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martedì 8 maggio 2018

Misanthropic Existence - Death Shall Be Served

#PER CHI AMA: Death/Black Old School
Altro "ripescaggio" da parte della Aesthetic Death che ripropone un disco degli inglesi Misanthropic Existence uscito originariamente autoprodotto nel gennaio 2017. Ultimamente però le scelte dell'etichetta britannica non mi stanno del tutto convincendo e la riproposizione di questo lavoro bestiale, la trovo francamente superflua. Come mai sono cosi tranchant nei confronti di quest'album? Perchè 'Death Shall Be Served' non aggiunge assolutamente nulla ad una scena davvero stantia come quella estrema: 64 minuti sparati a mille, votati ad una violenza primordiale che un tempo faceva clamore, notizia e forse destava un bel po' d'interesse, ma che oggi, in tutta sincerità, trovo obsoleta, old-school e alquanto noiosa. Se il disco fosse durato una mezz'ora, probabilmente sarei qui a parlarvi di una promettente band proveniente da Worchester che ha provato ad emulare col loro debut, gente del calibro di Slayer o Marduk, nelle loro opere più famose e decisamente dalle brevi durate. Invece mi ritrovo a commentare un lavoro monumentale di death/black/grind della durata che supera di gran lunga l'ora, no grazie è troppo. Mi limiterò a dire che il sound del terzetto inglese è ignorante in tutte le sue 11 tracce incluse. Sono estremi, blasfemi, marcescenti, probabilmente anche beceri nei testi che sembrano orientati al più ovvio e scontato dei temi, il satanismo. Le velocità sono sparate ai mille all'ora, sovrastate nel loro caos sonoro da uno screaming indiavolato che non lascia scampo. Difficile identificare un brano piuttosto di un altro, data la monoliticità in toto di un cd a dir poco brutale che affonda le sue radici nel death metal svedese di metà anni '90. Potrei dirvi solo che sorbirsi pezzi come "War-Torn Earth and Blood Soaked Skies" (che va oltre i 12 minuti) e "Humanicide" (quasi 8) è impresa non indifferente. Only the braves! (Francesco Scarci)

Anathema - The Optimist

#PER CHI AMA: Experimental Rock, Radiohead
Vostra nonna sa bene che se il sugo è un po' balordo, bisogna abbondare col soffritto. E sa anche che se viene a mancare l'ispirazione, l'artista avveduto abbonda col mestiere. Agli Anathema riconoscono anche i detrattori una formidabile versatilità stilistica (cfr. la notturno-strombettante coda simil-jazz di "Close Your Eyes", dove la ialina Lee Douglas trova stavolta la sua migliore dimensione), una crescente abilità atmos/tronica (le grossolane intemperanze EDM della introduttiva "Leaving it Behind"; le goffe j-m-jarrettate del pessimo strumentale "San Francisco", vagamente reminescente della comunque eccellente "Endless Ways") e soprattutto la capacità di creare certe emozionali-emozionanti progressioni intrise di tensione (di nuovo "Endless Ways"; il pianoforte che muta in chitarra elettrica nel narrare il tema di "The Optimist", inizialmente me-tapino-sospirante poi astutamente ed efficacemente progr/essiva; il manieristico quasi-interamente-strumentale "Springfield", avveduto primo singolo dell'album). Per tacere poi del tanto vituperato pop da classifica, saggiamente dosato, giusto per mettere al sicuro il risultato (cfr. gli Spandau Ballet abbagliati di "Can't Let Go" o la Enya che visita uno zuccherificio di "Ghosts"). Sarebbe stato avventato aspettarsi altro da questo. Ma di più, un poco di più, quello sì. Del tutto pretestuosi gli accostamenti ad 'A Fine Day to Exit', di cui questo 'The Optimist' sarebbe un sedicente sequel. (Alberto Calorosi)

CodeRed - Dominions of Our Deceitful Beliefs

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death, Morbid Angel, Nile
Uscito originariamente autoprodotto nel 2013, 'Dominions of Our Deceitful Beliefs' rappresenta l'album di debutto dei CodeRed, combo proveniente dalla Transilvania. Se la label rumena Loud Rage Music lo sta riproponendo rimasterizzato, un perchè ci deve pur essere, e allora lanciamoci all'ascolto di un lavoro che affonda le proprie radici nel death di scuola americana, quella che rincorre un nome su tutti, i Morbid Angel, non tralasciando poi Nile e Suffocation. È proprio da qui che il quartetto di Braşov parte, srotolando nove tracce (rispetto all'originale c'è una bonus track, "I'm the One") all'insegna di tecnica, brutalità ed improvvisazione, dato che già dalla seconda "Symptoms of General Decay" (ma anche successivamente in "Crowd Control") emergono chiari riferimenti al jazzato di Atheist e Pestilence, qui deprivati di quella forte componente melodica che regnava nei migliori album di quelle due mitiche compagini. Il sound proposto dai CodeRed è generalmente più dritto, affidandosi a ritmiche serrate, vocalizzi aspri in stile Vader e al classico sound chitarristico a la Morbid Angel: vi basti ascoltare l'opener "At His Appearance Dark Red" o la terza "Way of Nibiru" per trovare i punti di contatto con la band floridiana e quel sound tanto in voga a metà anni '90, ma quando poi si arriva alla porzione solistica, ecco che anche echi dei primissimi Cynic emergono forti e chiari dal nevrotico caos sonoro generato dai quattro musicisti rumeni. Ora mi è più chiaro il motivo per cui la Loud Rage Music ha voluto riproporre questo cd, perderlo probabilmente sarebbe stato davvero un grosso peccato. (Francesco Scarci)

