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sabato 2 agosto 2025

Sólstafir - Endless Twilight of Codependent Love

#PER CHI AMA: Prog/Psych Metal
Una rarefazione quasi-pop in apertura, poi la furenza eruttiva che digrada in una magmatica coda, poi il chill-out crepuscolare smorzato in un reprise un po' contratto ma squisitamente hard rock: architettonicamente svartir-sandariana, ruvida e irregolare come un fiordo disegnato su una mappa, seppure inferiore a "Lágnætti" (si potrebbe chiosare che qualunque cosa dei Sólstafir sia inferiore a "Lágnætti"). "Akkeri" può non piacere ma posiziona alta l'asticella programmatica dell'album. Non sarà così: i tumulti emotivi di "Ótta" cedono il passo ad architetture musicali più radiolina-oriented come già dai tempi di 'Berdreyminn'. La produzione, ancor più monumentale, della già estremamente monumentale produzione di 'Berdreyminn' rintuzza le sporadiche manchevolezze creative. E così "Drýsill" appare soffice eppure concrezionale, misuratamente elegiaca e non, come dovrebbe essere, sfrontatamente già sentita. E i camerismi björkettari assieme ai gnau-gnau aurali di "Rökkur" oscurano un fangoso e poco originale quasi-parlato il cui scopo è principalmente quello di evidenziare i già evidentissimi limiti della lingua più brutta del pianeta tra le settemilacentoundici esistenti. E il nanana-nanana ruffianamente post-rock vs. Robert-Smith-che-si domanda-dove-è-finito-il-mascara di "Her Fall From Grace" non sarà al livello di "Fjara" ma la recrudescenza quasi-crimsoniana nel finale fa dimenticare quella contrastante sensazione come di big-babol appiccicata a un dimmu borgir (nel riff di chitarra avrete sentito qualcosina di più di qualcosa proveniente da 'Sound of Silence'). E gli sguaiati black-fasti ante-svartir di "Dionysus" che virano in un pre-finale quasi-disco senz'altro rinverdiscono l'attenzione almeno quanto l'incipit jazzaminoso di "Or", molto black-heart-processionale e anche un po' tardo-Gilmouriano. Nella seconda metà dell'album e tra le (stavolta interessanti) bonus track, riemergono qua e là sentori solsta-wave mai veramente sopiti: "Alda Syndanna", ma anche la (a tratti) watersiana "Hrollkalda Þoka Einmanaleikans". (Alberto Calorosi)

venerdì 1 agosto 2025

Clouds - Desprins

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Per chi ancora non lo sapesse, i Clouds intitolano tutti i loro full-length con una parola che inizia con la lettera D e che ha un significato di distacco o partenza. Ecco a voi quindi il sesto capitolo della band rumena, capitanata da Daniel Neagoe, e intitolato 'Desprins', un'opera che continua a inserirsi in quel contesto funeral doom, con elementi atmosferici ma soprattutto emotivi, per un viaggio diretto nel profondo della nostra anima. E 'Desprins' non tradirà certo i fan della band, proponendo sin dall'iniziale "Disguise", quei ritmi lenti e pesanti, coadiuvati da cavernose voci growl che evocano un senso di disperazione e introspezione, e da una malinconica melodia di fondo affidata al flauto di Andrei Oltean. Potrei anche chiuderla qui, dal momento che non ci sono sostanziali novità rispetto ai vecchi album, che il sottoscritto peraltro colleziona gelosamente in formato vinile. E infatti, man mano che ci si spinge avanti nell'ascolto, non possiamo che trovare tutte quelle peculiarità che Daniel e soci, ci confezionano ormai da oltre un decennio. Preparatevi pertanto a un death doom in cui trovare un'alternanza tra ritmiche robuste e melodie più tenui ("Life Becomes Lifeless"), altri più atmosferici con un Daniel in formato vocale sia growl che pulito e più decadente ("Chain Me", "The Fall of Hearts" e "Will it Never End"). A parte questo, grossi stravolgimenti nello stile della band non sono contemplati. Se siete fan dei Clouds pertanto  andate pure sul sicuro; se siete invece nuovi, inizierei l'esplorazione della band dai lavori più datati, 'Doliu' e 'Departe', giusto per fare due nomi. Ah, vedete, altri titoli con la lettera D. Deprimenti. (Francesco Scarci)

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giovedì 31 luglio 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Edyakaran - Pantheon
Fallujah - Xenotaph
Helheim - HrbnaR / Ad Vesa

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Alain González Artola

Old Forest - Graveside
Häxkapell - Om jordens blod och ugravens grepp
Hesperia - Fra Li Monti Sibillini (Black Medieval Winter Over The Sibylline Mountains)

