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lunedì 22 settembre 2025

La Città Dolente - In a World Full of Nails I Have Got Nothing

#PER CHI AMA: Mathcore/Hardcore/Death
La nuova uscita della band meneghina sotto le ali della Toten Schwan, lascia un ricordo lontano del precedente 'Salespeople', e con un cambio di formazione radicale, porta modifiche sostanziali al proprio suono, rivedendone i canoni stilistici fin dalle radici. Divenuti un power duo formato dai soli Federico Golob (chitarra/voce/basso) e Guido Natale (batteria), i nostri optano per un suono decisamente più heavy, buio, corposo, dai toni ribassati e dalle composizioni potenti ma ostinatamente complesse. Devo ammettere che non mi è mai piaciuta la scelta di vedere il nome della band in lingua madre e l'uso dell'inglese nelle liriche, ma per La Città dolente (e il nome è molto bello), la cosa passa inosservata, poichè a tutti gli effetti, il disco è veramente ben fatto. Iniziamo col dire che non si sente affatto la carenza e l'assenza di altri strumentisti, e che i due musicisti qui hanno svolto un compito notevole nel dare vita a questo piccolo gioiellino. La struttura del disco è tutta giocata su chiaro scuri, cambi di tempo, rallentamenti e stop and go, furiosi e coinvolgenti, contaminati da una certa cinematica al limite dell'industrial, dove una voce ringhiante (che mi ricorda piacevolmente un po' lo stile di John Tardy degli Obituary) la fa da padrona. Tuttavia, in alcune incursioni, il parlato e il recitato donano il giusto tocco di schizofrenia e drammaticità, uno stile canoro che riesce a farli uscire dagli schemi preimpostati del genere, rendendo i brani credibili, per certi aspetti anche orecchiabili e comunque sempre estremamente carichi di emozionalità. La batteria è una furia timbrica e le chitarre urlanti, sfoderano una valanga di riff, figli di tanti padri del moderno metal pesante e tecnico, che mi ricordano in parte, come ricerca ritmica, anche i primi Gojira. Vi si trova poi pure del potente hardcore nella scrittura e persino, ideologicamente, l'aria oscura e ossessiva di un disco qualsiasi dei Meshuggah. Nati sotto la bandiera del mathcore, etichetta di genere che ora decisamente gli andrebbe un po' stretta, il duo lombardo si appresta con questo bel disco ad intraprendere un nuovo passo verso un sound ancora più pesante, complesso e claustrofobico, con la tensione dei Converge e il peso possente degli Ulcerate. Alla fine i due musicisti milanesi brillano di luce propria e servono ben poco i paragoni per spiegarli, tanto meglio ascoltarli per capire di che pasta è fatta la loro musica. Valutando poi l'impegno sociale e la militanza politica anticapitalista, con la scelta DIY, e testi di denuncia sociale, ci rendiamo conto di quanto sudore e impegno ci sia dietro la furia di quest'album. Il disco in toto viaggia veloce ed è direttissimo, i brani sono prevalentemente corti, tranne che per "Clearance Season" e soprattutto "Neon Death (Forever on the Payroll)", che con un inaspettato intro tra soul e black music, si espande fino a superare i sei minuti, sofisticati ed estremamente pesanti. Magari con 'In a World Full of Nails I Have Got Nothing', non ci troveremo davanti a una vera e propria innovazione musicale, o a un nuovo sound, ma nessuno può dire che questo non sia un disco di carattere e di ottima caratura. Consigliato l'ascolto, ottima uscita. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records - 2025)
Voto: 75