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martedì 24 aprile 2018

Eloy - The Vision, the Sword and the Pyre - Part 1

#PER CHI AMA: Space Rock
Parzialmente giustificato dal fatto che l'avanzare dell'età spesso rimuove certe inibizioni, pervenuto alla settantaduesima primavera Bisteccone Bornemann, generalmente conservativo, rilascia il suo album più spericolato e (forse a tratti involontariamente) divertente. Spiega tutto la perentoria ouverture "The Age of the Hundred Years's War", un po' goth-metal con tanto di vocine nella testa, un po' nu-metal, un po' outtake di 'Angel Dust', quello dei Faith No More. Nel prosieguo, "The Call" (featuring una sensuale e chiacchierante Alice Merton as Giovanna d'Arco) è un hard-rock soft-blueseggiante post-Destination alla "What Do You Want From Me?" (Pink Floyd), la ozric-tentacolare "The Ride by Night... Towards the Predestined Fate" è una specie di tecno-psych ballad con percussioni, la vocina robottina di "Early Signs... From a Longed for Miracle" (ma che pistakkio di titoli, nevvero?), perfettamente adatta al contesto, vi sembrerà fuoriuscita direttamente da "Metromania", la carmina-burattinosa, sbellicante "The Sword... the Dawning of the Unavoidable" farebbe impallidire Luca Turilli, se soltanto Luca Turilli avesse una carnagione. Canzoni come "Chinon" e "Les Tourelles" vi sembreranno ciò che esattamente sono, vale a dire autoindulgenti riempitivi, nell'ordine più e meno medievaleggianti. Quello che conta è che dopo sessantadue minuti (quelli di 'Ocean 2', l'album più lungo finora, erano cinquantasette) vi sarete inspiegabilmente divertiti, ciò che vi sconsiglio di affermare a voce alta ad un concerto, per esempio, dei Blind Guardian. Rischiereste di fare la stessa fine della eroina protagonista di questo scalcinatissimo concept. (Alberto Calorosi)

(Artist Station Records - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Official4Eloy

lunedì 23 aprile 2018

Seether - Poison the Parish

#PER CHI AMA: Post Grunge
Poderosi riffoni presocratici, un cavernicolo e puntualissimo contrappunto di batteria, nei buchi qualche bridge di basso per conferire epos ("Stoke the Fire"), il rauco gracidare di ordinanza furbescamente alternato a passionevoli sdolcinerie eroinofile. Un ascolto coatto del settimo frondosissimo (quindici canzoni) album (non così tanto) fragorosamente abbattuto soltanto qualche mese addietro da parte dei celebri taglialegna di Pretoria, indurrà senz'altro quella medesima sensazione di pesantezza gastrica mista a sonnolenza e sporadica flatulenza solitamente generati dalla cassoeula che faceva la vostra bisnonna di Olgiate Comasco, sia conferita pace all'animaccia sua. Ascoltate questo disco a basso volume, malamente stravaccati su un divano sfondato di vellutino, mentre osservate con inaspettato interesse l'interno delle vostre palpebre. Con l'eccezione di un paio di scarsamente convinte escursioni nel buon vecchio nu-sbraitone (nel finale del singolo "Nothing Left") le canzoni vi appariranno niente male ma sostanzialmente indistinguibili, proprio come gli ingredienti della cassoueula che faceva la vostra b.d.O.C.s.c.p.a.a.s.. (Alberto Calorosi)

