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mercoledì 13 agosto 2025

Eigengrau - Radiant

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
Nel primo vero album, dopo tanti singoli, della variopinta band di allegroni danesi, il cui nome in tedesco significa "interiormente grigio", individuerete senza difficoltà un suono pervaso di melodismi post-rock nevrilmente pronto a innescare insinuanti testurizzazioni, ciò che inevitabilmente conferisce una invero straordinaria (elettro)dinamicità, protesa nella nota non-direzione postrocchettara di un climax sonico. Che sopraggiunge, sì, ma solo sporadicamente e sempre inaspettatamente. Invece che generato dagli strumenti (non ci sono parti cantate), il suono vi sembrerà emanare dolente da una specie di sorgente infinitamente remota, come una sorta di carsismo cosmico, baluginante, inesorabile ed eidetico. Tutto viene esplicitato (fin troppo presto) nella introduttiva "Once I Was". Oltre la quale l'universo appare ripetersi nebulosamente, se non nella forma, almeno nelle movenze (sonore), fino al necessario e nichilistico deliquio conclusivo ("Moving Clouds"). Interessante, ma già sentito. (Alberto Calorosi)

martedì 12 agosto 2025

Pale Blue Dot - (h)eart(h)

#PER CHI AMA: Psichedelia/Shoegaze
A volte basta guardare in un cerchio molto ristretto per trovare ottima musica, guardare appena fuori dalla porta di casa e trovare una band come i Pale Blue Dot, che con l'unione di musicisti dall'esperienza più che decennale, ci offrono un disco senza pieghe, lacune o cali di qualità. La band emiliana prende spunto per il nome, dalla definizione data dall'astronomo Carl Sagan, a una foto della Terra scattata dallo spazio, a qualche miliardo di km di distanza, e la musica si rivela subito in sintonia con il nome scelto, per il suo ampio spettro sonoro, che spazia dallo shoegaze, passando dalla psichedelia fino alla new wave. Il cantato è in inglese ma questo disco è uno degli album italiani che mi hanno più incuriosito dall'inizio dell'anno, anche se, in verità, l'artwork di copertina del disco non mi attirava granché all'inizio, a differenza delle più interessanti copertine dei singoli. Il motivo è semplice e s'intuisce fin dalle prime note: in questo disco sono presenti delle chitarre stupende, che contribuiscono a donare un lavoro magistrale ai loro suoni che evocano epoche lontane, che non tutti ricorderanno e che accomunano gli australiani The Church (magari quelli di 'Forget Yourself') al sound dei primi iper psichedelici Ride, senza plagi o forzature, con una grazia che li rende veramente credibili e con un'identità assai riconoscibile. All'apertura di '(h)eart(h)', mi sono ritrovato a pensare a "Constant in Opal" dei The Church, ma ero talmente assorto dall'ammaliante psichedelia, cristallina e spaziale dei primi due brani, tra cui l'ottimo singolo "For the Beauty of Miranda", che ho provato un intenso senso di nostalgia nel proseguo dell'ascolto. In effetti, da tempo non sentivo un disco con una magia sonora tale da farti perdere la connessione con il mondo esterno, quello che ti può accadere forse ascoltando 'Remote Luxury', proprio dei The Church. I suoni sono curati e la sezione ritmica è ben presente, il cantato è poco invadente, essenziale, minimale, orecchiabile, mai estroso, proprio come in dischi del calibro di 'Nowhere' dei Ride, rumorosi ma eleganti, d'atmosfera ma rock, quel rock che certa new wave prima e lo shoegaze poi, hanno reso unico e immortale, dando vita a un suono sofisticato e sognante per un insieme di brani che suonano alla perfezione. La band sa come fare e come ottenere quel tipo di sound, ed è il caso della meravigliosa e lisergica "Green Fairy Tale", che ci permette di navigare nel cosmo, molto vicini al Sole, senza passare per una band d'oltremanica o d'oltreoceano. I Pale Blue Dot, hanno nel loro DNA, i cromosomi della new wave, della psichedelia sonica e della neo psichedelia inglese di fine anni '80 (Loop e affini), quella ragionata e mirata, e la suonano in maniera egregia, mostrandoci ottime capacità anche nella lunga e vorticosa "Star Cloud", ipnotica e magnetica canzone di chiusura dell'album, dove cantato e chitarre si sovrappongono alla ricerca continua di uno spazio sempre più profondo da esplorare. Un album e una band con un sound maturo e internazionale, retrò quanto basta, ma attuale e molto appetibile per un pubblico musicalmente elevato, leggermente nostalgico verso certe sonorità ma tanto, tanto visionario. Splendido lavoro di cui ne consiglio fortemente l'ascolto! (Bob Stoner)

