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sabato 24 ottobre 2015

Windfaerer - Tenebrosum

#PER CHI AMA: Death/Black, Ne Obliviscaris
Ho scoperto i Ne Obliviscaris e anche grazie a me si è materializzata l'uscita del loro primo album per la nostrana Code666. Ora non so se i Windfaerer possano essere identificati come i degni eredi dei ragazzi australiani, quel che posso dire è che 'Tenebrosum' è un disco bomba che piacerà sicuramente a tutti quelli che come me, hanno amato e amano tutt'ora l'act di Melbourne. Punti di contatto con l'ensemble autore di 'Portal of I', e più recentemente di 'Citadel', ce ne sono parecchi: partiamo da un approccio black/death coadiuvato da un violino che suona con incredibile passione. La opener "Celestial Supremacy" ci regala una band che sembra aver fatto un gran salto in avanti rispetto agli esordi di 'Tribus'. Un songwriting eccellente, delle chitarre aguzze che sembrano derivare dallo Swedish death/black, in una specie di ibrido tra Dissection e primi Dark Tranquillity, con le graffianti vocals di Michael Gonçalves (tra l'altro anche chitarra e basso) supportate dall'inebriante suono del violino di Benjamin Karas (in arte Valček) e dal trambusto sonoro di John Paul Andrade dietro la batteria. Ma ciò che ruba inevitabilmente la scena e su cui finisce per avvitarsi l'intero sound dei Windfaerer, è lo psicotico violino di Valček, dotato di suoni sinistri ma assai melodici. "Finisterra" (il cui riferimento alla città della Spagna, ci porta a scoprire che 'Tenebrosum' esplora la mitologia della penisola Iberica) parte più compassata, con una ritmica dal forte sapore nordico che arriva a richiamare addirittura 'Lunar Strain' degli In Flames per una certa vena folklorica che si cela dietro alle sue note. Ma è la seconda parte del brano a dare il meglio di sè, quando chitarra e violino tra loro a braccetto, incendiano l'aria con delle strazianti ma estatiche melodie. "Tales Told in Oblivion" mostra l'elevata verve del terzetto del New Jersey, incredibile nel muoversi sia su tempi tirati, che in ambiti più atmosferici (qui addirittura quasi jazz). La creatività dei Windfaerer continua a stupire, non solo nella produzione di lunghi brani, ma anche nell'alternanza di saliscendi emozionali, cambi di tempo, strutture ritmiche e molto, molto altro. 'Tenebrosum" è un signor album, non so se già all'altezza di 'Portal of I', ma sicuramente si tratta di un disco per cui valga la pena spendere mille parole. E cosi proseguo nel mio ascolto, arrivando alla roboante e strumentale "Santeria", guidata dal diabolico suono del violino che si innesta sulla robusta sezione ritmica in una song che somiglia quasi al 'Trillo del Diavolo' di Tartini e la cui performance vale da sola il prezzo del cd, per cui già ora vi invito a rintracciare tramite la pagina bandcamp del trio statunitense. Rispetto ai gods australiani, i Windfaerer non hanno ancora optato nella doppia soluzione vocale (pulita e urlata), per cui il sound alla fine appare come più violento, sebbene le melodie del violino infiammino non poco la mia anima. "The Everlasting" è furente nel suo incedere con una cavalcata brutale stemperata solo dalla tiepida melodia dello strumento ad arco e da un finale che crea un'attesa molto simile a quella di "Blashyrkh (Mighty Ravendark)" degli Immortal. Strepitoso. Con "Morir en el Olvido" si continua a cavalcare i lidi del folk black tra melodie lontane e screaming arcigni e un malinconico assolo conclusivo. Peccato solo che la produzione non sia sempre all'altezza e la mancanza di pulizia alla fine ne penalizzi un po' il risultato a causa di suoni un po' troppo spesso impastati. L'ultima traccia è affidata alla nevrotica furia di "The Outer Darkness", song che se fosse contenuta in un disco qualsiasi degli Anaal Nathrakh, nessuno avrebbe a che ridire: violenta, sprezzante, selvaggia, quasi fuori contesto dal resto del disco, non fosse altro per quel magnifico violino che si diletta ancora una volta in fughe da musica classica e dimostri quanto il nostro amato metal sia perfettamente complementare alla musica dei grandi mucisisti del passato, Bach, Wagner o Dvorak. Bella scoperta quella dei Windfaerer per cui ora aspetto il grande salto, motivo in più per tenere il voto di questa release almeno mezzo punto più basso. Impressionanti. (Francesco Scarci)

