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martedì 22 marzo 2016

Lazenby - S/t

#PER CHI AMA: Pop Rock
Ascoltare il disco dei Lazenby (il cui nome richiama l'attore George Lazenby, che vestì i panni di James Bond nel 1969) ti riporta alla dimensione paesana della musica: una festa di fine estate con una band di amici che si esibisce sul palco. Claudio, Roberto, Mauro e Massimiliano sono un quartetto che si divide tra Varese e Lugano, che propone un mix musicale fatto di sonorità pop (guidate dalle tastiere di Roberto) e cantautorato italiano (trainato dalla voce e dagli ottimi testi di Mauro). La band raccoglie in questo EP omonimo, sei pezzi estratti da un notevole serbatoio di brani già scritti (sembrerebbero addirittura una settantina). I Lazenby si presentano come degli ottimi esecutori ma, purtroppo, ad un'analisi più approfondita, non aggiungono nulla a quello che tanti, prima di loro, hanno già cantato e suonato. Più volte durante l’ascolto dei brani infatti, ho avuto l’impressione di aver già sentito quella canzone, che rimandasse a qualcosa di già ascoltato. La voce di Mauro in alcuni brani viene a mancare e non si fonde a pieno con la musica come, a mio parere, dovrebbe fare. Non sto dicendo che questo sia un brutto disco, ma che forse non lasci molto nella testa di chi ascolta. I brani si succedono in sequenza, senza prevalere l’uno su l’altro: una nota di merito va sicuramente alla bluesaggiante "Dove Finisce la Ferrovia" e all’arpeggio di "Ottobre", ultima traccia dell’album, ove per un attimo si spera in un guizzo finale, che ahimè tarda ad arrivare. Un peccato perché a mio avviso, le potenzialità ci sono tutte e dal vivo probabilmente, i nostri potrebbero davvero sorprendere. (Daria Burla & Francesco Scarci)

Parqks - S/t

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post Rock
I francesi Parqks sono un trio nato nel 2010, originario di Limoges. Dopo il demo del 2012 (peraltro suonato interamente live), i nostri hanno prodotto la loro opera prima nel 2015, questo 'Slow Ascent Melancholia'. Si tratta di un album strumentale contenente sette tracce che mescolano eteree melodie shoegaze ("Siberia") ad aperture post rock più robuste ("Nubla 93") che sfociano spesso e volentieri, in tappeti sonori distorti ("Shade Is A Light That Faded"). Con "Say Goodbye & Goodnight" invece, a farla da padrone sono flebili attimi di pura malinconica atmosfera, che ha il merito di allentare l'atroce scandire del tempo. Non sempre è scontato trovare in canzoni strumentali una struttura che preveda strofa e ritornello, tuttavia il terzetto transalpino ci riesce degnamente nella opener "The Evening Was Cold But We Felt Warm Inside", ove la mancanza del cantato scompare di fronte a una composizione di questo tipo. In questo caso, le vocals sarebbero addirittura di troppo, grazie all'utilizzo di due chitarre e una batteria, e al fatto che la band non disdegni neppure l'uso di synth, come l'MS20 della Korg, per farsi accompagnare con pad e vari soundscapes. Direi proprio una scelta azzeccata vista la qualità timbrica dei suoni prodotti. Personalmente auspico che i Parqks continuino nella loro evoluzione sonora per poter imboccare nuove strade di sperimentazione sonica. Ho l'impressione infatti che si divertirebbero molto e i loro fans con loro. (Alessio Perro)