lunedì 7 maggio 2018

Spectral - Neural Correlates of Hate

#PER CHI AMA: Techno Death, Spawn of Possession, Pestilence
Formatisi nel 2007, i rumeni Spectral arrivato all'agognato debutto sulla lunga distanza addirittura dopo oltre dieci anni, grazie al supporto dell'attivissima Loud Rage Music. Le coordinate stilistiche lungo le quali si muove il trio di Piteşti, formato peraltro da un membro dei CodeRed (che presto leggeremo su queste pagine), sono quelle del techno death, grazie a nove brillanti tracce che iniziano ad incendiare l'aria già con "Artificial Storage, una song che chiama in causa Pestilence e Necrophagist, giusto per fare un paio di nomi. Le linee di chitarra sono vertiginose, la voce di Andrei Calmuc bella abrasiva, e il comparto affidato alla contraerea di Romain Goulon, il batterista, davvero notevole. Non dovete immaginare però un campionario di velocità furibonde o ritmiche super-pestate perché i nostri sciorinano un bel po' di tecnica a completamento del proprio assetto da guerra. Splendida a tal riguardo la porzione acustica di "Ashes to Dust", cosi come la sua parte solistica, una song da paura che merita tutto il vostro ascolto e rispetto in una cavalcata di quasi nove minuti di montagne russe, certo non la più semplice delle passeggiate, considerato il genere. Il disco continua poi offrendo questo campionario di soluzioni artistiche tra stop'n go da lasciare senza fiato, elevatissime dosi di tecnica individuale, incursioni brutal death di scuola Spawn of Possession o annichilenti partiture di ultra techno death che evocano anche gli Obscura. Alla fine, 'Neural Correlates of Hate' è francamente un ottimo album di fresco ed intenso techno death metal che oltre a protendersi verso il brutal (nella title track ad esempio), arriverà anche a sconfinare nel progressive deathcore, offrendo la raffinata proposizione del genere dalle sapienti ed allucinate (ascoltatevi "Hallucinatory Authorization") menti di questi Spectral. (Francesco Scarci)

Gold Miners Night Club - S/t

#PER CHI AMA: Punk/Hard Rock
Una manciata di rocchenroll energetici ("Rock'n'Roll Song", appunto), polleggiati (la flessuosa "Everybody Want to Be Like Me" è ahimè intercalata da piuccheopinabile interludio quasi-rnb con tanto di autotuning), funkeggianti (più precisamente fukkeggianti: "Shut the Fuck up", appunto) o ancora aromaticamente punk n'roll ("I Live My Life", ma perché quella batteria così sintetica?): non è difficile ipotizzare che tra i più assidui frequentatori del malandato night club dei minatori bresciani vi sia un certo Billy Gibbons (tutto l'album, ma forse "I Wanna Fah" e "Gummy Eyeball" sono i brani maggiormentte ZZ-eggianti). A tratti meccanico e privo di corpo il suono, è senz'altro frutto della (coraggiosa seppure eccessiamente diffusa) scelta di esibirsi in duo. Indubbiamente da sistemare l'accento anglofono nelle parti cantate. Si raccomanda l'esecuzione a cappella di "Subterranean Homesick Blues" per almeno cento volte. E tre paternoster. (Alberto Calorosi)

venerdì 4 maggio 2018

Himsa - Summon In Thunder

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Death, Arch Enemy, Carnage
Era il 2007 quando uscì l'ultimo vagito degli Himsa, un vero assalto sonoro ai timpani. Forti di una super produzione ad opera di Steve Carter (per ciò che concerne la musica), Devin Townsend (per la voce) e Tue Madsen (per il mixing e la mastering), 'Summon in Thunder' rappresenta sicuramente il top della carriera per il quintetto di Seattle, anche se le critiche all'album furono piuttosto esagerate. Le undici straripanti tracce svelano il dinamico thrash/death metal, ricco di melodie ma anche di tanta furia, una miscela di vecchio speed metal unito ad un suono moderno, rabbioso e senza compromessi. Riff rocciosi (di scuola svedese) avviluppano le menti, con la batteria sempre precisa di Chad Davis che pesta che è un piacere e la voce di Johnny Pettibone a vomitare tutto il suo odio. Il platter della band statunitense non lascia tregua, è una cavalcata continua in cui trovano sfogo gli ottimi assoli delle due asce (influenzati dai solo dei fratelli Amott degli Arch Enemy). Se devo indicare un brano che mi ha colpito più degli altri, cito la quinta traccia “Skinwalkers”, che inizia con un buon arpeggio, prosegue su un mid tempo fino ad esplodere a metà circa in un attacco convulso, ma sempre ben ragionato, per poi concludersi con una raffinata scarica chitarristica. Una citazione spetta anche alla successiva “Curseworship”, per la sua capacità di non darci modo di pensare e non annoiare. Forse proprio in questo sono migliorati questi ragazzi: alla fine del cd, pur rimanendo quella sensazione di già sentito, non sono assolutamente annoiato e ne vorrei ancora. Tecnica inoppugnabile, melodie accattivanti, niente di originale sia chiaro, però l’headbanging è garantito per tutti gli amanti di questo genere di sonorità e non solo. (Francesco Scarci)

