|
#PER CHI AMA: Brutal Death/Black dalle tinte epiche, Behemoth, Nile |
Non mi sono ancora ripreso dallo spargimento di “Sangue” del demo di debutto, che ecco ritornare a farmi compagnia nelle notti insonni, i bergamaschi Veratrum, freschi freschi con il loro primo full lenght, che si presenta pregno di significati già dal suo simbolico, quanto mai magico, artwork, dove domina una sorta di sacerdote incappucciato, che impugna fra le sue mani delle infuocate sfere blu mentre sullo sfondo trovano posto i simboli delle tre città perdute, menzionate all’interno di questo concept cd: Atlantide, Thule e Agarthi. Si parte subito bene quindi, almeno a livello di contenuti, in quanto io adoro la mitologia, l’archeologia e la storia, tutte cose che ben si amalgameranno all’interno di questo intrigante lavoro. Se poi, quando faccio partire il cd, la produzione cristallina esalta, in modo bombastico, il sound del quartetto lombardo, non posso che essere ancor più felice. Abbandoniamo però queste argomentazioni più futili, per concentrarci sulla musica, vera protagonista di questa seconda uscita targata Veratrum. Ebbene, tralasciando velocemente la scialba intro (l’invito della filosofa ucraina H.P. Blavatsky, ad abbandonare i sensi e avvalersi di mente e spirito, estratto dal “The Voice of Silence” del XIX secolo), mi lancio violentemente all’ascolto di questa penetrante produzione, che fin dal suo trittico di song iniziali, “Uomo”, “Lo Sventramento dei Guardiani della Terra Cava” e “I Trionfi più Grandi”, ci assale con somma prepotenza, ricalcando se vogliamo gli stilemi del demo cd, ossia un death brutale di matrice statunitense, e proprio come gli originali, la tecnica si mantiene sopraffine, con un lavoro sapiente a livello di tutti gli strumenti, per l’intera durata del cd, senza alcuna sbavatura di alcun tipo. Annientato. Ecco l’effetto esplicato sulle mie membra, dall’assetato desiderio di sangue dei quattro valorosi eroi italici. Con “Ars Goetia” invece, inizia a cambiare qualcosa: sebbene il drumming di Sabnok continui a martellare furioso con blast beat che sembrano più riprendere il sonoro dello scontro a fuoco recentemente avvenuto in Francia, dove sono stati spesi 300 proiettili in un minuto, le ritmiche si confermano potenti, ecco che la voce di Haiwas subisce un mutamento palese (al growling cavernoso si affianca infatti, anche un brillante cantato pulito); forse si tratta di quel passo in avanti narrato nelle liriche del cd (tutte rigorosamente in italiano, con traduzione in inglese annessa), quella crescita del viaggiatore, che permetterà al protagonista della storia, di domare gli Spiriti Malvagi. L’esperimento si ripete anche dopo il meraviglioso intermezzo musicale (un altro intermezzo sarà “Orizzonte”) de “I Braceri del Tempio di Thot”, con la epica “Ritorno ad Atlantide”: qui i toni sono decisamente più corali. Una brevissima intro di E.A. Poe, ci introduce alla penultima tappa di questo viaggio: siamo arrivati a “Thule” e la musica dei Veratrum, pur mantenendo indelebile quel marchio di ferocia e brutalità, lascia intravedere qualche sprazzo in più di selvaggia melodia, con un break epico centrale, che non so per quale arcano motivo abbia risuscitato in me il ricordo dei primissimi Primordial, quelli più pagani, capaci di incastrarsi a meraviglia con il sound viscerale dei Nile. L’apertura tastieristica dell’ultima “Agarthi”, sembra invece affidata a Lord Byron e i suoi Bal-Sagoth; ci pensa però la ritmica furibonda dei nostri a farci cancellare immediatamente questo sciocco paragone, perché la song è un chiaro inno di scuola black/death polacco, grondante di groove ma con aguzze chitarre spinte al fulmicotone. Se cercavate qualcosa di interessante, con cui dilettare il vostro periodo pasquale, eccovi accontentati; i Veratrum rappresentano il miglior regalo da scartare all’interno del vostro uovo di Pasqua. Impetuosi! (Francesco Scarci)
(Self)
Voto: 80