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sabato 16 aprile 2016

Valgaldr – Østernfor Sol

#PER CHI AMA: Black Old School, Satyricon
La nota tela di Theodor Kittelsen è un piacevole primo impatto con il debut album dei norvegesi Valgaldr. E proprio come il dipinto è stato più volte ripreso da altri gruppi (Burzum in primis), il duo propone un black metal privo di qualsiasi originalità. Purtroppo, questa scelta di riprendere gli stilemi anni '90 si scontra con una mancanza di oltranzismo che non riesce a esaltare il prodotto finito. Il disco si apre con “Tusen Steiner”, traccia energica e dinamica la quale mi rimembra la tipica aggressività di un arcinoto gruppo elvetico, mentre la seconda “Et Slott I Skogen” si addentra con il suo riffing sgargiante su territori riconducibili alle melodie tipiche di gruppi come Satyricon, le quali ritroveremo pure in “Slagmark”, la traccia a mio parere più inconsistente dell'opera. “Taakenatt” è veloce, granitica, diretta e grazie alla sua monotonia rispetta tutti i canoni della genuinità tipica del metal oscuro scandinavo. Questa song, insieme alla traccia successiva rappresentano le prime composizioni dell'opera capaci di evocare un minimo di oscurità, soprattutto “Aske Til Aske” con il suo arpeggio semplice ma efficace.“Vargnatt” segna l'inizio della seconda parte del disco e saccheggia spudoratamente la musicalità di 'In the Nightside Eclipse'. Questa seconda metà, grazie a tracce come “Over Fjellheimen” e “Begravelsesferd”, placa la rabbiosità e la grinta thrash/black per affacciarsi verso parti più pacate ed evocative grazie anche a un approccio corale a livello vocale. A livello sonoro invece, le pecche principali del disco si potrebbero ricondurre a un songwriting matematico e ripetitivo, il quale nonostante i plagi non riesce ad amalgamare pienamente il tutto. Inoltre, troviamo una batteria debole e prevedibile che manca totalmente della furia tipica del genere; infine, un taglio delle frequenze alte che invece di enfatizzare una ricercata cupezza o suono wannabe “old school” non fa altro che togliere dinamica alle ritmiche. In conclusione, questa prima fatica non colpisce granchè nel segno e la sua piattezza è gravata ulteriormente dal potenziale derivante da tutte le idee riciclate. Perseguire uno stile sorpassato e esaurito nel suo ambito non è un male anche se è limitante, ma la mancanza di creatività non può essere giustificata. (Kent)

(Fallen Angels Productions - 2015)
Voto: 60

https://valgaldr.bandcamp.com/

A Time to Hope - Full of Doubts

#PER CHI AMA: Post Hardcore/Math
Gli A Time to Hope (ATTH) sono un quintetto di Montpellier (Francia) che debutta con questo interessante EP autoprodotto, ma promosso dalla Dooweet Agency. ll sound della band francese è un post-hardcore/rock potente ed evocativo, come se gli Architects si fossero fusi con i Mogwai e avessero tentato di intraprendere un nuovo percorso musicale. Il giovane quintetto ha le idee chiare ed una buona tecnica di base, lo si capisce subito da "RosaRosa", la opening track di questo EP. Una potente scarica ritmica di basso e batteria sostiene infatti i velocissimi riff di chitarra, mentre il vocalist si destreggia tra canto melodico e screaming, ad enfatizzare nella maniera corretta i vari passaggi della canzone. I suoni sono quelli giusti per il genere e la gli arrangiamenti sono ben fatti, dove la ritmica complessa si fonde a meraviglia con i diversi intrecci di chitarra, rendendo il brano ben fatto e piacevole. In alcuni frangenti si sembra di percepire una sorta di influenza math che non guasta, rendendo più personale il lavoro fatto dalla band. Il cantato in inglese aiuterà sicuramente la band ad internazionalizzarsi, anche perchè l'uso della lingua madre avrebbe comportato uno sforzo che difficilmente sarebbe stato ripagato. "VII" si sporca di elettronica con una drum machine ambient appena percettibile che lascia quasi subito spazio alla versione acustica della stessa, mentre le chitarre si destreggiano in un fraseggio post rock carico di riverbero a ricreare un'atmosfera evocativa ed onirica. Un brano breve ma sufficiente a dimostrare che gli ATTH sanno soffermarsi e divenire più introspettivi quando vogliono. Piccola dimostrazione di personalità e padronanza di stile. "Catfish" rimette le cose a posto riportandoci di punto in bianco a dove avevamo lasciato la band quanche minuto fa, cioè a un post hardcore sincopato. Ancora degno di nota è il cantato, con il vocalist che riesce a trasmettere una vena triste e riflessiva alle melodie grazie a una timbrica abbastanza originale. I riff di chitarra convincono sempre di più, con un innesto di arpeggio pulito e il ritorno della drum machine a completare il disegno. Molto bella la coda del brano che ci spinge verso l'alto e ci regala una pausa, perfetta per meditare ed assimilare questo 'Full of Doubts', il perfetto biglietto da visita di una band giovane, ma pronta a farsi valere. Ben fatto mes amis! (Michele Montanari)