giovedì 3 maggio 2018

Swans - Deliquescence

#PER CHI AMA: Rock Sperimentale
...ancora mantiene qualche cronosoma di "Bring the Sun" e compie definitivamente la sua exuvia su 'Deliquescence'. Deliquescenza inversa: l'entrata di "Frankie M" (diciotto minuti: appena un pelino autoindulgente chioserebbe non senza una parte di ragione qualche maligno brufoloso affetto da alitosi) sarà ampiamente ridimensionata su 'The Glowing Man' (che si tratti di una seconda deliquescenza di "The Apostate"?). Deliquescenza retroattiva: "Just a Little Boy" nella versione 'The Gate' appare stranamente intermedia tra le due precedenti live ('Not Here/Not Now') e studio ('To be Kind'), perlomeno negli intenti. Deliquescenza assente, già, nelle (non troppo) sorprendentemente identitarie "Cloud of Forgetting" e "Screen Shot", guarda caso entry-track dei rispettivi album. Deliquescenza della deliquescenza: è ipotizzabile che lo stesso Michael Gira sia a conoscenza dell'impossibilità di oltrepassare la (a tratti prosaica) magniloquenza di "The Knot" (quasi quarantacinque minuti) senza apparire autocaricaturali (cfr. il Neil Young di "Driftin' Back") e, per questa medesima ragione, abbia annunciato lo scioglimento della band. 'The Gate': centocinquanta minuti, tre canzoni da T-B-K, una da T-S e quattro inedite (poi su T-G-M). 'Deliquescence': centocinquantacinque minuti, tre canzoni da T-G-M, una da T-B-K e tre inedite. La deliquescenza live impeccabilmente testimoniata su questi monumentali e autocompiaciuti live è senz'altro parte imprescindibile del processo creativo e compositivo successivamente formalizzato in studio. Ma nove ore tra live e studio per assommare ventuno canzoni in poco più di due anni (la discografia dei prolificissimi Beatles totalizza poco più di otto ore e centottanta canzoni in nove anni) sembrano un cicinino troppe. Ma soltanto nella patetica opinione di qualche qualche gibbuto detrattore affetto da psoriasi. (Alberto Calorosi)

(Young God Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/SwansOfficial/

Clawfinger - Life Will Kill You

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative/Nu/Rap
A distanza di due anni dal fortunato e incazzato 'Hate Yourself with Style', i leggendari nu/rap metallers svedesi Clawfinger hanno rilasciato il settimo album della loro discografia. Come sempre ci hanno abituato, il trio scandinavo ci spara un lavoro in grado di miscelare suoni provenienti da più disparati ambiti sonori, sempre capace di shockarci con la loro proposta fuori dal comune, per la presenza del cantato rap, che li ha resi famosi nella scena metal mondiale. Continuando il discorso intrapreso nella precedente release, che rappresentò il debutto per la potente Nuclear Blast, 'Life Will Kill You' contiene 11 arroganti e irriverenti songs, che non potranno non piacere ai fan di sempre della band, e potranno anche catturare l’attenzione di nuovi adepti e curiosi. L’album si apre con “The Price We Pay”, esaltante nel suo incedere, grintosa, melodica; bella song davvero, caratterizzata anche dalla presenza di archi. Segue la rappeggiante title track, forse il pezzo più ballabile dell’album, in grado di scatenare con il suo ritornello una delirante danza selvaggia. Il sound del combo, lungo gli 11 pezzi, si dimostra sempre sperimentale nella sua proposta, ed è bello constatare che dopo vent’anni di onorata carriera, la freschezza e l’entusiasmo dei nostri, si sia confermata al top anche in quello che è rimasto l'ultimo full length della loro discografia, ormai datato 2007. Zak, Bard e Jocke ci regalano alla fine ottimi brani, sempre orecchiabili (“Prisoners” e “It’s Your Life” sono le song che preferisco), tosti, talvolta danzerecci (ma nel senso che vi si può scatenare un pogo violentissimo sopra); samples elettronici, vocals femminili, influenze grunge e hardcore, completano un lavoro multi sfaccettato che mi sento di consigliare un po’ a tutti, dagli amanti del rock più classico ai metallari estremisti più incalliti. Le liriche trattano, al solito, temi scottanti quali la politica e il razzismo. 'Life Will Kill You" è un melting pot di stili, musica heavy metal a 360° di cui se ne sentiva la mancanza. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2007)
Voto: 75

http://www.clawfinger.net/