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domenica 25 settembre 2016

Megascavenger - As Dystopia Beckons

#FOR FANS OF: Swedish Death Metal, Demiurg, Necrogod, Paganizer
Swedish death metal project Megascavenger are part of multi-instrumentalist extraordinaire Rogga Johansson’s never-ending series of bands dedicated to keeping the flame alive for the original wave of Swedish-flavored death metal. That is the main focus of the album, atmospheric Swedish death that whips the familiar churning buzzsaws through the blazing tremolo-accented riffing and plenty of flowing buzzsaw grooves that make for the ever-present Stockholm-style brand of Swedish death metal that is part of Rogga’s trademark style. The different vocalists present do give the songs a somewhat different vibe here with the different growling and shrieks generating a wholly varying atmosphere to go along with the album’s main drawback in the enhanced usage of industrial keyboards. This is so prominent in the second half of the album that it really derails the intensity and savageness of the first half and drags the album down considerably. Still, for the most part the songs are quite enjoyable. Opener ‘Rotting Domain’ gets this going nicely with stuttering start/stop riff-work and churning buzzsaw rhythms with that slowly form into a stylish gallop with crushing drumming and plodding rhythms that bring along plenty of full-throttle patterns in the final half for a strong opener. ‘The Machine That Turns Humans into Slop’ uses a blaring industrial intro before turning into a frantic mid-tempo groove with blistering drumming and hard-hitting rhythms that churns and burns throughout the final half for a fine and enjoyable enough offering. ‘Dead City’ features more melody-tinged riffing into a fine mid-tempo gallop with the rumbling rhythms and stylish patterns keeps the straightforward and plodding riff-work charging along with the melodic accents keeping the fiery melodies along throughout the final half for a decent enough effort. ‘As the Last Day Has Passed’ goes for the heavily industrial rhythms and pounding patterns that rumble along throughout the first half as the tradeoff with the blaring keyboards and the deep churning riff-work carries throughout the final half for a decent effort. ‘The Hell That Is in This World’ takes scattered riffing and straightforward rumbling drumming along through a stylish and simplistic series of riffing with the exposure of extreme industrial keyboards rattling along to more choatic patterns in the final half for a somewhat disjointed and jarring effort. ‘Dead Rotting and Exposed’ offers more industrial sampling that gives way to swirling tremolo-picked riffing with plenty of stylish howling riffing and plodding industrial tones that give way to the accented patterns throughout the final half that starts off great but really peters out in the finale. ‘Steel Through Flesh Extravaganza’ drops the churning riffing for a straight industrial charge with chugging riffing and simple drumming carrying the straightforward churning riff-work and pounding rhythms along through the final half for a decent offering. ‘The Harrowing of Hell’ goes for a complete industrial rock vibe with straightforward chugging riffing and an abundance of industrial keyboards without any churning riffing patterns and clean vocals that offers such a distracting, out-of-touch vibe that it really doesn’t fit on the album as a whole. Lastly, the instrumental title track outro goes for more industrial-flavored keyboard series of noises and blaring noises that fits with the eerie tone of the rest of the album but just seems like wasted time on the release overall which does end this on a somewhat bad note with the back-to-back weak tracks. Still, it gets enough right to work somewhat. (Don Anelli)