lunedì 11 agosto 2025

Cultus Sanguine vs Seth - War vol III

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine 
#PER CHI AMA: Black/Doom
Questa “guerra” fu un esperimento molto interessante perché oltre a rifare due pezzi loro, le due band, Seth e i nostrani Cultus Sanguine, dovevano coverizzare un brano dell'altro gruppo, e infine, entrambe dovevano proporre una cover scelta in comune. Iniziamo con i Cultus Sanguine che propongono qui un vecchio pezzo, "My Journey is Long But My Time Is Endless", tratto dal debut mcd. Questo brano acquista una forza e un impatto veramente coinvolgente, cosa che nel passato, per una pessima registrazione non aveva; come ospite in questa canzone c’è peraltro Steve Sylvester. Di seguito troviamo una versione remixata di "We Have No Mother", che sinceramente non mi piace per niente perché si è persa la vena triste e depressiva che aveva, manipolandola con vari effetti sintetici. Il pezzo dei Seth ("L'Hymne au Vampire") rifatto dai milanesi ricalca appieno l’aria che si respira ascoltando un album dei Cultus Sanguine, molto bella. Infine "Behind The Wheel" dei Depeche Mode, musicalmente è ipnotica e sofferta ma non trova un valido appoggio nella voce di Joe, forse non proprio a suo agio in questo contesto non metal. E ora tocca ai Seth: due brani sullo stile dello scorso 'Les Blessures de l’Ame', pieni di pathos e tristezza con le parti di piano molto accattivanti. Per quanto riguarda la canzone dei Cultus, "The Calling Illusion", rifatta dai francesi, ascoltiamo un cambiamento radicale di alcune parti, rese qui veloci e violente. A essere sincero, non avrei mai pensato di sentirle in questa veste, è stata una bella sorpresa. L’ultima song è arrangiata in modo completamente differente dal modo in cui era stata concepita dai Depeche Mode, decisamente una versione metal irriconoscibile. Non so quanto possano essere d’accordo gli estimatori dell'electro-dark su questo stravolgimento, comunque, esperimento riuscito.

domenica 10 agosto 2025

Corrupted - El Mundo Frio

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Doom/Drone
Non fosse per certe ultra lunghe sezioni ambientali, dove quello che soltanto un'entità aliena dotata di un ciclo biologico di quattromila anni e una pazienza eonica, potrebbe definire un "arpeggio" si sviluppa su tappeti sintetici in verità quasi soltanto ipotizzati, il quarto album della misteriosa band ultradoom giapponese che canta ("una diffusione aerofagica vocale" è una definizione tecnicamente più corretta) in spagnolo, non prende l'aereo e non rilascia interviste se non per ribadire che non rilascia interviste, assomiglia moltissimo al primo (dove però non c'era la sezione acustica introduttiva), qualcosa in più di moltissimo al secondo (dove però c'era un secondo volume di inutili dronerie assortite) e qualcos'altro in più di moltissimo al terzo (dove però la sezione acustica e quella elettrica erano addirittura suddivise in tracce differenti): quel medesimo suono estenuante, psichicamente densissimo che sembra provenire direttamente dalla Discontinuità di Gutenberg del mantello terrestre. E nient'altro. (Alberto Calorosi)

(HG Fact - 2005)
Voto: 70

https://corrupted1994.bandcamp.com/

venerdì 8 agosto 2025

Umbersound - If the Flies Could Sing

#PER CHI AMA: Doom Sperimentale
Mentre calabroni e vespe infestano il mio balcone, l'album 'If the Flies Could Sing' degli americani Umbersound, sposta la mia attenzione su quello che potrebbe essere il canto delle mosche, non solo il loro fastidioso ronzio. E cosi, quasi per sbaglio, mi ritrovo a recensire un lavoro che si spinge nei paraggi del doom metal, con il classico rifferama lento e compassato. Quello della one-man-band di Staten Island è il secondo album, che sembra voler rappresentare la versione più morbida dell'altra band di Joe D'Angelo (il factotum dietro agli Umbersound), i Grey Skies Fallen. Abbandonate le growling vocals (almeno nei primi due pezzi), e un sound più pesante, il mastermind statunitense si protrae in una rilettura più evocativa e decadente del doom. Lo si evince dall'opener "Wolves At The Door", diventa ancor più evidente nella successiva title track, dove le atmosfere si fanno più cupe e opprimenti, ma l'effetto è sicuramente accogliente, offrendo un'esperienza quasi totalizzante per chi ascolta. Chiaro, non è quella che definirei una passeggiata affrontare questo genere di sonorità, ma chi ama suoni di scuola Candlemass, ma con una maggior propensione alla sperimentazione e alla teatralità (ascoltatevi l'ipnotica "Atmos Ritual" che abbina entrambe queste caratteristiche), potrebbe apprezzare enormemente la proposta. Man mano che i minuti passano, l'album diventa più ostico da digerire, pur mantenendo intatti i suoi capisaldi legati a riff lenti e pesanti, tipici del doom tradizionale. Se "Spines On The Shore" potrebbe suonare come una versione doom dei Nevermore, complice un cantato che evoca il buon Warrel Dane (R.I.P.), vi sottolineerei l'emozionalità in grado di emanare "Deaths Old Sweet Song", un pezzo davvero affascinante, tra doom e un mood quasi western. E l'abbinata sperimentalismi vari e doom sorretto da vocalizzi da orco cattivo, proseguono anche in "The Sound Of Umber", prima dei due pezzi strumentali che chiudono con una inaspettata timidezza, il disco. Un lavoro originale e conturbante questo delle mosche che cantano, che necessita tuttavia ancora qualche lavoro di cesellatura (ad esempio l'aggiustamento della voce growl) per suonare vincente su tutti i fronti. (Francesco Scarci)

