Cerca nel blog

martedì 7 gennaio 2020

Darktimes – Utter Coldness

#FOR FANS OF: Black Metal, Old Man's Child
I just recently discovered Slovakia natives Darktimes while surfing through YouTube. What struck me off the top was their brand of black metal was cold, grim, and loaded with atmosphere but it did not sound like it was recorded in an old tin can. In fact, the production on their sophomore effort, 'Utter Coldness', is quite clean and makes for a really nice listening experience. The band has only been around since 2013; they are completely self financed and release their albums independently so I was quite impressed with the professional recording job on the album. But what stood out was the songs. Yes, the songs are cold and grim but what we really have here is a well thought out album that has many layers to it.

After the brief intro, “Black Flame Prophet” ferociously bursts from your speakers. The song is the perfect album opener full of energy, brutality, and serious riffs. This band makes really good use of tremolo picking and their tremolo leads add that element of melody into the mix. The tempo is not all blasts but instead they mix it up to include a lot of traditional metal elements. The vocals are not a continuous high raspy shriek but more of a controlled deeper growl even going guttural at times. “Awakening – Towards the Perpetual Eclipse” is one of the best and most complex on the album. Starting out blasting and ferocious they throw in this cool tremolo lead riff that adds the melody slows it down a bit just to go right for the throat again. Once again, their use of the tremolos leads add that right atmosphere.

“Waters of Infinite Horizons” is one of those songs that adds that traditional metal tempo in the beginning only to flow into these melodic tremolos. This song is where the band kind of reminds me of Old Man’s Child in how they add the melodies in without losing the ferocious atmosphere created by the riffs. “Where Darkness Resides” is a little over seven and a half minutes of sheer black metal grimness. This song takes a more epic turn loaded with brutality, melody and atmosphere. The song slows a bit towards the end and actually makes for a somewhat awkward flow into, “Noci večnej chlad, ” which is a slower, more eerie sounding instrumental that closes the album out.

Nothing makes my metal heart happier than to discover great metal and my discovery of Darktimes is one of those moments. As the weather tuns cold and grim during the winter months, I love good black metal that can add to the atmosphere created by nature. 'Utter Coldness' is a welcome addition to my winter black metal playlist. (
The Elitist Metalhead)

Dead Hippies - Resister

#PER CHI AMA: Electro Rock/Noisy Dance
Il nuovo disco dei Dead Hippies è una buona release, curata e ben fatta, come tutte le loro produzioni ma, a dir il vero, un po' carente in fatto di novità. I brani intersecano strade già percorse da artisti come Gorillaz, Amaury Cambuzat con i sui seminali Ulan Bator, Chumbawamba laddove predomina una forte somiglianza nel canto del nuovo arrivato Dylan Bendall (in "Resister" appare addirittura il rapper americano Mr. Jason Medeiros), fino allo stile del funambolico John Lydon nell'album 'Psycho's Path', senza dimenticare l'hip hop e le cadenze punk alla Jello Biafra. Tutto questo è poi unito ad una sorta di tributo ai The Prodigy e alla techno dance degli anni '90, fondendosi ad una certa dose di dub alla Basement 5, neanche poi così interessante sotto il profilo artistico. Comunque, resta una buona prova, dove il rock assume mille venature, anche se manca il vero senso del rock, quello sbandierato "wall of sound" che non caratterizza granchè questo lavoro, tenuto in sordina da un qualcosa più di tendenza, quasi ad imitare in maniera più soft e meno hardcore, quel fenomeno americano che risponde al nome di Ho99o9, laddove l'elettronica abbraccia la spinta e il furore dell'hardcore in un'orgia di assalti frontali. Non siamo di fronte nemmeno al mito creato dagli Atari Teenage Riot ma la band francese non si è imposta di raggiungere quel tipo di vette, così mi sento di premiare la composizione che porta il nome di "Laugh in Sadness", vero e proprio gioiellino, un cupo e drammatico brano strumentale riuscito alla perfezione. Posto a metà del disco, il pezzo conquista la vetta e surclassa il ritmo in levare di "The Little Ones" che ricorda un mix tra Beastie Boys e Les Négresses Vertes, cantati da un Lydon in gran spolvero. Da questo punto la dance tende a prevalere nelle restanti canzoni, valida ma poco innovativa e senza idee di rottura, con le chitarre a far da contorno e con l'ombra dei Public Image Limited (strepitosa qui la somiglianza vocale!) sempre in agguato. L'ultima traccia, "Dramatic Control", ridà voce al disco, sperimentando un po' di più e lasciando correre le chitarre sulla scia di un poderoso elettro/kraut/post-rock molto sonico e spaziale, grazie all'utilizzo di filtri vocali in stile Kraftwerk. Un melting pot di suoni quello dei Dead Hippies, musiche e ricordi musicali espressi bene ma che non danno la classiva ventata di novità, mantenendo ancorata la band francese alla media delle sue produzioni, sempre interessanti per l'accostamento e il crossover tra i diversi tipi di generi ma in alcuni casi rasenti il plagio, e penso soprattutto alle parti vocali che sono belle e ad effetto ma lontanissime da una genuina originalità. Buon disco per chi si accosta alla loro proposta per la prima volta, ma per chi li ha amati con i precedenti lavori, potrebbe non rimanere del tutto soddisfatto. (Bob Stoner)

