#PER CHI AMA: Funeral Doom |
Li avevamo lasciati ad inizio 2011, con un monolitico album di soli tre pezzi; li ritroviamo oggi alle prese con altri tre bei pacconi di funeral doom. Si tratta dei russi Septic Mind, fieri portabandiera di un genere che oggi sta vivendo la sua massima espansione, grazie anche ad act ben più famosi. Sarà forse l’immagine di un pianeta alla totale deriva o la percezione di fine del mondo imminente, ma sempre più presa sta avendo questo movimento cosi estremo, in cui la proposta del duo di Tver si inserisce. “The True Call” si apre con la consueta lugubre musicalità dei nostri, che rispetto al precedente “The Beginning”, sembra aver incupito ulteriormente (e di certo non era una missione del tutto scontata) il proprio sound, instillando nella già pesante aria, una ancor più profonda sensazione di morte. La opening, nonché title track, è una specie di marcia funebre, ma che più lenta non si può, che sembra essere influenzata anche da sonorità drone/sludge, per un risultato talmente tanto funesto, ipnotico e quanto mai eccitante, da entusiasmarmi non poco. Una sorta di Ufomammut rallentati (e ce ne vuole) che incontrano il drone dei Sunn O))), in un contesto apocalittico a la Neurosis, ovviamente il tutto rallentato di 100 volte. Sospesi in un infinito buco nero che risucchia pian piano ogni cosa, la mia anima viene inghiottita anch’essa rapidamente dal nefasto destino che ci attende, la morte. Tutto si oscura, il sole si spegne, un gelo galattico avvinghia il nostro insignificante pianeta, estinguendo quasi istantaneamente qualsiasi forma di vita. Ecco il panorama nichilista dipinto dalla musica dei nostri, che con la loro musica oscura e a dir poco opprimente, si pongono un solo unico obiettivo, cancellare l’uomo dal nostro pianeta. E il risultato, totalmente privo di ossigeno, riesce nell’impresa che i nostri si sono prefissati. La band prova anche a cambiare registro nei minuti iniziali di “Doomed to Sin”, con un suono decisamente più sperimentale e meno tetro, ma ammetto di preferirli nella loro veste più tenebrosa ed eccomi accontentato perché i suoni d’oltretomba ritornano per una quindicina di minuti buoni a confortarmi, con una buona dose di ferrea angoscia, sempre coadiuvata dal growling catacombale di Michael Nagiev. Chiude il disco “Planet is Sick”, la song più ammaliante, psichedelica e anche melodica del terzetto, a confermare che il nostro pianeta è malato e a sancire anche l’importante passo in avanti fatto dal duo russo. Magniloquenti! (Francesco Scarci)
(Solitude Productions)
Voto: 80
(Solitude Productions)
Voto: 80