Australasia - Notturno

#PER CHI AMA: Post Rock/Post Black, Mogwai, Godspeed You! Black Emperor 
Provo sempre un sottile senso di invidia quando capito in lavori come questo ‘Notturno’, secondo full length degli Australasia. Un disco complesso, concettuale, figlio dell’ottimo polistrumentista italiano Gian Spalluto che si diletta tra chitarre, basso, tastiere e batteria. Il risultato è un’opera post-rock strumentale, che però sta stretta nei confini del genere. Anzitutto, la durata dei pezzi: solo la bella "Eden" supera i 6 minuti di durata. Le altre tracce sono invece costruite su una forma canzone più concentrata e ragionata, senza inutili ridondanze chilometriche. Poi i suoni: certo, vengono in mente subito Mogwai e Godspeed You! Black Emperor, riferimenti fortissimi in ‘Notturno’. Ma non è tutto qui: alcuni s direttamente dalle librerie di The Cure e Mike Oldfield ("Creature", "Lumen"), altre progressionynth piombanoi ricordano i The Mars Volta e i Pink Floyd ("Haxo", "Amnesia"). Ci sono anche elementi tipici dello shoegaze (soprattutto sugli effetti delle chitarre); e i riferimenti allo stile orchestrale tipico delle colonne sonore di Ennio Morricone – ma anche Brian Eno – sono altrettanto evidenti ("Invisible", l’asciutta e poetica "Notturno"). Sopra tutto questo però, c’è un alone di oscurità, di crudo malessere e soffocamento, che permea il lavoro. Le melodie e gli arrangiamenti, pur emozionanti e oniriche, evocano un senso di perdita, nostalgia: a poco servono le distorsioni e le accelerazioni di batteria. I soundscapes creati da Spalluto rimandano chiaramente ad una scena black riletta però in chiave melodica e contemporanea, anche attraverso il misurato uso di elettronica e suoni ambient ("Nebula"). Un bel lavoro, capace di rapirvi per quasi tutto l’ascolto. ‘Notturno’ tuttavia non riesce a strapparmi un voto più alto: dopo aver premuto stop, l’eco dei brani si spegnerà piuttosto rapidamente. Tutto molto bello, ma forse poco personale e memorabile: intendiamoci, Spalluto tratta i riferimenti musicali da vero professionista, con gusto ed equilibrio. Ma c’è forse ancora poca rilettura personale al di là della pur originale combinazione degli elementi in sé. (Stefano Torregrossa)

(Apocalyptic Witchcraft - 2015)
Voto: 70

Amidst the Withering - The Dying of the Light

#FOR FANS OF: Symphonic Black/Doom/Death Metal, Dimmu Borgir, later Emperor
After a ten-year hiatus, this Atlanta-based Black/Doom acts’ second release is pretty much the shining example of why taking the time to compose and bring out the best of the material is wholly welcomed. Augmented strongly by a stellar keyboard-led attack that fully evokes grandiose imagery and bombastic rhythms, these highly-enjoyable rhythms are at the centerpiece of the band’s work by offering a sprawling landscape upon which to hand the rest of the work here with the guitar rhythms and drumming running along those foundations. Employing a strong mixture of both mid-tempo chugging that straddles the border between Doom and Death Metal with its low-slung rhythms and chunky riffing alongside the swirling tremolo riffing in truer Black Metal, this one manages to make for a pretty explosive mixture here as the three distinct styles come together quite nicely, ranging from strong blasts of lavish Black/Death Metal to heavy mid-tempo Doom outbursts and melody-driven grandiose pieces that feature a strong symphonic backdrop throughout. These varied approaches also allow quite a nice change-up as well in giving the different vocals here, from the raspy shrieks and clean croons alongside deeper growling and even eerie whispers to feel like a natural progression and part of a cohesive whole here, which is quite an impressive accomplishment here. Sure, some of the tracks could really be trimmed down some since there’s epic arrangements that do tend to go on far longer than it really should here and makes the album laborious to get through on the second half, but overall there’s a lot more to like here which makes this a great deal of fun with some solid tracks here. Instrumental intro ‘A Prelude to Darkness’ offers the kind of grandiose keyboards and majestic orchestration that make for a grand opening piece and sets the stage for the dynamic proper first-track ‘Auri Sacra Fames’ which bridges the absolutely grandiose keyboard work and haunting clean vocals with choppy, chugging rhythms and swirling Black Metal riff-work that makes for a stellar impression here with the grandiosity and charging rhythms working nicely in sync with each other. ‘The Clarion Light,’ ‘Autumnal Lament’ and ‘The Acolyte’ all move away from those strong rhythms for a simple series of tight chugging patterns overlaid by the swirling keyboard patterns that keep the light charging tempos going along strongly here for an overall enjoyable effort. The more symphonic ‘The Withering’ offers a strong symphonic melody against the charging mid-tempo rhythms building underneath as the mid-tempo paces drives into a stellar chunky Death Metal rhythm with the tremolo riff-work and fine keyboard work as the dueling rhythms build to an epic finish here in one of the album’s highlight tracks. Both ‘Aegri Somnia’ and ‘Seraph Enslaved’ follow a nice tightly-wound mid-tempo crunch with the rather softer keyboard arrangements coming through in a strong series of melodic rhythms while charging through the final half with blistering riff-work and lighter keyboards for a decent-if-unspectacular offering. ‘Infinitus Dolor Amoris’ is a decent interlude of acoustic guitars and majestic symphonic keyboards which create a rather nice breather for the following few enjoyable tracks, while a later attempt with ‘Prologue’ comes off as quite redundant considering the barely thirty second running time here. ‘A Love Benighted’ gets this back into the grandiose symphonic keyboards and heavy chugging brought along by the series of finely-tuned tremolo-blasts that charge through rather explosive rhythms that fully brings about one of the best tracks on the album. ‘Epilogue (A Defiant Succumbing)’ captures that spirit and energy in a short, barely two-minute package that comes off nicely, while the title track features some fine churning rhythms over the sprawling Doom notes throughout to give this a strong, fitting ending note. Still, as good as this is it’s mainly undone by the longer length here that really doesn’t need to be. (Don Anelli)

