oltre 40 minuti di musica. Un altro bel mattone da affrontare tutto di un fiato quindi, preparatevi al peggio. Il titolo del disco racchiude poi anche quello dei due brani che lo compongono, "Ruin" e "Black Sea" appunto. Si parte con il primo, e quasi tre minuti spesi solo per assemblare il giusto riff con il quale dare il via alle danze. Poi è un lento incanalarsi verso le viscere dell'Inferno in un brano lento, pesante e tortuoso,dove il nostro Caronte è rappresentato dalla voce del frontman che ci accompagna in un'ambientazione poco invitante, all'insegna di uno sludge doom claustrofobico da incubo. Lo sottolineavo già sei anni fa, ma il sound dei Cult of Occult si conferma ostico e mortifero, con ben poco spazio concesso alla melodia, che si percepisce finalmente al decimo minuto attraverso un giro di chitarra che cattura la mia attenzione mentre l'andatura marziale dei nostri prosegue imperterrita a scavare avvallamenti di riff quasi impercorribili. I due transalpini si giocano poi la carta del riffing minimalista verso il quindicesimo minuto, e l'atmosfera si fa ancor più priva di ossigeno e l'ossessione musicale spinge le nostre menti allo sbandamento totale verso funeree derive autodistruttive, nel finale suffragate da urla che sembrano provenire da uno dei gironi danteschi de 'La Divina Commedia'. Non è un ascolto per deboli di spirito e carattere, ve lo premetto, servono nervi saldi e forza d'animo per affrontare questi lunghissimi e plumbei minuti che ci conducono al secondo capitolo di questo lavoro. È il momento di "Black Sea" infatti, un altro monolitico pezzo, precedentemente incluso nello split con i tedeschi Grim Van Doom. Le dinamiche sono le medesime della prima traccia ossia un rodaggio iniziale alla ricerca del giusto riff e su quello imbastire poi una sorta di monologo chitarristico tra trame desolanti e catartiche che ci condurranno con un pizzico di melodia in più, fino al termine dei suoi lunghissimi 22 minuti di durata. Interessante scoprire infine che la versione in cassetta di 'Ruin' contiene invece il remix della stessa, intitolata "nuiRe", un brano all'insegna della disperazione più totale che potrete ascoltare sul sito bandcamp dei nostri. Insomma quella dei Cult of Occult non è certo una delle proposte più semplici da assimilare, però se vi sentite abbastanza forti di cuore per farlo, potrebbe essere un'esperienza quasi al limite del sovrannaturale. (Francesco Scarci)