Aidan Baker - At Komma

#PER CHI AMA: Post Rock
'At Komma' è uno dei tanti progetti di Aidan Baker (chitarrista) qui aiutato da Felipe Salazar (batterista dei Caudal, altro gruppo di Aidan Baker). Il Canadese Baker, in attività dal 2000, vanta numerosi album e collaborazioni tra Stati Uniti e Berlino. ed è proprio nel vecchio continente che nasce 'AT KOMMA'. cd registrato live nel febbraio del 2014 presso il centro culturale di Esslingen in Germania, e l'album e le tracce prendono il nome proprio dal locale, appunto Komma. dove spesso i suoi live sono improvvisati grazie al suo stile nel ricreare atmosfere dispersive tramite lenti e eterne sequenze di accordi e suoni che si mescolano tra loro e in loop ti portano altrove ("Komma 2" su tutte). La fragilità di un disco post rock, come quello prodotto da Aidan Baker, sta nel momento in cui lo ascolti. per cui non ne vieni immediatamente folgorato per la costruzione delle canzoni nemmeno dopo svariati ascolti. Devi essere particolarmente propenso a lasciarti trascinare e perderti, trasportato dalle onde sonore ("Komma 3") che Baker e Salazar sono riusciti a creare. Non trovo nulla di nuovo, ma è un buon sottofondo per certi momenti riflessivi che la vita ti richiede. "Komma 4" parte con un clima più festaiolo, 4/4 bello spedito, shaker in ottavi, che un po' ti rincoglionisce dopo 10 minuti di canzone, ma forse è proprio lo scopo prefissato dai due musicisti. Certo, da un album live non ci si può aspettare molto di più, quindi considerando l'attitudine ad improvvisare spesso, lo trovo anche ben strutturato. (Alessio Perro)

(Tokyo Jupiter Records - 2014)
Voto: 60

https://www.facebook.com/AidanBakerMusic/?fref=nf

venerdì 15 aprile 2016

Corinth - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Sludge
Lo sludge/stoner sembra andare parecchio di moda in UK. I Corinth sono infatti una band di Leeds formata da quattro simpatici burloni, come si evince dalla loro pagina facebook (andate a dare un'occhiata giusto per farvi due risate), che ha rilasciato a febbraio di quest'anno, un EP omonimo di tre pezzi che si aggiunge nella loro discografia, ad altri due EP usciti rispettivamente nel 2013 e 2014. Nonostante il loro buffo aspetto, l'ensemble di sua maestà la regina, offre un sound tipicamente melmoso che nelle sue corde, ha modo di inserire spruzzatine doom e heavy. Se l'attacco di "Solar Blaze" sembra abbastanza aggressivo e arrogante, nella sua evoluzione sonora, avrà modo di rendere la propria proposta musicale ben più tetra e pesante, definitivamente doom nel suo claustrofobico finale. Con "Those With No Eyes", il mood dei Corinth si fa ancor più cupo e ossessivo, con il cantato (nella sua duplice forma, sporca e pulita) del duo formato da Ben e Tom (rispettivamente anche chitarrista e bassista della band) ad emulare in una qualche maniera i Neurosis. Il riffing dei nostri è lento, quasi asfissiante ma trova comunque squarci di una certa eterealità nei momenti in cui il vocalist si cimenta con clean vocals evocative. Un approccio più stoner oriented invece si ritrova nella lunga e conclusiva "Ironclad", forse la migliore song del lotto, certamente la più completa. L'incipit stoner dicevamo, a cui seguono deliziosi e pulsanti momenti di psichedelico space rock, reso interessante da un cantato che si fa ancor più convincente lungo gli oltre nove minuti di una traccia ipnotica, lisergica e pachidermica, ma che sa anche divenire camaleontica, contorta e psicotica, e che in alcuni frangenti sembra persino rievocare lo spettro degli Isis. Insomma un disco quello dei Corinth che può essere un preludio a qualcosa di davvero buono. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 70

