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giovedì 1 giugno 2017

Umbra Noctis - Via Mala

#PER CHI AMA: Black/Epic/Rock
Con calma, estrema calma, tornano sulla scena gli Umbra Noctis, con quello che è il loro secondo album, 'Via Mala', uscito a distanza di cinque anni dal precedente 'Il Primo Volo'. Il disco è ispirato ad una delle mulattiere più panoramiche e spettacolari d'Europa, la Via Mala appunto, che si snoda attraverso la Valle di Scalve nelle province di Bergamo e Brescia, la cui ubicazione ha suggestionato non poco la stesura dei testi del nuovo capitolo del quintetto lombardo. Il disco si apre con "Nevica", ove un classico arpeggio introduce alla nuova dimensione della band targata 2017, in cui apprezzare immediatamente una certa maturazione nel songwriting ed una maggior consapevolezza acquisita dalla compagine nostrana nel corso di questi anni di silenzio. L'act mantovano non ha snaturato il proprio sound, affidandosi come sempre a sonorità estreme, accompagnate qui da influenze che vanno ricercate nel rock classico e progressivo. Non fa specie incontrare pertanto accelerazioni tipiche del black contrappuntate da harsh vocals, accanto a voci pulite che cantano rigorosamente in italiano (da rivedere la performance del vocalist Filippo, decisamente più a suo agio nello screaming, un po' meno nella sua veste clean). "Il Sentiero del Cervo" è un'epica cavalcata con le classiche chitarre ronzanti norvegesi, interrotte da un break acustico in cui il vocalist sembra inneggiare ad uno spirito patriottico. L'epicità torna più forte ne "Il Solco", una song che lascia intravedere una malinconia di fondo nelle sue linee di chitarra, con un riffing che per certi versi mi ha rievocato i Dissection, chitarre che vengono però mitigate dal cantato solenne di Filippo. Si prosegue con una traccia più lenta ed oscura, "Maree", che apparentemente si distacca dai temi "montani" fin qui trattati, anche se nei testi mi sembra si parli di arbusti e brughiere (vi invito ad approfondire leggendo le liriche sul sito ufficiale della band). La canzone nel suo lunghissimo flusso melodico, mostra la contemporaneità delle due anime del frontman, lo screaming vs il clean, con il primo che vince in qualità, nettamente sul secondo. Già, la performance in pulito di Filippo continua a non convincermi appieno, talvolta sembra stonato, soprattutto quando cerca di sfruttare al massimo la sua estensione vocale, meglio invece quando si muove su tonalità medio-basse. Un arpeggio post punk/shoegaze apre "Somnium", seguito da un rifferama tagliente di scuola svedese e da un dualismo vocale che in questa traccia non delude e sembra anzi funzionare. Forse la ricetta giusta è cercare di non strafare anche se francamente non mi sento di supportare al 100% questa scelta, lascerei Filippo a cantare col suo eccellente growl/scream, ed affidare il cantato pulito, che ci sta alla grande peraltro in questa nuova miscela sonora degli Umbra Noctis, a qualcun altro. Arriviamo a "Nami", un pezzo di black metal tirato nel suo prologo, che vede i propri toni ammortizzati dalla modulazione vocale del vocalist e da una ritmica mid-tempo, che trova modo di accelerare attraverso una magistrale fuga black. Con "Spirale", si cambia ancora registro ed è ammirevole come l'ensemble nostrano abbia voluto sperimentare non poco in questo nuovo lavoro, concedendo libero sfogo alla propria creatività e dando voce alla propria rabbia attraverso pezzi in grado di abbinare la ferocia del black con il mood ribelle del rock, cosa che accade puntualmente anche nell'ultima veemente traccia dell'album, un attacco frontale in stile Impaled Nazarene che sembra fondersi con il rock progressivo. Hanno osato gli Umbra Noctis, non c'è dubbio: sebbene ci fosse l'elevato rischio di commettere degli errori, e li hanno commessi, mi sento di dire che ci sono ancora ampi margini di miglioramento per cui si può soprassedere alle pecche di oggi per migliorare quel che ha da riservare il domani. Nel frattempo non esimetevi nel dare una chance ai nostri per apprezzare nuove sfumature musicali made in Italy. (Francesco Scarci)

