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martedì 14 marzo 2023

Necroart - Dead Roses Parade

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Secondo demo, stavolta su cd, per questa band che già agli esordi mostrava buone potenzialità. A differenza del primo demo che risentiva di troppe parti di death/thrash vecchio stile, qui il loro sound si presenta più competitivo e convincente. L’aggiunta delle tastiere ha giocato a loro favore, non essendo, tra l’altro, invadente, donando più armonia e varietà nel suono. Ritagliandosi anch’essa un proprio spazio. Devo dire, che la registrazione è curata e gli strumenti sono ben distinguibili. Buona la prova del cantante che interpreta con enfasi i brani modulando la voce con parti grintose a metà tra il black e il death e alcuni sprazi melodici con la voce pulita. Le chitarre svolgono un ottimo lavoro. Direi che i riff si possono inquadrare come death metal svedese, di quello melodico, non dimenticando anche qualche parte più gothic oriented, vedi la bella “One Night Till the End”. Cinque i brani che compongono questo lavoro, con una strumentale eseguita da chitarra e tastiera, dal tono sconsolato, disegnando a tratti paesaggi onirici. Ho apprezzato anche la veste grafica, che si presenta professionale e infine segnalerei un altro brano che mi ha piacevolmente colpito che è il primo dell’album, “Suicidal Karma”.

mercoledì 25 agosto 2021

Necroart - Let the Carnage Begin

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Storico demo (2000) di quattro pezzi più intro e outro per i Necroart, formazione attiva dal 1999 ma che solo un anno dopo sembra aver trovato una formazione stabile. Il nastro sembra risentire della storia travagliata del gruppo poiché è assai eterogeneo: le canzoni presenti sul lato A hanno lo sguardo rivolto verso gli anni ‘80 e alla scuola thrash europea; il lato B contiene pezzi più “freschi”, il cui riferimento principale è un death metal di impronta svedese più o meno melodico. Il tutto è comunque di buona fattura, a tratti personale e ben prodotto, che lascia già intravedere gli interessanti spunti che i nostri mostreranno in futuro.

sabato 18 ottobre 2014

Necroart - Lamma Sabactani

#PER CHI AMA: Black/Dark/Doom, Rotting Christ, Sadness, primi Anathema
A cadenza quasi di un lustro da ogni uscita (2005, 2010 e ora 2014), tornano i Necroart, che ben avevano figurato sulle pagine del Pozzo dei Dannati all'epoca della precedente release, 'The Sucidal Elite'. Quattro anni se ne sono andati: mentre io ho perso qualche capello in più e ho messo su un po' di pancetta, il sestetto pavese sembra essere in ottima forma e non risentire dei segni del tempo. 'Lamma Sabactani' è un altro album all'insegna dell'oscurità più profonda che ancora una volta miscela black, death e doom, non dimenticandosi anche di piazzare qualche sonorità etnica. Già infatti nella title track, posta stranamente in apertura, si sentono arabeschi richiami di atavica memoria "moonspelliana". I nostri avviano poi i motori e si lanciano nella loro personale descrizione dei demoni che albergano la loro anima intrisa di morte. Il sound delle chitarre è sporco cosi come l'intera produzione di questo nuovo lavoro, le cui ritmiche potrebbero essere tranquillamente definibili rock dalle tinte progressive. Se non fosse inftti per alcune sfuriate estreme e per l'utilizzo rutilante del drumming, o le vocals che si dimenano tra lo scream, il growl e il narrato, questo disco potrebbe essere etichettato in altro modo. L'atmosfera caliginosa è comunque l'elemento portante di questa release e si conferma in tutte le tracce assai decadente, non nel senso più ruffiano che talune volte acquisisce questo termine, ma le song sono tutte assai tetre e asfissianti nella loro vestigia e i richiami musicali col passato si spingono ai primi Rotting Christ, ai Sadness di 'Ames de Marbre', agli Anathema di 'Pentecost III' (ascoltate "The Demiurge" per capire anche l'utilizzo delle vocals, cosi come fatto da Darren White all'epoca), ma anche addirittura a King Diamond, almeno a livello di ambientazioni (penso ad "Agnus Dei", traccia da cui è stato estratto anche un videoclip). In qualche traccia (la già citata "The Demiurge" e "Redemption", una specie di ballad dai toni foschi e pacati) fa anche la comparsa una eterea voce femminile, che appartiene a Gaia Fior del Coro dell'Arena della mia Verona, che già aveva collaborato in passato con i nostri. La seconda parte del disco, già a partire da "Redemption", sembra muoversi su sonorità più rilassate: "Stabat Mater" sembra suonata all'interno di una chiesa per l'effetto magniloquente dato dalle sue tastiere, dall'impronta liturgica data al suo incedere e dalla performance in stile preghiera dei due vocalist. Le conferme di un approccio più blando, arrivano anche dalla spettrale "Of Ghouls Maggots and Werewolves" e dalla conclusiva malata "Cyanide and Mephisto", un sensuale e sessuale outro che chiude brillantemente 'Lamma Sabactani'. Speriamo ora di non dover attendere un altro quinquiennio prima di avere buone nuove dai Necroart, non vorrei immaginarmi con un neonato in braccio a recensire il prossimo album. (Francesco Scarci)

