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giovedì 11 febbraio 2016

Malke - Days After Tomorrow

#PER CHI AMA: Post Rock/Post Metal, Russian Circles
Regnano sovrane la decadenza e l’introspezione nel mondo dei Malke, act proveniente da Barcellona. Il trio post rock strumentale è formato da David (chitarra), Mario (basso), Albert (batteria). Nel 2014 i catalani escono per la prima volta allo scoperto con "Santos", un singolo allucinato e surreale, in free download su Bandcamp. Il disco d’esordio 'Days After Tomorrow' viene invece pubblicato nel Novembre del 2015: qui il suono è oscuro e spettrale, a tratti maestoso, a tratti impalpabile. Tuttavia non mancano estatici spiragli di luce che conferiscono all’opera un respiro spirituale e profetico. La fantasia inizia a correre già guardando la copertina, una scelta a dir poco azzeccata! Una luna nuova ed un freddo cielo notturno fanno da sfondo ad un magnifico falco che plana ad ali spiegate tra i grattacieli di un’oscura città, probabilmente disabitata da centinaia di anni. In questo paesaggio post apocalittico un’umanità decimata dalle forze della natura si rifugia nel sottosuolo, sopravvivendo tra stenti e sofferenze e combattendo per ricostruire la civiltà. Aprendo il digipack in cartoncino, scopro stampato sul disco il muso del falco che mi fissa con i suoni tre occhi. Come il rapace vola muto sulle rovine della civiltà anche 'Days After Tomorrow' fa volare l’ascoltatore tra paesaggi surreali e sentieri inesplorati, il tutto senza proferire una parola. I dischi strumentali a volte riescono ad essere più suggestivi proprio perché esulano dal significato delle parole e permettono di immergersi completamente nelle sensazioni che la musica trasmette; i Malke di sicuro hanno fatto proprio e messo in pratica egregiamente questo concetto. I nomi dei brani contribuiscono a rendere più credibile lo scenario di desolazione e tenebre, uno su tutti "Reise Nach Dachau" (Recarsi a Dachau), probabilmente un invito a visitare il campo di concentramento nazista e magari riflettere su come l’uomo sia in grado di infliggere dolore e morte a se stesso. Quasi un avvertimento profetico quello dei Malke, ci esortano ad evolverci e a guardare dentro noi stessi, forse l’unico modo per evitare di dover vivere sul serio nel mondo descritto da 'Days After Tomorrow'. Parlando strettamente di suono è sicuramente da notare il metodo di registrazione, cioè quello della presa diretta live. Sicuramente questa scelta è a favore dello spirito dell’opera che risulta molto diretta e senza fronzoli. L’esecuzione a volte non è perfetta ma è questo il fascino esercitato dalla registrazione live, si sente chiaramente la componente umana, con il disco che sembra suonato davanti all’ascoltatore. La scelta dei suoni di chitarra non eccessivamente saturi, permette alla melodia di prevalere rispetto alla ritmica seppure il disco presenti interessanti cambi di metrica che rendono le canzoni movimentate e dinamiche. Si percepisce chiaramente l’attenzione posta nella composizione della musica più che alla sua “estetica”, in questo primo disco dei Malke prevale la ricerca del significato e dell’espressione ma anche dell’equilibrio spirituale. Il disco inizia con "1402 – 1923", song il cui nome sembra evocare una data, confesso di aver provato a cercare il significato ma il mistero si è rivelato più fitto del previsto. Comunque il pezzo offre un ambiente psichedelico ed etereo, rotto a metà del suo sentiero da un guizzo di pazzia distorta. Poi modula ritmica e intensità fino al termine creando un senso di insicurezza ed instabilità ma anche infondendo un certo grado di coraggio e determinazione, quella che serve per esplorare un posto sconosciuto in una notte d’inverno. La seconda traccia, "Alfas", richiama lo stile dei Russian Circles, ma con suoni più diretti, taglienti e senza fronzoli. Gli strazianti arpeggi distorti della chitarra di David coronano il brano dipingendo scenari di desolazione ed inquietudine. Il corposo basso di Mario crea degli ambienti mistici e spaziali, che ricordano band come i My Sleeping Karma o i Monkey3. Il brano presenta un buon equilibrio tra l’oscurità delle parti distorte e quelle più eteree e risulta in generale godibile e ben costruito. Segue la crudezza di "Maskirowka" che ci riporta a volare un po’ più in basso verso il tartassato suolo terrestre, dove la chitarra e il basso tracciano dei profondi solchi nell’asfalto dissestato mentre l’ipnotica batteria di Albert mantiene l’incantesimo. Arriviamo quindi a "Nebula" che inizia con note sognanti incalzate da una leggera ritmica, come fosse il falco che si posa sulla guglia di un palazzo in rovina che guarda la desolazione sottostante e d’un tratto, decida di spiccare il volo. Dall’alto guarda le strade e osserva la desolazione in cerca di qualche piccolo animale sopravvissuto che serva da sollievo alla troppa e intensa fame. Dopo un intenso intenso viaggio tra le anime delle vittime dei campi di concentramento di "Reise Nach Dachau" possiamo lasciarci cullare dalla coda "Tro", uno splendido regalo d’addio che i Malke ci regalano. Il falco oramai stanco per l’estenuante ricerca della preda si concede qualche ora di riposo al sicuro nel suo nido, sotto una grondaia di un edificio in frantumi, per cercare di raccogliere le energie prima che i morsi della fame tornino a farsi sentire. (Matteo Baldi)