mercoledì 21 ottobre 2015

Atlas Volt - Memento Mori

#PER CHI AMA: Alternative Progressive Rock
Gli Atlas Volt sono un duo dislocato in Svezia, attivo dal 2011. In realtà i fondatori sono uno inglese e un canadese che dopo varie esperienze musicali, si sono incontrati a Malmö e hanno dato vita a questo progetto, incentrato su uno stile indie rock con contaminazioni post rock, shoegaze e prog. I due polistrumentisti vantano un background di tutto rispetto, con svariate esperienze in molte band, scrittura di colonne sonore e tanto altro ancora. Atlas Volt diviene quindi un crogiolo dove fondere il proprio bagaglio musicale, con la voglia di dare massimo respiro alla creatività, senza vincoli con etichette o quant'altro. Infatti la decisione di essere totalmente indipendenti li porta ad avere ottimi riscontri in Europa, con eccellenti risultati nelle vendite, già a partire dal precedente lavoro, 'Eventualities', uscito due anni fa. 'Memento Mori' è un concept album complesso, ricco e stratificato che consta di ben diciassette brani che si incastrano tra loro, svariando in diversi generi, pur seguendo sempre il filo comune del rock emozionale. Voce eterea, arrangiamenti che vanno da una flebile carezza di chitarra acustica o pianoforte, al pugno chiuso delle distorsioni con esplosione ritmica annessa. Quello che colpisce è la semplicità nella composizione, alternata a fraseggi complicati e ossessivi che mutano costantemente, con l'aggiunta di campionamenti vari che creano un mix non sempre classificabile. L'album è concepito come una colonna sonora dove il film è la vita di tutti i giorni, tempestata di gioie, dubbi, sfide e rivincite sul mondo e su noi stessi. Infatti anche i testi sono curati e mai lasciati al caso; la stessa dedica dell'album (a tutte le vittime del fondamentalismo religioso) non lascia dubbi sulla posizione sociale della band. "Event Horizon" apre le danze ed è subito facile immaginarsi i due musicisti che compongono in solitaria nei propri studi per poi lanciarsi in lunghe sessioni di prove assieme, sperimentando suoni e arrangiamenti fino ad arrivare al mix desiderato. Una traccia pop rock dove il pianoforte e la chitarra in veste eterea conducono l'ascoltatore verso paesaggi incontaminati, senza bisogno di proferire una singola parola. Il crescendo avviene con l'aggiunta di un assolo, con la batteria che si fa più incalzante e il basso che accompagna un po' in disparte. Breve, ma intenso. "Wrong" si avvale di synth e loop che danno maggiore spettro alle melodie e arrangiamenti classici, con l'aggiunta della voce che ben si sposa con le atmosfere shoegaze del brano. A metà brano entrano le chitarre distorte che portano una vena oscura e aggressiva con una belissima evoluzione prog rock che mostra il lato più incisivo degli Atlas Volt. Poi tutta torna come all'inizio: arpeggi e vocalizzi delicati ci ricordano che dopo la tempesta, il mare torna sempre calmo. "Sirenum Scopuli" riprende il mood della precedente canzone, puro prog rock con qualche vena alternative metal che sfoga tutta l'energia positiva accumulata sin qui. Gli strumenti hanno totale libertà e anche la scelta dei suoni trova tela bianca dove dipingere con colori accesi e sfumature di nero. Un excursus piacevole, che unito alla successiva "Purusartha" crea un contrasto geniale. Qui il sitar ci porta in oriente e quasi si sente il profumo di incenso che aleggia nella stanza in penombra, con lampi di luce che filtrano tra le tende svolazzanti. Devo dire che il duo non si è risparmiato nulla, i due compari si sono prodigati a suonare svariati strumenti e appena hanno potuto, hanno coinvolto altri musicisti per arricchire ancora di più gli arrangiamenti. L'elettronica, seppur rarefatta, si sposa con i violini e il pianoforte, unendo il vecchio con il nuovo e partorendo un album che magari farete fatica ad approcciare se siete amanti delle sonorità forti, ma che può regalare emozioni intense quando vorrete una pausa da tutto e da tutti, mentre state cercando una qualche risposta ai quesiti della vita o vorrete solamente settanta minuti di buona musica. Adatto anche a quelli che in un full length si lamentano spesso di brani tutti uguali, con 'Memento Mori' non accadrà mai. (Michele Montanari)