(Atypeek Music/Bruillance/Kshantu - 2019)
Voto: 64

https://www.facebook.com/deadhippiesdead/

lunedì 6 gennaio 2020

Mesmur - Terrene

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism
Cosa c'è di meglio se non iniziare il nuovo anno con una bella colata lavica di musica funeral doom? Ad aiutarci in questa impresa, arrivano i Mesmur, combo internazionale formato da membri che arrivano un po' da tutti gli angoli del globo, Russia, Australia, US e anche la nostra piccola Italia, senza contare le partecipazione al flauto di Don Zaros degli Evoken e al violoncello della russa Nadia Avanesova. 'Terrene' è il terzo disco per il quartetto mefitico che si ripropone con quattro song che durano la bellezza di 54 minuti. E allora, se le vostre vacanze natalizie sono state fin troppo felici, meglio farsi investire dalla totale assenza di voglia di vivere dei nostri che già con l'iniziale "Terra Ishtar", ci fanno letteralmente sprofondare nella palude dello Stige, laddove gli accidiosi rimangono sommersi nell'immobilità del loro spirito. Immobilità appunto, la parola chiave che descrive le movenze a rallentatore della band, cosi ritmicamente pesante nella propria proposta da richiamare i paladini Skepticism o Esoteric, due capostipiti di un genere che raccoglie ogni giorno sempre più consensi. La proposta dei Mesmur non si raccoglie però tutta qui nella riproposizione dei dettami dei maestri, ma è impregnata di atmosfere eteree, quasi sognanti che tutto di un tratto sembrano farci risollevare verso quei cieli estatici descritti da Dante nella sua 'Divina Commedia', prima di essere avviluppati da una tragica sensazione di fine del mondo, quella appunto descritta dalla compagine multietnica in questa loro terza fatica. È tempo di "Babylon", la seconda song che narra della città ormai fantasma di Babilonia appunto e dei demoni che la abitano ora e di tutto il sangue di santi e profeti che invece è fluito nel corso dei secoli. Le tematiche aiutano ad enfatizzare un sound permeato solo di gelida morte come quella sprigionata dalla catacombale voce del frontman Chris G nel mortifero incedere odorante di solo zolfo infernale. La chitarra di Jeremy Lewis cosi come il flauto del tastierista degli Evoken, provano a stemperare la pesantissima aura che ammanta la song, ma il risultato persiste nel mantenersi in equilibrio con le sue apocalittiche melodie. Si procede sulla falsariga anche con "Eschaton" e altri 13 minuti in cui è la pesantezza intrinseca esalata dall'ensemble a farla da padrona, anche se qui un barlume di luce sembra affiorare dall'iniziale malinconica (quanto dissonante) melodia di chitarra e in generale da un accenno di dinamismo mostrato in sede ritmica, con un drumming che sembra (ma non accadrà mai) via via aumentare i giri del motore, anzi l'evoluzione della song assume quasi connotati psichedelico-orchestrali, vista la presenza al violoncello, della brava Nadia che adorna e contribuisce a variare il tema proposto dai Mesmur. Arriviamo all'ultimo baluardo da superare, ossia la quarta "Caverns of Edimmu", una song introdotta da una mefistofelica quanto sinistra melodia, accompagnata da una voce che verosimilmente è quella di un demone Ekimmu, uno spettro dei morti riuscito a fuggire dagli inferi per tormentare gli esseri viventi. La song pertanto sulla scia del suo stesso titolo, sembra avvolta da un'atmosfera criptica sospesa tra sogno (o incubo che sia) e triste realtà, in uno sfiancante incedere di oltre 13 minuti. 'Terrene' è alla fine un album tanto interessante quanto complicato da affrontare, una discesa nelle tenebre da cui forse non far mai più ritorno. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2019)
Voto: 77