Borgne - Temps Morts

#PER CHI AMA: Industrial/Black
Li avevo già amati in occasione del precedente 'Y', tornare ad amarli oggi, quando ad uscire è questo nuovo 'Temps Morts', è cosa ancor più semplice. La guida è sempre quella magistrale della Les Acteurs de l’Ombre Productions che confeziona gli oltre settanta minuti e passa di musica visionaria degli svizzeri del Canton Vaud, fatta di un connubio tra black e industrial. Loro sono i Borgne, un duo che da 23 anni ci regala ottimi lavori in ambito estremo. 'Temps Morts' ricomincia là dove lo scorso anno 'Y' aveva chiuso, con un sound prepotente, evocativo, coinvolgente. Si parte con il mid-tempo di "To Cut the Flesh and Feel Nothing But Stillness" e quell'impasto affidato a elettronica, melodia industriale e vocalizzi black che rendono la proposta del duo di Losanna sempre fresca e attuale. Ottima l'effettistica sci-fi, spettacolari le melodie avvolgenti, che confermano l'imprevedibilità dei due Bornyhake e Lady Kaos, qui supportati da Basstard al basso, in una deflagrante miscela sonora che prosegue in dinamiche veloci, dissonanti e insane nella successiva "The Swords of the Headless Angels". Qui, quasi dieci minuti di un sound sovraccarico di suggestioni di qualsiasi tipo, provenienti sia dal mondo della musica estrema che da quello dell'elettronica e del dark, senza dimenticare il noise/drone del finale. Il marasma sonoro puntellato da beat industriali, governa anche la terza "L’Écho de Mon Mal", una traccia furibonda a livello musicale e vocale, tra velocità sospinte a tutta forza, una martellante sezione ritmica e le vocals di Bornyhake sempre spettacolari nella loro accezione grim. Ancora un finale ambient, ma questa volta non fatevi ingannare perchè il fuoco sarà pronto a divampare in un finale incendiario. Si prosegue con il tremolo picking di "Near the Bottomless Precipice I Stand", una song maligna, interessante a livello di arrangiamenti, con un piglio forse più sinfonico delle precedenti, ma che comunque presenta chitarre acuminate come lame di rasoi e che allo stesso tempo, ci offre un break più meditabondo a metà brano ed un finale sospinto da una tribalità ancestrale. Tempo di una lunga e stralunata song acustica, "I Drown My Eyes into the Broken Mirror" e si ricomincia alla grande con i nostri che confermano di non avere decisamente il braccino, investendoci con "Vers des Horizons aux Teintes Ardentes", un altro pezzo convincente e avvolgente grazie a delle linee di chitarra glaciali e bollenti al tempo stesso e ancora un finale all'insegna del rumorismo sonoro, quasi una regola di questo disco. Un'altra bomba e arriva "Where the Crown is Hidden" più black doom oriented, una splendida variazione al tema che mi ha condotto negli abissi sonori creati dai Borgne, un brano che francamente ho amato, e che forse eleggerei come mio preferito di 'Temps Morts'. Ma c'è ancora tempo per decidere, visto che manca a rapporto il beat quasi EBM dell'incipit di "Even If the Devil Sings into My Ears Again", un brano che evolve sulla scia dei migliori Samael e che vanta il migliore finale tra le song contenute nel disco, epico a dir poco. In chiusura invece, "Everything is Blurry Now", la traccia più lunga del lotto, oltre quattordici minuti (di cui quasi sei rumoristici) che riassumono fondamentalmente tutto quanto contenuto in questo ennesimo sorprendente capitolo della saga Borgne. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/temps-morts

mercoledì 9 giugno 2021

Chiliasm - Flesh Over Finite

#PER CHI AMA: Techno/Prog Death
I Chiliasm sono un progetto internazionale, un trio che include membri di band polacche, finlandesi e canadesi. Avrei voluto dire anche svizzere, vista la scelta di avere quattro brani della medesima durata di 4 minuti e 20 e invece, solo nella prima formazione c'era effettivamente un membro di origine elvetica. 'Flesh Over Finite' è l'EP di debutto dei nostri, dopo un singolo "Eos" rilasciato nel 2020. E proprio da "Eos" la band comincia questo lavoro e l'inizio non può essere più scoppiettante. Linea di basso esplosivo, chitarre ubriacanti e growling/screaming vocals inserite su un tappeto ritmico, sparato ai mille all'ora. Ecco signori il techno death dei Chiliasm materializzarsi nei virtuosismi chitarristici spaventosi del funambolo Eetu Hernesmaa o nel pazzesco basso fretless di Szymon Miłosz, per un finale da paura fatto di bombe tonanti di basso e assoli vertiginosi. Si passa a "Mother Cosmos", un brano che ricorda come Atheist, Death e Quo Vadis possano rappresentare il trittico delle meraviglie da cui i nostri possano aver tratto in un qualche modo ispirazione, che proseguono nella loro boutade, lanciata a tutta velocità e concretizzata attraverso una serie di assoli da far quasi impallidire sua maestà Yngwie Malmsteen. L'attacco di una violenza inaudita della title track è un'altra delle cose per cui prendere appunti, sebbene il rischio di sfociare in esercizi di tecnica fine a se stessa è abbastanza elevato, soprattutto quando la brutalità toglie spazio a quella melodia che infarcisce la componente solistica dei brani, a mio avviso vero punto di forza della band. La cavalcata arrembante dei Chiliasm si conclude con "Welcome Home" e i suoi ultimi 4 minuti e 20 di ritmiche strabordanti dove batteria e basso si configurano letteralmente "on fire" e i fendenti di chitarra regalano gli ultimi travolgenti attimi di gioia. Spaventosi! (Francesco Scarci)