(Self - 2015)
Voto: 80

martedì 20 ottobre 2015

In Each Hand A Cutlass - The Kraken

#PER CHI AMA: Progressive/Post Rock, Porcupine Tree, 65DaysOfStatic
"Ok, ecco un altro disco post-rock". Ho commentato così, appena ricevuto tra le mani il curatissimo packaging di 'The Kraken' del quintetto In Each Hand A Cutlass, originario di Singapore. Ma mi sbagliavo, dio se mi sbagliavo. Questo disco è un capolavoro. Andrebbe, che so, fatto ascoltare a scuola, anziché perdere le ore con "La Cucaracha" al flauto. Bisognerebbe farlo ascoltare a tutti quelli che pensano che il post-qualunque-cosa sia finito (me incluso, fino ad ieri), che Mogwai, Isis, Pelican, Sigur Ròs e Karma To Burn abbiano sostanzialmente già detto tutto quello che c’è da dire in proposito. Bisognerebbe spararlo a forza dalle casse di tutti i supermercati, i centri commerciali e le ascensori del mondo, dicendo: “Sentite qua che roba”. In 'The Kraken' c’è tutto: ci sono le lunghe atmosfere oniriche costruite con crescendo magistrali (“Heracleion”), ci sono dosatissimi interventi elettronici che ricordano i 65DaysOfStatic e i Nine Inch Nails (“Seagull 1751”, “Combing Through The Waves”), c’è il prog contemporaneo dei Porcupine Tree, c’è il pop sbarazzino con i clap di mani sul rullante stile EDM (“Satori 101”), c’è il riffing distorto e il blast beat, c’è un bridge jazz (“The Kraken: An Intermission”), ci sono scale maggiori e minori, arpeggi e cavalcate rock, dinamica e groove, ossessione e follia; ci sono delicatezza, leggerezza, paura, inquietudine, allegria, trionfo. Ci sono decine di generi, atmosfere, momenti, poesia, emozioni, tutti concentrati negli oltre 60 minuti del disco. C’è una spaventosa cura dei dettagli e degli arrangiamenti, soprattutto per un disco autoprodotto. C’è una registrazione praticamente perfetta, che valorizza ogni strumento, permettendo di assaporare ogni nota, ogni rullata, ogni crescendo. Ci sono dei musicisti di una tecnica invidiabile – la sezione ritmica è magistrale, un batterista con questo gusto e questa fantasia non lo ascoltavo da tempo; e i suoni di tastiera? straordinari – e di una umiltà talmente spiccata da non trasformare nessun momento del disco in un onanismo autoreferenziale (“Senti qua che sweep picking a 250 bpm che riesco a fare”). Manca la voce? D’accordo. Ma non ne sentirete la mancanza. Mancano una direzione unificata, un focus, un preciso scopo in questo disco? Sbagliato. Il focus c’è eccome: esplorare la musica in tutte le sue caleidoscopiche sfaccettature. Un compito riuscitissimo. 'The Kraken' è un lungo viaggio, quasi cinematografico, nell’oceano della musica contemporanea, pieno di orrendi mostri e romantiche visioni. Un viaggio che vi consiglio di fare. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2015)
Voto: 90

