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lunedì 29 luglio 2013

Cardiac - Incurante dello Sguardo Umano

#PER CHI AMA: Rock acustico
Tornano i Cardiac e lo fanno in maniera unplugged, questo a conferma che il loro recente set acustico inizia ad avere un ruolo importante per la band, non solo a livello live. "Incurante dello Sguardo Umano" è un piccolo cameo composto da cinque tracce incastonate ad arte, il tutto racchiuso in un semplice folder in cartoncino, ma dalla grafica e fotografia ben curate. Premetto che questo EP va ascoltato con un impianto hi-fi buono in modo da poter cogliere tutte le sfumature del mixing e mastering, nonché gli intrecci degli arrangiamenti. Quello che colpisce è che la mancanza della botta elettrica non si senta, la forza dei testi e delle note trasuda in ogni singolo passaggio che ora sussurra all'orecchio dell'ascoltatore, ora invece piange la sua rabbia. "Ballando con gli Angeli" si muove in punta di piedi tra veloci riff di chitarra e linee di basso/batteria che corteggiano la suadente voce dei Cardiac. Il tutto in continua metamorfosi durante gli abbondanti sei minuti di canzone, inversioni di rotta, cambi di ritmo ed esplosioni musicali. "Semmai" esprime un flebile disagio interiore attraverso gli arrangiamenti in minore e la ritmica psicotica, ma poi tutto cambia e il pezzo si riscatta verso l'alto, dove l'orizzonte porta luce e tepore. Personalmente preferisco la versione elettrica dei Cardiac (ogni buon rocker ha le distorsioni nel sangue), ma questo EP permette di apprezzare un lato più intimo della band. Dopo tutto il set acustico non è da tutti, occorre mettersi in gioco e lavorare molto sugli arrangiamenti se si vuole uscire con un prodotto ben fatto e non banale. Se MTV rispolverasse quel vecchio programma che negli anni novanta ha ospitato grandi band in chiave non elettrica, i Cardiac meriterebbero di condividere il palco con qualche mostro sacro del rock. I Cardiac centrano il bersaglio con questo "Incurante dello Sguardo Umano" e ora possono guardare avanti con fiducia al prossimo lavoro. (Michele Montanari)

Church of Void - Winter is Coming

#PER CHI AMA: Doom, Heavy, Grand Magus, Pentagram
I Church Of Void sono una band finlandese nata pochi anni or sono, che esordisce con questo EP (limitato a 200 copie), con un sound che oserei definire "fuori moda". Non me ne vogliano i nostri, ma il cd richiama infatti sonorità vicine alle produzioni degli anni 2000: si tratta di un heavy rock sporcato di doom, con delle lievi brezze che mi ricordano l'ultimo (opinabile) periodo dei Lake of Tears (anche in termini vocali). "Winter is Coming" è un lavoro che nel complesso non mi attrae affatto, a causa di una continua preponderanza verso l'old school (emblematica a tal proposito l'oscura "Strongholds of Karan Varn" e la canonica "The Hours is Getting Late" dove emergono echi di Black Sabbath); retrò anche i nomi oscuri dei componenti (Magus Corvus, G. Funeral o H. Warlock, Byron V. e A.D.) mentre le tracce si mostrano vicine all'epic doom dei Candlemass. Tuttavia il disco non prende le distanze da sonorità moderne e ciò alla fine non esclude un discreto lavoro in termini di resa sonora e composizione (da migliorare la produzione), anzi direi che potrebbero tranquillamente piacere molto a quegli ascoltatori più orientati verso la scena heavy americana o a quei fan che apprezzano maggiormente un sound più tranquillo proprio sul versante del doom, soprattutto con riferimento anche agli ultimi Paradise Lost (si ascolti la title track). Ampi sono i margini di miglioramento, da risentire su full lenght. (Kent)

