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venerdì 7 dicembre 2012

Asidefromaday - Chasing Shadows

#PER CHI AMA: Post Metal, Neurosis, Cult of Luna
Continua l’ondata violenta di band post ad abbattersi inesorabile come un distruttivo tsunami che si schianta contro le coste del Giappone. Lo so, è una brutta immagine che noi tutti non vorremo più vedere alla televisione, però questo è per giustificare l’avanzata e il successo inatteso che questo genere sta riscuotendo nell’ultimo periodo. Non so se sia realmente solo merito della popolarità e dei riconoscimenti che hanno visto bands affermarsi quali Neurosis e Isis negli States, ed in Europa, The Ocean o Cult of Luna ed andando più nel dettaglio, General Lee e Dirge in Francia. E ora anche questi Asidefromaday, che come il più banale dei fulmini a ciel sereno, mi ha scosso le membra, con il nuovo “Chasing Shadows”, già terzo album all’attivo per la band transalpina, ma dove diavolo ho tenuto gli occhi fino ad oggi? Ma che lavoro signori miei… Sette tenebrose tracce di metal post apocalittico che si aprono con la fitta nebbia di “Process of Static Movement”, quella foschia che sembra attanagliare i porti in pieno autunno. Quindi atmosfera è la parola d’ordine, quella che questi cinque bravi ragazzi costruiscono sin dall’opening track. C’è poca voglia di scherzare in questa traccia dal crescere minaccioso, con la voce di Fred ad incanalare l’irruenza del combo, senza nulla togliere a Julien, Nicolas e David, rispettivamente batteria, chitarra e basso dei nostri. Non mi sono dimenticato di Sébastien, il tastierista, ma ho conservato una menzione alla fine per lui, in quanto con i suoni angoscianti delle keys, tiene sulle spine l’ascoltatore, in uno stato di ansia continua. Poco importa poi se le tracce si chiamano “Death, Ruins and Corpses”, “Black Sun” o quant’altro, ciò che convince appieno in questa release è la capacità dei nostri di tenerci col fiato sospeso, senza mai cadere nel banale, offrendo una prova davvero superlativa. Ottime le melodie, i giri sulfurei di chitarra e ancora una volta, mi preme sottolineare il fattore “K”, ossia quel lavoro egregio, tenuto costantemente in secondo piano, che il buon Séb, effettua per tutta la durata del cd, anche nel modo più banale, quando ad esempio apre “Wolf Tears are Falling Stars”, song peraltro da brividi, in cui la chitarra ha un effetto raramente sentito, che ben si amalgama con il tocco suadente delle tastiere, a creare una circonvoluzione spazio-temporale, che inevitabilmente induce il mal di testa. Prezioso il contributo vocale del buon Fred, che cercando un po’ di emulare i suoi idoli (Neurosis e Cult of Luna) e mettendo poi ampiamente del suo, con vocalizzi che dall’acido (con una impostazione talvolta post-hardcore) arrivano anche in una forma pulita/parlata, contribuisce ad accrescere ulteriormente il livello di un lavoro che mai mi sarei immaginato di ascoltare. Cosi come mai avrei immaginato di provare simili emozioni, grazie ad un lavoro di squadra cosi genuino che ci prende e sbatte a destra e manca, con un sound che poco ha da invidiare ai gods mondiali: suoni glaciali, ma al contempo caldi, melmosi e affabili, che un po’ come sulle montagne russe, mi inducono pesanti sbalzi pressori. Insomma, avrete intuito che “Chasing Shadows” mi ha proprio colpito (ed affondato), intrappolando i meandri della mia mente nella paurosa matrice creata da questi indomiti musicisti. Ottimo comeback discografico! (Francesco Scarci)

