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giovedì 31 luglio 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Edyakaran - Pantheon
Fallujah - Xenotaph
Helheim - HrbnaR / Ad Vesa

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Alain González Artola

Old Forest - Graveside
Häxkapell - Om jordens blod och ugravens grepp
Hesperia - Fra Li Monti Sibillini (Black Medieval Winter Over The Sibylline Mountains)

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Death8699

Falconer - Falconer
Inhuman Condition - Mind Trap
Napalm Death - Death By Manipulation

lunedì 28 luglio 2025

Harvst - Mahlstrom

#PER CHI AMA: Melo Black
Bella sorpresa questo 'Mahlstrom', secondo atto dei tedeschi Harvst, terzetto originario di Francoforte che nasce verosimilmente come side project di un membro dei Frostreich e uno degli Schǝin. Il genere proposto s'inserisce nel filone del black atmosferico dalle tinte melodiche. Andiamo allora a dare un ascolto alle sette tracce ivi incluse, giusto per capire di che stiamo parlando. Si parte da "Mahlstrom Teil I - Der Aufschrei des Vergangenen" e da una traccia che si fa notare immediatamente per le sue linee melodiche, le accelerazioni in territori post-black, con le liriche, stando a Metal Archives, che affrontano tematiche esistenziali. L'onda d'urto che ci investe in alcune scorribande è bella potente ma le melodie, per certi versi affini a quelle degli Agrypnie, rendono il tutto decisamente più accessibile, pur rimanendo in ambito estremo. "Laubwacht" spinge altrettanto forte ma qui lo screaming di Dornh si alterna a vocals più sussurrate ed evocative, ma il risultato finale non cambia, con il sound che si fa più oscuro nella seconda metà del brano. "Was Die Erde Nimmt" si muove sempre su melodici giri di acuminate chitarre, e le voci, spesso relegate in secondo piano, contribuiscono a dar maggior spazio all'aspetto prettamente musicale. C'è spazio per un break strumentale che fa da preludio a un buon assolo, peccato si perda in una sezione ritmica forse troppo caotica, ma il brano comunque merita, soprattutto anche per l'alternanza vocale che rende il tutto molto più dinamico. "Wahnmal" parte più soffusa, ma è la classica quiete prima della tempesta visto che esploderà a breve con una ritmica dinamitarda, mantenendosi più o meno similare fino a un finale in fade-out. Sulla falsariga anche "Treibholz", e forse qui si vedono le prime debolezze di un disco che sembra soffrire di una certa ridondanza ritmica, portando le canzoni alla fine ad assomigliarsi un po' tutte. Ma le qualità per far bene ci sono sicuramente tutte, basta tirare fuori un pizzico di personalità in più, come quella che sembra emergere nella lunga "Mahlstrom II – Der Abschied des Dechiffrierten". Una maggior varietà nei suoni e nei cambi di tempo, darebbe sicuramente maggior lustro a questa band, che innegabilmente, sembra avere del grande potenziale. Staremo a sentire futuri sviluppi con grande curiosità. (Francesco Scarci)

(Onism Productions - 2025)
Voto: 70

https://harvst.bandcamp.com/album/mahlstrom

domenica 27 luglio 2025

Amyl and the Sniffers - Cartoon Darkness

#PER CHI AMA: Garage Rock/Punk
"Jerkin'", prima traccia, quarto singolo, il collegamento subliminale tra l'invettiva slum punk alla Sleaford Mods (di cui sarà opportuno riascoltare "Nudge it", prima traccia di 'Spare Ribs', 2021) con la ruvida primitività ante-fuzz old school stoogesiana: "Jerkin'" collide, devia e si ingarbuglia, asintoticamente prossima al classicismo londinese fine70 (UK subs? Sex p.?) ma non nei contenuti, squisitamente twenty-twenty (guardatevi il video). Sentite anche "Motorbike Song" (ma che idea stramba quei suoni psych di chitarra...), ma anche e soprattutto "It's Mine", dove l'asintoto potrebbe essere individuabile addirittura nei Discharge di 'Hear Nothing See Nothing Say Nothing'. Ma anche il riot grrrl postulato dai Blondie, ed evocato in "Bailing on Me" (trattenetevi dal cantarci sopra po/po-po-po/po-po e gustatevi il fischiettio coxoniano nel finale) e canonizzato dalle Hole (il secondo singolo "Chewing Gum", ma non solo). Il primo singolo "U Should not be Doing That" (altro videoclip grandioso) garantisce la continuità col fuzz-rock ultra-catchy del precedente 'Comfort to Me', proprio come la successiva "Do It" (Social distortion?). La tecnofunkettosa "Me and the Girls" in chiusura (chi ha citato gli ultimi Clash? I Chk-chk-chk? I Daft punk?) insinua nuovi stuzzicanti scenari. E poi c'è "Big Dream", straordinaria, malinconica, immensa sunset-ballad accompagnata da un video infinito, girato in un'unica take, imprescindibilmente sottocutaneo, piccolo capolavoro di composizione e produzione. Una delle cose migliori di questi aridi anni '20. (Alberto Calorosi)
 