Mental Disaster - Raping the Symbol of Humanity

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Deicide, Cannibal Corpse
Il secondo full length dei norvegesi Mental Disaster è intitolato 'Raping the Symbol of Humanity' e si distingue per il suo legame di sangue con band di culto come Deicide, e in parte Cannibal Corpse. Stiamo parlando di metal estremo, super compresso, velocissimo e compatto, un death concepito in modo originale e fuso con elementi thrash, privi di attimi di tregua, con un drumming tritacarne e riff di chitarra spaccaossa. Il suono è tipico del genere e i quattro musicisti di Kristiansand, sfoderando una buona dose di conoscenza dello stile e delle regole di questa forma di metal, riescono a creare una collana di brani ottimi per raccontare musicalmente un album dal titolo così iconoclasta e radicale. Brani veloci e di breve durata media che si aggirano intorno ai tre minuti o poco più, un sentore di claustrofobia disseminato ovunque, growling e screaming a gogo, oltre ad un cinico e macabro sarcasmo che vigila su tutti i titoli e presumo anche nei testi di ogni loro composizione, una visione provocatoria e drastica che accompagna uniforme i circa trenta minuti di violenza sonica del presente cd. Il suono della band, come già detto, è molto compresso e la batteria risalta che è un piacere (ottima "Crush the Opposition"), ove il virtuosismo è tutto in funzione dell'impatto, potente, distorto e letale, ed una buona produzione che ricalca le tracce e i suoni di album come 'Insineratehymn' dei già citati Deicide, rivisto con tecniche di registrazione odierne. "Thoughts of Rot...Thoughts of Hell" mostra i muscoli e una vena più fantasiosa, portando dentro di sé una forma sperimentale di thrashm metal, con una chitarra dal riff graffiante, una potente voce e una batteria al limite dell'impresa umana! L'album è omogeneo e per essere autoprodotto è un ottimo lavoro; indubbia la maestria della band ed il suo gusto compositivo, a tal proposito segnalo l'ottimo giro di basso messo in evidenza dalla bella costruzione del brano "Post-Apocalyptic Bumfight". L'ensemble è lanciatissimo e merita una chance per entrare nell'Olimpo delle death metal band che contano, anche se una ricerca futura volta ad una maggior personalizzazione del suono potrebbe giovare nel definitivo salto in avanti, ed ottenere l'emancipazione sonora nei confronti dei propri idoli, portando cosi i Mental Disaster ad alzare l'asticella e mirare veramente al gradino più alto del podio. Le potenzialità del quartetto nordico sono veramente enormi e questo secondo, nuovo lavoro del 2016, ne è la conferma, quindi, non fermatevi di fronte all'evidenza, sparatevi a volume altissimo un brano come "Cannibal Skull Cult" e gustatevi la sua prelibatezza! Long live to death metal! (Bob Stoner)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Fuzz Orchestra - Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà i Suoi
At the Graves - Cold and True
Vow of Thorns - Farewell to the Sun

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Don Anelli

Demon Bitch - Hellfriends
Kinnefret - The Coming of Age
This Ending - Garden of Death

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Kent

Mélopée - Lyellle
Trampled By Turtles - Palomino
Last Minute To Jaffna - Volume III

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Matteo Baldi

Sunpocrisy - Eyegasm, Halleluja!
Messa - Belfry
Hate&Merda - La Capitale de
l Male 

