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martedì 15 aprile 2025

Dark Oath - Ages of Man

#PER CHI AMA: Symph Death
I Dark Oath, band portoghese che sembra essermi sfuggita negli ultimi anni, tornano in scena con il loro secondo album, 'Ages of Man', pubblicato ben otto anni dopo il debutto 'When Fire Engulfs the Earth'. Questo nuovo lavoro rappresenta un ambizioso viaggio attraverso le epoche dell’umanità, narrate secondo la visione del poeta greco Esiodo. Si tratta di un concept album suddiviso in nove tracce, ognuna dedicata a una delle cinque età della storia dell'uomo – Oro, Argento, Bronzo, Eroica e Ferro – mescolando con maestria death metal melodico, orchestrazioni sinfoniche e suggestioni folk. Il risultato è un’opera sonora che si muove tra il maestoso e l’opprimente, capace di trascinare l’ascoltatore in atmosfere mitologiche dense di grandezza e decadimento. La forza della band risiede nel possente growling di Sara Leitão e nella raffinata abilità compositiva di Joël Martins alle chitarre, che donano spessore tecnico all’intero lavoro. Tuttavia, è proprio la densità dell’album a renderlo, forse, eccessivamente monolitico in alcuni episodi. Nonostante ciò, ogni traccia sembra delineare un capitolo distinto di questo viaggio epico, dipingendo affreschi sonori ricchi di pathos e dettagli evocativi. Il disco si apre con "Gold I (Dawn of Time)", un’introduzione che evoca l’alba di un’era primordiale. Un’orchestrazione dai toni delicati trasporta in un’utopia lontana prima che l’irruenza del death metal prenda il sopravvento con riff taglienti e blast beat incisivi. L’atmosfera iniziale è insieme trionfale e fragile, come a suggerire l’inevitabile caducità dell’età dell’oro. La voce di Sara Leitão entra potente, come un manifesto della perfezione originaria dell’uomo in armonia con il divino. Il viaggio prosegue con "Gold II (Fall of Time)", dove melodie accattivanti si intrecciano a un ritmo più serrato, mentre le orchestrazioni volgono verso tonalità malinconiche. Qui i Dark Oath raggiungono una delle vette del disco, ma il successivo "Silver I (A New King)" cambia registro: pur mantenendo alta l’intensità con un drumming preciso e quasi marziale, le melodie restano accessibili e memorabili. Con "Silver II (Life of Sorrow and Pain)" emerge invece una dimensione più oscura e malinconica: i riff si fanno più densi, la batteria rallenta in passaggi carichi di dramma, e le orchestrazioni ricamano un sottofondo di tristezza elegiaca. L’età del Bronzo prende forma con "Bronze I (Stolen Flame)", che omaggia il mito di Prometeo con riff più posati ma comunque potenti, mentre "Bronze II (Raging Waters)" incarna un caos primordiale attraverso percussioni impetuose che evocano tempeste marine e muri sonori travolgenti. In questa sezione l’equilibrio tra violenza e armonie sinfoniche, influenzato dalla scuola dei Fleshgod Apocalypse, raggiunge un punto culminante, creando suggestioni tanto intense quanto seducenti. Segue l’età Eroica, che si apre con "Heroic I (Sons of Gods and Mortal Men)", un brano intriso di gloria cinematografica e tragedia epica, arricchito da accenni folk che aggiungono una nota di unicità. Si giunge infine a "Heroic II (Elysian Fields)", un inno solenne che ci traghetta verso l’ultimo capitolo: "Iron (Through the Veil of Night)". Questo brano conclusivo si avvale della partecipazione di Paolo Rossi dei Fleshgod Apocalypse, le cui appassionate clean vocals si intrecciano magistralmente con gli elementi dark e sinfonici del pezzo. Il crescendo finale è una danza evocativa tra oscurità e magnificenza, chiudendo il disco in modo potente e appagante. Con 'Ages of Man', i Dark Oath dimostrano di avere la capacità di creare un’opera complessa e coerente, capace di trasportare l’ascoltatore in un mondo mitologico tanto affascinante quanto imponente. Un album che richiede attenzione ma ripaga con atmosfere e visioni musicali profonde e coinvolgenti. (Francesco Scarci)

