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sabato 26 febbraio 2022

The Pit Tips

Francesco Scarci

Voraath - The Barrens
Amorphis - Halo
Silent Moriah - Kill Everything You Love

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Death8699

Corpsegrinder - Corpsegrinder
Eidolon - Hallowed Apparition
Once Human - Scar Weaver

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Alain González Artola

Inferi - Vile Genesis
Enterré Vivant - Les Ténèbres ne Sont Pas Formées d'Ombre
Nostra Dementia - Spectral Songs From Vehemence

Preamp Disaster - By The Edges

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Con gli svizzeri Preamp Disaster (chissà se vuole realmente significare il disastro del preamplificatore), torna a riaffacciarsi sul Pozzo la Czar Of Crickets Productions con una delle sue intriganti creature cosi come abbiamo già avuto modo di apprezzare in passato. 'By the Edges' è il lungo e nuovo EP della band originaria di Lucerna che torna sul mercato a cinque anni di distanza da 'Waiting for Echoes'. In tutta franchezza non conosco i nostri, quindi sarà interessante valutarne il loro sound come un novizio alle prime armi. L'apertura è affidata ai robusti suoni di "Above the Bloodline", traccia piacevolmente melodica a cavallo tra post metal e post rock, con i punti di forza del primo (chitarre belle toste) e di debolezza del secondo (gli eccessivi riverberi tipici del genere). I quattro musicisti elvetici giocano comunque su saliscendi ritmici, roboanti chitarre e psichedeliche atmosfere. Tutto molto carino, già sentito mille volte però. Non serve nemmeno quella voce incazzosa a fine brano a togliermi quella sensazione di eccessiva strumentalità della song. Bene, ma non benissimo. Mi muovo sulla seconda song, "Dark Brilliance" e le cose iniziano a farsi più interessanti con una proposta più atmosferica e delicata (non sono certo una mammoletta ma cerco qualcosa di più emozionalmente toccante e meno scontata). Qui i nostri, emulando un che degli Isis più ispirati (e morbidi), ci regalano un approccio più pacato, prima di una totalmente inaspettata esplosione di violenza con una ritmica inferocita e un growling corrosivo. Poi, un break con ancora un landscape delicato su cui poggiano spoken words, che destabilizzano positivamente la concezione musicale che avevo di questo ensemble. Finalmente, qui le cose iniziano a funzionare in modo adeguato e riesco a scorgere segni di una più ricercata proposta musicale. Chitarre di stoneriana memoria si dispiegano invece in apertura di "Holdun", prima di lasciar spazio ad un incedere lento ed evocativo, con le voci quasi sussurrate del frontman a guidarci nel profondo di un brano accattivante che avrà ancora modo di mostrare atmosfere soffuse e un growling di tutto rispetto alla Cult of Luna, in un finale in crescendo che ci sta alla grande. Non saranno originalissimi, ma mi prendono bene. E le cose sembrano andare meglio con la chiusura affidata alle noste di "Entering One Last Epoch", la traccia più lunga del lotto (oltre nove minuti) che mostra un bel basso in apertura che ammicca allo stoner ed una progressione sonora che ci porterà nei paraggi di un post metal sporcato da atmosfere darkeggianti dotate comunque del loro perchè. Alla fine 'By the Edges', pur non inventando nulla, è un lavoro piacevole e strutturato che farà la gioia di tutti gli appassionati di sonorità post metal. Quindi gliela diamo o no una chance a questi Preamp Disaster, che dite? (Francesco Scarci)

