#PER CHI AMA: Swedish Death, primi Entombed |
Solo, avvolto tra le spire della più fitta ed umida delle nebbie, lungo la più ripida e tortuosa delle mulattiere transilvaniche, avverto impotente quegli ultimi borbottii. Provengono dal cofano dell'auto su cui mi trovo. Decretano l'irreversibile quanto flebile ultimo respiro di questo diabolico congegno meccanico fatto di bielle, valvole e pistoni. Ci vedo una sorta di artificiale forma di vita nei motori e come tali, destinati, ahimè, prima o poi, in questo caso adesso, a spegnersi. Per sempre. E lì mi trovo. Solo. Come sempre. In mezzo al nulla. Incazzato nero, scendo. Mi consolo con l'unica compagna che non ti tradisce mai, ti dà tanto senza pretendere nulla, fatta di note, pause ed accenti, quell'orgasmica espressione del talento umano denominata musica. Con gli auricolari indosso, decido di spararmene un'overdose letale, di quella giusta, quella dei Mr. Death, pentacolare formazione svedese. M'incammino quindi, e sulle note di "To Armageddon" mi accorgo che la via più breve per il più vicino centro abitato consiste nell'attraversare un vecchio cimitero. Il cancello che ancora mi separa dal camposanto, da quella che sarà la mia final destination, è semiscardinato: quasi un invito ad entrare. Mi faccio quindi strada senza ben sapere a cosa vado incontro... non appena ne calpesto il suolo, percepisco fin da subito, aldilà di ogni ragionevole dubbio, la malvagità di cui è intriso. Dalla suola della mia scarpa sento risalire questa gelida sensazione che mi pervade, mi possiede, mi entra dentro, avvinghiandomi. E' un sound rugginoso, grattugiante. Ti si sferza pian piano nel costato e ci si fa strada, ti rigira le membra, è come se le corde di quelle chitarre fossero arpeggiate da uno dei corpi semidecomposti ivi sepolto, con un plettro ricavato da una scheggia del suo stesso cranio. Sfondato. Ebbene proseguo nel mio cammino, passo dopo passo, con circospezione, addentrandomi sempre più in questo territorio infestato, in questa dantesca selva oscura che ancora non ho del tutto ben identificato. Per condurre un'accurato esame autoptico di questa release, mi lancio nell'ascolto della successiva track "The Plague and the World It Made" concentrandomi stavolta sulla voce. Vediamo se riesco a farvela "sentire" anche se in questo momento non la state ascoltando. Proviamoci, via. Tanto non c'è per me cosa più divertente da farsi: ecco, vi trovate in un cimitero, ricordate? E state passeggiando, ve lo ricordate, vero? D'un tratto, si d'un tratto, notate un rivolo di condensa risalire dalla base di una sgangherata lapide 'si vecchia e logora che non se ne legge più nemmeno l'epitaffio. D'improvviso, un braccio, o meglio quel che ne rimane, si fa strada in quella terra dimenticata da Dio e ne emerge, seguito dall'intero cadavere mezzo decomposto. Intriso di larve. Voi restate lì. Impietriti da quella visione. Spaventati da quella mandibola, con il residuo di quei pochi denti rimasti e con l'orbita sfondata. Impalliditi, vi sentite raggelare il sangue nelle vene, ne sentite la densità aumentare, avvertite le vostre pulsazioni. Vorreste ahimè urlare ma è come se questo comando vi fosse d'improvviso vietato e non riuscisse a raggiungere la vostra mente: dalla bocca non vi esce un fiato. Ve ne restate lì, succubi, ad ascoltarla emettere quello screaming cupo, cavernoso, truce come l'aria asfittica insufflata da logori mantici nelle vetuste canne del più antico degli organi sacri. Una voce che perfettamente si sposa nel contesto di quelle melodie. Ci fa sesso. Un incastro perfetto, dal disegno Escheriano, ingannevole, che non è davvero come appare. Una voce che non ricorda certo l'Ave Maria di Schubert ma che trasuda nella mia mente una lisergica versione del Dies Irae. No, non quella famosa di Mozart. Quella intonata da Satana stesso ogni qual volta, nel suo piccolo, s'incazza. Ebbene, vi ho già raccontato parecchio ma aspettate un momento, concedetemi ancora un istante. Si perchè mica finisce qui. Ancora non vi ho condotti, mano nella mano, nella mia terra promessa. Si ormai la conoscete, l'abbiamo calcata altre volte assieme, è il mio personale Eden fatto di piatti e tamburi. Ve lo faccio ancora una volta, via, proviamoci, "sentire" anche se come prima non lo state ascoltando. Chiudete gli occhi ed immaginate il dio Vulcano, quello impresso sulle vecchie 50 lire, per intendersi, ve lo ricordate? Lo vedete il metallo ardente forgiato colpo su colpo dal suo martello? Osservatene le copiose scintille, percepite le vibrazioni del contraccolpo del martello trasferirsi e risalire lungo il vostro braccio. Ecco, è esattamente questo quello che io stesso provo nel momento in cui per primo, percuoto i miei di piatti ed è la stessa medesima sensazione, che vivo, in questo momento, ascoltando "Descending Through Ashes". Immaginate adesso da voi i tamburi: non posso mica dirvi sempre tutto io. Ancora una volta, adesso, tutti vi starete chiedendo: si ma sta cavolo di storia come andrà a finire? Ebbene, nella verità, la macchina non si era fermata. Si era invece fracassata contro quel cancello. E' il motore della vostra vita, ad essersi spento. E si è portato via la vostra anima, sempre che ne abbiate mai avuta una. Si, se l'è portata via, ma solo per 34 minuti e 14 secondi: l'esatta durata, per intero, di questi dieci comandamenti incisi su lapidi denominati "Descending Through Ashes". Alla fine dell'ascolto sarete ancora vivi e vegeti, non temete. O forse... (Rudi Remelli)
(Agonia Records)
Voto: 75
Voto: 75