lunedì 14 aprile 2025

Aura Noir - Increased Damnation

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Thrash
Questa è un'ottima occasione per conoscere i primi lavori dei norvegesi Aura Noir, qui proposti in versione live, insieme ad altre chicche (remastered, uncut versions, ecc.) che faranno la gioia dei patiti della band. 'Increased Damnation' è una compilation fatta di brani grezzi, veloci, seminali. Per collezionisti, ma non solo. Ascoltate "Mirage", "Dreams Like Deserts" o il brano live "Swarm of Vultures" e coglierete l'essenza stessa del thrash metal: incontaminata energia selvaggia! Segnalo la presenza di Fenriz alle vocals in un paio di brani. Se volete disintossicarvi dalle atrocità musicali che vanno per la maggiore alla radio, questo è l'album che fa per voi.
 
(Hammerheart Records - 2000)

domenica 13 aprile 2025

Dream Theater - Distance Over Time

#PER CHI AMA: Metal Progressive
Melodicamente powerful ("Paralyzed" e "Untethered Angel") e quasi interamente privo delle sempre più colossali e colloidali epiche ultraprog-supermetal generate algoritmicamente (ma qui ci sono la leggermente ipertrofica lenton-suite "At Wit's End" - ma 'The Best of Times' era un'altra cosa - e caratterizzata dal fading più assurdamente lungo dell'intera discografia, rintuzzato da un altrettanto ispiegabile reprise pseudonatalizia, e la conclusiva e pesantemente ipertrofica "Pale Blue Dot"), per attitudine e durata dei brani, questo 'Distance Over Time' è senz'altro l'album più punk della band, che a tratti, induce persino la comunque evanescente sensazione di essersi, scusate la bestemmia, divertita. Come nel caso della groove-beatlesiana "Room 137" o della bonus track "Viper King", sorta di progmetallico ragtime tard(issim)o-purple-iana. A confronto col riffone neomelodico filoscrotale di "Barstool Warrior", quello di "November Rain" vi sembrerà più un grugnito lunedì-mattiniero di uno Ian Scott in hangover e la jammosa "S2N" integra apprezzabili reminescenze Rush-iformi mentre "Fall Into the Light", l'episodio compositivamente più completo e originale, è caratterizzata da un antinomico groove thrash-maideniano, sempre che tutto ciò abbia un senso, e chiusa da una dantesca scala a scendere oltraggiosamente "petrucciana". Opinabilissimamente, il miglior album dell'era-Mangini. (Alberto Calorosi)

