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domenica 8 aprile 2018

Deadly Carnage - Through the Void, Above The Suns

#PER CHI AMA: Post Metal/Blackgaze, Novembre, Alcest, Shining, Neurosis
Seguo con interesse l'evoluzione musicale dei romagnoli Deadly Carnage sin dagli esordi; lo dimostra il fatto che su queste stesse pagine ho recensito quattro dei loro ultimi cinque lavori e non ho che potuto apprezzarne e sottolinearne la loro progressione sonora. 'Through the Void, Above The Suns' era un lavoro che aspettavo con grande curiosità per tastare il polso della band di Rimini dopo l'ottima performance di 'Manthe' e la virata verso sonorità di "alcestiana" memoria dell'EP 'Chasm'. Ebbene, il nuovo disco, un concept votato a tematiche cosmiche, combina di tutto un po', dagli ultimi ammiccamenti alla band francese a forti reminiscenze che ci conducono addirittura ai britannici The Blood Divine, li ricordate, la band nata per mano di Darren White, dopo la fuoriuscita dagli Anathema? Perché dico questo? Perché il nuovo vocalist dei nostri, Alexios Ciancio, prima solo chitarra e synth nella band e che ora ha assunto anche il ruolo di cantante, ha uno stile che si avvicina appunto a quello del bravo Darren, cosi sofferente e disperato nelle sue linee vocali. È palese già da "Matter", ancor di più con la splendida ed inquieta "Hyle", due brani che mostrano nuove influenze per i nostri che provengono sia dal post/sludge metal (per la prima traccia) che dal death doom albionico (nella seconda). Un pezzo strumentale, "Cosmi", ci conduce a "Lumis", una song che sembra riprendere quel retaggio del passato dedito al depressive black e coniugarlo con la nuova dimensione sonora dei nostri, in un nuovo folgorante ibrido tra Shining e The Blood Divine (chissà poi se la band è d'accordo con la mia disamina), lanciato in un potentissimo assalto post black, in stile Wolves in the Throne Room a occupare la seconda parte del brano, prima che il suo umor nero venga smorzato da sonorità assai vicine ai nostrani Novembre. Tutto chiaro no? L'ascolto dell'album è un'autentica epifania di suoni e umori che rendono questo 'Through the Void, Above The Suns' un lavoro di grande spessore. Spettacolare a tal proposito quella che ho già eletta a mia traccia preferita, "Ifene": cantata in italiano, è un flusso sonico di sonorità post black emozionali con un cantato pulito ma sofferente, atmosfere decadenti e drammatiche, una sorta di versione black di 'The Silent Enigma' degli Anathema, che a metà brano virerà verso quelle splendide malinconiche melodie tanto care ai Novembre, grazie e soprattutto ad un coro carico di una spinta emozionale davvero di grande impatto, da ascoltare e riascoltare fino alla nausea, perché i brividi che ha prodotto sul mio corpo era tempo che non li provavo. Un altro indovinato intermezzo strumentale, "Fractals" e arriviamo a "Divide", dove torna prepotente l'influenza degli Alcest più violenti, almeno nella parte iniziale del brano, con il cantato eccellente di Alexios molto vicino per stile a quello di Neige, mentre la seconda metà del pezzo assume connotati decisamente più sognanti che tirano in ballo, questa volta solo a livello vocale, la band di Carmelo Orlando. Arriviamo all'ultima onirica "Entropia", un concentrato mellifluo di suoni post metal e blackgaze, un ibrido tra Neurosis e Alcest che sottolinea l'eccezionalità di un pezzo ed in generale di un album che potrebbe anche diventare una pietra miliare della scena metal italiana. A chiudere, un plauso anche per il curatissimo digipack e le splendide immagini contenute nel booklet interno. Disco riuscitissimo e stra-raccomandato! (Francesco Scarci)