(Czar Of Crickets Productions - 2022)
Voto: 74

https://preampdisaster.bandcamp.com/album/by-the-edges

Godspeed You! Black Emperor - Asunder, Sweet and Other Distress

#PER CHI AMA: Post Rock
L'incedere epico dei pezzi anziché apocalitticamente ascetico, una minore emozionalità più rock-oriented, la scomparsa di tutti quegli ammenicoli sonori funzionali all'esperienza live ma fastidiosi in cuffia: nel quinto album dei terroristi del borborig-metal attraverserete il deserto del Maghreb seduti sul parafango di un carro armato in un tardo pomeriggio autunnale col cielo scuro di petrolio bruciato (vi basti ascoltare "Peasantry" o "Light! Inside of Light!"); darete la caccia a un fastidioso calabrone di mare coi piedi attaccati alla carcassa di un sommergibile a testata nucleare arenata sul fondo dell'oceano ("Lambs’ Breath"); attraverserete il Nunavut (non sapete cosa diavolo è? andatevelo a cercare su Wikipedia) attrezzati esclusivamente con un thermos di punch e un paio di racchette da tennis ai piedi ("Asunder, Sweet"). Dopodichè, manderete a cagare questo album, i Godspeed e l'autore di questa cialtronata di recensione e vi andrete a sedere in balcone con una moretti ghiacciata, una paglia, 'Slippery When Wet' dei Bon Jovi a palla nel giradischi e vaffanculo al secchio ("Piss Crowns are Trebled"). (Alberto Calorosi)

Kadavereich - Radiance of Doom

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death, Morbid Angel
In questo particolare periodo storico c'è chi ha deciso di boicottare le recensioni musicali di band russe, francamente mi dissocio da questo approccio in quanto la musica non è politica e perchè poi auspico che i Kadavereich possano essere in prima linea a dire no alla guerra. Comunque, 'Radiance of Doom' rappresenta l'EP di debutto per la band moscovita (ma che vede anche un membro ucraino al suo interno) che apre il platter con il suono di sirena quasi come segno premonitore di un attacco impellente. "Invincible Sun Devourer" ci trascina quindi in un gorgo black death dove accanto alle chitarre belluine, si staglia una voce animalesca, un growling soffocato in gola che guida un attacco disarmonico e dissonante che sembra chiamare in causa un ibrido tra Morbid Angel e Portal, in un sound vario che mette in mostra anche le qualità dei nostri in sede solistica. Si riparte con "Caldarium of Boiling Blood" da una ritmica più pacata spezzata da improvvise e schizofreniche accelerazioni di chitarra, corredate da interessanti fughe solistiche e break atmosferici dal sapore orrorifico, il tutto comunque avvolto da un'aura misteriosa, sinistra ma comunque melodica. "CCCIII" ci trascina più in profondità negli abissi dell'inferno con un sound quasi più cacofonico, ma in realtà dopo meno di un minuto si stabilizza la porzione ritmica mentre le vocals cavernose di Morkbeast fungono da traghettatore infernale al pari di Caronte. La traccia è distorta, mostruosa, dissonante con le chitarre di Panzer e Bonecrushing Apocalypse a richiamare il sound chirurgico degli esordi degli inglesi Akercocke. Arriviamo velocemente alla conclusione del lavoro con la chiusura affidata alla title track e ai suoi ritmi incendiari e ad una voce che sembra provenire da un'altra dimensione. Per il resto sono i blast beat del bravo Kist a prendersi la scena tra accelerazioni serrate e tetri rallentamenti tetri chiudono in modo egregio una release devastante, destinata ad un pubblico amante di sonorità davvero estreme e bestiali ma comunque intriganti. (Francesco Scarci)

venerdì 25 febbraio 2022

Primus - Primus & the Chocolate Factory with the Fungi Ensemble

#PER CHI AMA: Alternative
Sovente accade che in sede di dollarosa reunion certe band riscontrino i medesimi dissidi di vent'anni prima, affrontati però con un baricentro diverso. Gravitazionalmente, i Primus di questo lavoro sono Les Claypool accompagnato da una band di gloriosi fricchettoni fuoriusciti da un ipotetico biker-movie di Tim Burton. Partendo da presupposti di questo genere, risulta sorprendente riscontrare primizie "primusiane" in questa ordinariamente bizzarra rilettura dello score del primo "Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato". "Candy Man", sopra tutte, a meno degli eccessi tardo-Claypooliani di bidibidi boudiboudi, oppure il surf-tango "I Want It Now" cantato per una volta dal chitarrista Larry Lalonde o la obscured-by-floydiana "Farewell Wonkites" e la sua speculare "Hello Wonkites". Ascoltate questo album degustando un merdessert di Alessandro Negrini durante una cenetta esclusiva al Luogo di Aimo e Nadia. (Alberto Calorosi)

