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mercoledì 18 dicembre 2019

Despised Icon - The Ills Of Modern Man

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Deathcore/Grindcore
I canadesi Despised Icon (band che vanta tra le proprie file membri dei Neuraxis), freschi peraltro di una nuova uscita, nel 2007 hanno rilasciato la loro terza release con tutte le intenzione di farci del male, ne ho le prove. 'The Ills of Modern Man' (titolo peraltro sempre attuale) si affacciò sul mercato dopo il tanto acclamato 'The Healing Process' e quindi con la difficoltà di superare qualitativamente quell’ottimo disco deathcore. Il six-piece canadese non si è perso d'animo, avendo tutte le carte in regola per poterci sorprendere con una proposta selvaggia e senza compromessi. Così, dopo aver messo il cd nel lettore, non ho più avuto dubbi: il sestetto è sempre pronto per saccheggiare il mondo intero. Dieci tracce brutali, con riffs taglienti come rasoi, stop’n go, cambi di tempo vertiginosi, iper blast-beat, growling vocals e urla animalesche, ritmiche impazzite che corrono a cavallo tra death e grindcore; il risultato? Un disco malato che trasuda rabbia da ogni suo solco. Prodotti egregiamente dal loro chitarrista Yannick St-Amand (Beneath the Massacre, Ion Dissonance e Neuraxis) e mixati ancor meglio da Andy Sneap (Megadeth, Opeth), i Despised Icon per un certo periodo (visto la successiva pausa di sette anni) si sono candidati ad essere i numeri uno nella scena estrema. Brutale, cattivo e fottutamente incazzato, ecco come suona 'The Ills of Modern Man'. Se avete bisogno di scariche di adrenalina pura, questo è il disco che fa per voi. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2007)
Voto: 75

https://www.facebook.com/despisedicon

Calendula - Hiveminds - De Brevitate Vitae

#PER CHI AMA: Post Metal/Stoner
Li avevamo lasciati su queste stesse pagine in occasione dell'uscita di 'Aftermaths': era il lontano 2012. Ora i Calendula tornano sulla scena con un po' di novità in seno alla band. A quanto pare infatti, i nostri sembrano aver virato il tiro primordialmente black/crust/hardcore di quel disco, verso un sound più intimista. Questo è ciò che si evince dall'ascolto dei primi minuti di questa single track di oltre 25 minuti, che dà il nome al lavoro, ossia 'Hiveminds – De Brevitate Vitae'. Certo, il retaggio passato vive sempre nelle note di questi musicisti, palesandosi qua e là sottoforma di riff post-metal, atmosfere melmose in pieno stile sludge, schitarrate stoner, o più rade e sguaiate grida hardcore, senza tralasciare anche una certa vena psych che va a collidere con un più atmosferico post-rock. Insomma, l'avrete capito, saranno pure venticinque minuti di musica, ma quella dei Calendula è una proposta un po' atipica, che ha modo di strizzare l'occhiolino anche all'alternative, soprattutto in ambito vocale, con il frontman a testare nuove linee vocali che vanno ad affiancarsi anche a momenti di spoken words. La proposta della band è davvero interessante, stralunata quando al quattordicesimo minuto le chitarre sembrano in preda al delirium tremens o quando la band ricorda di essere transitata in passato in territori black, che al minuto sedicesimo diventano doom, in quella che resta comunque una nevrotica cavalcata corredata da molteplici stili musicali, e che al diciottesimo (sembra quasi una telecronaca di una partita di calcio) sembrano sforare anche nel math e poco dopo nuovamente nel black. Questo per dire che alla fine 'Hiveminds - De Brevitate Vitae' è un lavoro complesso che necessita di grande attenzione e pazienza per essere goduto appieno. Forse non vi piacerà subito, ma dategli più di un'opportunità e non ve ne pentirete affatto. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Moanaa - Torche
Celtefog - Outlands
Vukari - Aevum