(Spinefarm - 2017)
Voto: 55

http://seether.com/

domenica 22 aprile 2018

Eternal Silence - Mastermind Tyranny

#PER CHI AMA: Symph/Gothic, Within Temptation
Con una copertina ed un’introduzione che sembrano provenire direttamente dalle profondità più remote dell’inferno, è lecito aspettarsi da 'Mastermind Tyranny' un’anima piuttosto brutale, degna delle lande più estreme del death. Invece, sorprendentemente, una volta superato il diabolico monologo introduttivo ed il primo riff, ci accolgono delle sonorità meno “cattive” del previsto. Le tematiche comunque esoteriche di quest’ultimo lavoro della band nostrana degli Eternal Silence, vengono sostenute infatti da un impianto piuttosto melodico, un symphonic metal ricco di orchestrazioni che viene alternato a qualche cavalcata più potente, come nel primo brano "Lucifer’s Lair". C’è spazio anche per qualche contaminazione elettronica come in "Game of the Beasts", fra le sue numerose variazioni di tempo. Le liriche oscure e strazianti vengono incarnate con maestria dalla voce di Marika Vanni, forte di una buona estensione e di grande potenza espressiva, che si percepisce soprattutto in brani come la ballad "Adagio" (la quale richiama i Within Temptation più recenti). Le vocals sono spesso alternate con la timbrica maschile di Alberto Cassina, secondo chitarrista e principale compositore del gruppo lombardo, che si occupa anche degli arrangiamenti orchestrali per questo disco. L’album procede in modo piuttosto lineare sino alla conclusione, senza troppe sorprese rispetto ai canoni del symph/gothic in cui si inserisce l’ensemble di Varese. Manca forse quell’idea, quella “scintilla” che faccia decollare l’ascolto di 'Mastermind Tyranny', nonostante rappresenti una buona prova per il gruppo, che dimostra di aver maturato un proprio stile rispetto ai precedenti album, a partire da un’ottima produzione, che ne evidenzia il notevole impegno. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Sliptrick Records - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/eternalsilencemusic

LORØ - Hidden Twin

#PER CHI AMA: Math/Noise/Sludge
Tornano (i) LORØ dopo quasi tre anni dal devastante self-title esordio che ha lanciato il trio padovano nella calca dell'underground e gli ha subito premiati con un'ottima risposta da parte del pubblico e della stampa. Il connubio chitarra elettrica, batteria e synth caratterizza il sound della band in maniera netta, un mix di math, noise e sludge metal che ricorda gli OvO quali incubatori di un embrione nato dall'unione di gameti Meshuggah e Burzum. Anche stavolta l'artwork è di Riccardo (chitarra) che ha voluto assicurare un risultato impeccabile, ovvero un digipack lussuosamente serigrafato, ritagliato e confezionato interamente a mano. Questa realizzazione rende l'album un manufatto visivamente prezioso, pratica spesso omessa dalle band e dalle etichette che puntano tutto sulla realizzazione musicale. Non è quindi il caso di 'Hidden Twin' che grazie alla cordata formata da Brigante Records\Cave Canem D.I.Y.\Dio)))Drone\Drown Within Records\In The Bottle Records ci permette di godere in toto di quest'album contenente sette tracce. Il suono è complesso, elaborato e volutamente artificiale, frutto di un possente lavoro di registrazione, editing, mixing e mastering che ha portato ad un risultato ben preciso e perfettamente amalgamato. Tutto inizia con "Low Raw" e il suo oscuro riff liberamente inspirato a "Misirlou" dei Dick Dale & The Del Tones di Pulp Fiction-iana memoria, ma la somiglianza finisce subito grazie ad un break dai suoni profondi e distanti pari ai paesaggi soprannaturali descritti da Lovercraft. Il tessuto artificiale del synth monofonico (Mattia) e i pattern serrati e dispari di batteria (Alessandro) completano l'alchimia strumentale, un rigurgito sonoro che incatena l'ascoltatore ad altissimi monoliti in attesa di un'entità che si cela nella nebbia. Un brano che in meno di tre minuti ci fa capire che i LORØ hanno affilato le lame e sono già balzati alla gola di chi li ascolta. "Last Gone" è il terzo brano ed introduce una novità, ovvero il cantato del chitarrista Riccardo, dotato di una timbrica smaterializzata dagli effetti e rabbiosa come non si sentiva dai tempi di Dani e i suoi Cradle of Filth. I riff di chitarra si destreggiano in malefici fraseggi con un mood alla Mastodon, ma quello che brilla in questa ed altre composizioni, sono le divergenze ritmiche e gli strati sonori perpetrati dagli oscillatori analogici del compartimento sintetico. Il lungo percorso ci catapulta in un'atmosfera opprimente degna dei migliori film di Dario Argento, dove storia e musica crescono all'unisono in un paesaggio urbano decadente. L'opera più poderosa è sicuramente la traccia che dà il titolo all'album, quella "Hidden Twin" che esordisce con una spoglia chitarra acustica/classica e il sussurro di una voce fuori campo. Il crescendo incalza con l'entrata della batteria e del sintetizzatore che guida la melodia con un riff in stile prog/psichedelia anni '70. L'arroganza delle distorsioni ci riporta alla cruda realtà dove le profondità recondite nascondono esseri innominabili che hanno visto l'avvicendarsi delle ere. Il continuo martellare del rullante, asciutto e penetrante come un chiodo arrugginito, trascina il brano verso la fine con un'esplosione liberatoria verso la luce. "Point&Comma" è il brano che spicca per impatto sonoro, la chitarra elettrica ingegnerizzata a livello molecolare, estremizza le distorsioni al massimo. La sezione ritmica si arroga il diritto di condurre i giochi e non possiamo che essere d'accordo, il groove è la spina dorsale di questo percorso contaminato da suoni industriali e synth sci-fi che graffiando l'anima, ci attirano ancora di più nel vortice senza fine. 'Hidden Twin' è un album complesso, che scava nel subconscio di chi ascolta e trasmette molteplici sensazioni, come un prisma che riflette la luce in modi diversi a seconda di come viene attraversato dal Sole. Il trio ha dato prova di aver maturato una propria identità già chiara all'esordio, ma che ora ha subito una piacevole metamorfosi, oltre il suono, la melodia e la ritmica. Rimane valido l'invito di ascoltarli dal vivo, ovviamente dopo aver fatto scorta di dispositivi di protezione acustica. (Michele Montanari)