(Inside Out Music - 2019)
Voto: 75

https://www.facebook.com/dreamtheater

venerdì 11 aprile 2025

Harakiri for the Sky - Scorched Earth

#PER CHI AMA: Blackgaze/Post Rock
Ragazzi, credo di aver già spolpato questo disco a forza di ascoltarlo! 'Scorched Earth', sesto capitolo degli austriaci Harakiri for the Sky, è una bomba che non tradisce lo stile che li ha resi grandi, ma ci aggiunge quel tocco in più, quei dettagli sonori che fanno la differenza. Qui si sente un’influenza post-rock ancora più marcata, che amplifica la vena introspettiva che colpisce dritto al cuore. Si parte con "Heal Me", un’apertura che è un’esplosione di (post-) black melodico, con accelerazioni da brividi e la voce di Tim Yatras degli Austere, che s'incastra alla perfezione. Tra squarci eterei e una malinconia che ti prende alla gola, grazie a chitarre, tastiere da standing ovation e alle urla taglienti di J.J., questo pezzo è già un biglietto da visita pazzesco. E poi arriva "Keep Me Longing" e, giuro, pensavo che la prima traccia fosse il top, ma qui si sale ancora! Melodie che ti mandano in estasi, raffiche furiose, atmosfere shoegaze da sogno e break acustici che ti avvolgono: c’è tutto, e funziona alla grande. La complessità di questi brani è impressionante, ti travolge con emozioni forti, anche grazie a testi che parlano di un mondo che cade a pezzi e della sua fragilità – roba che ti fa pensare. Le canzoni sono belle lunghe, siamo sugli otto minuti di media, e nella mia versione limitata (oltre 70 minuti con due bonus track, tra cui la cover spettacolare di "Street Spirit (Fade Out)" dei Radiohead cantata dal cantante dei Groza), diventano vere e proprie mini-suite dove il duo viennese-salisburghese riversa tutto il proprio talento. Sentite "Without You I'm Just a Sad Song": quel break acustico alla Alcest è pura poesia, un brano elegante e sfaccettato che farà impazzire i fan di vecchia data e conquisterà chiunque si avvicini alla band per la prima volta. Il livello resta altissimo con "No Graves but the Sea" e soprattutto "With Autumn I'll Surrender", dove una melodia catchy guida un pezzo oscuro e avvolgente che ti tiene incollato dall’inizio alla fine. Ok, magari la durata totale del disco potrebbe spaventare i meno pazienti, ma la cura e la raffinatezza con cui questi due austriaci si muovono tra le tracce sono semplicemente da applausi. Non posso non citare poi, "Too Late for Goodbyes", con la voce potente di Serena Cherry degli Svalbard che affianca J.J. in un duetto che spacca, e la chiusura con "Elysian Fields", dove Daniel Lang dei Backwards Charm porta un vibe quasi pop, spingendo gli Harakiri fuori dalla loro comfort zone con un risultato sorprendente. Insomma, 'Scorched Earth' è un disco riuscitissimo, un viaggio sonoro che consiglio a chiunque a occhi chiusi. (Francesco Scarci)

giovedì 10 aprile 2025

Zéro Absolu - La Saignée

#PER CHI AMA: Post Black
Gli Zéro Absolu rappresentano la rinascita dei Glaciation, storica band black metal francese attiva dal 2011 al 2016 e poi tornata in scena tra il 2021 e il 2024. A causa di dispute legali legate ai diritti sul nome, il gruppo ha deciso di ripartire con una nuova identità. E così, dalle ceneri di una battaglia ancora calda, prende vita 'La Saignée', un album che si presenta come una ferita aperta, intrisa di rabbia e tormento. Questo senso di sofferenza si manifesta attraverso due composizioni mastodontiche: la title track, "La Saignée", un brano di oltre 20 minuti che apre il disco, e i successivi 13 minuti di "Le Temps Détruit Tout". Il progetto, guidato da Valnoir, si sviluppa su un campo sonoro dove il black atmosferico incontra il post-black, tracciando paesaggi cupi e struggenti, arricchiti da melodie strazianti e sintetizzatori lucenti come ghiaccio sotto un cielo plumbeo. La band, supportata da membri di Regarde les Hommes Tomber e Alcest, sorprende per la sua abili nell'unire riff taglienti come lame gelide a melodie eteree e celestiali, generando un flusso musicale tanto travolgente quanto emotivamente intenso. Nonostante l'essenza black rimanga dominante, ci sono momenti di straordinaria bellezza atmosferica, chiaramente influenzati dall’approccio onirico tipico degli Alcest. Tuttavia, proprio quando sembra regnare una calma paradisiaca, il caos si risveglia e irrompe con la sua furia devastante. Il secondo capitolo dell’album non si discosta da queste atmosfere, proponendo un attacco sonoro implacabile, con ritmi feroci e urla graffianti che trasudano veleno puro attraverso uno screaming viscerale. Eppure, le sezioni ambient, arricchite da spoken word e sintetizzatori sinistri e ipnotici, tendono progressivamente a emergere, conducendo l’ascoltatore in un paesaggio desolato e mortifero. È qui che l’album si avvia verso il suo epilogo: un ultimo riff che esplode in tutta la sua possente disperazione e un grido finale destinato a dissolversi nel vento gelido. (Francesco Scarci)