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Alain González Artola

Fen - The Dead light
Obsequiae - The Palms of Sorrowed
Ofdrykkja - Gryningsvisor
 

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Shadowsofthesun

Vanessa Van Basten - Ruins Sketches and Demos
Norma Jean - All Hail
The End Of Six Thousand Years - Perpetuum

Luna - S/t

#FOR FANS OF: Instrumental Death/Doom
This Ukrainian project has been around since 2013, and released their debut album 'Ashes to Ashes' in 2014. I became aware of their existence only early this year, and was intrigued by the mix of Doom and Death Metal elements. This album proves that they are still able to incorporate new sounds into their realm of sadness. Mastermind deMort has his way of delivering massive cuts of raw, uncompromising instrumental tracks. The opening track goes like a waltz of slowly decaying corpses on their way to eternal damnation. Dragged out into extreme porportions, there’s little room for variety. The drums are relentlessly bashing my eardrums, while the violin suite hangs in the background. It rises and falls in key like waves of the ocean washing over a deserted beach. An endless symphony of destruction and death lingers upon us for nearly twenty minutes, and the subtle alternations underway makes it worthwhile to listen to in full. Part two of the three-piece symphony is much lighter, focusing more on strings than anything else. It’s almost like a gleam of hope is protruding from the previous dark territory, but when an electric organ sound is introduced we are reminded that we’re still there. The organ continues to take up much of the soundscape during the section, and gives life to a number of different parts. The outro is played like a series of long chords accompanied by a number of short bursts of soft synth. The final installment is far heavier than the rest, and a simple sad melody plays with long guitar riffs. While this is by far the brightest tune on the album, the organ and the violin keeps it in the dark. There’s a small overture section about halfway through which serves as a end marker for the album. After a brief pause, there’s a bonus track which is more upbeat than the rest. What the rest of the album lacks in versatility, this track makes up for. There’s instances of double drums and experimental riffs for a brief while, before the sound returns to its point of origin: Slow, menacing guitar riffs draped over an organ skeleton. (Ole Grung)

(Solitude Productions - 2019)
Score: 80

https://lunametal.bandcamp.com/

Ad Nemori - Akrateia

#PER CHI AMA: Atmospheric Death/Black
Dalla Baviera ecco giungere il full length di debutto degli Ad Nemori, intitolato 'Akrateia', lavoro che arriva a tre anni di distanza dall'EP 'Pyre'. Il cd include nove tracce di death melodico che con la delicatezza del pianoforte dell'introduttiva 'Miasma', si fa poi largo con le successive e più dirompenti tracce. Che i nostri abbiano uno spirito guerrafondaio appare chiaro sin dalla tellurica apertura di 'Tellurian Doom', un pezzo che prendendoci a calci nei fondelli, mette in luce le qualità compositive dei nostri, nel coniugare un sound potente con frangenti più atmosferici e decisamente melodici, che per sei minuti avranno di che solleticarvi i sensi, soprattutto quando sembra far capolino una melodia orientale in un notevole break acustico. Con "Above the Tide", la proposta del sestetto di Monaco sembra quasi incupirsi, concedendo ampio sfogo al growling possente di Raphael, accompagnato sempre dalle eccelse linee di chitarra confezionate dal duo formato da Stephen e Oliver, che qui sembrano concedersi anche lo sfizio di una sgroppata black, mitigata poi dalle keys di Milos, vero mattatore nell'erigere splendide ambientazioni. Vocals pulite compaiono invece nell'antemico intro di "Kenosis", una traccia di quasi dieci minuti che mette in scena una versione più edulcorata degli Ad Nemori, almeno in termini di potenza, qui assopita a favore di un sound più mellifluo, almeno nella prima metà. Poi è un suono dinamico a venir fuori, quasi a strizzare l'occhiolino agli Insomnium e a tutta la frangia melo death nord europea. "Obey Thy Sovereign" mostra tempi dispari a livello di drumming, ma la sua attitudine ha un che del symph black, il che dimostra anche una certa capacità di spaziare da parte del combo teutonico. Interessante sottolineare come tendenzialmente le seconde parti di tutte le song presentino una parte decisamente più atmosferica, qui anche con annesso un ottimo assolo di chitarra. L'incipit di "Diverging From The Black" mi ha evocato invece lo spettro degli Amorphis, e ditemi se anche voi non ne avete percezione. Lo svolgersi della song poi non riflette proprio i canoni dei gods finlandesi in quanto gli Ad Nemori sembrano qui un po' più caotici, errori di gioventù mi verrebbe da dire. "Guidance" è un intermezzo musicale dal forte sapore etnico che prepara a "The Stars My Destination", oltre otto minuti di sonorità frenetiche, al contempo epiche, a cavallo tra black (lasciatemi dire che qui la batteria non mi piace granchè) e un death doom dai tratti sinfonici. "Enkrateia" chiude l'album là come lo aveva aperto, ossia con soavi e malinconici tocchi di pianoforte che sanciscono la buona prova dei sei musicisti tedeschi. (Francesco Scarci)