(Brigante Records\Cave Canem D.I.Y.\Dio)))Drone\Drown Within Records\In The Bottle Records - 2018)
Voto: 80

https://sonoloro.bandcamp.com/album/hidden-twin

Pestilence - Spheres

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Death, Atheist, Cynic
È sicuro che non avete mai sentito una definizione più cretina di "death-jazz". Vi viene voglia di indagare. Frastornanti cambi di ritmo trituraossa, un marcescente piede nel culo a qualunque, anche blanda, ambizione melodica (con la notevole eccezione della nebulare "Personal Energy"), dissonanti architetture tastieristiche intrusive ("The Level of Perception") o batteriologicamente ambientali (gli interludi di "Mind Reflections" ma anche le tre strumentali "Aurian Eyes", "Voices from Within" e "Phileas", rigenerati da strumenti a corda) e un chitarrismo alieno, groove ("Changing Perspectives") o un prog-metal quasi generalizzato. Il tutto sinterizzato nella conclusiva, onnicomprensiva "Demise of Time", senz'altro la canzone più straordinariamente vitale e autolesionista di un'intera carriera. Niente più soffocamenti e purulente lacerazioni: 'Spheres' si presenta come una sorta di concept sulla percezione e la conoscenza (non perdetevi la scemenza new-age di "Personal Energy") emananti dalle misteriose sfere cosmiche raccontate in "Spheres" (la canzone), sorta di tondeggianti monoliti di kubrickiana memoria. L'album fu massacrato dai critici e odiato dai fans. Di conseguenza la band rimase inattiva per quindici anni (e non per sempre, come avrebbe invece dovuto). Se al pari del sottoscritto non sapete nulla e non volete sapere nulla di death metal, ascoltate comunque questo album: non vi sarà difficile individuare comunque la sua intrinseca specificità. E magari apprezzarla. (Alberto Calorosi)