giovedì 14 aprile 2016

Ashen Horde - Nine Plagues

#PER CHI AMA: Death/Black, Akercocke, Mithras
La seconda fatica per gli Ashen Horde, one man band californiana del polistrumentista Trevor Portz, è un concept album horror incentrato su nove piaghe che affliggono gli abitanti di un piccolo villaggio isolato. L'opera, oscura ma di brioso ascolto, non è di facile descrizione a causa delle sue numerose sfumature che ricoprono le composizioni, ma sin dall'inizio chiara e forte è l'impronta progressive in gran parte dei suoni che richiamano nomi del calibro di Morbid Angel, Immortal, Behemoth e Strapping Young Lad. “Desecration Of The Sanctuary” introduce epicamente l'opera e, subito dopo terminato l'accomodamento con le sonorità create dal nostro musicante hollywoodiano, non lascia scampo complici le sfuriate death/black e le ritmiche sincopate che con l'avanzare della traccia diventano sempre più serrate, innalzando malvagi muri di blast-beats. L'opener, insieme all'ultima song, “A Reversal Of Misfortune”, sono le composizioni più prolisse del disco con l'evidente compito di accompagnare l'ascoltatore dentro e fuori da questo concept e a mio parere sono anche le tracce meglio riuscite del disco grazie a questa loro funzione pedagogica capace di coinvolgere ulteriormente l'ascoltatore. Le piaghe invece centrali viaggiano su distanze più brevi e colpiscono dirette e precise, alternandosi tra furiose accelerazioni e rallentamenti marziali, trovando nel binomio creato da “Feral” e “Famine's Feast”, un accostamento a dir poco letale. Altri brani, come “Atra Mors” e “Dissension”, trovano invece la loro forza nel riffing sinistro che rende l'atmosfera fredda, gelida, notturna e soprattutto angosciante. Nonostante tutta la malignità che trasuda, il disco abbonda di melodia la quale, seppur mascherata da toni cupi e macabre pennate, esce palesemente negli assoli e pare essere il marchio che contraddistingue complessivamente il sound degli Ashen Horde (mi sovviene un'analogia con l'ossessiva passione per la scala minore armonica nei Death). Alla fine 'Nine Plagues' è fonte di linfa fresca per il metal estremo figlio delle classiche band death e black, che a livello puramente sonoro rimane ancorato al passato senza cercare particolarità come fatto da altri act quali StarGazer, Mithocondrion o Portal. Questo non significa che il disco suoni banale o semplicemente già sentito, anzi sono certo che gli amanti del classicismo apprezzeranno particolarmente le scelte di Mr. Portz. A livello più personale, una pecca che trovo in quest'opera, seppur riconosca la preparazione tecnica e l'alchimia ricercata dal mastermind statunitense, è la mancanza di una certa espressività nelle composizioni, in quanto il disco si muove costantemente a livelli massimi di rabbia e potenza. Non c'è alcun riff particolare o qualche passaggio che mi coinvolga realmente o mi rimanga in mente, ma sono conscio che 'Nine Plagues' sia certamente un lavoro complesso, pieno di elementi, che necessiti di numerosi ascolti per essere assimilato a pieno. Sono sicuro che con pochi accorgimenti, gli Ashen Horde potrebbero sorprenderci ancor di più in un (speriamo breve) futuro. (Kent)