(Novecento Produzioni - 2017)
Voto: 70

https://umbranoctis.bandcamp.com/album/via-mala

mercoledì 31 maggio 2017

Time Lurker - S/t

#PER CHI AMA: Post Black/Doom
Esordio sulla lunga distanza per i Time Lurker, one man band francese finita da poco sotto l'egida della Les Acteurs de l'Ombre Productions. Mick, il mastermind di Strasburgo, dopo l'EP di debutto del 2016 'I' (incluso peraltro in questo cd), fa uscire quest'album di sette tracce, dedite ad un abrasivo post black atmosferico che sposa in toto la filosofia dell'etichetta transalpina, propinando arrembanti cavalcate post black e inframmezzandole con obnubilazioni dark doom. I fatti dicono questo già in apertura, con la lunga e malinconica "Rupture" - già presente insieme alla successiva "Judgement" in 'I' - e i suoi oltre undici minuti di sofferenza ed accattivanti suggestioni depressive. Il post black è un genere ormai inflazionato, ma oggi saperlo suonare con perizia ed inventiva, non è proprio cosa da tutti. Ed il factotum alsaziano, coadiuvato da una serie di ospiti dietro al microfono, non si conferma certo uno sprovveduto, sciorinando infatti un'ottima prova sia dal punto di vista esecutivo che compositivo. La opening track, cosi come le successive, non sono di certo tracce dritte e dirette di black metal fine a se stesso, c'è sicuramente uno studio dietro alla loro architettura, fatta di cambi di tempo ben calibrati, ottime melodie, harsh vocals e ficcanti chorus, accelerazioni sprezzanti e rallentamenti sfiancanti; ottima a tal proposito la già menzionata "Judgement", seconda perla del disco. La terza "Ethereal Hands" è il singolo dello scorso anno ed evidenzia ancora come all'artista francese piaccia mettere in scena lunghi brani oscuri corredati da una serie di orpelli stilistici tutti da gustare nel loro spettrale e caustico incedere. Per quanto non ci si trovi di fronte a nulla di stravolgente, devo ammettere di contro, che non si tratti nemmeno di qualcosa di cosi scontato. Ci prendiamo un attimo di respiro con lo space black strumentale della breve "Reborn" per poi lanciarci a tutta forza con il black belligerante di "No Way Out From Mankind" ove il vocalist ci diletta con lancinanti grida disumane poste su di un range chitarristico di grande tensione. Un altro intermezzo esplorativo e arriviamo alla conclusiva "Whispering from Space", l'ultima feroce e angosciante tappa di un album di cui non farete certo fatica ad assimilare l'odio e la disperazione contenute nei suoi diabolici solchi. Convincenti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2017)
Voto: 70

https://timelurker.bandcamp.com/

martedì 30 maggio 2017

OSS - Primo

#PER CHI AMA: Industrial/Drone/Noise
Una bustina in plastica contenente un foglio, questo leggermente più spesso del normale, macchiato, seccato e dall'aspetto usurato. Ecco il primo approccio con 'Primo', lavoro degli OSS, duo industriale proveniente dall'alto Veneto. Un canto alpino: "Era una notte che pioveva", sono i secondi iniziali di "Solda'", traccia d'apertura di quest'opera prima. Subito la base ritmica evidenzia l'utilizzo della drum machine, con il suo incedere marziale, mentre un synth ad onde quadre, fa da tappeto a vitree voci. Questo stile viene mantenuto in "Mazariol", titolo che si rifà al leggendario folletto che si aggira nella marca trevigiana, un brano che vede l'inserimento di un basso distorto ed insieme ad un'evoluzione ritmica della drum machine, conferisce un altalenante senso di moto dalle tendenze tribali. Un misterioso piano introduce "Anguana", una traccia con andamento circolare, proprio come le ceste di vimini che queste ninfe mitologiche facevano riempire vanamente di acqua coloro che si attardavano fuori casa la sera. Il movimento crescente, a cui si somma un synth accompagnato da una voce, narra l'incontro con questa fata dell'acqua, mentre altri pattern di drum machine e synth si aggiungono alla base e arricchiscono progressivamente il suono. "Biasio" è la song che più si avvicina al noise. Il theremin dei primi minuti infonde un senso spettrale, un lamento leggero che si trasforma sempre più in una spirale d'agonia che porta a suoni ridondanti e volumi crescenti fino alla completa saturazione, prima di cadere nuovamente a picco verso la fine. Il disco mostra l'attitudine tipica dei primi approcci post-industrial e power electronics, con suoni onesti, minimali e scarni. Il range dinamico è la vera potenza del disco che vede innalzarsi crescenti picchi sonori nel corso delle composizioni. Un esordio sicuramente di buone prospettive per questo progetto anche se l'EP dura solamente 25 minuti, ma sono certo (ed auspico) che in futuro il problema sia invece quello di contenere il minutaggio. (Kent)