(Roadrunner Records - 1993)
Voto: 75

https://pestilenceofficial.bandcamp.com/album/spheres

venerdì 20 aprile 2018

Monads - IVIIV

#PER CHI AMA: Death/Doom, Mournful Congregation, primissimi Paradise Lost
Quattro pezzi per 50 minuti, ecco un'altra impegnativa sfida lanciata dalla label Aesthetic Death che ormai ci ha abituati, con le loro uscite discografiche, a delle durate mai troppo semplici da affrontare. E cosi dopo aver recensito l'asfissiante drone ambient degli Accurst, il funeral degli Esoteric, eccoci vagare in territori death doom, con il qui presente quintetto belga dei Monads, che propone sonorità molto meno dilatate rispetto ai ben più famosi colleghi d'oltremanica, seppur sempre orientate ai classici suoni dell'apocalisse. La compagine mittleeuropea, composta peraltro da membri di Cult of Erinyes, Omega Centauri e Hypothermia, esordisce con questo 'IVIIV' dopo un demo datato 2011, e ormai dimenticato nella notte dei tempi. In sei anni, l'ensemble fiammingo, per quanto preso da altri impegni artistici, ha comunque pensato e partorito queste quattro decadenti tracce, che partendo da una base tipicamente death doom, riesce a presentarsi almeno in apertura, con un approccio musicale più variegato, sfociando indistintamente nello sludge o nel post metal, ponendosi pertanto in modo meno radicale rispetto ad altri colleghi che suonano lo stesso genere. Se il primo pezzo, "Leviathan as my Lament", appare appunto quello più influenzato da sonorità post, il secondo "Your Wounds Were my Temple" sembra invece risuonare come il più malinconico e cadenzato, non fosse altro per un lungo break acustico centrale, che ne interrompe il lento avvilupparsi su se stesso, prima di esplodere in un efferato attacco death conclusivo, il tutto corroborato dai tipici vocalizzi cavernicoli, come previsto da copione. Il risultato si lascia piacevolmente ascoltare, seppur non si possa gridare al miracolo, in quanto release di questo tipo ne escono ormai a tonnellate ogni giorno, passando molto spesso del tutto inosservate ai media. La proposta dei cinque musicisti belgi alla fine non è malaccio, quello che manca è una dose di personalità che permetta loro di prendere le distanze da tutto ciò che satura oggigiorno il mercato. Non è sufficiente angosciare l'ascoltatore con un'estenuante suite di 13 minuti ("To a Bloodstained Shore") che potrebbe peraltro evocare un che dei Mournful Congregation, probabilmente la fonte primaria d'influenza per i Monads. Necessito francamente di altro per lasciarmi stupire da una release di questo tipo nel 2018, in quanto in maniera spesso prevedibile, ha modo di propinare tutto quello che il manuale del bravo doomster raccomanda: chitarrone a rallentatore, sontuose parti acustiche, buoni squarci melodici di chitarra, growling da orco e quell'immancabile dose di melodrammaticità che sentirete emergere soprattutto nella conclusiva e atmosferica "The Despair of an Aeon". Con un pizzico di creatività e follia in più, probabilmente starei scrivendo valanghe di complimenti ai Monads, per ora il compitino è stato fatto con diligenza e scarso impegno, per una band che potrebbe ambire a risultati decisamente più soddisfacenti. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 65