mercoledì 5 dicembre 2012

Narrow House - A Key To Panngrieb

PER CHI AMA: Funeral Doom, Thergothon, Unholy
“Una chiave per Panngrieb”. Un occhio, una serratura e delle mine sono inserite, in uno stile surreale in una gamma di colorazione opaca e infelice. Si scaglia subito contro gli organi visivi, il curioso artwork in stile krautrock, utilizzato per presentare questo debut album dei Narrow House, band ucraina proveniente da Kiev. Quattro tracce di puro funeral doom, ci cullano dolcemente per tre quarti d'ora facendoci riprendere speranza nella immensa ma stagnante situazione del doom estremo dell'est Europa. La prima cosa che mi fa alterare immediatamente è però la completa impostazione del booklet in cirillico, come faccio a leggermi i testi e tutte le altre cose inutili, se non riesco neppure a decodificare la scrittura? Io voglio bene alla Solitude Production ma non può giocarmi questi scherzi. Il fatto è che non ho ancora capito cosa sia codesta Panngrieb, non so voi ma io la notte non dormo. Oltre a ciò, un'altra cosa che non mi sta proprio a genio è la cover degli Esoteric nel finale; apprezzo l'aria di gioventù del gruppo che vuole rinnovare l'ambiente con una cover, ma nel funeral doom non ho un buon occhio per questa cosa, soprattutto se occupa quasi un terzo dell'opera. Biricchini questi “Casa Stretta”, perché non disdegno tanto la cover ma identifico ciò, come voglia di non creare una traccia propria e quindi di disimpegno. Ad ogni modo, ascolto dopo ascolto sono sempre più soddisfatto di questo full length perché denota un notevole sviluppo dal genere classico, un po' come stanno facendo gli Ea, e difatti alcuni studiosi del generi stanno identificando (ed etichettando) questi nuovi lavori come atmospheric funeral doom. Il suono è calibrato in modo da risultare ampio per far respirare completamente ogni momento dell'opera, con i volumi non eccessivi per permettere di godere della dinamica nei vari cambiamenti d'atmosfera. I Narrow House potrebbero essere dei validi capofila di un nuovo movimento doom. (Kent)

(Solitude Productions)
Voto: 70

http://narrowhouse.bandcamp.com/

Lustre - They Awoke to the Scent of Spring

#PER CHI AMA: Black Ambient
Dammi tre riff che ti faccio un album, e potrei tranquillamente chiudere la mia recensione qui. E vorrei anche farlo sinceramente perché nulla ha da dire quest’ultimo disco dei Lustre, one man band di Nachtzeit. Bello da ascoltare, melodie eccezionali ma quanto mai banali come poche cose a questo mondo. L'unica apparenza di black di quest'opera è la voce che è pure mixata troppo alta e "cantata" come un sussurro in formato scream, ovvero un fruscio fastidioso. L'idiofono non fa altra che ammorbidire l'atmosfera e rallegrare il tutto che, combinato con dei riff di chitarra estremamente melensi, mi induce a riflettere un attimo sul perché stia ascoltando questa cosa. Ma, come ho già detto, il disco è veramente bello, tiene compagnia come la musica di sottofondo nelle pubblicità delle automobili mentre percorrono i tornanti, e lo si ascolta pure volentieri, ma l'amara verità è che risulta intriso di una tristezza completamente priva di fondamento, riscontrabile quasi perfettamente con l'opinabile scena black/shoegaze francofona. È inutile scriverci romanzi attorno secondo i quali quest'opera evocherebbe "immensa melancolia dispersa nel vuoto", ti immergerebbe in "boschi innevati dove il sole penetra solo attraverso le goccioline di rugiada negli aghi dei pini" ed altre frasi d'effetto simili. In quest'album ci sono quattro tracce, tre riff e poco più, stop. (Kent)