giovedì 7 agosto 2025

Awful - Absolute Reign

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine   
#PER CHI AMA: Brutal Death
Brutal death violentissimo, sparato a velocità pazzesche, quello proposto dal terzetto italiano degli Awful. Niente mid-tempos, niente pause, ma solamente un martellamento spietato che non dà respiro. Ci lamentiamo spesso del fatto che i gruppi brutal si assomigliano troppo, beh, in questo caso il discorso non vale. Quanto proposto dagli Awful potrà forse sembrare ad alcuni troppo estremo, ma se non altro, non ricorda cose già sentite mille volte. Il demo - di fattura professionale - contiene appena tre canzoni, ma sono sufficienti per stendere al tappeto chiunque!
 
(Sothis Records - 1999)
Voto: 68
 

martedì 5 agosto 2025

Nightwish - Yesterwynde

#PER CHI AMA: Symph Metal
"Yesterwynde", la soundtrack di un ipotetico fantasy cyberpunk, dove il cattivo cade dal suo destriero alato motorizzato, finisce nella baluginante pozzanghera di liquami e diventa un paladino dell'ecologia interplanetaria, introduce l'album più cinematico (mandate avanti e sentite anche la Scaretal/osissima "The Weave") degli ultimamente cinematicissimi Nightwish, nella totale, seppur plastica, continuità coi due album precedenti. Immaginarsi qualcosa che sia solennemente equidistante tra la sigla di una rubrica di attualità di Raidue e il sonoro catastro/tribale di un film di Emmerich sul Pleistocene (ascoltare il primo singolo "Perfume of the Timeless"), qualche ammiccamento NWOBM ma anche un po' (questo, sì, inedito) new romantic ("The Children of Ata") fino a lambire il glam-rock (per esempio nel ritornello Brian-May-esco della riuscita "The Day of..."), sensazioni celtiche, temporali, una specie di Hevia horror che fa headbanging ("Sway") per poi sfasciare la cornamusa sul Marshall (l'eccellente progressione della ottima, seppur troppo lunga, "Hiraeth" - ma solo io nelle prime note ci ritrovo "Cool Water" dei Talking heads?). Sovente (auto)indulgenti le orchestrazioni di Tuomasuccio H. (su tutte, "The Weave") che in svariate occasioni, appare più intento a rimescolare ancora una volta i clichet delle ricchissime (di clischet) "Storytime" e "The Greatest Show on Earth" piuttosto che a comporre veramente musica (il secondo, turgido seppure pasticciato singolo "An Ocean of Strange Islands" e, più avanti, dappertutto sul disco due). Niente di nuovo, insomma, tanto che si può affermare senza sbagliare che il primo attesissimo disco senza Hietala somiglia un po' a tutti gli altri dischi con Hietala. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast America - 2024)
Voto: 63

https://www.nightwish.com/

lunedì 4 agosto 2025

No More Fear - Vision of Irrationality

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Death metal ricercato, non claustrofobico: ecco cosa ci proponeva questa band italiana nel suo vecchio disco d'esordio. I No More Fear hanno dalla loro, sin dagli esordi, un'apprezzabile creatività, sfornando un prodotto nient'affatto convenzionale, a tratti, addirittura melodico (gran lavoro di chitarre in "Escaping the Indifference"). Ciò potrà forse sconcertare quelli fra voi incondizionatamente ligi alla brutalità più disumana, ma, credetemi, 'Vision of Irrationality' è un bell'album e non annoia. Belle le vocals gutturali, specie in "The Lady with the Sickle", un po' meno la voce straziata. I testi? Taluni introspettivi, altri imperniati su tematiche orrorifiche, senza grossolanità gore. C'è anche un bell'omaggio a Lovecraft (nella conclusiva "Dagon"). In conclusione, un album interessante e davvero originale.

(VideoRadio - 2001)
Voto: 70

http://www.nomorefear.it/