giovedì 22 settembre 2016

Virgo - S/t

#PER CHI AMA: Desert Rock
Secondo full length per il quintetto veneto che, dopo l’esordio autoprodotto de 'L’Appuntamento', si sono aggiudicati il premio MEI in occasione della “Biennale Marte Live 2014”, con la possibilità di registrare un lavoro per l'Alka Record Label. 'Virgo' è un album intenso e molto interessante nel suo coniugare il desert rock d’oltreoceano con testi in italiano. Il suono si conferma potente, compatto e aggressivo, valorizzato da una produzione di alto livello, in grado di rimandare al meglio l’ottima coesione dei musicisti. Quello che appare evidente fin dal primo ascolto però, è la fortissima connotazione data al loro sound dal connubio tra la voce di Andea Perrino ed i testi delle canzoni. Sappiamo quanto la lingua italiana sia difficilmente domabile ed adattabile al rock duro, tanto da aver generato negli anni tanti approcci diversi, dal cut-up dei primi Afterhours, allo spoken-word dei Massimo Volume, passando per il quasi non-sense dei Verdena, più attenti al suono delle parole che al loro reale significato. I testi dei Virgo cercano un approccio più poetico ed ermetico, simile ai primi Marlene Kuntz, senza paura di utilizzare termini ricercati e accostamenti arditi. Questo, unito al timbro scuro, profondo e bluesy di Perrino (che mi ha ricordato alcune band anni '90 tipo Movida o Politburo) crea una combinazione estremamente personale, che può piacere o meno, ma infonde indubbiamente carattere alla band. Nel suo dipanarsi tra 12 episodi ugualmente convincenti, il disco raggiunge picchi in cui il mix tra testo e musica risulta particolarmente azzeccato ("Danza di Corteggiamento" o "Selene", giusto per citarne un paio), anche se, alla lunga, sembra pagare un’eccessiva uniformità di atmosfere che tendono a far sì che nella seconda parte i brani finiscano tutti per assomigliarsi un po’. Un lavoro assai interessante, soprattutto per l’esposizione di un linguaggio fortemente personale. Se riusciranno a variare un po’ il canovaccio (e ne saranno senz’altro capaci, basti ascoltare le ottime versioni unplugged di alcuni brani presenti sul loro sito) e a fare i conti con una voce che può risultare “ingombrante”, sono certo che i Virgo potranno regalarci in futuro cose eccellenti. (Mauro Catena)

(Alka Record Label - 2016)
Voto: 70

https://soundcloud.com/virgo-the-band

mercoledì 21 settembre 2016

Drachenblut - A Foretaste of Apocalypse

#PER CHI AMA: Symph Death, Graveworm
Sorprendente come i Drachenblut abbiano impiegato "solamente" cinque anni dalla loro fondazione, per partorire il loro demo cd, di cui posso vantarmi di essere uno dei pochi fortunati possessori. Ancor più sorprendente ascoltare suoni che pensavo un po' scomparsi dal panorama musicale da parecchi anni. Si perché i parmensi Drachenblut (che in tedesco vuol dire sangue di drago), propongono un death dalle forti tinte sinfoniche che si esplica attraverso i due brani contenuti in 'A Foretaste of Apocalypse'. Il primo, "Kingdom Apocalypse", è caratterizzato da un sound in cui potrete udire un ipotetico ibrido tra il symph death degli altoatesini Graveworm e le suggestioni gotiche dei Cradle of Filth, in una certa alternanza a livello ritmico, dove sottolineerei la bella prova alle tastiere di Daniele Corradi (anche se un po' troppo abusate in taluni frangenti) e la convincente performance dietro al microfono di Saylor, possente nelle sue growling vocals, più originale nella sua timbrica pulita. "Swancry" è la seconda lunga traccia del dischetto che si farà ricordare per il suo inizio fantasy, la sua bella cavalcata centrale, ma ancor di più per la sezione solistica che si (e ci) diletta in un avvincente finale, in cui il quintetto sfodera tutte le potenzialità a livello tecnico. Auspico che i nostri possano ottenere quanto prima quel minimo di visibilità per farsi notare ad un pubblico più vasto e farsi perché no, esponenti di una nuova ondata di death sinfonico che necessiterebbe di una bella ventata d'aria fresca. Per ora un piccolo assaggio, gradirei qualcosa di più sostanzioso per placare la mia fame. (Francesco Scarci)