Wagars – Wagars

#PER CHI AMA: Black/Crust, Black Kronstradt, Disfear
Da Riga giunge l'ombroso e freddo sound dei Wagars, band che esordisce a colpi di black/crust con questo omonimo EP della durata di una ventina di minuti. Le tracce sono molto semplici e dirette, figlie di un black melodico di stampo svedese e della rabbia del crust anni '90, ma il segno particolare dell'opera è l'opacità del suono, a causa di un leggero oscuramento delle frequenze chitarristiche in sede ritmica, miglioria che permette di far depositare un lieve strato di cenere sul disco, e che ricorda molto le prime produzioni dei Wolfpack (ora Wolfbrigade). Nonostante la prevedibilità imposta dal genere, il combo lettone riesce a creare delle situazioni interessanti nel poco tempo a disposizione, riuscendo a inserire all'interno delle tracce anche diverse contaminazioni moderne che richiamano il passato, con alcuni spunti arpeggistici degni dei Amebix. L'unico dubbio che versa su questa release riguarda la sua chiusura, fuoriluogo e sotto la media. Un vero peccato perchè la penultima traccia era un estrapolato di un discorso di Imants Ziedonis (famoso poeta lettone), ottimo per chiudere in bellezza questo debutto. Questo EP è solamente un'aspettativa, una introduzione di quello, che si spera scriveranno di buono, i Wagars a breve. La strada è giusta, è sufficiente continuare così. (Kent)

(P3lican)
Voto: 65

http://wagars.bandcamp.com/

venerdì 26 luglio 2013

Raedon Kong - Raedon Kong

#PER CHI AMA: Prog Metal, Stoner, Doom Metal, Zeni Geva, Rush, Neurosis
Veramente un prodotto inusuale quello dei Raedon Kong, duo dalla Louisiana capace di incorporare gran parte delle sonorità degli anni '70 in un unico prodotto, senza mai ricorrere a facili e spudorati copia-incolla come in questo tetro periodo musicale, a cui stiamo assistendo quotidianamente soprattutto nell'ambito del doom metal. Le influenze del combo statunitense spaziano tra il progressive di scuola inglese, krautrock e doom primordiale, creando una emulsione sonora che definirei come una sorta di "Mastodon non commerciali". Il full-length apre con "Heavy Lite", song dalla ritmica articolata e dalle chitarre brillanti che in un'escalation strumentale fiorisce in una derivazione stoner posta in chiusura; segue "End of Days" che rivela il lato classico del loro universo, uno sludge pesante ma sempre attento alla musicalità. "Forgotten Son" mi rimembra un avantgarde simile ai Virus che sfocia in un doom metal tradizionale ingigantito dallo spessore chitarristico e dalla voce potente. Per finire, "Ash is the Omen" divaga tra atmosfere post rock vicine ai Russian Circles, prima di ritornare alla base prog doom, vero trademark di questa band. Nulla da dire, un grande disco, colmo di musica interessante e personale, da ascoltare assolutamente per aprire la mente a nuove idee o per evocare richiami dal passato. (Kent)

mercoledì 24 luglio 2013

Kalmankantaja – Kalmankantaja

#PER CHI AMA: Black/ Drone Sunn O))), Wolves in the Throne Room, Bedeiah
Il duo in questione arriva dalla gelida Finlandia e porta con sè una forma artistica molto interessante e particolare, una sorta di catarsi psichedelica scritta in tinte di nero, una forma di black metal oscurissima, visionaria, intimista e carica di (ir)reale misantropia. Il cd omonimo non è altro che una compilation che raccoglie i primi lavori dell'act di Hyvinkää, di cui abbiamo comunque voluto dare un tributo a tutte le cover art, oltre che quella che raccoglie tutti i brani.


Dei 3 cd che ci sono pervenuti, "Elama on Kuoleva Huora" è il primo demo di questa band con 4 brani per un totale di circa 32 minuti convogliati per due quarti sulle coordinate stilistiche di Burzum ma molto più laceranti, spirituali e sepolcrali, melodici e cupi come i migliori My Dying Bride, freddi ma non senz'anima; mentre nella seconda metà di questo demo dimostrano una capacità interpretativa dei sentimenti più profondi e tristi degna di nota. Il terzo brano dona il titolo all'intero lavoro e ci offre una veste molto diversa e folklorica dei Kalmankantaja giocato su di un arpeggio di chitarra sofferto, pulito e avvolgente mentre "Katku Kärsivä Valkeudesta" è un brano dalle tinte forti senza via d'uscita esasperato nell'intrecciarsi di drones funerei e nebbiosi, contornato di screaming lancinanti e disperati. Un biglietto da visita stupendo per chi ha imparato ad amare band come Wolves in the Throne Room, di cui questi Kalmankantaja potrebbero essere cugini se solo non prediligessero ritmi più lenti e doom.