(Rough Trade Records - 2024)
Voto: 75
 

mercoledì 23 luglio 2025

Concrete Age - Awaken the Gods

#PER CHI AMA: Death/Folk
'Awaken the Gods', pubblicato a maggio di quest'anno, celebra il traguardo del decimo album in studio dei Concrete Age, formazione russa che si è affermata come pilastro dell'ethnic metal grazie al suo stile unico che mescola death, thrash e influenze folk provenienti da tradizioni orientali e slave. Attivi dal 2010, il quintetto ora di stanza a Londra, ha conquistato la scena underground con lavori acclamati come "Bardo Thodol" nel 2020 e "Motherland" nel 2022, rinforzando la loro reputazione per l'uso di strumenti etnici e racconti mitologici intrecciati con sonorità estreme. Con il nuovo album, la band continua a superare i limiti del genere, proponendo un'opera ambiziosa che combina potenza sonora e una profonda esplorazione culturale, consolidandosi come una delle realtà più innovative nell'ethnic metal contemporaneo. La produzione raggiunge livelli straordinari, garantendo un sound ricco e ben bilanciato. Gli strumenti etnici come balaban, duduk e kamancheh si amalgamano perfettamente con pesanti riff di death e thrash metal, arricchiti da melodie orientali sin dall'iniziale "Prey for Me". Questo brano evoca atmosfere esotiche ed è impreziosito dalla performance carismatica del frontman, la cui voce spazia tra toni epici quasi narrativi e sfumature più aggressive. Tale versatilità amplifica l'impatto emotivo dell'album, creando un legame potente tra passato ancestrale e presente musicale. Tra i brani che spiccano, "Forbidden Ministry" si distingue per il suo riff thrash metal accompagnato da una ritmica incalzante, capace di evocare vibrazioni che ricordano un immaginario incontro tra Nevermore e Orphaned Land. La title track, invece, si fa notare per la sua riuscitissima fusione di elementi etnici e metal, culminando in un ritornello estremamente coinvolgente. È il fulcro narrativo del progetto, un tributo alla forza primordiale che prepara il terreno alle ritmiche frenetiche di "Cursed Reincarnation", memorabile soprattutto nella seconda parte con un'energia quasi tribale. La strumentale "Mid-East Boogie" è un autentico vortice di energia. Il groove dei riff s'intreccia prepotentemente con scale medio-orientali, mentre il balaban e la kamancheh aggiungono un'atmosfera distintiva. I ritmi rapidi e le percussioni tribali donano, inoltre, un tocco sorprendentemente danzereccio. Non meno impressionante è il resto del disco con "Warrior’s Anthem", che si conferma ricco di assoli spettacolari e intriso di quell'inconfondibile mood folklorico che attraversa tutto l'album. In chiusura, le cover di "Boro Boro" di Arash e "Şımarık" di Tarkan, aggiungono ulteriore profondità all'esplorazione della tradizione musicale orientale, identificando 'Awaken the Gods' come un album che riesce a emozionare, far ballare e trasportare l'ascoltatore in un mondo fatto di energia e sogno. (Francesco Scarci)