Stormwarrior – Norsemen

#FOR FANS OF: Heavy/Power
When I first heard “Iron Prayers” back on 2002, I was blown away by Stormwarrior’s unapologetic resemblance to Walls of Jericho era Helloween. They even went as far as to have Kai Hansen produce and guest on their debut album. I was instantly a fan. The follow up to their debut was absolute perfection and one of my all time favorite albums. The band has changed over the years but one thing that has not changed, their approach to classic speed metal. It’s been almost six years since their last release, Thunder and Steele, so the time was right for the return of Stormwarrior. With the release of their sixth full length opus, Norsemen, they are back with a vengeance. It’s amazing how this band can stay true to their form without sounding dated or stale.

Keeping with Stormwarrior tradition, they begin with “To The Shores Where We Belong,” an intro that only builds you up to the burst of speed and energy you would expect from these Teutonic masters. “Norsemen (We Are)” bursts from your speakers with the fury of a marauding viking horde! A speedy epic number that sets the mood for what will be fifty minutes of head banging , horns up speed metal. Starting with speed and fury the song is classic Stormwarrior; including their signature melodic, anthemic choruses that you will find yourself signing along to by the time it rolls around for the second time. “Storms of the North” keeps it going with one of their most catchy choruses yet. The riffs are epic and the solos are godly.

“Freeborn” changed the pace a bit having that galloping tempo, crunching riffs, and melodic dual leads. Being one of the teasers released before the album, it’s just metal as fuck from beginning to end. They have this atmosphere that make any song they create sound epic. “Odin’s Fire,” “Sword Dane,” and “Blade on Blade” are classic Stormwarrior. These songs could have been on Northern Rage. “Shield Wall” starts off with some dual lead melodies over some epic keyboard effects then bursts into some great dual lead work for the intro that leads into the verse. It actually comes off as quite catchy. What this song does is prepare us for the epic masterpiece that is “Sword of Valhalla.” Clocking in at just over eleven minutes, this is an absolute beast of a song. This is everything heavy metal should be in one song; speed, epic riffs, melodic epic choruses, and godly soloing.

Once again, Stormwarrior proves to the world that staying true to your formula can pay off. This album is pure Stormwarrior from beginning to end. Their signature sound is is pure metal; nothing more, nothing less. I’ve never heard an album by this band that I did not like. Twenty-one years after their formation and seventeen years since the release of their blistering debut, Stormwarrior stands out as one of the best and most consistent bands in metal. Prove me wrong….I dare you!! (
The Elitist Metalhead)