Il secondo cd dal titolo "Tekopyhyyttä Pyhässä Temppelissä" (che tradotto significa: L'ipocrisia nel santo tempio) riparte laddove il demo si era egregiamente fermato e fa emergere un lato sperimentale ancora più elevato portando a due soli pezzi il contenuto di questo lavoro, molto lunghi e drammatici. I suoni sono squisitamente underground molto ricercati e figli di quel black metal iperboreo e zanzaresco ma rivisitati con gusto e un pizzico d'avanguardia sonica che li spinge oltre. Ascoltate gli screaming del brano omonimo dell'album e ditemi se non meritano qualche riflettore in più. I tredici minuti abbondanti della successiva traccia partono con un mid tempo attraente, sempre funerei e tetri, mai uno spiraglio di luce, interpreti convincenti di un'oscurità vissuta, una macabra forma d'arte nera. Il suono di Kalmankantaja non vive di qualità tecniche ma espressive al punto che durante l'ascolto si ha l'impressione di essere di fronte ad un ibrido fra black metal, psichedelia, shoegaze e dark ambient.


Il terzo cd dal titolo più semplice "III" porta tre brani divisi nei titoli di part I, part II e part III a sottolineare quasi una forma di concept album, le cui tracce sono divise ma potrebbero far parte benissimo di un unico lunghissimo brano decadente e sciamanico, un lungo scorrere di emozioni nere e ombre che rendono per certi aspetti unici questi due musicisti finlandesi. La musica affila le armi e nel primo brano il sound dei Wolves in the Throne Room fa da maestro; in realtà i Kalmankantaja hanno molto in comune con la band americana anche se spostano sempre il tiro verso un approccio più sperimentale e ancora più sotterraneo con un'attitudine gelida alla Sunn o))). Il duo predilige i testi drammatici, estremi, depressivi e rivolti alla forza e maestosità della natura. La musica rispecchia i testi esageratamente, portando con sè una sensazione di vuoto profondissima e una disarmante vena di solitudine che affascina sempre di più ad ogni ascolto. Tre lavori di non facile assimilazione ma che una volta appresi e compresi possono dare molte soddisfazioni alle vostre orecchie e ai vostri stati d'animo. Ascoltare per credere. Non tutto il nero vien per nuocere...(Bob Stoner)

Karm Rage - SoCiym

#PER CHI AMA: Thrash metal
Ecco, prendete “SoCiym” degli ucraini Karma Rage e ascolterete un disco talmente thrash metal vecchia scuola che uno dice: “ma cavolo... è un album del 2012?!” Loro sarebbero anche da ammirare, mi sembra che cantino in ucraino (o forse russo?) e questa è una scelta coraggiosa, e tutto sommato non ci sta neanche malissimo. Non mi sbilancio sui testi, però prometto che, appena torna dalle ferie, chiedo alla badante di Odessa del mio vicino una valutazione. Cosa ascolterete se piazzerete il ciddì nel vostro lettore? Come vi dicevo thrash di quello classico, batteria che picchia, un basso dal suono oscuro e le chitarre che ci sparano riffoni al rasoio. Ecco: le chitarre sono il punto più forte dell’album. Si sente che i due chitarristi ci sanno fare, parti lente e veloci si susseguono come si deve e gli assoli sono a modo. Il cantato è quello tipico del genere con parti ora ringhiate, ora più calme e mi sembra il lato più debole del loro lavoro. Il disco è ben prodotto, tutto si sente come si deve. Le tracce si somigliano in maniera davvero preoccupante, vi consiglio “Кто ты есть?” (che dovrebbe voler dire “chi sei tu?” - Спасибо Google traduttore) che mi è parsa la migliore. Riassumendo, un disco carino, che potrà piacere a chi si avvicina per la prima volta la genere thrash, gli altri si annoieranno. (Alberto Merlotti)