(A Sad Sadness Song - 2018)
Voto: 85

giovedì 15 settembre 2016

Ygfan - Köd

#PER CHI AMA: Folk/Dark/Post Black, Agalloch, Alcest
'Köd' è l'EP di debutto degli ungheresi Ygfan, band uscita nel 2015 con il presente lavoro in formato digitale, poi riproposto lo stesso anno dalla Fekete Terror Productions in cassetta e finalmente nel giugno di quest'anno in cd, per merito della nostrana A Sad Sadness Song, che ha scovato e promosso l'act di Budapest. A ragione peraltro. Si perché i quattro ragazzi si fanno notare per un sound sicuramente atmosferico e carico di pathos, che trova sfoghi più violenti in rare sfuriate di matrice post-black, ma che in realtà si mettono in evidenza piuttosto per una marcata vena dark del disco che sembra quasi donare quel quid indispensabile affinché l'ensemble prenda le distanze dall'assai inflazionato black. E devo ammettere che il risultato è davvero brillante con i nostri che compongono un sound espressivo e convincente, che si svolge lungo le quattro tracce contenute nel dischetto, in un'alternanza di umori, sensazioni e buone dosi di originalità. La lunga opener dispiega una verve folklorica, mantenendosi su un mid tempo controllato anche quando entra in collisione con il black, palesando peraltro un buon gusto per le melodie, dal vago sapore mediorientale, ma sempre caratterizzate da un mood malinconico, complice anche una voce corale nel suo taglio pulito, un po' più acerba nella versione scream. Ancor più convincente la seconda song, forse anche per una durata meno estenuante, ma che comunque consente di assaporare il fluido magnetismo sonoro degli Ygfan, che si materializza attraverso suoni naturali, resi ancor più caldi e pastosi da un basso collocato in primo piano, che rende il tutto corposo ed avvolgente. "III" si apre ancora con versi di animali, tant'è che sembra quasi di trovarsi nel bel mezzo di un bosco, dove volgere lo sguardo verso la punta degli alberi, ruotare su se stessi e odorare il profumo che galleggia nell'aria, ascoltare i rumori della natura e lasciarsi infine cullare dalla dolcezza sprigionata dalla musica, quasi costantemente proposta in semi-acustico dalla band magiara. Proprio qui risiede un altro dei punti di forza per gli Ygfan, che in questo pezzo potrebbero anche essere accostabili agli Agalloch. Con "IV" giungiamo con mestizia al termine dei 32 minuti di 'Köd'; rimane infatti sospeso quel desiderio di volerne di più, grazie ancora ad atmosfere soffuse che si alternano a suadenti chitarre distorte che ammiccano al blackgaze cosi come le voci evocano gli Alcest in un pezzo dai tratti solenni, quasi magici. (Francesco Scarci)

(A Sad Sadness Song - 2016)
Voto: 75

https://ygfan.bandcamp.com/releases

venerdì 5 ottobre 2012

Bauda - Euphoria… Of Flesh, Men and the Great Escape

#PER CHI AMA: Post Rock/Shoegaze, *Shels, Archive
L’avevo scritto qualche mese fa, in occasione della recensione della loro prima release, che un vocalist avrebbe giusto fatto comodo ai cileni Bauda, ed eccomi accontentato. Il terzetto di Santiago torna con un nuovo lavoro, tra l’altro fuori per l’italianissima ATMF e signori miei, tanto di cappello, per una release finalmente davvero interessante. Apertura affidata a “Ghosts of Panthalassa”, song che sembra estrapolata da un disco dei post rockers inglesi Archive (penso ad “Again” tratto da “You All Look the Same to Me”), traccia estremamente delicata, che esplode solo in un dirompente finale e che mi fa esultare per la nuova direzione artistica intrapresa dall’act sudamericano. Ci siamo sotto tutti i fronti: l’espressività della voce (che richiama appunto il vocalist degli Archive – un plauso quindi a César Màrquez), l’emozionalità della musica, che abbandonate le strumentali divagazioni folk depressive degli esordi, ora resta costantemente ancorata ad ammalianti e malinconici territori post rock/shoegaze, tessendo dei brani stracolmi di un’espressività inaudita e, splendida a tal proposito, “Humanimals”. Preparati anche tecnicamente e dotati di uno spiccato gusto estetico che si esplica attraverso gli otto momenti qui contenuti, i Bauda sanno come stupirmi e come conquistarmi: in “Silouettes” è ad esempio, il magnetico suono di un basso accompagnato da un’aggressiva chitarra acustica mi tengono concentrato sul sound travolgente, di quella che potrei definire la vera sorpresa del 2012. In questa song, il trio sud americano non nasconde neppure il proprio amore per i suoni post metal, con un finale incandescente. Con “Oceanìa”, i nostri tornano a dipingere paesaggi indefiniti, desertici, quasi i Bauda volessero fotografare, attraverso la loro musica, il desolante deserto dell’Atacama, punteggiato da quelle che sono, tra le più alte vette montane del Sud America. Brividi si, percorrono il mio corpo. Questo è l’effetto meraviglioso del sound, estremamente già maturo di quest’ensemble, che in “The Great Escape” invece, coglie gli insegnamenti di un’altra delle mie band favorite, gli *Shels, e offre dei suoni post rock assai evocativi ed ispirati. Nonostante la lunghezza dei brani, i Bauda non annoiano mai, aggrovigliano con la loro musica, i miei pensieri, conducendomi in posti assai lontani. In “Ascension” ecco emergere forte l’eco dei Pink Floyd, con una bellissima base di pianoforte, su cui la seducente voce di César Màrquez concede il meglio di se stessa. “Euphoria… Of Flesh, Men and the Great Escape” riserva una sorpresa dopo l’altra, fino alla conclusiva notturna (direi ambient) “… Mare Nostrvm? (El Llanto de Quintay)” che suggella, a mio parere, uno degli album più intensi dell’ultimo periodo e che va a candidarsi per ricoprire un posto nella mia personale top ten di questo 2012. Un’altra uscita da “top player” targata ATMF. Complimenti! (Francesco Scarci)

(ATMF / A Sad Sadness Song)
Voto: 85