(Consouling Sounds - 2015)
Voto: 75

mercoledì 29 maggio 2013

Viscera/// - 2: As Zeitgeist Becomes Profusion of the I

#PER CHI AMA: Post-Hardcore, Sludge, Space Rock e Psichedelia
Mi dovrei vergognare, non c’è dubbio. Come si può perdersi per strada un album come quello degli italianissimi Viscera///, tra l’altro anche più volte indicati dal buon Kent nei suoi ascolti e riscoprirli solamente ora, solo perché la loro etichetta mi ha inviato magnanimamente il loro cd? Mea culpa mea culpa, mea grandissima culpa. E allora analizziamolo il contenuto di questa release: se i nostri si erano resi artefici nel 2007, di un album, “Cyclops”, che offriva il fianco ad una certa brutalità di fondo che mischiava schegge grind a sonorità post hardcore e industrial, tanto da guadagnarsi l’appellativo di brutalcore, con questa release, i nostri percorrono una strada molto più avventurosa, irta di pericoli e quindi più sfidante, anche per colui che li deve ascoltare e recensire. Già dall’iniziale “Ballad of Larry L.” capto la voglia di sperimentazione dei nostri, con una lunghissima song che per 2/3 si mantiene strumentale, barcamenandosi tra ammalianti sonorità post e ambient, in cui solo alla fine trova posto una bellissima e suadente voce. Quella stessa voce appare in “Hands in Gold”, traccia che per i primi quattro minuti ci regala ancora soffuse atmosfere, melodiche linee di chitarra e ambientazioni post rock, prima che nel bel mezzo del brano i nostri si lascino andare a schegge di grind impazzito. Si tratta solo di una manciata di secondi, perché poi l’ensemble italico torna ad abbandonarsi in deliziose fughe space rock, delineate da velate influenze blues che si miscelano perfettamente con una “psichedelia settantiana”. “Um ad-Dunia” sembra aprire la seconda parte del disco, ben più violenta della prima metà: il brano ha solo l’intro permeato delle intimistiche melodie ascoltate fino ad ora, perché il resto evidenzia un po’ del retaggio proveniente dalla precedente release, con ritmiche assai tirate e vocals al vetriolo. Tuttavia la nuova direzione musicale intrapresa dai Viscera/// rimane sempre udibile nella matrice di fondo dei nostri. Essendo un fan dell’ultimissima ora, ammetto però di preferirli in versione più riflessiva, piuttosto di band in grado di mostrare i muscoli con chitarre al fulmicotone, ritmiche serrate e vocals belluine, direi che di questa tipologia ce ne sono fin troppe. Quando però l’ensemble dipinge splendidi scenari desolati, ammetto di amarli e non poco. A chiudere il cd ci pensano i 14 minuti e passa di “They Feel Like CO2”, delizioso pezzo che torna a riproporre, solo nei primi minuti, i Viscera/// in veste più meditativa a livello musicale, offrendo un cantato all’insegna dello screaming corrosivo tipico dell’hardcore. Le linee di chitarra sono lineari, un po’ di quella sperimentazione evidenziata a inizio disco si è un po’ persa per strada, non fosse altro per un bel bridge centrale, qualche cambio di tempo e un riffing che da li a poco diventa nevrotico, dirompente ed inacidito, una tempesta elettrizzante che preannuncia la quiete finale che chiude questo secondo lavoro degli enigmatici ed eclettici Viscera///. Se anche voi vi siete persi “2: As Zeitgeist Becomes Profusion of the I”, avete tutto il tempo per rimediare, soprattutto perché ora potrete godere anche della versione in vinile. Ottima scoperta. Mea culpa! (Francesco Scarci)