lunedì 21 luglio 2025

Black Sabbath - Tokyo Heaven - Japan Broadcast 1980

#PER CHI AMA: Heavy/Doom
18 Novembre 1980, Heaven and hell tour, leg asiatica. Un broadcast radiofonico sgraziato ma significativamente transizionale, tra l'impudico 'Live at Last' e lo strabordante 'Live Evil'. Giorni duri quelli. Giorni che di 'Mob Rules' esiste soltanto la title track, peraltro fuori scaletta, giorni che Vinnie Appice ha rimpiazzato Bill "Etilometro" Ward da poche settimane, e ancora non sa bene come muovere le bacchette e si capisce qua ("Sweet Leaf") e là ("Heaven and Hell"). Giorni che sanno di sushi rancido, giorni che Tony Iommi cambia colore quando sale sul palco e poi corre a vomitare dopo meno di un'ora. Esordio catacombale e quintessenzialmente ozzy-sabbathiano ("Supertzar" plus una cupissima "War Pigs") in evidente contrapposizione al tiro tastierosamente cosmic riscontrabile l'anno dopo in 'Live Evil' ("E5150" plus "Neon Knights"). R-J-D da contratto deve fare i conti col famigerato R.M.O., il "Raglio Metallico Osbourniano". Ancora non ha in repertorio né "War Pigs" né "Black Sabbath", ma cerca (in "Iron Man") e trova (in "Sweet Leaf") una prima interessante personalizzazione. L'assolo di V.A. in "Sweet Leaf" è muscolare ma, a tratti, scomposto. "Heaven and Hell" occhieggia con la jam di "Fools" (Deep purple) ma finisce per autodilavarsi in una sbrodolata, con la timbrica più simile a quella di un carburatore in uno straccio che a quella di un basso elettrico, e che non regge il confronto con la sua naturale evoluzione "Heaven / Southern Cross" codificata magistralmente in 'Live Evil'. Il giudizio finale si riferisce alla rilevanza storica del documento e non tiene conto, per esempio, della sciatteria dell'operazione né del nome tristemente goliardico della casa discografica responsabile di quest'operazione. (Alberto Calorosi)

Eels - The Deconstruction

#PER CHI AMA: Alternative/Indie
Visioni pessimistiche sul futuro ("The Deconstruction", "Sweet Scorched Earth"), amori tristi ("Premonition") o finiti male ("Bone Dry"), nostalgie assortite ("The Epiphany") e ripensamenti da mezz'età ("Today is the Day"). Quel mezzotempo alt-rock-tikabum garage-barattoloso eppure ritoccato da sapienti orchestrazioni escogitate in punta di archetto che rendeva straordinari i primi album, è riprodotto sì stancamente, ma con una certa residua efficacia (la title track e "Bone Dry" sono collocate saggiamente in apertura) quando non assume connotazioni prossimo-caricaturali (sentite il quasi-surf di "You are the Shining Light" oppure Today is the day, talmente indie-a-palla che a confronto i Rembrandts vi sembreranno i King Crimson), cede gradualmente il passo ai (troppo) numerosi lamentini centopercento anguillosi fangosamente intrisi di pessimismo che popolano la seconda parte del disco (le già citate "Premonition", cosi come pure "The Epiphany", "Sweet Scorched Earth", "There I Said it", "The Unanswerable", "In Our Cathedral") a conferire quella sbadigliosa patina forzosamente autoriale che ricopre la quasi totalità della discografia terzomillennio di Mr. E-ntusiasmo. (Alberto Calorosi)