domenica 18 ottobre 2015

Megatherium - Retrosky

#PER CHI AMA: Stoner/Doom/Sludge
I Megatherium sono tornati, quindi mollate tutto, bambini compresi e venite ad abbracciare il culto della bestia selvaggia. Il quartetto veronese è relativamente giovane (quattro anni all'anagrafe), ma dietro le quinte si celano musicisti che bazzicano la scena musicale da ben quindici anni e con un curriculum di tutto rispetto (Aneurysm, Gen Marrone, Mr. Wilson, Lokomotive, Elicotrema). Ci sono pertanto tutti gli ingredienti per aspettarci una band solida, matura e di qualità, e difatti, i Megatherium, dopo una pausa riflessiva, tornano in pompa magna con un EP di quattro brani che anticipa il nuovo full length, previsto a breve. 'Retrosky' è in parte scaricabile gratuitamente da Bandcamp e così anch'io ho seguito la via del digitale per questa recensione. Il primo brano si intitola "Ghost of the Ocean" ed è una via di mezzo tra una ballata stoner e una traccia doom, quindi lentezza morigerata e il tipico impatto del genere. Le chitarra avanzano con i loro rifferama in stile Down e Conan con suoni belli pieni e arrangiamenti che deliziano le nostre orecchie per accuratezza e stile. Per quando riguarda la sezione ritmica si è scelto un taglio classico-vintage, con il rullante definito come pure la grancassa. Nonostante il genere musicale, la registrazione riesce ad accontentare tutti, purtroppo le frequenze basse sono un po' limitate dal digitale via web, ma un bel cd o tanto meglio un vinile, renderebbero giustizia a questo EP. Il cantato è un altro elemento di valore che aggiunge interesse al lavoro dei nostri, offrendo una timbrica matura e trascinante che convince e che accompagna l'ascoltatore per tutti i quasi cinque minuti del brano. La seconda traccia è la title track, un vero e proprio capolavoro compositivo e melodico che rappresenta in pieno lo stile Meghaterium. Nei suoi otto minuti abbondanti, la band propone un folto numero di stati emotivi e mentali, passando da un mood psico-depresso alla rabbia più furibonda. Un'onda d'urto che incute ancor più timore perché viaggia a rilento per cui abbiamo tutto il tempo per realizzare che la piena ci investirà brutalmente segnando la nostra fine. Gli strumenti confermano il buon lavoro precedentemente fatto, ma stavolta il vocalist si esibisce in un cantato dall'indole quasi svogliata, a mio parere una trovata azzeccata che dà un taglio completamente diverso, decisamente intrigante. In seguito si trasforma in una sorte di inno a qualche belva satanica, con anche una sfumatura ruvida a mo' di ciliegina sulla torta. Buono l'uso delle doppie voci, mentre gli arrangiamenti possono risultare già sentiti, ma quando hai quindici anni di musica alle spalle, tutto il tuo background esce fuori prepotentemente come un alieno che ti squarcia il petto. Gli altri due brani sono "Betrayers Everywhere" e "Refuse to Shine", il primo risulta essere complesso e introspettivo, dove il vocalist si esibisce con uno stile alla Chris Cornell assai convincente. Il secondo è un'altra bordata con un buon lavoro di post produzione fatto di cori, effetti e quant'altro che dona un taglio moderno al brano. Peccato per la mancanza dei synth che probabilmente torneranno nel prossimo lavoro; avrebbero sicuramente aggiunto altre sfumature al già buon lavoro di arrangiamento fatto in studio. Direi che potevate iniziare già a scaricare l' EP alle prime righe della recensione, quindi se siete arrivati alla fine vuol dire che i quattro brani non hanno fatto altro che stuzzicare la vostra bramosia di stoner/doom e non vedete l'ora anche voi di mettere mano al prossimo album. Io di sicuro. (Michele Montanari)

(Self - 2015)
Voto: 75

sabato 17 ottobre 2015

Celeb Car Crash - ¡Mucha Lucha!