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Death8699

Falconer - Falconer
Inhuman Condition - Mind Trap
Napalm Death - Death By Manipulation

lunedì 28 luglio 2025

Harvst - Mahlstrom

#PER CHI AMA: Melo Black
Bella sorpresa questo 'Mahlstrom', secondo atto dei tedeschi Harvst, terzetto originario di Francoforte che nasce verosimilmente come side project di un membro dei Frostreich e uno degli Schǝin. Il genere proposto s'inserisce nel filone del black atmosferico dalle tinte melodiche. Andiamo allora a dare un ascolto alle sette tracce ivi incluse, giusto per capire di che stiamo parlando. Si parte da "Mahlstrom Teil I - Der Aufschrei des Vergangenen" e da una traccia che si fa notare immediatamente per le sue linee melodiche, le accelerazioni in territori post-black, con le liriche, stando a Metal Archives, che affrontano tematiche esistenziali. L'onda d'urto che ci investe in alcune scorribande è bella potente ma le melodie, per certi versi affini a quelle degli Agrypnie, rendono il tutto decisamente più accessibile, pur rimanendo in ambito estremo. "Laubwacht" spinge altrettanto forte ma qui lo screaming di Dornh si alterna a vocals più sussurrate ed evocative, ma il risultato finale non cambia, con il sound che si fa più oscuro nella seconda metà del brano. "Was Die Erde Nimmt" si muove sempre su melodici giri di acuminate chitarre, e le voci, spesso relegate in secondo piano, contribuiscono a dar maggior spazio all'aspetto prettamente musicale. C'è spazio per un break strumentale che fa da preludio a un buon assolo, peccato si perda in una sezione ritmica forse troppo caotica, ma il brano comunque merita, soprattutto anche per l'alternanza vocale che rende il tutto molto più dinamico. "Wahnmal" parte più soffusa, ma è la classica quiete prima della tempesta visto che esploderà a breve con una ritmica dinamitarda, mantenendosi più o meno similare fino a un finale in fade-out. Sulla falsariga anche "Treibholz", e forse qui si vedono le prime debolezze di un disco che sembra soffrire di una certa ridondanza ritmica, portando le canzoni alla fine ad assomigliarsi un po' tutte. Ma le qualità per far bene ci sono sicuramente tutte, basta tirare fuori un pizzico di personalità in più, come quella che sembra emergere nella lunga "Mahlstrom II – Der Abschied des Dechiffrierten". Una maggior varietà nei suoni e nei cambi di tempo, darebbe sicuramente maggior lustro a questa band, che innegabilmente, sembra avere del grande potenziale. Staremo a sentire futuri sviluppi con grande curiosità. (Francesco Scarci)

(Onism Productions - 2025)
Voto: 70

https://harvst.bandcamp.com/album/mahlstrom

domenica 27 luglio 2025

Amyl and the Sniffers - Cartoon Darkness

#PER CHI AMA: Garage Rock/Punk
"Jerkin'", prima traccia, quarto singolo, il collegamento subliminale tra l'invettiva slum punk alla Sleaford Mods (di cui sarà opportuno riascoltare "Nudge it", prima traccia di 'Spare Ribs', 2021) con la ruvida primitività ante-fuzz old school stoogesiana: "Jerkin'" collide, devia e si ingarbuglia, asintoticamente prossima al classicismo londinese fine70 (UK subs? Sex p.?) ma non nei contenuti, squisitamente twenty-twenty (guardatevi il video). Sentite anche "Motorbike Song" (ma che idea stramba quei suoni psych di chitarra...), ma anche e soprattutto "It's Mine", dove l'asintoto potrebbe essere individuabile addirittura nei Discharge di 'Hear Nothing See Nothing Say Nothing'. Ma anche il riot grrrl postulato dai Blondie, ed evocato in "Bailing on Me" (trattenetevi dal cantarci sopra po/po-po-po/po-po e gustatevi il fischiettio coxoniano nel finale) e canonizzato dalle Hole (il secondo singolo "Chewing Gum", ma non solo). Il primo singolo "U Should not be Doing That" (altro videoclip grandioso) garantisce la continuità col fuzz-rock ultra-catchy del precedente 'Comfort to Me', proprio come la successiva "Do It" (Social distortion?). La tecnofunkettosa "Me and the Girls" in chiusura (chi ha citato gli ultimi Clash? I Chk-chk-chk? I Daft punk?) insinua nuovi stuzzicanti scenari. E poi c'è "Big Dream", straordinaria, malinconica, immensa sunset-ballad accompagnata da un video infinito, girato in un'unica take, imprescindibilmente sottocutaneo, piccolo capolavoro di composizione e produzione. Una delle cose migliori di questi aridi anni '20. (Alberto Calorosi)
 