(Consouling Sounds)
Voto: 80

http://viscera3stripes.bandcamp.com/

giovedì 25 aprile 2013

Royal Talons - Royal Talons

#PER CHI AMA: Heavy psichedelia, Sludge metal, Stoner
A volte ci si chiede come certe band non si pongano il punto della questione e alla fine il risultato delle loro azioni sia raccogliere semplicemente frutti acerbi e indesiderati. Spieghiamoci, i Royal Talons arrivano da Denver, sono bravi, pubblicano questo album per la Consouling Sounds e si fregiano del genere sludge metal, termine che tutto e nulla indica... L'album è ben prodotto, suonato a modo, i suoni sono buoni, le composizioni lunghe e psichedeliche, a loro modo variegate, mostrando una grande conoscenza delle band che gravitano attorno all'heavy psichedelia, ma quello che sconcerta è che in ben quarantasei minuti nulla è originale! Tutto suona di già sentito, un copia e incolla compositivo di tutte quelle band che hanno fatto grande il genere in questione tra cui gli OM fotocopiati drammaticamente sul brano “Robot Cities” e via via Acrimony, Core, Shrinebuilder, Nightstick, Sleep senza un briciolo di cuore o anima propria e non basta intromettere un cantato alla Neurosis nelle litanie psycho religiose di Al Cisneros, per essere monolitici ed heavy psichedelici, ci vuole di più molto di più, bisogna scavare nelle viscere del proprio universo cerebrale, smembrarsi e dilatare l'anima per suonare questa musica. Manca la cultura sciamanica di fondo, la dedizione alla scoperta di nuovi viaggi sonori e la fantasia ipnotica e profonda cultura del trip. Nonostante questo, l'intero lavoro suona a meraviglia tutto intento all'aspetto, alla perfezione ma non al contenuto che di questo genere un tempo era la forza e il suo nesso logico/illogico, la visione magica del terzo occhio... Un album perfetto per chi si affaccia per la prima volta allo stoner/doom/ heavy psichedelia; da evitare per i veterani e conoscitori di questa scena. (Bob Stoner)

sabato 23 febbraio 2013

Exxasens - Polaris

#PER CHI AMA: Post Rock/Space Rock strumentale
Ritornano gli spagnoli Exxasens e se il precedente album non mi aveva particolarmente colpito, noto subito con piacere che qualcosa è cambiato. I tempi sono maturi e "Polaris" sembra quasi essere l'album dell'età adulta (anche se uscito prima di “Eleven Miles”) con un ottimo lavoro di registrazione e post produzione, accompagnato dal mastodontico impegno per la parte musicale (arrangiamenti e suoni). Nessun cambio di genere, il post rock rimane il pilastro su cui gli Exxasens poggiano il loro credo musicale con degli ottimi excursus elettronici/prog e campionamenti che riempiono il vuoto del cantato totalmente assente. Quello che si nota subito è la totale assenza di arrangiamenti malinconici a favore di molta grinta e slancio verso l'alto, in particolare verso lo spazio. Questo è confermato non solo dalla quarta di copertina (uno shuttle che lascia l'atmosfera terrestre), ma dai vari titoli delle tracce e dai numerosi campionamenti che riprendono comunicazioni radio riferiti alle missioni spaziali. "Blue Space" è il sunto di tutto questo, intro con synt ritmico e countdown dell'accensione motori di un non definito veicolo spaziale. Poi le chitarre (tre nel gruppo) creano una struttura che gioca molto bene con gli altri strumenti, utilizzando le solite sonorità nutrite di riverbero e delay, ma graffianti con l'inserimento di stacchi prog che esplodono e trasportano la mente verso l'infinito. Anche l'utilizzo della chitarra acustica in "Milk Stars" da eterogeneità e spessore alla composizione degli Exxasens che come tutti, arrivando dopo dei pionieri del genere, non possono che sentire il peso del confronto. Ma i nostri catalani possono esibirsi a testa alta, come hanno fatto nel loro ultimo tour in Russia, consapevoli del fatto che stanno lavorando duro per confermare il rispetto dei loro fan e guadagnarne di nuovi in giro per il mondo. Una traccia che continuo ad ascoltare è "Gamma Channel", l'atmosfera in generale e ogni singola nota creano uno stato mentale a cui è difficile sottrarsi. Se un viaggio nello spazio avesse bisogno di una colonna sonora (ovvero una bella stazione radio su cui sintonizzare lo stereo dello Shuttle), questo pezzo sarebbe l'ideale. Ogni fase del viaggio è intuibile, dall'ansia del decollo alla stasi del viaggio nel vuoto fino all'esplosione di emozioni quando si entra in contatto con un nuovo mondo. Pezzo di pregiata fattura, veramente. Il viaggio di "Polaris" si chiude con la decima traccia "Exxasens", breve ma intensa che racchiude tutto il verbo dei nostri spagnoli. Suoni delicati e spaziali corteggiano il riff potente che domina incontrastato e piega tutte le teste a ritmo forsennato, per poi tornare alla calma in assenza di gravità. Quello che si apprezza degli Exxasens è la durate delle tracce che non diviene mai troppo esasperata come per i soliti gruppi post rock, si resta tranquillamente sui quattro minuti in puro standard rock/metal e si focalizza meglio quello che si sta suonando. In questo modo si evita anche di annoiare chi ascolta, obbligandolo spesso a otto/dieci minuti di voli pindarici. Se gli Exxasens passeranno in zona, io prenoto un posto. Fatelo pure voi, intanto cerco di organizzare un festival post rock/shoegaze/math rock in Italia. Non possiamo essere tagliati fuori dal mondo, a quello ci pensano i nostri dipendenti che si fanno chiamare onorevoli. (Michele Montanari)

(ConSouling Sounds)
Voto: 85

http://www.exxasens.com/