(Prawn Song - 2014)
Voto: 70

http://primusville.com/

Sólstafir - Ótta

#PER CHI AMA: Experimental Metal
La sottile linea adamantina che avvicina gli elementi Ragnarǫk del viking black metal islandese al post metal metereocratico con tinte nebbiolin-folk, non può non transitare attraverso i suoni nu-sludge-ambient dei Sólstafir e la voce geyser-grohl dello spudorato Aðalbjörn Tryggvason. Collocabile grosso modo a metà strada tra Lars Von Trier che ascolta in cuffia 'Alternative 4' degli Anathema e Michael Gira che sbraita la frase “Sigur rós 'sti maròn”, rompendo un banjo sulla zucca del casellante di Reggio Emilia, questo album nei fatti è affascinante almeno quanto l'immagine di un branco di lupi che sbrana il cantante degli Ulver durante una maestosa aurora boreale. Vi ho incuriosito, dite la verità. (Alberto Calorosi)

(Season of Mist - 2014)
Voto: 85

https://solstafir.bandcamp.com/album/tta

Furis Ignis - Decapitate the Aging World

#FOR FANS OF: Black Old School
A devotion to the seminal sound of each genre has been something quite common in the metal scene, and something perfectly understandable. They were those first bands that let us a profound impression and made us love a certain style of music. Black metal is not an exception as we see many projects that try to reflect the majesty of those mighty projects appeared in the '90s and even in the second half of the '80s. Personally, I enjoy those bands that push the boundaries, as every genre needs fresh sounds, because without them the process of stagnation and mediocrity would be unstoppable. On the other hands, I also appreciate and find exciting to discover new projects, capable of bringing back those old sounds with quality, and if possible, to bring their own personality. The German solo project Furis Ignis seems to be one of them. The project was born in 2019 and after three years of existence and no previous known stuff, Furis Ignis has signed a deal with the always reliable label Iron Bonehead Productions to present its first opus entitled ‘Decapitate the Aging World’.

'Decapitate the Aging World' is undoubtedly a remarkable debut, consisting of six tracks, having each one of them its own personally and specific characteristics. In any case, the whole album and its songs are strictly tied to black metal’s foundations and classical aspects as they make me remember all the classic bands of the '90s. Through its 39 minutes, you will taste some chaotic riffs, melodic tunes and captivating atmospheric touches that show why black metal is such an especial sub-genre. Production wise, the album has an expected raw production, with a clearly old school touch, especially in the guitars that have a rough and sharp sound. Apart from that, the balance is quite good, as vocals, guitars and drums are perfectly distinguishable and have an equal presence, which is a basic aspect to fully enjoy the band’s music. Another interesting fact of this album is the length of the songs, quite unbalanced, as two tracks last half of the album’s time, while the other four tracks are around two to  five minutes. As you can imagine, the longer tracks have a greater room to appreciate Furis Ignis different influences. Anyway, the guitars are excellent regardless of the song as they sound quite elaborated, taking into account that this music is not technical or so complex, because the riffing is excellent both when the riffs are ferocious or more melodic. "Witness the Nightsky Palpitating to the Beat of Premonition" is the excellent album opener that summarizes all the good aspects of this powerful debut. Rasping vocals combined with an impressive guitar work, whose pace and intensity fluctuates between pure rawness and speed to a slower tempo with some interesting atmospheric touches. The surprisingly audible bass increases the feeling of listening to something truly loyal to the old times. The ambient arrangements remind me Burzum’s most hypnotic moments, which is something truly especial. This song is like you would discover a bastard descendant of Burzum, Mayhem and Darkthrone, which I guess it’s the wet dream of any classic black metal fan. "Guarding the Gate" is the longest piece of this album and again the longer duration gives us the chance of enjoying every single aspect of Furis Ignis full potential. Again, the riffing is memorable and as the song progresses, we can appreciate the amount of work done to build a long, yet irremediably interesting, piece of music. The initial and powerful beginning combines the impressive riffs, fast paced drums and some tiny and great atmospheric touches that make this part equally hypnotic, yet apt for a nice headbanging. The middle part focuses on what is maybe the rawest section of this album. It combines pure furious parts with some really crushing and raw riffs, until a more melodic essence progressively appears and its shares the prominence with the rawer riffs in a very inspired way, showing that brutality and melody can successfully coexist. The album closer "Donner In Den Bergen" is another interesting track as it has its own personality. It’s the slowest song as it has a more depressive and “doomy” touch. Its sombre nature makes this track a good ending for this powerful album as it is a sonic portrait of a devastated scenery.