(Rough Trade Records - 2024)
Voto: 75
 

mercoledì 23 luglio 2025

Concrete Age - Awaken the Gods

#PER CHI AMA: Death/Folk
'Awaken the Gods', pubblicato a maggio di quest'anno, celebra il traguardo del decimo album in studio dei Concrete Age, formazione russa che si è affermata come pilastro dell'ethnic metal grazie al suo stile unico che mescola death, thrash e influenze folk provenienti da tradizioni orientali e slave. Attivi dal 2010, il quintetto ora di stanza a Londra, ha conquistato la scena underground con lavori acclamati come "Bardo Thodol" nel 2020 e "Motherland" nel 2022, rinforzando la loro reputazione per l'uso di strumenti etnici e racconti mitologici intrecciati con sonorità estreme. Con il nuovo album, la band continua a superare i limiti del genere, proponendo un'opera ambiziosa che combina potenza sonora e una profonda esplorazione culturale, consolidandosi come una delle realtà più innovative nell'ethnic metal contemporaneo. La produzione raggiunge livelli straordinari, garantendo un sound ricco e ben bilanciato. Gli strumenti etnici come balaban, duduk e kamancheh si amalgamano perfettamente con pesanti riff di death e thrash metal, arricchiti da melodie orientali sin dall'iniziale "Prey for Me". Questo brano evoca atmosfere esotiche ed è impreziosito dalla performance carismatica del frontman, la cui voce spazia tra toni epici quasi narrativi e sfumature più aggressive. Tale versatilità amplifica l'impatto emotivo dell'album, creando un legame potente tra passato ancestrale e presente musicale. Tra i brani che spiccano, "Forbidden Ministry" si distingue per il suo riff thrash metal accompagnato da una ritmica incalzante, capace di evocare vibrazioni che ricordano un immaginario incontro tra Nevermore e Orphaned Land. La title track, invece, si fa notare per la sua riuscitissima fusione di elementi etnici e metal, culminando in un ritornello estremamente coinvolgente. È il fulcro narrativo del progetto, un tributo alla forza primordiale che prepara il terreno alle ritmiche frenetiche di "Cursed Reincarnation", memorabile soprattutto nella seconda parte con un'energia quasi tribale. La strumentale "Mid-East Boogie" è un autentico vortice di energia. Il groove dei riff s'intreccia prepotentemente con scale medio-orientali, mentre il balaban e la kamancheh aggiungono un'atmosfera distintiva. I ritmi rapidi e le percussioni tribali donano, inoltre, un tocco sorprendentemente danzereccio. Non meno impressionante è il resto del disco con "Warrior’s Anthem", che si conferma ricco di assoli spettacolari e intriso di quell'inconfondibile mood folklorico che attraversa tutto l'album. In chiusura, le cover di "Boro Boro" di Arash e "Şımarık" di Tarkan, aggiungono ulteriore profondità all'esplorazione della tradizione musicale orientale, identificando 'Awaken the Gods' come un album che riesce a emozionare, far ballare e trasportare l'ascoltatore in un mondo fatto di energia e sogno. (Francesco Scarci)

lunedì 21 luglio 2025

Black Sabbath - Tokyo Heaven - Japan Broadcast 1980

#PER CHI AMA: Heavy/Doom
18 Novembre 1980, Heaven and hell tour, leg asiatica. Un broadcast radiofonico sgraziato ma significativamente transizionale, tra l'impudico 'Live at Last' e lo strabordante 'Live Evil'. Giorni duri quelli. Giorni che di 'Mob Rules' esiste soltanto la title track, peraltro fuori scaletta, giorni che Vinnie Appice ha rimpiazzato Bill "Etilometro" Ward da poche settimane, e ancora non sa bene come muovere le bacchette e si capisce qua ("Sweet Leaf") e là ("Heaven and Hell"). Giorni che sanno di sushi rancido, giorni che Tony Iommi cambia colore quando sale sul palco e poi corre a vomitare dopo meno di un'ora. Esordio catacombale e quintessenzialmente ozzy-sabbathiano ("Supertzar" plus una cupissima "War Pigs") in evidente contrapposizione al tiro tastierosamente cosmic riscontrabile l'anno dopo in 'Live Evil' ("E5150" plus "Neon Knights"). R-J-D da contratto deve fare i conti col famigerato R.M.O., il "Raglio Metallico Osbourniano". Ancora non ha in repertorio né "War Pigs" né "Black Sabbath", ma cerca (in "Iron Man") e trova (in "Sweet Leaf") una prima interessante personalizzazione. L'assolo di V.A. in "Sweet Leaf" è muscolare ma, a tratti, scomposto. "Heaven and Hell" occhieggia con la jam di "Fools" (Deep purple) ma finisce per autodilavarsi in una sbrodolata, con la timbrica più simile a quella di un carburatore in uno straccio che a quella di un basso elettrico, e che non regge il confronto con la sua naturale evoluzione "Heaven / Southern Cross" codificata magistralmente in 'Live Evil'. Il giudizio finale si riferisce alla rilevanza storica del documento e non tiene conto, per esempio, della sciatteria dell'operazione né del nome tristemente goliardico della casa discografica responsabile di quest'operazione. (Alberto Calorosi)