#PER CHI AMA: Punk Rock/Alternative
Recensire tre soli brani e giudicare formalmente una band in soli dodici minuti di note mi lascia perplesso, quindi opto per una diplomatica soluzione, rimandando il giudizio finale ad un eventuale prossimo full length, con più materiale da ascoltare, in attesa di capire quale direzione verrà intrapresa in futuro dall'act italico. Detto questo, posso solo costatare che: la band ha già esordito qualche anno fa con l'album 'Ambush!', caratterizzato da forti influenze grunge; ha suonato come opening act dei Lacuna Coil a bordo del Red Bull tour bus, merito acquisito dopo aver vinto il contest nazionale “Red Bull 2014”. Il combo inoltre, capitanato dall'ottima voce/chitarra di Nicola Briganti, ha un piglio radiofonico dalle potenzialità enormi, e suona un rock influenzato fortemente da certo punk adolescenziale da classifica e dal pop. I Celeb Car Crash suonano alla fine bene e il tutto è talmente patinato che le tre canzoni rimangono in mente anche solo dopo un unico ascolto. A differenza dell'album d'esordio qui, i sentori grunge, che si manifestano solo in parte sul terzo brano, si sono ammorbiditi a favore di una musica più energica e positiva, ben costruita e fantasiosa, orecchiabilissima, che si immette nelle corsie di Green Day, dei Creed, dei Nickelback o dei 3 Doors Down. I brani registrati e mixati in tre studi diversi sparsi per il mondo, spiccano per qualità e freschezza di idee, con un sound pieno, carico e moderno, sul modello dei Minus the Bear, anche se c'è da dire che i Celeb Car Crash risulteranno meno cerebrali e più scanzonati, d'impatto e decisamente diretti. Rimanendo in attesa di ulteriori produzioni del gruppo, dopo questa uscita del 2015, targata Sliptrick Records, consiglio vivamente gli amanti del rock alternativo, di non perdere d'occhio questa italianissima band, che ha tutte le carte in regola per entrare nel mainstream mondiale. (Bob Stoner)

(Sliptrick Records - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/CelebCarCrash

Dream Circus – China White

#PER CHI AMA: Grunge, Alice in Chains, Soundgarden
Allora, confesso di trovarmi un po’ in difficoltà con questa recensione, essenzialmente per tre motivi principali. Primo: ho amato, e amo tutt'ora, l’alternative dei primi anni '90. Che lo vogliate chiamare grunge o meno, che venisse da Seattle o meno, i dischi di gente come Soundgardene e Alice in Chains (ma anche Nirvana, Pearl Jam, Screaming Trees, Mudhoney) sono stati i miei primi amori musicali, quelle sbandate da cui è difficile riprendersi. Secondo: tanto ho amato quella musica, cosí allo stesso modo ho provato sentimenti che vanno dalla noia al disgusto per tutta la pletora di band che, sull’onda dell’entusiasmo delle major, hanno cercato di cavalcare l’onda di quel successo. Penso quindi ai vari Candlebox, Creed, Staind, Bush, per tacere di Puddle of Mudd o Nickleback, davvero impresentabili. Terzo: i Dream Cricus si ispirano dichiaratamente ai primi (Alice in Chains in particolare) ma finiscono per assomigliare molto di piú ai secondi. Cercando di essere il piú possibile oggettivi, non si puó non riconoscere alla band lusitana la capacità di saper suonare con potenza e convinzione non inferiore a quella delle band sopra citate, non si possono non riconoscere il talento e le ottime qualità del vocalist James Powell, bravo a mantenere una certa personalità senza cadere nell’imitazione di questo o quel modello di riferimento. Cosí come l’esordio datato 2012, anche questo EP di sei brani, per poco piú di venti minuti di durata, conferma pregi e difetti che i Dream Circus condividono con buona parte di chi ha fatto il loro stesso percorso. Ovvero sono di sicuro bravi e capaci, i pezzi spingono molto sul pedale della potenza e dell’impatto, enfatizzando il lato metal del suono con gran dispiego di chitarroni e doppia cassa, ma non sono sempre memorabili. Un lavoro ben fatto, piacevole; e forse questo è quello che conta, anche se, in sostanza, 'China White' rimanda un’immagine bidimensionale, dove a potenza e aggressività non si aggiunge una terza dimensione, quella della profondità, che era ed è (basta ascoltare uno qualsiasi dei dischi del Jerry Cantrell solista) la vera marcia in piú di quella formidabile stagione. (Mauro Catena)

(Ethereal Sound Works - 2015)
Voto: 65

https://www.facebook.com/DreamCircus