mercoledì 9 aprile 2025

Mind Snare - Hateful Attitude

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Eccomi finalmente a riascoltare 'Hateful Attitude', album d'esordio dei torinesi Mind Snare, band da sempre fedele ai canoni del death metal d'impronta statunitense. A fare la differenza, in questo caso, è la genuinità dei sentimenti espressi nelle nove tracce incluse. I Mind Snare sono pienamente consapevoli di essere esclusi dal cosiddetto "mainstream", e rivendicano con fierezza la loro irriducibile alterità rispetto al Sistema. Le tracce che compongono questo lavoro sono caratterizzate da una spontaneità aggressiva che non lascia indifferenti. Dal punto di vista dei contenuti testuali, 'Hateful Attitude' si rivela estremamente composito, intrecciato com'è di elementi eterogenei. Vi si ritrovano, infatti, inni iconoclasti ("Broken Promises", "Monarch of Prayers"), inaspettati scorci intimisti (si veda il ritratto familiare di "His Blood in Me"), invettive contro la classe dirigente ("Blasted Through Your Head", "Hatebomb") e, in chiusura, un brano dall'incedere maestoso, ispirato alle mostruose teofanie create dal grande H.P. Lovecraft ("Invocations of the 4 Gates"). Un album coinvolgente e sincero, come la rabbia che lo pervade.
 
(Psychic Scream Entertainment - 2000)
Voto: 78
 

lunedì 7 aprile 2025

Caelestra - Bastion

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze
Il debutto dei Caelestra mi decisamente aveva catturato, un’eco di emozioni crude e immediate che ancora risuona nella mia memoria. Con 'Bastion', pubblicato nel dicembre 2024 senza clamori o annunci roboanti, Frank Harper propone un lavoro che porta il peso della lotta della moglie contro la fibrosi cistica. È un disco che si muove tra ombre di tristezza e barlumi di celebrazione, un riflesso di vita che, pur non eguagliando la scintilla diretta del predecessore, si staglia come un’opera dignitosa, carica di un’intensità velata di malinconia. 'Bastion' si dipana attraverso una fusione di post-metal e progressive black metal, tessendo un arazzo sonoro ricco e stratificato, ma forse meno immediato di quanto ci si potesse aspettare. L’apertura con “Halcyon” è un abbraccio dolceamaro, un’intro che si espande in paesaggi sonori che richiamano il respiro cosmico di Devin Townsend, accogliendo l’ascoltatore in un’atmosfera densa di nostalgia. Laddove il primo album brillava per la sua accessibilità, qui Harper opta per una complessità più meditata, come si sente in “Soteria”: un brano che dal post-black vira verso lidi shoegaze, con vocalizzi che dallo screaming si dissolvono in sospiri eterei, accompagnati da synth celestiali che sembrano guidarci verso un aldilà irraggiungibile. È un momento di rara bellezza, un punto di forza che testimonia la capacità di Harper di bilanciare aggressività e delicatezza. “Finisterre” colpisce con ritmiche che ruggiscono come un urlo soffocato, eco del dolore che abita l’anima del mastermind, ma si placa in sezioni più quiete, quasi a voler offrire un respiro, un equilibrio che dà corpo al suono della sua one-man band. L’effetto sorpresa del debutto, tuttavia, sembra essere svanito, lasciando spazio a una sensazione di déjà-vu che a tratti, ne offusca l’impatto. Eppure, in pezzi come “The Hollow Altar”, gli arrangiamenti si ergono con un’aura cinematografica: dai cori iniziali che si librano come un lamento sacro, si passa a un’esplosione ritmica che evolve in un intreccio denso di significato, un altro segnale della cura che Harper riversa nel suo mestiere. La chiusura arriva con “Eos”, una suite di 11 minuti che si snoda lenta e struggente. Le sue melodie malinconiche, intrecciate a una musicalità estrema – veloce, dinamica, a tratti furiosa – colpiscono nel profondo, come un addio che non trova pace. È qui che 'Bastion' rivela il suo cuore: un disco che, pur non raggiungendo l’altezza del predecessore, si distingue per la sua sincerità e per la capacità di trasformare il dolore in arte. Non è un trionfo, ma un viaggio significativo, un’ode alla resilienza che merita di essere ascoltata con attenzione, anche se con un pizzico di rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere. (Francesco Scarci)

