#PER CHI AMA: Black Avantgarde |
Bella gatta da pelare mi sono trovato questa sera. No, non è il vicino che fa rumore fino a tarda ora o quell’altro che mi lascia la spazzatura puzzolente vicino il portone di casa, quest’oggi a mettermi in crisi c’è la recensione dei norvegesi Formloff, in quanto dopo ripetuti ascolti non sono ancora riuscito a mettere a fuoco la loro proposta, di certo non cosi abbordabile. Forse dovrei prendermi una pausa, ascoltare altre sette volte questo “Spyhorelandet” e decretare se alla fine possa piacermi o meno. Correrò il rischio di scrivere cazzate. Quante volte queste forme di creatura avanguardistica mi hanno gettato in crisi: iniziai a metà anni ’90 con i Fleurety e i Ved Buens Ende, per proseguire con l’incarnazione di quest’ultimi, i Virus, e ancora oggi mi viene da domandarmi se come genere soddisfi i miei gusti. Ebbene, i Formloff mi hanno procurato lo stesso mal di pancia delle band succitate che per molti rappresentano ottimi esempi di genialità: chitarre disarmoniche, improvvisazione totale, vocals gutturali cantate in lingua madre, qualche sfuriata qua e là di matrice black, sorretta da grida sguaiate, frangenti che esulano letteralmente dal metal, andando a pescare da sonorità quasi jazzistiche e decisamente rock progressive. Ecco questi momenti di sperimentazione solleticano il mio sempre più esigente palato; peccato poi che l’uso delle inopportune vocals storpi il tutto, o che quelle serrate ritmiche black, deturpino un risultato che altrimenti rischierebbe di avere del miracoloso. Con questo voglio dire, che il duo scandinavo ha ottime carte da giocarsi in divenire, però nel frattempo auspico possano limare le imperfezioni di cui sopra e lasciare più spazio alle fughe rock-psichedeliche, dando maggiormente spazio a quel basso fulminato, e alle angosciose atmosfere. Indicando un paio di pezzi che mi hanno entusiasmato, direi senza ombra di dubbio la psicotica, nonché geniale ed evocativa title track (dove il cantato assume connotati addirittura puliti) e la seconda “Harde Ord Pa Kammerset”, in cui ad ammaliarmi è il battito convulso del basso, insinuato in un’ambientazione al limite del funeral doom. Interessante infine “Faen!”, song in grado di miscelare un black furioso con un mid-tempo doomeggiante. Insomma album ancora un po’ acerbo e di difficile digestione. Forse una citrosodina sarebbe ideale questa sera per addormentarsi, e il mal di stomaco passa che è un piacere. Da risentire. (Francesco Scarci)
(Eisenwald Tonschmiede)
Voto: 65
Voto: 65