Turris Eburnea - S/t

#PER CHI AMA: Techno Death
Torre d'Avorio, che nome evocativo. Ecco il significato di Turris Eburnea, progetto italo americano che vede la collaborazione tra Gabriele Gramaglia (The Clearing Path, Summit) e Nicholas McMaster (Krallice tra gli altri). Due personaggi di un certo calibro da cui mi aspettavo un progetto assai particolare, e l'EP self titled lo dimostra immediatamente con un massacro sonoro all'insegna di un furente techno death avanguardistico. Lo dimostra subito la nevrotica "Unfied Fields", che potrebbe evocare un connubio tra Gorguts e Deathspell Omega, offrendo un marasma sonoro dissonante, cervellotico e funambolico con un sound sparato a mille, tra black, math, death e jazz e quanto di più ostico da digerire. I due musicisti alla fine ci investono con il loro malvagio costrutto sonoro che ci annichilisce non poco con quell'approccio nichilista ma comunque pregno di significato. Il tutto è confermato anche dalla successiva "Cotard Delusion", una song tecnica e sperimentale nelle sue pause ma feroce nelle sue impervie accelerazioni, complice una voce non proprio accessibilissima e pure una certa carenza in fatto di melodia. I nostri provano ad ammorbidirsi nella terza "Syncretism Incarnate", un pezzo strumentale che sottolinea la preparazione tecnica dei due musicisti e anche il loro intrinseco desiderio di disseminare il caos su questa Terra. La conclusione è affidata invece a "Malachite Mountains", l'ultimo irriverente atto di questo primo capitolo targato Turris Eburnea, gli ultimi cinque isterici minuti di una musica insana, ingovernabile ed imprevedibile, che lascia intravedere ottimi spiragli futuri. (Francesco Scarci)

(Everlasting Spew Records - 2021)
Voto: 69

https://turriseburnea.bandcamp.com/album/turris-eburnea

martedì 8 giugno 2021

Aduanten - Sullen Cadence

#PER CHI AMA: Melo Death, Throes of Dawn
Da Dallas ecco arrivare gli Aduanten, terzetto che nasce dalle ceneri dei deathsters Vex, un ensemble esistito a fine anni '90. La proposta del trio statunitense, che include peraltro un membro degli Obsequiae, prevede un death melodico, senza troppi fronzoli. L'EP intitolato 'Sullen Cadence', rappresenta il debutto per i nostri e contiene quattro song che la band definisce come dark textured death metal, questo per dire che la linea melodica dei pezzi, già a partire dall'apertura affidata a "The Drowning Tide", ha una certa dose di malinconia di fondo espletata attraverso break acustici e melodie strazianti, con il solo inghippo che il vocalist sembra essere quello dei primissimi Katatonia, il che stona un pochino con la proposta. Molto meglio la title track, che sembra evocare i finlandesi Throes of Dawn, e anche la voce di uno dei tanti ospiti che si contano nella release, appare più gradevole e adeguata alla proposta, anche se poi ad emergere è di nuovo la voce sgraziata di cui sopra (dovrebbe essere quella di Tanner Anderson degli Obsequiae), ma son dettagli e si può anche soprassedere soprattutto perchè la musica a tratti è convincente, fatto salvo per quelle parti dove le ritmiche sono più tirate e sghembe, e i risultati non proprio eccezionali. Si prosegue con "The Corpses of Summer" forte con la sua linea di basso, ma un po' piattina e prevedibile nella sua evoluzione sonora, sebbene alcuni giri di chitarra possano evocare di nuovo un che dei Katatonia degli esordi. Più tribale l'inizio della conclusiva "Palace of Ruin", un pezzo interessante a livello ritmico, ma che manca ancora di quel pizzico di originalità che la faccia realmente decollare. C'è da lavorare ancora un po' per maturare traguardi più ambiziosi, ma gli Aduanten sembrano sulla giusta rotta. (Francesco Scarci)