https://monads.bandcamp.com/album/iviiv

giovedì 19 aprile 2018

Esoteric - Esoteric Emotions - The Death of Ignorance

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Quando si parla di Esoteric bisogna essere pronti, pronti a sprofondare negli abissi e affrontare le tenebre, pronti a giungere al cospetto di Satana in persona, pronti a qualsiasi cosa, anche a scalare un'insormontabile montagna, come quella rappresentata dalla ristampa in cd del vecchio demotape della band di Birmingham, 'Esoteric Emotions - The Death of Ignorance'. 78 i minuti che ci raccontano da dove Greg Chandler e soci hanno iniziato nel lontano 1993. Per festeggiare i loro 25 anni, siamo infatti qui a parlare di una serie di brani che probabilmente hanno rappresentato l'origine del male, di un genere catacombale, fetido ed abissale, quello del più intransigente funeral doom. Non spenderò troppe parole per una ensemble che oserei dire leggendario, che attraverso i sei album partoriti, hanno scritto e riscritto il concetto del funeral (in compagnia aggiungerei, di un trittico d'assalto formato anche da Skepticism, Thergothon ed Evoken). In quest'atavico album, la band sembrerebbe ancora non del tutto matura, essendo cosi influenzata pesantemente da un vecchio retaggio punk death. Tuttavia quel che è certo è che i nostri sono in grado già di mettere in luce le peculiarità della propria musica: dal funeral psichedelico, sporcato da tossiche e feroci influenze death dell'opener "Esoteric" (che ritorneranno devastanti nel corso del disco), alla più oscura ed ipnotica "In Solitude", in cui non si può non apprezzare la performance vocale del bravo Greg dietro al microfono, quasi avesse una maschera anti-gas dal quale rilasciare il suo asfissiante cantato growl che raramente sconfina in uno screaming alieno, mentre i suoni marciano spaventosamente a rilento nel loro serpeggiante incedere. Sebbene il disco sia stato rimasterizzato, i suoni risultano ancora marcescenti, quasi si stesse ascoltando quella vecchia cassetta di primi anni '90. "Enslavers of the Insecure" è un bel pezzo che mette insieme death, doom e funeral, in un concentrato bastardo di sonorità che per certi versi mi ha ricordato un'altra band contemporanea ai nostri a quel tempo, gli allucinati australiani Disembowelment che in quello stesso anno, uscivano con un lavoro divenuto mitico, 'Transcendence into the Peripheral'. I martorianti vocalizzi di Greg tornano sovrani nella lunga ed ispirata "Scarred" che con la successiva (e più melodica) "Eyes of Darkness", coprono ben mezz'ora dell'album, attraverso tutto il repertorio scarnificatore, pachidermico ed ossessivo dei nostri, in due tra i brani meglio riusciti degli esordi della band inglese. Pesanti, magnetici, profondi, stralunati, seminali, visionari, gli Esoteric hanno iniziato da qui a tracciare il loro percorso musicale, con una serie di perle apocalittiche che trovano pochissimi rivali nel panorama musicale. Ascoltando la malata "Infanticidal Fantasies" o la spettacolare porzione solistica di "Expectations of Love", appare evidente la ragione per cui ancora oggi ci siano band che prendono i nostri come punto di riferimento nell'ambito funeral doom, considerando quanto 'Esoteric Emotions - The Death of Ignorance' risulti cosi attuale anche a distanza di 25 anni dalla sua nascita. Ottima pertanto la decisione da parte dell'etichetta inglese di ristampare, peraltro in un elegantissimo e curatissimo digipack, quest'opera ormai introvabile. Spaventosi. (Francesco Scarci)

Accurst - Messenger of Shadows

#PER CHI AMA: Ambient/Ritual/Drone
È la seconda volta che ci troviamo di fronte ad una band cipriota: la prima fu con i Soulsteal, ora conosciamo gli Accurst, con il loro 'Messenger of Shadows', album, il terzo, uscito originariamente nel 2016 e riproposto recentissimamente dalla label britannica Aesthetic Death. Le atmosfere spettrali dell'opener, non lasciano presagire nulla di buono, se non una buona dose di incubi ad affannare il nostro sonno. "Enveloped by Erebos", la seconda traccia, conferma il forte desiderio da parte della one-man-band capitana da Nicholas Triarchos, di trascinarci in un viaggio angosciante, fatto di glaciali sonorità ambient/drone che non lasciano grandi spazi alle emozioni. Silenzi rarefatti e atmosfere raggelanti sembrano sopraggiungere dallo spazio profondo. E ancora, rumorismi vari che potrebbero provenire da un qualsivoglia castello infestato, generano di certo una certa suspense, ma alla lunga non fanno altro che indurmi allo sbadiglio, proprio perchè mancano di uno spunto vincente. Affrontare gli oltre 13 minuti di "Gazing into the Abyss (The Depths of Tartaros)" poi credo sia di una fatica inaudita e sfido anche gli amanti di simili sonorità a mettersi alla prova con l'ascolto alquanto inutile di una simile proposta. Se sentiste i miei rantoli al telefono o i miei bisbigli, siete certi che vi emozionereste allo stesso modo? Non credo proprio, perchè non credo nella reale validità di un simile lavoro. Magari, il mio collega Bob Stoner con queste nefande sonorità ci andrebbe a nozze, chiuso nel buio delle sue stanze, io francamente necessito di qualcosa di più di un rituale esoterico ("Endorcism - Channeling Eurynomos"), di sordide sonorità noisy che dovrebbero avere il solo effetto di spaventarmi o di un banale tocco di pianoforte ("Obsequies for the Apocalypse"). Scusate, ma avrete intuito che 'Messenger of Shadows' non mi convince affatto. (Francesco Scarci)