Yugen - Stillness Disturbed

#PER CHI AMA: Techno Death/Progressive, Meshuggah
Da sempre incenso l'Australia, al pari della Francia, come nazione dotata di una scena underground davvero ricca di interessantissime leve. Quest'oggi, ecco fare la conoscenza degli Yugen, quartetto dedito ad un techno progressive death davvero entusiasmante. Peccato solo che il dischetto in questione, 'Stillness Disturbed', consti di sole quattro tracce per una durata inferiore ai 14 minuti, ma va beh chi si accontenta gode dice un detto, ed in attesa di un'uscita più consistente, ecco un bell'antipasto con cui farsi la bocca e che alla fine rischia di non saziare. Si parte con la title track, che vista l'assenza di vocals, suona più come un intro, sebbene la ritmica e gli arzigogolati riff di chitarra e basso, non avvicinino per nulla "Stillness Disturbed" ad una interlocutoria traccia introduttiva. Con "Shallow Glance" faccio maggiore chiarezza sul tema "vocals" e capisco maggiormente l'approccio dinamitardo della opening track: fondamentalmente le vocals non esistono (sebbene i credit all'interno del cd vantino ben due cantanti) se non in una veste corale distaccata, che ci consente di focalizzarci al meglio sugli stop'n go, il chitarrismo sincopato dei nostri in stile Meshuggah, i numeri da circo del basso e su di una batteria che suona più che altro come la classica "contraerea" nei cieli coreani. Frastornato dalla proposta musicale dei quattro canguri e da un altrettanto eccelsa tecnica esecutiva, arrivo alla terza "Votive of Water", song ubriacante per le sue dinamiche linee di chitarra, ma dove ancora una volta a mettersi in luce, è la pulsante linea di basso di RS Frost, contrappuntata dal bellicoso armeggiare del drumming. Ahimè sembra passato un attimo da quando il dischetto è iniziato, ma sono già giunto alla conclusiva "The Swell", brano che parte in sordina, per poi esplodere tutto il proprio potenziale in una ritmica killer, ed in un corposo finale, il cui effetto è simile a quello dell'impatto di un'automobile lanciata ai 200 km/h contro un muro di cemento armato. Granitici, senza dubbio alcuno! (Francesco Scarci)

Demonbreed - Closer to God

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrashcore
Per lo spazio Back in Time ho deciso di recensire un disco inutile, per fare in modo che nessuno di voi si sbagli e acquisti simil porcheria. Quindi non starò a perdere tempo più del dovuto. 'Closer to God' è stato il mediocrissimo debutto (e anche unica fatica) dei Demonbreed, band proveniente dal Regno Unito, che ha avuto ben poco da dire in ambito musicale. A partire da una terribile copertina, la musica si rivela anche peggio, presentandosi come un’accozzaglia di death/thrash e hardcore senza compromessi. Ritmiche furiose inutili si combinano con harsh vocals banali a generare un album senza un preciso scopo. Almeno, fosse stato ruffiano, l’avrei bollato come uno dei tanti dischi che propongono catchy death/thrash, ma neppure in questo è riuscito a soddisfare le mie aspettative, data la sua scarsa incisività, che ben presto mi ha portato al collasso, durante l’ascolto. L’inizio di “Blood Will Fall”, ha tentato di ridestarmi dalla noia imperante, con quel suo inizio darkeggiante che mi ha illuso si trattasse di una svolta musicale, quasi epocale, così differente dai precedenti pezzi, ma alla fine si è rivelata solo una speranza delusa, per tornare a picchiare in quel modo grossolano e irritante che proprio non tollero. “Whisky and Weed Edge”, sesta traccia, si rivela l’unico momento piacevole dell’album: 90 secondi strumentali di suoni psichedelici e malinconici. Per il resto, 'Closer to God' non è altro che un album da dimenticare. (Francesco Scarci)

