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lunedì 7 luglio 2025

Fleet Foxes - Shore

#PER CHI AMA: Indie/Alternative/Folk
L'acqua. Vista dalla spiaggia. 'Shore'. Nuotare, crogiolandosi nella dimessa rivelazione dell'amore sentimentale ("Wading in Waist-High Water") o nell'amore ammirato per i miti del rock ("Sunblind", una sorta di non-solo-white hymnal annata twenty-twenty), con un'attitudine laicamente ma catarticamente battesimale. O più semplicemente, rievocare le onde dei ricordi passati, nelle istantanee della memoria ("For a Week or Two"), opposte agli angoscianti marosi dei presenti avvenimenti mondiali. Omaggiare Victor Jara (l'uomo, più che l'artista) significa cantare le sue canzoni sulla spiaggia ("Jara" introduce, nelle parole dell'autore, il suo personale concetto di headbanging, il che è tutto dire), e poi diciamocelo, cavarsela nella vita è un po' come navigare ("I'm Not My Season"). Se da un lato i riverberanti chiaroscuri della bellissima "Featherweight", al contempo semplicissimi e complessissimi, o la dissolubilità sussurratamente progressive di "Quiet Air / Gioia" riportano al precedente 'Crack-up', è altrettanto vero che complessivamente quest'album, maieutico e al contempo massimamente terapeutico (le ansie da foglio bianco raccontate in "Can I Believe You", ma anche quelle per il mondo che rotola a rotoli in "A Long Way Past the Past"), intende allontanarsene per sonorità e approccio tematico, riapprodando per quanto possibile, a quel freschissimo spleen pastorale, ruralissimo (ma soltanto sotto tortura userò il termine "pasturalissimo"), che rendeva grandi, anzi enormi, i primissimi lavori. (Alberto Calorosi)

(Anti-Records - 2020)
Voto: 75

https://fleetfoxes.bandcamp.com/album/shore

domenica 11 marzo 2018

Fleet Foxes - Crack-up

#PER CHI AMA: Neofolk/Rock
Le velleità letterarie di Robin Pecknold, recentemente suggellate da una laurea in lettere conseguita presso la occhialuto-hipsterosissima Columbia University, si concretizzano mirabilmente nelle tortuose eppure conturbanti liriche dell'album. Sottomissione e misoginia ("- Naiads, Cassiades"), la insensata iperviolenza urbana di "Cassius" (l'assassinio di Alton Sterlin, avvenuto il 5 luglio del 2016 è ricondotto al complotto di Cassio nei confronti di Giulio Cesare in un modo che non potrà non ricordarvi certi recenti sforzi tecnopop degli Ulver), la coraggiosa riconsiderazione di sé ("I Am All That I Need / Arroyo Seco / Thumbprint Scar", una canzone gioviale, nelle parole dello stesso R-P, ma anche l'allegoria malinconica di Mearcstapa), o dei propri rapporti interpersonali ("Third of May / Ōdaigahara" ma anche la successiva "If You Need to, Keep Time on Me"). Progressivamente scoscesi fino all'inaccessibilità i suoni, dove il folk regredisce a mero substrato, quasi una sorta di pretesto di lusso per dipingere impressioni sonore di inoppugnabile e distante alterità. Pensate ai dettagli: ai grappoli di note vagamente percepibili in "Kept Woman", alle digressioni casualmente progressive di "Mearcstapa", alle tinte melodrammatiche di "Third of May / Ōdaigahara", a certe improvvise (dis)orchestrazioni new-björkesi (la title track e nuovamente la “gioviale” opening track "I.A.A.T.I.N. / A.S. / T.C."). Alla distanza interposta tra sé e i Fleet Foxes che conoscevate, intenzionalmente oggettivata in canzoni come "Fool's Errand". La medesima sensazione che provaste ascoltando i Talk Talk di 'Spirit of Eden' dopo quelli di 'The Colour of Spring', i Pink Floyd di 'The Final Cut' dopo quelli di 'The Wall', o ancora i Radiohead di 'Kid A' dopo quelli di 'OK Computer'. Ehi, che diamine vi succede? Vi sentite bene? (Alberto Calorosi)

(Nonesuch Records - 2017)
Voto: 75

http://fleetfoxes.co/crack-up