(De Tenebrarum Principio)
Voto: 65

Inborn Suffering - Wordless Hope

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Anathema
Li avevamo saggiati quasi un paio di mesi fa, in occasione dell’uscita del loro secondo album, "Regression To Nothingness"; ora facciamo un piccolo passo indietro, andando a pescare quello che è invece il loro vero e proprio debut album, datato 2005, ma rilasciato anch’esso nel 2012, sempre dalla Solitude Productions. La proposta? Decisamente non si discosta granché da quella che è la nuova produzione dell’act francese, andando tranquillamente a pescare da quelli che sono i dogmi del death doom britannico, identificando però negli Anathema di “The Silent Enigma” (il capolavoro death doom gothic, per eccellenza), il loro punto di riferimento. Il riffing è corposo a livello chitarristico, le vocals, ottime, passano dal sofferente/parlato al growling catacombale; l’utilizzo del violino, come sempre poi, è in grado di conferire quel consueto tocco straziante all’album. Questi in definitiva gli ingredienti qui presenti e tipici del genere; a questi si aggiunga anche l’estenuante durata dei pezzi, impegnativo sin dagli abbondanti 11 minuti della opening track, “This is Who We Are”, da cui si evince immediatamente l’amore dei nostri per i gods inglesi, per cui si passa dalla malinconia stillata dalla traccia omonima alle atmosfere depressive di “Monolith”. Tutte tracce interessanti per carità, anche se rappresentano un riverbero di quanto già sentito negli anni ’90; “Wordless Hope” manca di un qualche sussulto che consenta di porre una maggiore messa a fuoco durante il suo ascolto. Non credo che l’inserto di una angelica voce femminile in “Thorn of Deceit” in un contesto quasi esclusivamente death, possa cambiare le sorti di un album, che ricordo comunque essere stato concepito nel 2005. Che altro dire: se avete amato gli Anathema degli esordi e siete sostenitori della corrente death doom attuale (Draconian, Saturnus), date pure una chance a questo “Wordless Hope”. Peccato solo che il combo abbia appena pensato di separarsi... (Francesco Scarci)

domenica 2 dicembre 2012

Netra - Sørbyen

#PER CHI AMA: Suoni molto sperimentali
A molti di voi il nome Netra non dirà nulla, a me invece dice tanto, e per questo infatti li attendevo al varco con la loro seconda fatica, sempre targata Hypnotic Dirge Records. La one band band francese si ripropone con un imponente lavoro di ben 70 minuti, che li per li mi ha lasciato decisamente spiazzato, per i suoi contenuti. Devo essere sincero al primo, forse al secondo, ma anche al terzo ascolto, mi sono sentito deluso dalla nuova performance di monsieur Netra, vuoi per dei suoni troppo freddi che non ne risaltano quel giusto calore che una release di questo tipo dovrebbe emanare, vuoi anche per un suono delle chitarre un po’ troppo lineare. Al quarto ascolto però qualcosa è straordinariamente mutato nella mia testa, e il pianoforte che apre “A Dance with the Asphalt” ha iniziato a minacciare la mia tempra morale e indurmi a rivedere il voto di questo sorprendente “Sørbyen”. “Mélancolie Urbaine” è ormai un ricordo lontano, mettetelo da parte; “Sørbyen” è un sussulto continuo emozionale che dalla delicata apertura della opening track, che ben presto si tradurrà in una cavalcata black (Burzum style) con tanto di urla belluine, si passa alla successiva psichedelica “Crawling”, che sembra provenire piuttosto da un album degli ultimi Muse. Si, ecco immagino di avervi già disorientato, e non poco, perché è la stessa sensazione che ha lasciato a me. Vocalizzi puliti su una base di synth e batteria, prima che una chitarra funambolica prenda il sopravvento e induca la mia pelle d’oca a sollevarsi di due dita. Peccato solo per questa maledetta pastosa produzione, che manca decisamente di pulizia nei suoni. Poco male, posso anche soprassedere; intanto parte la quasi catacombale e strumentale title track e l’impressione è di aver già ascoltato tre brani di altrettante band che giungono da panorami differenti. Divertente no? Ancor di più quando un killer riff apre, accompagnando il rutilante incedere di un drumming impazzito, la quarta traccia, “A Kill for a Hug”, che puntualmente evolve nel modo più inatteso possibile, andando ad esplorare per un minuto i territori trip-hop del precedente lavoro, per poi scatenarsi in un impetuoso turbinio evocativo di suoni, luci, pensieri e colori che mi fanno finalmente realizzare. Eccoli i veri Netra, quelli che ho apprezzato enormemente due anni fa: e quindi, per quale motivo stupirsi se nei solchi di questo cd possiamo imbatterci nel black metal in stile norvegese, o in un elettro sound; che sciocco spaventarmi di fronte al “tump tump tump” tribale del trip-hop o a deliranti giri psichedelici di pink floydiana memoria (“Emlazh”), epici scenari innevati (“Streetlamp Obsession”), song strumentali, divagazioni di matrice jazzistica, vere pop dance song o ninne nanne? Non siate ottusi neppure se accanto alle lancinanti urla del mastermind transalpino su una base romantico/malinconica/drum’n bass, potete trovare vocals soffuse, recitate o pulite, piazzate magari su epiche galoppate o drappeggi di suicial depressive black metal. Ancora una volta, questi sono i Netra e vi intimo di farne presto ascolto, potreste scoprire nuove forme di musica che pensavate non potessero esistere o addirittura potrebbero dischiudersi le porte del paradiso… o dell’inferno. (Francesco Scarci) 