(Casket Music - 2005)
Voto: 40

lunedì 29 maggio 2017

Pain of Salvation - In the Passing Light of Day

#PER CHI AMA: Heavy Progressive
La dream-teatrante e regressiva "On a Tuesday" collocata in apertura, intrisa di poliritmia, ghghgh, ammennicoli elettronici, repentini cambi di ritmo e inversioni di mood, interpreta solo nei suoni e non negli intenti quell'attitudine pionieristica heavy-progressive mirabilmente codificata quindici/venti anni addietro. Poco più avanti, "Full Throttle Tribe" comprime ulteriormente i suoni, suggerendo una sempre incombente esplosione emozionale. Il (tantissimo) resto dell'album si compone di un certo numero di Gidenlösissime simil-ballad con sofferente crescendo e chiusura fracassona (i finali nervosi quasi-rap di "Meaningless", cover dei Sign di 'Zolberg' e di "If this is the End", il superchitarraus di "Angels of Broken Things", il climax soulful di "The Taming of a Beast" dalle parti del Glenn Hughes più etereo) con l'unica eccezione del singolo marcatamente road-salterino (e parecchio furbo) "Reasons". Fastidiosamente autoreferenziale (e un pochino porta-sfiga) il tema del concept, dissertante stavolta del ricovero in ospedale dello stesso Gidenlöw pare per fascite necrotizzante, e della successiva lunga e fortunatamente riuscita convalescenza. Irritante la "bonjovata" finale di quindici minuti dedicata alla moglie, all'amore, al tempo che passa, alle farfalline nei prati e a queste tre fottute tonnellate di melassa musicale non richiesta che vi sono malauguratamente arrivate in faccia e nelle orecchie ("Nations have been born / the heroes of our childhood / dead, forgotten, or gone / but we still stand"). Un bel disco, ma non per i P-O-S. (Alberto Calorosi)

(Inside Out - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Painofsalvation

The Pit Tips

Francesco Scarci

Mesarthim - The Great Filther /Type III
Au-Dessos - End of Chapter
Lost In Kiev - Nuit Noire

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Don Anelli

Logic of Denial - Atonement
Angel Martyr - Black Book, Chapter One
Sentient Ignition - Enthroned in Gray

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Matteo Baldi

Deathspell Omega - Paracletus
Old Man Gloom - The Ape of God
Sumac - The Deal

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Kent

Balance Interruption - Door 218
Archivist - Construct
Beaux Arts Trio & Grumiaux Trio - Franz Schubert: Complete Trios

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Five_Nails

Nephilim's Howl - Through the Marrow of Human Suffering
Necrophagist - Onset of Putrefaction
Soundgarden - Badmotofinger

Ghusa - Öswedeme

#PER CHI AMA: Death Old School, Dismember, Grave
Ammetto che ignoravo l'esistenza di questa meravigliosa creatura francese che dal 1989 dispensa death metal di stampo scandinavo con grandissima dote. I Ghusa, acronimo di "dio ci odia tutti" (God Hate US All), sono al loro secondo album (ci sono anche due demo all'attivo ed una compilation celebrante i loro 25 anni di attività) e devo dire che il quintetto parigino è pienamente sul pezzo. 'Öswedeme', uscito agli inizi di maggio per la White Square Music, segue le orme dei grandi nomi del death metal svedese old school, quali primi Entombed, Dismember e Grave. L'album si apre con una meravigliosa intro presa direttamente dalla colonna sonora di '28 Settimane Dopo', film horror fantascientifico, ed è una attesa che ti fa rosicchiare le unghie, finché parte "H" e tutto si compie. La voce di L. Chuck D. è veramente fantastica, calda e catarrosa al punto giusto, ogni riff è azzeccatissimo e ben calibrato, ogni bridge ed assolo è nel posto giusto, un death metal fatto con il buon gusto, di assoluta devastazione si, ma con i guanti bianchi da parata. In "Death or Glory" e in "Epitaph" si ha l'innesto anche di parti vocali pulite, che fan capire che si può fare death metal anche aggiungendo elementi estranei ai puristi del genere, spero solo non storcano il naso, non sanno che si perdono altrimenti. Le sfuriate in blast beat non mancano e quando i giri di chitarra si aprono, è quasi impossibile non soccombere all'headbanging furioso. "Sickening" e "In Gods We Fear" mantengono la tensione alta, mentre con "Carve Up" si oltrepassa il confine della violenza, con riffs monocordi quasi black, in cui il drummer Pyromancer sfodera un'assoluta padronanza dello strumento con un'ottima prova in fatto di velocità. Mentre la maggior parte delle tracce non varcano la soglia dei 3 minuti e mezzo, "Fying in a Dark Dream", è il classico mantello di chiusura dell'album, quello che sfonda gli otto minuti, ma solo perché all'interno si racchiudono in realtà due canzoni distinte, staccate da una manciata di secondi. Insomma, questo è veramente del fottuto Swedish Old School Death Metal e loro sono i Ghusa, quasi 30 anni di attività la cui classe è sparata davanti ai nostri occhi. Avanti così. (Zekimmortal)

(White Square Music - 2017)
Voto: 85

https://www.facebook.com/ghusaband/