(E Works - 2018)
Voto: 55

https://www.eelstheband.com/

sabato 19 luglio 2025

Nasciturus - Fabulae

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Rzeszów non è certo quella che potremmo definire una metropoli, eppure la capitale del voivodato della Precarpazia, deve avere una scena musicale piuttosto fiorente. Abbiamo da poco recensito infatti i Runopatia e prima ancora gli Into Dark. Ora ci arrivano questi Nasciturus, che completano una scena fatta anche dagli Epitome, dai Salceson X e dai Pandrador; peraltro alcune di queste band hanno visto in passato tra le loro fila, membri dei qui presenti Nasciturus. Comunque, bando alle ciance e torniamo a questo 'Fabulae', debutto discografico del terzetto del sud-est della Polonia, dedito a una forma oscura di black metal, che ci introduce a questi nuovi sette pezzi. Le danze si aprono con le criptiche melodie di "Pomirki", che ben presto si abbandonerà a selvagge ritmiche su cui si piazzano le vetrioliche vocals di uno dei tre vocalist. Il suono è parecchio crudo, credo volutamente ostico da digerire per quelle sue dissonanti linee di chitarra, per non parlare poi delle sghembe atmosfere che si palesano nella seconda metà del brano. Devo ammettere che l'ascolto non è dei più semplici, ma le visioni lisergiche che ci attendono in coda, rivelano una spiccata personalità della band. Rimanga però agli atti che l'ascolto rimane complicato, vuoi per un cantato rigorosamente in lingua madre, forse per l'eccessiva distorsione delle chitarre, o ancora per la crudezza di certi passaggi, che sembrano evocare un misto tra punk e hardcore ("Ogniem Uzdrowion"). Eppure i testi dovrebbero esplorare un immaginario radicato nel folklore slavo, ispirandosi a leggende locali, ma il suono non sembra andare nella medesima direzione delle liriche e lo confermano le accelerazioni devastanti della già citata "Ogniem Uzdrowion", o le linee di basso propulsive di "Potrójnie Przez Ziemię Wypluty" che sferragliano in una cornice ritmica pesante, impetuosa a tratti (quasi grind), e inacidita da vocals taglienti. Che fine hanno fatto allora quelle atmosfere surreali del primo brano? In chiusura di brano si paventa poi il rischio di sprofondare in sonorità doomish, ma trattasi soltanto di parvenza. I nostri riprendono a trottare a tutta velocità. "O Czudca Powstaniu" prova a rendere la ritmica più sludgy, ma il risultato sarà solo quello di renderne angosciante l'ascolto, per poi comunque riprendere velocità appena dopo metà brano, prima di lasciarci a un finale per lo più percussivo. "Pieklisko we Wróblowej" riparte dai ritmi spediti e spietati ascoltati sin qui, in cui chitarre e basso giocano a rincorrersi selvaggiamente per tutta la sua durata. "Silva Populo" parte decisamente più compassata, lasciando ampi spazi ai giri di basso e chitarra acustica. Ma è verso il secondo minuto che la band si abbandona a furibonde ritmiche post black, che vanno a sancire lo status di mio brano preferito del lotto, a cui rimane a questo punto solo la conclusiva "Pokuta". Inizio tranquillo, quasi un unicum del disco. Ipnotici e sinistri giri di basso ci preparano verosimilmente alla tempesta pronta ad abbattersi sulle nostre teste, che puntuale arriva dopo 90 secondi, con una voce completamente differente da quella ascoltata sin qui, quasi strozzata in gola, ed enfatizzata peraltro da una componente corale che aggiunge altri elementi, quasi pagani, alla proposta dei nostri. Il finale torna atmosferico e onirico. Alla fine 'Fabulae', propone un black metal sound veemente che va in controtendenza a un titolo che lascerebbe presagire invece qualcosa di etereo o sognante. Più che una favola a occhi aperti, direi a questo punto, un incubo. (Francesco Scarci)

venerdì 18 luglio 2025

Blood Thirsty Demons - Sabbath

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Thrash/Horror
Quello che al primo ascolto si era dimostrato qualcosa di infantile e scontato, si è invece dimostrato ai miei occhi quello che, in effetti, è: un CD 3-track più intro e outro basato su un concept solido, forse un po’ trendy per i primi anni 2000 (thrash vampiresco), ma tutto sommato buono, scaturito dalla mente di Cristian Mustaine, leader e compositore dei Blood Thirsty Demons. Canzoni facili ma non scontate per quanto riguarda gli arrangiamenti di chitarra; per gli altri strumenti si dovrebbe fare di più per riempire il suono, soprattutto per le tastiere e la batteria. La voce non è poi così male, anche se le parti recitate non vorrei suscitassero ilarità a chi non è abituato a questi toni. I testi non sono niente d’eccezionale, ma rispecchiano il credo orrorifico della band (o almeno ciò che dicono). Compaiono anche delle parti acustiche che potrebbero sembrare delle guasconate commerciali, ma che invece, alla lunga sortiscono un certo effetto: giudicate voi. Una nota: dietro le pelli siede Mike, batterista di Morning Rise e Sine Macula. Sicuramente, trattandosi degli esordi, il suono andava maggiormente curato cosi come una maggiore originalità era auspicabile, per poter essere una bella sorpresa per il futuro.