(Beyond Production - 2014)
Voto: 75

http://www.necroart.net/

martedì 7 dicembre 2010

Necroart - The Suicidal Elite


A distanza di cinque anni dal precedente “The Opium Visions”, tornano sulle scene gli italiani Necroart, che io seguo fin dal loro acerbo e furente esordio in cassetta intitolato “Let the Carnage Begin”. Era il 2000 e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e il sound dei nostri ha subito evoluzioni mai pensate prima di inserire il presente cd nel mio lettore e mettermi all’ascolto di questo piccolo gioiellino. “The Suicidal Elite” apre con una song strumentale che ci fa capire già da subito la vena avantgarde/progressive che permea il sound dei nostri. È tempo della seconda traccia, “…And to Remember Forever” e posso farmi una vaga idea di quello che il combo pavese ha da dire: si tratta di una song lunga, articolata che si snoda attraverso emozioni più o meno forti calpestando territori impervi come quello del doom gotico (stile My Dying Bride), passando attraverso sfuriate death black (un mix tra Rotting Christ e primi Opera IX). Sono ancora disorientato che un arpeggio apre la malinconica “The River”, capace di palesare tutte le buone qualità della band di casa nostra: una bella epica cavalcata accompagnata dalle stralunate keys di Davide Quaroni e dalla voce corrosiva di Massimo Finotello che, non so per quale arcano motivo, ha uno stile che mi ricorda vagamente quello di Darren J. White, primo storico vocals degli Anathema (periodo “Pentecost III” – The Blood Divine), anche se qui siamo ancora in presenza di vetrioliche timbriche che talvolta si fanno pulite e suadenti o addirittura vengono affiancate da eteree vocals femminili. Il cd prosegue con questo stile, con brani lunghi e complessi, ma che rimangono senza ombra di dubbio stampati immediatamente nella mia testa. “The Suicidal Elite” mi prende, mi prende sempre di più, pur non essendo un lavoro cosi facile da digerire, ma la band ha classe e si sente e lo dimostra anche la title track che, nel suo inquietante alternarsi di emozioni, ci regala parti di black death contrapposte ad una bellissima parte di musica classica nella sua parte centrale (con tanto di violini e pianoforte), da brividi;bellissima e darkeggiante la parte finale con il vocalist che si esibisce cantando in italiano. Messo al muro da cotanta intelligenza musicale e fiero che finalmente anche band di casa nostra possano esprimersi su questi elevati livelli, mi appresto nell’ascolto curioso della seconda parte del cd, dove i pezzi migliori si rivelano “The Funeral Within” per quel suo incedere tetro e angosciante che sfocia in una dirompente parte finale, lascia passare per la veloce e furente “Demonwitch”. Forti di una eccellente produzione ai Bunkker Studios, nel sound dell’act lombardo convergono tutta una serie di influenze che hanno contaminato non poco i miei ascolti in ambito estremo: partendo dal black death ellenico/scandinavo al progressive degli Opeth, passando attraverso il death doom dei primi anni ‘90 dei mostri sacri inglesi Anathema, Paradise Lost e My Dying Bride (ascoltare “Love’s Deadly Weapons” per capire). Graditissimo ritorno per una band che può ambire a ottenere una consacrazione a livello europeo se sarà ben supportata dalla propria sconosciuta etichetta discografica. Io vi invito intanto a visitare il sito myspace della band e a richiedere il cd in questione che saprà catturarvi dopo diversi ascolti e non vi mollerà più. Eleganti e raffinati, complimenti! (Francesco Scarci)

(Orquestra de Muerte)
Voto: 80