(Massacre Records - 2019)
Score: 95

https://www.facebook.com/STORMWARRIOR.Official

martedì 17 dicembre 2019

Black Messiah - Oath of a Warrior

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Epic Black
Un temporale lontano accompagnato da ariose tastiere apre 'Oath of a Warrior', album di debutto dei tedeschi Black Messiah. Segue “A New Messiah” che ci mostra subito la sostanza di questi sei vichinghi tedeschi, il cui sound è inquadrabile in un viking symphonic black vicino alle produzioni dei connazionali Mephistopheles, ma anche con rimandi allo swedish death degli Ablaze My Sorrow, il tutto rigorosamente cantato in lingua madre e in inglese. L’album non è affatto male, anche se come al solito, io non sopporto il cantato in tedesco, che poco si adatta, per la sua ruvidità, alla musica in genere. Le chitarre imbastiscono trame che prendono a piene mani dalla musica classica: è sufficiente, infatti, ascoltare la terza traccia “Blutsbruder”, caratterizzata da un riffing violentissimo su cui s’inseriscono ottime melodie, per udire forti reminiscenze “Wagneriane”. Il pezzo finisce con l’utilizzo di strumenti non del tutto convenzionali (mi sembra un liuto), che mi catapultano con la mente sulle spiagge bianche della Grecia. Si prosegue e il registro è più o meno sempre lo stesso: motivi vichinghi d’altri tempi, con la musica che passa da momenti di estrema epicità ad altri in cui è il black sinfonico a dominare. I brani risultano ben strutturati, vari e assai melodici, capaci di alternare le tipiche cavalcate epic a momenti di più saggia atmosfera. Le vocals poi, non sono ne esageratamente growl, neppure pulite a dire il vero, ma ben bilanciate nella loro estensione. Questo album non è sicuramente un must, tuttavia l’ho trovato assai interessante e complesso nella sua concezione. Direi che un ascolto è il minimo che si possa fare per essere proiettati in una dimensione lontana dove le spade erano levate per celebrare la vittoria. (Francesco Scarci)

(Einheit Produktionen - 2005)
Voto: 70

https://www.facebook.com/BlackMessiah666/

Blood Ritual - Black Grimoire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Dissection, Nile
Con le orecchie ancora crivellate dai colpi dei Summon metto su l'ultimo platter dei Blood Ritual, ormai datato 2005, sapendo già di dovermi sorbire l’ennesimo scontato massacro death/black. Una montagna di pesanti riff schiacciasassi, con forti echi di derivazione Nile, mi investono già dal primo lunghissimo pezzo (otto minuti di malvagità allo stato puro che trasuda dai solchi di questo “Invocation of Satan”), pezzo che mi stupisce non tanto per la cattiveria, ma per l’uso di chitarre soliste melodiche che mi hanno immediatamente richiamato i Dissection di 'The Somberlain'. Devo ammettere che il mio scetticismo iniziale sia stato presto spazzato via dalla prima traccia, che mi ha permesso di ricredermi sulla qualità dei nostri death metallers statunitensi. Anche i successivi brani si mantengono sulla stessa linea: ritmiche iper-tecniche e opprimenti, registrate su toni di chitarra bassissimi, contrapposte a momenti un po’ più atmosferici, vocals agonizzanti e soprattutto ottimi assoli. Quello che non mi piace granché di quest’album, è il suono della batteria, troppo stile “pentola” nella prima track e troppo ovattata nelle successive; il tutto probabilmente a causa degli studi di registrazione, i famigerati The Autopsy Room che hanno ospitato i 3 Inches of Blood e Drawn & Quartered, band dedite ad un sound abbastanza marciulento. Credo che ciò penalizzi non poco la proposta dei nostri, che se invece, adeguatamente prodotti e limate un po’ d’imperfezioni di troppo, potrebbero aprire la loro proposta ad un pubblico più ampio. Il cd è disponibile anche in un deluxe digipack con tre bonus tracks incluse. Vi segnalo che l’orrida cover è stata concepita da Rex Church degli Acheron. Peccato per alcune “grezzate”, altrimenti quest’album avrebbe meritato di più; ad ogni modo, tutti gli amanti di Dissection, Aborted e Nile diano pure un ascolto a questo oscuro 'Black Grimoire', laddove le porte dell’inferno si spalancano. (Francesco Scarci)