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 80

Embrace Of Silence - Leaving the Place Forgotten by God

#PER CHI AMA: Death/Doom, Runemagick
Insomma, insomma… Gli ucraini Embrace Of Silence debuttano con questo album che porta il prolisso e alquanto banale nome di "Leaving the Place Forgotten by God", accompagnati da un artwork assolutamente anonimo e scontato. Un death/doom senza troppe pretese, una durata accettabile (e non come i compagni d'etichetta Graveflower, il quale intento era uccidere l'ascoltatore con un full length con il doppio del tempo) ed un approccio classico al genere, senza cadere troppo nella “goticità” made in UK, che viene sapientemente elusa, sostituendo i consueti archi con un organo e tralasciando completamente le voci pulite. Il disco non presenta particolari falle o momenti di vuoto compositivo, ma nemmeno cosi tante parti di eccelsa ispirazione o di svolte eclatanti; la produzione è buona e tende a sopprimere l'atmosfera dell’opera. Una calma piatta, alla fine, regna sovrana per tutto il trascorrere dell'album e la musica scivola via senza richiamare la benché minima attenzione, sostanzialmente un piacevole sottofondo per la vita quotidiana. Per fortuna troviamo anche degli interessanti cambi di tempo come in "Way to Salvation" con una voce che tenta il più possibile di uscire da un approccio monocorde che oramai risulta essere standardizzato tra i complessi estremi. Per concludere, questo debut finisce per propinare sempre la solita solfa di questa nuova ondata doom estrema; speriamo solo che ci sia un pizzico di voglia di migliorare… (Kent)

(Solitude Productions)
Voto: 55

http://embraceofsilence.bandcamp.com/

Placid Art - Rainbow Destruction Process


#PER CHI AMA: Melodic Death, Gothic/Doom, Draconian
Vi dirò che più di una volta ho storto il naso ascoltando questo disco. Sembrava mancare sempre qualcosa in quello che rappresenta il debut album dei Placid Art, band originaria del Montenegro. Più che death/doom, “Rainbow Destruction Process” lo si può classificare come un death metal rallentato con strutture compositive assai melodiche. Certe parti mi hanno catturato fortemente come "Wrath of the Sun" (traccia che reputo la migliore del disco) o la title track, mentre altre mi hanno fatto sorgere numerosi dubbi sul perché stessi ascoltando codesta musica. Tuttavia, nel complesso, questa prima fatica dei Placid Art si presenta come un lavoro molto semplice ma caratterizzato da vari picchi di buona musica. Notabili sono alcuni fraseggi chitarristici e la, a mio parere perfetta e molto emotiva, voce di Sonja, che va a contrapporsi con la voce in growl di Nikola. Le composizioni sono aggraziate dall'inserimento di vari strumenti classici e da armonizzazioni prevedibili ma efficaci, il mixaggio è molto buono perché consente di percepire tutte le differenti tracce degli strumenti anche se avrei qualcosa da ridire riguardo i suoni delle chitarre, mentre mi sento di dover soffermarmi obbligatoriamente sulla performance vocale di Nikola: il suo growling infatti non riesce a svolgere appieno il suo compito, piuttosto di offrire una prestazione a tratti ancora cosi inesperta, avrei preferito nettamente una voce pulita maschile, cosa alquanto inusuale e a mio impressione alquanto accattivante. C’è decisamente ancora molto su cui lavorare, ma le premesse sembrano piuttosto buone. Placid Art, il nuovo nome da scrivervi sul vostro taccuino. (Kent)