domenica 6 aprile 2025

Ulver - Liminal Animals

#PER CHI AMA: Electro/Psych Rock
Uscito digitalmente a fine novembre dello scorso anno, e solo fisicamente il 7 marzo di quest'anno, 'Liminal Animals' è l'ultimo lavoro degli Ulver. Non è solo un album, è un lungometraggio audace, un viaggio psichedelico che sfuma i contorni della realtà, un’inquadratura sfocata dove i lupi norvegesi, ormai lontani dai roventi paesaggi del metal, ci guidano attraverso un crepuscolo liminale. La dedica a Tore Ylwizaker, il tastierista scomparso nell’agosto scorso, aleggia come un’ombra sul set, un requiem muto che s'insinua nei suoi fotogrammi. Kristoffer Rygg, il regista visionario un tempo noto come Garm, dirige i suoi fedeli compagni di scena in un abisso di synth malinconici e paesaggi sonori che si stagliano come quinte di un teatro oscuro. La cinepresa si sofferma su "A City in the Skies": un piano sequenza mozzafiato di una metropoli sospesa, costruita con riff sintetici e percussioni che ticchettano come pioggia su vetri ghiacciati. È un miraggio architettonico, una skyline di grandezza fragile che si sgretola sotto il peso del suo stesso splendore, un tableau vivant di synth-pop che si spegne in dissolvenza. Poi, un taglio netto su "Forgive Us": la luce si abbassa, l’obiettivo cattura Rygg in un primo piano straziante, la sua voce è un monologo che vibra di emozione cruda. La tromba di Nils Petter Molvær irrompe poi come un lamento solitario, un suono che stride nel buio, mentre un coro di voci melliflue s'insinua come un flashback ossessivo, un’implorazione che si perde nel vento di una sala vuota. "Nocturne #1" è uno stacco atmosferico, una sequenza muta, un’eco che ricorda quei giorni in cui gli Ulver scrivevano per cortometraggi ambient. La scena si sposta su "Locusts": un montaggio serrato di synth pulsanti e percussioni tribali, con i vocalizzi di Rygg che si liberano come un narratore fuori campo sopra un’invasione di ombre ronzanti, un quadro di tensione che si dissolve in un nero profondo. "Hollywood Babylon" cambia registro: un’inquadratura grandangolare su un boulevard al neon, troppo lucido, troppo pop, un’interferenza che stride nella pellicola oscura, ma che si piega al cinismo delle sue liriche taglienti. "The Red Light" rallenta il ritmo: una ripresa che segue una figura indistinta per strade bagnate con i synth e ritmi spezzati che costruiscono un’atmosfera da thriller notturno, girata tra i vicoli di una città senza nome. "Nocturne #2" è un’interruzione onirica, un montaggio di post-rock cinematico che richiama le distopie di "Blade Runner": pioggia al neon, synth che si espandono come un cielo artificiale, un respiro prima del finale. Si arriva al lungo finale con "Helian (Trakl)", una song di oltre undici minuti che si dipana come un ultimo atto monumentale. Jørn H. Sværen entra in scena, la sua voce recitante che declama Georg Trakl sembra quella di un poeta maledetto su un mare di synth e pulsazioni dub. È un piano sequenza infinito, con la musica che si gonfia in un crescendo di malinconia che si spegne in un fade-out lento, un sipario che cala su un film imprevedibile, seducente, ulveriano fino al midollo. (Francesco Scarci)

(House of Mythology - 2024)
Voto: 75

https://ulver.bandcamp.com/album/liminal-animals