(Mandol Records - 2015)
Voto: 70

Absent/Minded - Alight

#PER CHI AMA: Death/Doom/Sludge, Neurosis
La Baviera non è solo crauti, birra e wurstel, oggi potrebbe essere equiparabile a un piccolo spicchio di Bay Area, dove lo sludge imperversa da quasi trent'anni grazie ai Neurosis. Ne avevamo già parlato in occasione del loro secondo album, 'Earthone', torniamo a recensire gli Absent/Minded in occasione del terzo lavoro, 'Alight', uscito lo scorso autunno. Differenze sostanziali rispetto al suo predecessore non se ne scorgono, i quattro di Bamberg continuano nel proporre un death doom sludge dall'incedere monolitico, circolare, che tuttavia mostra una certa freschezza nei suoi suoni. Questo per dire che se ascoltando "Light Remains", la sensazione è quella di schiantarsi con l'automobile contro un muro di cemento armato, data una certa durezza nel rifferama contorto e melmoso (tipicamente sludge), con la successiva e strumentale (fatto salvo per alcune voci campionate) "Stargazin'", la musica cambia e di parecchio, acquisendo una certa celestialità che la rendono decisamente abbordabile ai più. L'arpeggio iniziale di "Clouds", accompagnato dalle flebili vocals di Steve, non fanno altro che confermare quanto detto, anche se poi la ritmica assume certi connotati di pesantezza e profondità, con il growling cavernoso del vocalist quasi a spaventarci. Nessuna paura però, perché il fluido sound dei nostri troverà ancora modo di addolcirsi per scatenarsi successivamente nel roboante rifferama di questi artisti. I suoni fluttuano nell'aria rincorrendo gli insegnamenti dei già citati Neurosis, ma anche dei bostoniani di nascita e los angeliani di adozione, Isis. La proposta degli Absent/Minded è un crescendo di intensità, che in "Arrivers" ha da offrire una ritmica sincopata, quasi etnica, che entra dentro come un battito del cuore e si insinua nell'anima cosi come nella testa. Il ritmo è tutto in salita e contribuisce ad aumentare l'adrenalina in corpo, per un finale, in cui le vocals sembrano le urla del muezzin in preghiera nel minareto. C'è una minacciosa calma apparente nelle note iniziali di "Skies of no Return", segno che presto la tempesta si abbatterà sulle nostre teste e infatti non mi sbaglio: il tonante riffing dei quattro teutonici torna a pestare, mantenendo comunque sempre intatto il mid-tempo che guida l'intera release. Splendido l'acustico break centrale che interrompe il pachidermico avanzare dei nostri anche se la sua oniricità sarà da li a poco frantumata dal più violento intervento ritmico, quasi al limite del post black. Con ‘So Dark, the Con of Man’ arriviamo all'epica conclusione di 'Alight': ancora un lungo e semplice incipit acustico accompagnato da voci campionate, e poi la rabbia degli Absent/Minded esplode sotto forma di riff incandescenti ultra distorti, volti a prenderci a pedate nel culo. 'Alight' conferma le ottime doti dell'ensemble bavarese, abile nel muoversi nei territori ostili dello sludge e mostra anche come, pur non avendo stravolto il mondo musicale con chissà quali trovate artistiche, sia ancora possibile offrire musica di qualità e di sostanza. Ben fatto ragazzi! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 80 

Fallen - S/t

#PER CHI AMA: Funeral Doom
I Fallen sono norvegesi e suonano funeral doom fin dal lontano 1996; hanno prodotto un demo e un album nel 2004 dal titolo 'A Tragedy's Better End'. Nel 2015 hanno pubblicato una raccolta per la Solitude Productions, riproponendo il vecchio lavoro arricchito da una splendida cover di "Persephone - A Gathering of Flowers" dei Dead Can Dance e di un altro brano fantastico dal titolo "Drink Deep My Wounds". In assoluto questa compilation è un lavoro stupendo, ricercato, che colpisce profondamente, un geniale colosso sonoro, romantico, malinconico ed ipnotico, un album che nessun appassionato del genere deve farsi mancare, un lavoro da rispolverare in pompa magna. Niente di nuovo sia ben chiaro ma semplicemente un mastodontico capolavoro di ottanta minuti dove il trio scandinavo non lascia superstiti, tra folate di vento gelido, ritmi al rallentatore, riff strazianti, morenti, decadenti, una qualità sonora egregia ed aperture pianistiche in pieno spirito classico ("The Funeral" è a dir poco fantastica e magnificamente inserita nell'album), puntuali come non mai nell'infliggere il colpo di grazia allo stato d'animo di chi ascolta. L'evocativa voce baritonale di Kjetil Ottersen è il perfetto Caronte della situazione, a traghettarci nell'Ade cavalcando le lente e drammatiche litanie della band, in un infinito inferno della psiche, spingendo al massimo la crescita artistica del gruppo e in generale di un genere tanto affascinante quanto di nicchia. Tornando a "Drink Deep My Wounds" la eleggo a mia song preferita, un capolavoro gotico, di tristezza profonda e imperiale che supera il confine del mondo metal accostandosi più all'opera teatrale, alle colonne sonore, alle opere maestose ed epiche di certa imponente musica classica e lirica. I quindici minuti circa di questa canzone sono il condensato della musica dei Fallen, una band che punta all'oscurità e che vuol lasciare parlare solo la propria musica, piena di risvolti sonori inaspettati ma sempre coerenti al genere ma al tempo stesso rivitalizzanti e suonati in modo inusuale. Con un artwork lodevole, 'A Tragedy's Better End' si conferma uno tra gli album più apocalittici ed interessanti degli ultimi anni, in cui i Fallen sono riusciti a valorizzare il modo di intendere il rock, emulando in modo egregio i grandi miti del genere, trovando però una propria inconfondibile, potente e distinta personalità. La mia massima ammirazione per la band che è riuscita a comporre un'opera simile, immortale, infinita e a oggi ancora stupenda nonostante il tempo passato. (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90