(Self - 2015)
Voto: 70

https://parqks.bandcamp.com/

domenica 20 marzo 2016

Hyling - Decimate The Human Race

#PER CHI AMA: Black Scandinavo, Mayhem, Dark Funeral
Il verso della civetta, i suoni e i rumori del bosco nella notte, aprono l'oscuro viaggio degli Hyling (e altri ci accompagneranno tra un pezzo e l'altro) in quello che è il terzo lavoro in 15 anni per l'act veronese. 'Decimate the Human Race' è un disco che se fosse stato partorito in Svezia, sarebbe balzato agli onori della cronaca metal come una bomba in ambito black. Essendo stato concepito invece in quel della città di "Giulietta e Romeo", mi sembra sia passato un po' più in sordina, sebbene sia stato decantato da diversi web magazine. Non posso far altro che accodarmi a quanto scritto dai colleghi e dire che gli otto pezzi qui contenuti, possono rappresentare un buon viatico per i nostri verso una maggiore visibilità internazionale. Nel frattempo ascoltando il disco, vorrei soffermarmi su alcune caratteristiche vincenti di questo 'Decimate the Human Race', i cui contenuti lirici ci conducono all'oscuro decadentismo in cui è sprofondata la razza umana: innanzitutto, partirei dall'ottima prova vocale di Patrik Carlsson, vocalist degli svedesi Anachronaeon. Per lui una timbrica a metà strada tra Attila Csihar e Emperor Magus Caligula (ex frontman dei Dark Funeral), che ben si amalgama con la proposta estrema degli Hyling. Secondo punto di interesse è la presenza dietro le pelli di Enrico "Il Rosso", preso in prestito dai Riul Doamnei, uno che quando c'è da picchiare in modo violento ed ultra tecnico, non si tira certo indietro. Tra i punti di forza aggiungerei poi quel riffing acuminato di matrice scandinava che sicuramente riuscirà a metter d'accordo i fan di Mayhem, Unanimated, Immortal, Darkthrone, Marduk, Dark Funeral, Sarcasm, Gorgoroth, Dissection e Setherial, tanto per confinare a qualche nome della scena, l'ambito in cui i nostri si muovono. Per concludere, non sottovalutate neppure i contenuti lirici del disco, evitando di soffermarvi in modo superficiale al titolo provocatorio del platter. Detto questo, lasciatevi incantare dalla dinamica ferocia del combo veneto, per cui vi consiglierei l'ascolto della sinistra title track, e di "Moon", la song posta in apertura, che palesemente rievoca quel masterpiece che è 'De Mysteriis Dom Sathanas'. Suoni raggelanti, cambi di tempo che imperversano lungo l'intero lavoro, melodie sghembe e una dose di violenza con pochi eguali (che avvicina peraltro 'Decimate the Human Race' anche al death metal), completano il quadro di un disco ambizioso, che ha ancora modo di mostrare alcune interessanti soluzioni nell'acustica strumentale di "Quiet Waters" e nella conclusiva ed epica "Dust", che in questo caso sembra addirittura evocare 'Blood, Fire, Death' degli immensi Bathory. Per favore, ora non fermatevi! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 75

sabato 19 marzo 2016

Womb - Deception Through Your Lies

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi My Dying Bride, Saturnus
Se mi sembrava strano che il funeral doom imperversasse in Brasile con gli HellLight, altrettanto strano mi suona che gli andalusi Womb si facciano portavoce di un death doom atmosferico. Diavolo, in quelle terre dove il sole splende alto nel cielo, che bisogno c'è di deprimersi con atmosfere di siffatta decadenza. Supportati dalla onnipresente Solitude Productions (sempre più in simbiosi con la Hypnotic Dirge Records), questo quartetto, tra le cui fila militano membri o ex di Winterstorm e Shattered Sigh, si abbandona ad un acerbo concentrato di sonorità doom che poco hanno da aggiungere a quanto già affolla la scena oggigiorno. Non posso negare che le melodie di "Echoes of Our Scars" non siano gradevoli, però trovo che la produzione scarna e scarsa, ne penalizzi non poco il risultato finale. Ovviamente, gli ingredienti del genere ci sono tutti: riff lenti e ossessivi, atmosfere cupe e apocalittiche, qualche accelerazione di matrice death e infine le immancabili funeste voci growl, che rappresentano il secondo punto di debolezza (forse ancor più grave della produzione) di questo 'Deception Through Your Lies' per cui lo relegano ad album per soli amanti del circuito funeral doom underground. Insomma, qui c'è spazio per crescere, non basta prendere i soliti punti di riferimento, Saturnus o i primi My Dying Bride, tanto per citarne un paio che ho percepito nella malinconica "March", per confezionare un album che possa puntare a chissà quali traguardi. 'Deception Through Your Lies' è sicuramente un lavoro onesto che però poco di innovativo ha da dire. Una maggiore cura nei dettagli a livello dei suoni con un vocalist un po' meno "cavernicolo" e qualcosa di meglio sarebbe sicuramente emerso dalle note di queste cinque tracce. Per ora rimandati, ma non perdete la fiducia mi raccomando. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions/Hypnotic Dirge Records - 2015)
Voto: 55