sabato 1 dicembre 2012

Bestia - Ronkade Parved

#PER CHI AMA: Black Pagano, Darkthrone, Solefald, Primordial, Atanatos, Bal Sagoth
La band estone ci ha inviato questo lavoro dal titolo “Ronkade Parved” (purtroppo una promotional copy dove alcuni pezzi sono sfumati ed incompleti) che tradotto significa “Stormi di Corvi” ed è stato concepito nel 2009. Diciamo subito che dopo il suddetto album i Bestia hanno dato alle stampe un dvd e due split cd e che questa band, attiva sin dal 2000, ha pubblicato tra full lenght, demo, split e dvd, una decina di lavori (complimenti per la creatività costante!), più o meno uno per ogni anno della loro esistenza fino al 2010. Il cantato è in estone e almeno per noi non di facile comprensione e ci affidiamo ai titoli tradotti in inglese sulla copia promozionale che ci è pervenuta. L'estone non è una lingua molto dolce e si sente soprattutto nelle parti narrate e parlate dell'album. I Bestia suonano un black dallo stile classico ma supportato da una più che ottima produzione, da cui affiorano all'ascolto, numerose sfumature con evoluzioni stilistiche inusuali che potrebbero ricordare il modo di intendere e sperimentare nel genere di gruppi quali Ihsahn o Solefald. Sparsi tra riff veloci, growls, screaming e voci narranti/epico/teatrali si nota la presenza di un sax baritono (peraltro un azzardo riuscitissimo che sfiora l'idea geniale! peccato non sia presente in pianta stabile nella loro musica!), un violino, un flauto, dei synth e cori guerrieri, che a volte, inaspettatamente, emergono, conferendo alla musica un piacevole ascolto a sorpresa, nonché una marcia in più per affondare la lama in fatto d'atmosfera, donando al lavoro una leggera freschezza, una visione d'avanguardia pregevole ed una ricerca rivolta all'originalità. Questo lavoro è caratterizzato da un forte impatto di “virilità” musicale, un costante martellamento ritmico e un equilibrio di suoni pregevole. Una voce protagonista e ben dosata, in giusta causa padrona della scena, che ricorda non per stile o somiglianza ma per attitudine e personalità, le epiche interpretazioni del cantante dei Bal Sagoth. La band si definisce pagan metal e dalla copertina (che mostra un cavaliere templare in battaglia) e dai titoli tradotti, intuiamo temi antichi e guerrafondai, ben interpretati da un cantato molto suggestivo e drammatico, proiettati a ragione, verso le gesta belliche di guerrieri ed eroi oscuri. Il suono pesante e pregno di sensazioni lugubri ed impantanate, si esprime al meglio nelle parti più lente non rifiutando la velocità; i nostri poi hanno una propensione alla teatralità ben calibrata, che risulta grazie a chitarre tutt'altro che zanzaresche, bensì assai energiche. Un po' Darkthrone, una spruzzatina di Primordial, qualcosa di epico stile Atanatos, e velatamente primi Celtic Frost, i Bestia si muovono molto bene e con originalità, affilando i colpi con tutte le armi in loro possesso. Aspettiamoci allora una nuova battaglia! Il nostro brano preferito è “Malestus Hustutab Leegi” con quel magnifico sax e tutti quei cambi di tempo... un album notevole! (Bob Stoner)

(Hexenreich Records)
Voto: 75

http://bestia.pimeduse.org/