mercoledì 13 aprile 2016

Demons of Old Metal - Dominion

#PER CHI AMA: Thrash/Heavy/Nu, Pantera, Slipknot, GWAR
Una macabra intro in stile King Diamond, apre il nuovo album dei britannici Demons of Old Metal, band grottesca nel look (in stile GWAR, tanto per intenderci) ormai in giro dal 2010, che con 'Dominion' giunge al traguardo della quarta uscita discografica. 'Dominion' è un disco di heavy metal corrotto, che nei suoi 11 pezzi vanta richiami a varie band del più recente passato. Le danze si aprono con il martellare grooveggiante di "Fakesin", una song che sembra miscelare il mosh di Exodus e Pantera con il Numetal degli Slipknot e sonorità un po' più classiche a la Megadeth e Anthrax. La ritmica arrembante non lascia scampo e l'assolo conclusivo rende più appetibile un brano che vivacchia nel limbo del "già sentito". Un bel riffone contaminato (una costante per il disco), accompagnato dalle vocals altrettanto sporche di Tombstone Cowboy, ci guida in "You Version 2.0", altra song che preferisco ricordare più per l'aspetto solistico che per quello ritmico, troppo tributante a Slipknot e a tutti coloro che cercano di donare un aspetto tribale al proprio sound. "Dance of the Damned", 'la Danza dei Dannati", probabilmente si addice con la filosofia del nostro sito, tuttavia un riffing troppo sincopato con flares elettro-industriali, lo rendono poco affine ai miei gusti. Chi invece ama sonorità rabbiose e al tempo stesso ruffiane, avrà di che divertirsi con questo pezzo. Si rimane nei meandri della contaminazione pesante con "Open Wide and Scream", un brano che sebbene un cantato "alternative", mi piace per quel suo intrigante e malsano feeling di fondo. Con "The Quiet Ones" solchiamo i territori di un rock oscuro e malmostoso, che se non fosse per quel vocalist che fatico a digerire, risulterebbe come mia song preferita, soprattutto per la thrashettona ritmica infernale che si scatena nella sua seconda parte. Non male, ma questo cd poteva essere affine ai miei gusti 20 anni fa, per questo genere non c'è più spazio nella mia collezione. Qualche altro brano interessante in 'Dominion' c'è ancora: la "panterosa" "Behind the Mask" ad esempio, però a non convincermi è la solita timbrica del vocalist. "The Star of Your Nightmare" è una traccia dove mal si adatta l'utilizzo delle tastiere in background e dove le chitarre sono forse un po' troppo leggerine e si riprendono solo nella fase solistica. Il disco volge al termine con "See How They Die" e "Get Outa Dodge", in cui  il quintetto britannico continua con un sound carico di groove, scomodando i System of a Down nella prima traccia e offrendo un'inutile forma di heavy southern rock'n'roll nella seconda. 'Dominion' alla fine è un lavoro che vive tra le ombre di un passato che fu e di un presente a cui nessuno sembra più essere interessato. Rinnovarsi please. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 60