https://hypnoticdirgerecords.bandcamp.com/album/deception-through-your-lies

Atom Made Earth - Morning Glory

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock/Stoner, Mono, Mogwai, Pink Floyd
Difficile catalogare il quartetto marchigiano degli Atom Made Earth, una delle realtà più eclettiche e originali che abbia sentito ultimamente. Nel loro lavoro (il primo studio album, dopo un live del 2014) c’è davvero di tutto: c’è la psichedelia spaziale dei Pink Floyd mescolata alle cavalcate stoner degli Sleep ("Thin"), c’è il prog-rock contemporaneo di "Reed", dove si respirano echi di Porcupine Tree e Rush, c’è lo stoner-rock anni 2000 stile June of 44 e Brant Bjork & The Operators ("Baby Blue Honey"). Su lunghe parti strumentali uscite dritte dritte da qualche b-side dei Black Sabbath si aprono all’improvviso parentesi dispari di ispirazione King Crimson e lunghe suite settantiane di hammond ("StaC", vero capolavoro del disco); e poi, qua e là, si trovano anche gemme di kraut-rock, sperimentazioni ambient, azzardi sonori e spolverate di jazz. Gli Atom Made Earth suonano tutto, e molto bene: le chitarre passano da suoni acustici crepuscolari a distorsioni pungenti, da wah-wah funkeggianti a misurati delay; le tastiere sfruttano a pieno elettronica, organi, pianoforti e sintetizzatori. Basso e batteria non sbagliano mai, prediligendo sonorità più naturali, grande dinamica e partiture mai banali. La produzione è forse un po’ troppo asciutta e concentrata e – nonostante il gran lavoro di James Plotkin e Gianni Manariti – avrebbe forse goduto di un po’ più apertura, anche a discapito della pulizia generale che, bisogna ammetterlo, mantiene chiara e godibile ogni singola nota suonata. Il vero difetto degli Atom Made Earth è però la sottile sensazione di manierismo che pervade il lavoro: se alcuni accostamenti di generi funzionano alla grande, altri sono studiati un po’ troppo a tavolino e risultano freddi e forzati. Le pur sopraffine tecnica e creatività compositiva dei musicisti, in alcuni casi, sono controproducenti e 'Morning Glory', qua e là, perde di spontaneità e risulta solo un artificiale esercizio di stile imitativo. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2016)
Voto: 65

https://atomadearth.bandcamp.com/album/morning-glory

Witte Wieven - Silhouettes Of An Imprisoned Mind

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Provenienti da Tilburg in Olanda, i Witte Wieven (che sta per "donne sagge") sono un duo formato da Sarban (batteria) e Carmen (voce, chitarra e basso), dediti a un black metal d'atmosfera, tinto comunque di influenze cascadiane e post black. Lo si evince immediatamente dall'opener track, "Ruin", un'autentica galoppata di suoni post black, in cui le uniche voci sono lasciate ai sussuri soavi della brava Carmen che per certi versi richiama le produzioni più delicate di Myrkur. "Silhouettes of an Imprisoned Mind", la traccia che dà anche il titolo a questo mini cd (racchiuso in un digipack elegante dalla cover assai suggestiva che riprende 'Dancing Fairies' del pittore svedese August Malmström), continua nella sua opera di ritmiche serrate in pieno stile US, fino a quando la quiete non prende il sopravvento e come una ammaliante sirena, Carmen torna a proporre dei brevi sussurri in sottofondo. Non per molto a dire il vero, perchè la furia dilagante del duo orange, avrà modo di esplodere ancora in vibranti accelerazioni, lasciando la parola alla sola musica. Si arriva velocemente alla terza e ultima song di questo EP, che funge da apripista all'imminente album di debutto. "Faces of Unreality" si muove tra sinistre atmosfere, rallentamenti al limite del doom e sfuriate black, che lasciano soltanto intravedere le potenzialità che questo duo olandese possiede. Quindici minuti sono un po' pochi per capire cosa ci riserva il futuro, soprattutto se le tracce che verranno saranno completamente strumentali o se Carmen sarà in grado di offrire vocalizzi alla stregua della collega danese, leader dei Myrkur. A breve per nuovi aggiornamenti. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 65