martedì 20 settembre 2016

Fallen Eight - Rise & Grow

#PER CHI AMA: Metalcore/Nu metal/Alternative, Disturbed
I Fallen Eight vengono da Parigi e non propongono metal estremo. Questa è già una novità per chi come me, è abituato a frequentare band black o death d'oltralpe. Il quintetto, al debut con questo 'Rise & Grow', propone un heavy metal contaminato assai potente, in un 6-track ben confezionato e (self)prodotto. "Reborn", "Come From the Sky", "Final Shot", "Breath of the Ages", "Light" e l'ultima "Worst Nightmare", scorrono via veloci, miscelando un ruffiano metalcore con una forma più moderna di Nu metal, che assai spesso tende ad indurre un feroce headbanging, come se nel vostro stereo stesse ancora scorrendo un pezzo dei Pantera del 1992 o un qualcosa di più alternative in stile Disturbed. Ecco l'effetto Fallen Eight, proporre song dirette, vocals incazzate, ma quasi mai in versione growl e chorus catchy. Un plauso va poi alla sezione ritmica grazie ad un riffing metallico, ben calibrato che incorpora al suo interno sia la cattiveria del heavy metal più intransigente anni '80 che di sonorità decisamente più mainstream, stile Linkin Park o Avenged Sevenfold. Per quanto non sia un un fan del genere, un ascolto disinteressato a 'Rise & Grow', lo concederei anche. (Francesco Scarci)

Blobfish Killer - S/t

#PER CHI AMA: Hardcore, The Bronx
Picchiano, picchiano duro i marsigliesi Blobfish Killer, esponenti di un hardcore in acido davvero interessante. L'Ep omonimo (peccato averlo avuto in mano soltanto oggi) consta di tre pezzi, che partendo da "Erotic Palace", cattura per la linearità della sua proposta: un rifferama molto rock con voci invece assai caustiche, contaminato da schegge di musica elettronica, metalcore e sicuramente un pizzico di follia, il che non guasta mai. Ottime le linee di chitarra in "Party Hard", belle pestanti con sopra quella voce schizzata del frontman a gridare tutta la propria rabbia; spettacolare il break rock'n roll quasi ad inizio brano, che incendia l'aria che è un piacere. I nostri poi vanno via spediti verso la meta, ossia il terzo brano, "Never Again", che in poco meno di tre minuti, ha il compito di chiudere con ferocia un breve EP, che rappresenta un buon antipasto per questa dinamitarda band transalpina. Niente per cui gridare al miracolo, ma tanti suoni intimidatori adatti ai fan dei The Bronx. (Francesco Scarci)

Compass & Knife – The Setting of the Old Sun

#PER CHI AMA: Post Rock, Mogwai
Ok, mi arrendo. Alzo le braccia, abbasso la testa e confesso: non so davvero cosa scrivere di un disco di questo genere. Non che non sappia cosa scrivere in assoluto, ma non so bene che scrivere di nuovo e che non abbia già fatto molte altre volte. I Compass & Knife sono un trio di Tacoma, nello stato di Washington, e suonano rock strumentale. Non userei il termine post rock, che per me ha accezioni ben diverse, se non fosse che così facciamo prima e ci capiamo: i C&K sono un trio post rock che sul finire dello scorso anno ha pubblicato questo loro secondo lavoro che ha riscosso reazioni molto positive su diverse webzine oltreoceano. 'The Setting of the Old Sun' è un bel disco? Oggettivamente, si. È ben suonato, ben registrato, non dura un’eternità e anzi riesce a fare della sintesi uno dei suoi punti di forza. Mette in fila otto tracce piacevoli e accattivanti, che puntano tutto sulla melodia e un impatto piuttosto energico, con le consuete alternanze tra vuoti e pieni che non esagerano né in un senso né nell’altro. 'The Setting of the Old Sun' è un disco originale? Per quel che vale, no. E difficilmente potrebbe esserlo, tanto è ben ancorato a modelli di riferimento saldi e riconoscibili, dai Mogwai ai God is an Astronaut, anche se non li ricalca mai in modo pedissequo, cercando piuttosto di fondere gli stili in una proposta coerente. In questo senso, credo che l’esperimento tentato con due brani cantati – sorta di shoegaze sognante - "Transconsciousness" e "Our Home is Nothing but a Memory" - sia non solo perfettamente riuscito ma che possa rappresentare la direzione per il futuro. 'The Setting of the Old Sun' è un disco che ascolterò a lungo? Difficile dirlo adesso, ma credo abbia le carte in regola per resistere alla prova del tempo. E adesso abbasso le braccia, alzo la testa, e accetto la sentenza. (Mauro Catena)