(Metal Scrap Records)
Voto 55

https://myspace.com/karmarage

King Howl Quartet - King Howl

#PER CHI AMA: Blues Rock/Stoner
Fantastico, cominciare il lunedì mattina con un bel cd, ti mette sempre di buon umore, soprattutto quando non hai un cazzo voglia di lavorare. E allora via, con queste 11 tracce direttamente dalla grande isola (Sardegna), assaporiamo un po’ di aria nuova e dimentichiamoci per un attimo la cappa calda e umida che ci opprime in questi giorni... Come dichiarano loro stessi, i KHQ (King Howl Quartet) ululano al cielo la loro passione per la vita e per il blues rivisto in chiave stoner per alcune sonorità grosse e panciute, in chiave funk/post punk per quelle più ritmate. Ma passiamo alla ciccia, visto che avrete già l'acquolina alla bocca per cotanta roba. "Mornin" è una sorta di rash cutaneo che in vero stile Quentin Tarantino, fastidioso e pungente, con una bella botta di batteria e chitarre che grazie a sapienti break iniziali, crea un insano dondolamento dell'estremità superiore del corpo umano. Da subito ci si accorge delle pregevoli doti strumentali del gruppo e dal vocalist che s’infila tra i vari arrangiamenti e ne esce vincitore. "Drunk" sfoggia un bel riff con slide che conferma le origini blues del nostro gruppo sardo e regala sonorità tradizionale unite a distorsione che il vecchio BB King non avrebbe mai pensato di abbinare. Un losco personaggio come Jack White invece ci sguazza da anni. Breve cavalcata che si fa apprezzare e vi porta a volerne ancora. Passiamo quindi al mio pezzo preferito, "My Lord", forse perchè trasuda stoner alla Kyuss e Queens of the Stone Age come un viaggiatore del deserto che cerca una bettola aperta dal tramonto all'alba. In questa traccia i KHQ mostrano di avere le palle quadrate perchè uniscono un sound perfetto per il genere ad arrangiamenti azzeccati. Cavoli, non sono ancora arrivato alla fine del cd e già adoro 'sti ragazzotti. Le altre tracce sono più in stile traditional blues e mi sarei aspettato che la band avesse osato un pò di più. Va bene non allontanarsi troppo dalle proprie radici, ma nessuno li avrebbe bruciati vivi sul rogo per qualche sperimentazione psicotica qua e la. Non male come lavoro, speriamo piaccia ai puristi e a chi il blues tradizionale non lo ascolta più di tanto. (Michele Montanari)

mercoledì 17 luglio 2013

Alchemist - Embryonics

#PER CHI AMA: Death Progressive, Avantgarde,
Purtroppo questo doppio cd ha costituito il canto del cigno di una delle formazioni che più ho amato nel corso della mia militanza metallara, gli Alchemist, band australiana, che nonostante sei ottimi album è rimasta sempre reclusa nell’underground della musica estrema, come oggetto di culto per pochi appassionati. “Embryonics” raccoglie il duro lavoro di otto lunghi anni a partire dagli esordi, attraverso i primi cinque album della band, andando a rispecchiare fedelmente la filosofia musicale dei quattro ragazzacci di Camberra. Se non conoscete il sound proposto dagli aussie boys, riuscireste mai ad immaginare i Pink Floyd di Syd Barrett che suonano un brutal death thrash? Eh si capisco, è davvero dura concepire un suono del genere, però gli Alchemist fanno tutto ciò e forse ancor di più, proponendo della musica spettacolare: una miscela stracolma di melodie che spaziano da suoni space rock, a momenti progressive, passando attraverso momenti etnici (con l’utilizzo anche del didjeridoo, strumento tipico aborigeno), accelerazioni death metal, frammenti di rock anni settanta, fughe psichedeliche alla The Doors, per continuare ancora lungo la strada delle sperimentazioni elettroniche e della pura musica heavy metal, il tutto condito con belluine vocals. Potrei continuare ancora a lungo tante sono le influenze che confluiscono e si amalgamano alla perfezione all’interno della musica di questi pazzi scatenati. Inutile citare una canzone piuttosto di un’altra; trattandosi di una raccolta il consiglio che posso darvi è di dargli assolutamente un ascolto e poi fare come me: andare ad acquistare tutti i loro album, partendo dal bellissimo, originalissimo e schizoide esordio “Jar of Kingdom”, attraverso il più brutale ma al tempo stesso più creativo “Lunasphere” e l’intimistico “Spiritech”, fino ad arrivare agli ultimi due assoluti capolavori “Organasm” e “Austral Alien”. Ragazzi, vi garantisco che nelle 28 tracce qui contenute, per una durata di più di due ore e mezzo di musica, ne sentirete davvero delle belle, perchè il sound degli Alchemist è davvero unico e bizzarro. Adam, Roy, John e Rodney avrebbero meritato un riconoscimento da un pubblico più vasto, che fosse in grado di apprezzarne le raffinate sperimentazioni musicali e la loro follia, in modo tale da liberarli da quel limbo musicale in cui sono rimasti imprigionati ingiustamente. C’è ben poco altro da aggiungere, gli Alchemist sono semplicemente geniali, peccato solo ci abbiano lasciati!!!! (Francesco Scarci)