https://wittewieven.bandcamp.com/

mercoledì 16 marzo 2016

Colonnelli - Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi

#PER CHI AMA: Thrash/Heavy, IN.SI.DIA
Ho sempre sostenuto che in Italia ci siano tante realtà assai valide, che solo canali “alternativi” come questo del Pozzo, possono far venire a galla. In questo specifico caso, a dir poco strabiliante, abbiamo a che fare con un potentissimo trio toscano, di Grosseto per la precisione. I Colonnelli marchiano a fuoco la fine del 2015 e l'inizio del 2016 con questo album che si candida, senza troppi giri di parole, ad essere una delle più limpide dichiarazioni di manifesta superiorità in ambito metal degli ultimi anni. Ma andiamo con ordine: immaginate un tonante groove metal suonato da Dio, aggiungete un inedito (per il genere) cantato in italiano, unite una tonnellata di doppio pedale solidissimo e amalgamate il tutto con un riffing serrato e molto preciso. Fatto? Bene, miscelate tutto benissimo e assaporate il risultato: un disco gigantesco. Lungo i ripetuti ascolti non ho potuto trovare un punto debole che sia uno, anzi, ad ogni ascolto apprezzavo sempre di più il lavoro di Leo, Bernardo e Andrea (coadiuvati poi in registrazione da altri musicisti). 'Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi' è un entusiasmante mix heavy che richiama i Motorhead, finisce in braccio ai Misfits, per poi sfiorare da vicino il thrash metal più grooveggiante dei Kreator. Era dai tempi ormai lontani dei dischi dei monumentali IN.SI.DIA che non mi era più capitato di imbattermi in un lavoro così valido, peraltro cantato in italiano. Un piacere unico avere a che fare con questo lavoro, che può avvalersi anche di un ottimo suono, ideale per il tipo di sound proposto ma che personalmente avrei preferito un po' più “pulito”, senza dover per forza scadere nel troppo freddo e asettico. Il trittico iniziale è da pelle d'oca, una qualcosa di notevolissimo spessore: ”Il Boccone Amaro”, “Masticacuore” e la potentissima “Circo Massacro” spazzano via tutto quello che incontrano sul proprio cammino, come panzer in avanzamento perpetuo. Bastano solo questi tre pezzi per indurvi all'ascolto di questo massacro sonoro. Non c'è da aggiungere molto altro, perché altrimenti sarei troppo propenso a “distribuire” lodi sperticate che potrebbero risultare stucchevoli, non mi rimane pertanto altro che consigliarvi di procurarvi il disco quanto prima. Non ve ne pentirete assolutamente. Anzi, ve ne innamorerete all'istante. Giganti! (Claudio Catena)


((R)esisto Distribuzione - 2015)
Voto: 90

Mutiny on The Bounty - Digital Tropic

#PER CHI AMA: Experimental Post Rock
Questo giovane quartetto proveniente dal Lussemburgo è arrivato al terzo full-length, che aggiunge un nuovo tassello alla propria evoluzione - senza però ancora raggiungere la piena maturità - con un disco curatissimo in ogni suo dettaglio, dalla registrazione alla confezione, e formalmente ineccepibile. Alfieri di un post-rock strumentale dalle forti connotazioni math, con 'Digital Tropic' i Mutiny on The Bounty innestano massicci quantitativi di elettronica su una matrice che rimane sostanzialmente post-metal, per un risultato sicuramente curioso e intrigante, pur non privo di punti interrogativi non ancora del tutto risolti. Innanzi tutto due parole vanno spese sul magnifico 12’’ in vinile trasparente che, oltre a garantire un’eccellente resa sonora, permette di godere appieno della splendida copertina. Scelte stilistiche cosí raffinate si riflettono nella cura che la band pone nella composizione e realizzazione della propria musica, contrapponendo potenza e delicatezza, rabbia e candore. Come detto, l’impianto è un classico math-prog-metal piuttosto potente e complesso ritmicamente, sul quale si adagiano ricami chitarristici, synth, loop ed effettistica varia, in un modo che ricorda vagamente i 65daysofstatic, pur senza raggiugerne le vette poetiche. Le cartucce migliori vengono sparate subito in apertura, e se ci si trova piuttosto esaltati dall’ascolto delle trascinanti "Telekinesis" e "Countach", si rimane soddisfatti solo a metà del resto della scaletta. Tanto i primi due brani stupiscono per freschezza, potenza e creatività, quanto risulta difficile tenere desta l’attenzione per tutta la durata dell’abum. Il punto è che il gioco, dopo un po’, sembra mostrare la corda, gli inserti elettronici risultano un po’ troppo zuccherosi e quella che sarebbe potuta essere la perfetta colonna sonora di un film di fantascienza distopica alla Matrix, sembra in piú di un’occasione la musica di una versione di Candy Crush Saga sotto anabolizzanti. Forse semplicemente 'Digital Tropics' è un tantino freddo, al cospetto di un’esecuzione impeccabile e di doti non comuni di scrittura, o forse si tratta di un disco che risente molto del mood con il quale lo si ascolta. In definitiva i lussemburghesi sono senz’altro promossi, ma con riserva. Come tutti gli studenti piú dotati, da loro ci si aspetta sempre qualcosa in piú. E speriamo che possano mostrarcelo in futuro. (Mauro Catena)

(Small Pond Recordings - 2015)
Voto: 70