At the end 'Decapitate the Aging World' is arguably one of the most interesting debuts in a long time, when we speak about old school black metal. The album is a compendium of what we love from this genre as it has been composed and executed tastefully. Furis Ignis succeded in creatin an album that has its own personality thanks to the respectable amount of work done. The intensity and variety are something undeniable and make this album a must for every fan of the black metal genre. (Alain González Artola)


lunedì 21 febbraio 2022

Closure in Moscow – Pink Lemonade

#PER CHI AMA: Prog Rock/Psych/Alternative
L'etichetta australiana Bird's Robe Records, come abbiamo riferito di recente, si è presa l'incarico di ristampare la discografia dei Closure in Moscow e dopo i primi due ottimi lavori ci troviamo di fronte alla loro ultima opera di studio, uscita qualche anno fa, precisamente nel 2014. L'eclettica band australiana fa del suo bagaglio musicale un format esasperato, mescolando generi e sonorità a più non posso, dando vita ad un lavoro spettacolare e complicato allo stesso modo. Potrei dire che 'Pink Lemonade' sta ai Closure in Moscow come 'Sgt Pepper' s Lonely Hearts Club Band' sta ai The Beatles, ovvero, il massimo sforzo creativo dove una band possa cimentarsi nella sua carriera. Chiarisco subito che musicalmente i due album non sono accostabili per ovvie ragioni ma come attitudine si possono avvicinare, soprattutto nelle rispettive gesta compositive che di fatto puntavano a superare i confini della propria arte. Nel caso dei Closure in Moscow, il mescolare R&B, progressive rock, funk, hard rock, elettronica, blues e pop punk, in una veste che mi ricorda una sorta di musical d'altri tempi, ha dato i suoi buoni frutti, e la sua orecchiabilità va spesso e volentieri a braccetto con la complessità dei pezzi, costantemente baciati da una positività solare trascinante e musicalmente colta. Quindi, ricapitolando, tra una miriade di rimandi sonori, vi possiamo trovare paragoni con i Coheed and Cambria, ma anche con la teatralità progressiva di 'Suffocating the Bloom' degli Echolyn, l'alternative degli Incubus e perfino piccoli sbocchi creativi e progressivi alla 5UU'S, e poi blues, free jazz e free rock. L'insieme si svolge con una dinamica notevole vista la qualità dei musicisti in questione, con la voce impareggiabile di Christopher de Cinque che fa venire i brividi in "Mauerbauertraurigkeit" o nel duetto con Kitty Hart in "Neoprene Byzantine", un brano spettacolare di circa tre minuti e mezzo, impossibile da descrivere, ma che caratterizza l'intero disco, e che potrei provare a definire solo ricordando due brani lontanissimi tra loro. Un mix tra "It's Oh So Quiet", nella versione di Björk, e "Goliath" dei Mars volta, suonato con un mood seventies caldo ed esplosivo. Alla fine, 'Pink Lemonade' è un disco che sfiora la perfezione, anche se in un calderone così stipato di note, generi e suoni, è sempre difficile trovare il bandolo della matassa, il filo conduttore per capire un'opera del genere. Forse, il vero segreto per farsi catturare da questo album, è proprio quello di farsi trasportare e stupire dalle sue coordinate nascoste, apprezzare lo stile di questa band che ha osato il salto nel mainstream internazionale senza rinunciare alla propria essenza di band crossover a 360 gradi, musicisti, esploratori e manipolatori di universi musicali diametralmente opposti richiamati in maniera esemplare ed esaltante. Un disco complicato e delizioso, un disco da veri appassionati di musica libera. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2014/2022)
Voto: 84

https://closureinmoscow.bandcamp.com/album/pink-lemonade