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sabato 1 dicembre 2018

Istina - Revelation of Unknown

#PER CHI AMA: Depressive Black, Burzum, Xasthur
Nel 2014, mi ero preso carico di recensire il debut album dei russi Istina, un disco quel 'Познание тьмой', che conteneva un black furioso frammisto a parti atmosferiche. Ebbene, a distanza di quattro anni da quel lavoro, mi ritrovo fra le mani il nuovo cd del gruppo di Krasnoyarsk, 'Revelation of Unknown', cosi come tradotto dal cirillico in inglese dalla band stessa. Ben dodici pezzi per 70 minuti di musica fatta di sonorità mortifere che proseguono quanto iniziato con il loro debut. Tutto è molto palese sin dall'introduttiva "At the Peak of Madness", una scheggia di tre minuti e mezzo di black ferale che scarica parte della sua nera energia distruttiva in un breve atmosferico break centrale. E quando parte "Decayed Threads", il registro non sembra mutare troppo: il treno ritmico riprende alla grande tra blast-beat e ritmiche ribassate, ma dopo un minuto ecco lo stop a smorzare gli animi per almeno 30 sec di reminiscenze burzumiane. Poi la veemenza dei nostri riparte verso sconosciute mete lontane, ove fare sporadicamente pause, emananti forti sensori tastieristici cari al buon vecchio Conte Grishnackh. Il black degli Istina, come già scritto in passato, paga un grosso dazio alle prime release di Burzum, palesando anche qualche ulteriore influenza di scuola Xasthur. Inevitabile che un lavoro di questo tipo non possa aprirsi a grandi palcoscenici, il sound è troppo oscuro e parecchio incazzato, lo screaming ferale di N., uno dei due musicisti dell'ensemble russo - l'altro è M., non agevola l'ascolto ai profani del genere, quindi il mio consiglio è indirizzato a chi simili sonorità, le mastica già da tempo. E se "Alien One" è un litanico e doomeggiante pezzo, ipnotico quanto basta per indurci a paranoici pensieri, con la brevissima e drammatica "Awakening", la band prova ad introdurci ad ancor più insalubri anfratti della psiche umana. "Solitude" è un pezzo lento, su cui s'inseriscono le vocals ululanti del cantante, e in cui il depressive black si mostra in tutta la sua stentorea decadenza, tra ammiccamenti a Shining (quelli svedesi, mi raccomando) e ambientazioni da incubo. Non è un lavoro semplice da digerire, lo scrivevo quattro anni fa, lo confermo oggi. Gli Istina sono portatori di tenebrose ed orrorifiche ambientazioni (le strumentali "Contemplation of Mysteries" e "Perfect Shining of Darkness" nesono un esempio), ma anche di violente scariche che sembrano addirittura provenire dal punk, come quanto si sente nell'arrembante title track, una song che sembra però risentire di un certo caotico sound primordiale nelle sue linee di chitarra, il che la rende assai più ostica da assimilare. Ancor più spaventosa in fatto di violenza emanata, "Losing Control", dove i nostri sembrano davvero perdere il controllo della loro diabolica proposta, con sonorità glaciali, a tratti al limite del brutal death. Turbato emotivamente da simili sonorità, mi avvio all'ascolto delle ultime tracce: "Stopping Time" mette il freno alla violenza sin qui dissipata dall'act russo, con una proposta più controllata, all'insegna di un black doom ritmato e angosciante. Gli oltre dieci minuti di "The Return" e i lugubri minuti rimanenti affidati a "Ruins of Innermost", condensano un po' tutto quanto sentito sin qui in questo 'Revelation of Unknown', un lavoro fottutamente malvagio, riservato solo a pochi intimi fruitori di sonorità dannate. (Francesco Scarci)