venerdì 4 giugno 2021

Thy Ethos - Resurgence of Devastation

#PER CHI AMA: Techno Death
Il Bangladesh per la maggior parte di noi rappresenta una nazione un po' nebulosa, di cui effettivamente non sappiamo granchè. Lo vediamo li accanto al gigante indiano e associamo probabilmente solo immagini funeste di carestie o alluvioni. Eppure è una nazione come tante altre del continente asiatico, dove, udite udite, esiste addirittura una scena metal. E la band di oggi, il quartetto dei Thy Ethos, originario di Rajshahi, è una di queste. La band è alquanto giovane e questo EP di tre pezzi intitolato 'Resurgence of Devastation' non è altro che il loro biglietto da visita di debutto. Il sound dei nostri è affidato ad un brutale quanto tecnico death metal che si snoda dall'iniziale "Antediluvian Anecdote" fino alla conclusiva "Flaxen Ichor", sciorinando ritmiche infuocate e schizofreniche, blast-beat a profusione, growling vocals isteriche, cambi di tempo micidiali, che fondamentalmente ci riportano ad una proposta musicale che è nata e sviluppata negli States negli anni '90. E cosi i nostri si lanciano in fughe al fulmicotone nella funambolica opening track, con le vocals che a mio avviso, cantano però un po' troppo per i miei gusti. Nella seconda "Erudite Grifter", la contraerea si conferma quanto mai sanguinolenta (pure troppo), quasi ci volessero dimostrare quanto suonino veloci tra un rifferama sparato alla velocità della luce e repentini cambi di tempo. Ovviamente è palese che si tratti di una proposta ancora piuttosta acerba, suffragata da una terza traccia che soffre delle medesime difficoltà, anche se qui mi sembra quasi di scorgere una melodia orientaleggiante nel marasma sonoro creato e l'assolo è forse il migliore tra i tre brani. Diciamo che c'è ancora parecchio da lavorare per pensare di poter emergere dal calderone infinito di band che affolla l'underground metallico, per ora una quasi sufficienza. (Francesco Scarci)

Mare Cognitum - Solar Paroxysm

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
In few subgenres there are as many cases of solo projects as atmospheric black metal, and most of the times, these solo projects are better than actual bands. This can happen, maybe because the artistic vision of its creator is presented in its purest form, which is a key element to create music that touches our soul, even if technically it could be more complex or enriched by different points of view. The feeling is strong in these projects and black metal is a genre, where the feeling is particularly important. Ten years ago, it was created one of those projects in California, under the moniker Mare Cognitum. Its creator, Jacob Buczarski, has been quite active as he released splits and five full lengths, always with a solid level of performance which has given to this project a certain respect in the underground.

'Solar Paroxysm' is the newest offer by Mare Cognitum and it presents five long tracks, clocking each one of them around ten minutes. Stylistically, this album is a perfect example of black metal with an atmospheric touch, where the guitars play a key role. You won´t find here predominant keys as the guitars are responsible of creating both the most brutal and fastest sections of Mare Cognitum’s music, and also the most atmospheric sections. The album opener "Antaresian" shows a nice work with the guitars. They sound absolutely sharpy, yet with an intense emotional touch, creating a very addictive song, although the pace is quite intense in its eleven minutes of existence. The album gets more brutal with the subsequent track "Frozen Star Divinization", where the riffs lose the emotional touch in favour of extremer and biting touch. This initial part shows compositions with a relentless pace, predominantly furious and with a fast pace, that maybe would welcome a greater variety in terms of speed. A nice example of this expected diversity its exemplified in the third composition, entitled "Terra Requiem". This song has clearly a greater atmospheric touch with some excellent riffs, the tremolo guitars sound in this track beautiful as they create a hypnotic atmosphere. It also helps the fact that the song has in a great part of its structure, a much slower pace, where this type of riffs can shine more. It is also interesting to listen to how the song abruptly changes its pace as it has a very intense and fast final section, which I especially enjoy. The contrast between slow atmospheric parts and the furious black metal trademark, yet atmospheric, speed is always great ingredient when it is done right, like in this occasion. The final part of the album brings back the blast-beats and the furious guitars. In any case, the riffing is quite good and though the songs can lack some variety in terms of pace in certain moments, the guitars compensate this weaker aspect of the compositions, with an excellent performance. The riffing is very well elaborated and executed with plenty of intense melodies, which make the songs captivating. Just give a listen to the last song "Ataraxia Tunnels", which has excellent melodies and a very intense final part, where different layers of guitars create a brilliant ending.

'Solar Paroxysm' is, in conclusion, not a game-changer, but a quite solid album of black metal with an intense atmospheric touch, where the strongest aspect is the excellent guitar work which always leads the compositions, reining above any other instrument. (Alain González Artola)