https://mesmur.bandcamp.com/album/terrene

Daughters Of Saint Crispin - S/t

#PER CHI AMA: Psych/Slowcore/Post, Neurosis
Singolare scegliere come moniker quello di un sindacato del calzolaio femminile americano, i Daughters Of Saint Crispin appunto. La band, che nasce dalla precedente esperienza del suo leader nei Tyranny Is Tyranny, si propone di offrire un sound che loro stessi definiscono arrogantemente "doomy Big Black" o una sorta di "Godflesh che suonano song dei Codeine" (band newyorkese ispiratrice dello slowcore). E proprio da quest'ultimo genere, caratterizzato da ritmi rallentati, arrangiamenti minimalistici ed atmosfere rarefatte che i nostri partono, coniugando ovviamente il tutto con gli insegnamenti dei Neurosis, una costante aura psichedelica, un pizzico di punk (soprattutto nella seconda ridondante "Debt Grief") ed il gioco sembra fatto. Le tracce da "Ex-Spies" a "Head And Heart", si susseguono proponendo un vortice di lente emozioni e turbamenti interiori. Se ho particolarmente apprezzato l'opener, devo ammettere di aver fatto più fatica ad accogliere la seconda song, desiderando più volte di skippare alla traccia successiva. Solo il chorus mi ha evitato di cambiare brano. "Blue Light" è un brano a rallentatore, con la voce del frontman che sembra quella di un accanito bevitore di whiskey. La song striscia poi come un serpente a sonagli nel deserto, tra ruvide scarnificazioni sludgy, ammiccamenti post e una verve blues rock. L'ultima song dell'ensemble del Wisconsin suona come una ninna nanna per un bebè, con la sola differenza che al posto del latte, al bimbo viene somministrato un cicchetto di ottimo distillato. Alla fine l'EP è un buon punto di partenza per sviluppare in futuro nuove alternative sonore. (Francesco Scarci)

Devilish Impressions - Postmortem Whispering Crows

#PER CHI AMA: Black/Death, Behemoth
I Devilish Impressions li seguo fin dai loro esordi, in quanto sono da sempre affascinato dal loro sound all'insegna del black sinfonico. 'Postmortem Whispering Crows' è un EP di tre pezzi che serve a saggiare lo stato di forma del quartetto guidato da Quazarre, dopo il full length datato 2017 e intitolato 'The I'. Dicevo tre song che si aprono con "Dvma", una traccia estremamente ritmata, che mostra la solidità ormai collaudata del combo polacco nel proporre un genere non certo originalissimo, ma che combina con autorevolezza black, thrash ed heavy metal soprattutto a livello solistico, concedendo ampio spazio anche a parti atmosferiche ed acustiche, il tutto guidato dalla rugosa voce del frontman che nell'ultimo anno ha rinnovato completamente la line-up. "Cingvlvm Diaboli" ha un approccio ben più feroce, palesando soprattutto una certa similitudine con i compaesani Behemoth nella loro veste black death, ma anche con qualche realtà americana, stile Nile; francamente li preferivo nella loro veste iniziale, mid-tempo ma di sicuro più ispirata. L'ultima episodio di questo EP è dato da "Interregnvm", forse la song più blackish del trio, quella decisamente più tirata, più oscura, ma anche quella più in grado di mostrare i molteplici aspetti del nuovo sound dei Devilish Impressions, un mix tra black, doom, gothic e perchè no anche rock (sempre a livello di solo). C'è sicuramente ancora da lavorarci sopra, ma limando qua e là un po' di ruggini e cercando di aggiustare il tiro, forse la band si potrebbe anche togliere nuove soddisfazioni. (Francesco Scarci)

venerdì 20 dicembre 2019

Martriden - S/t EP

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Black, Hypocrisy, Immortal
Originari del Montana ma ora trasferitisi in Colorado, ecco una band che stranamente non suona metalcore o qualsiasi altra cosa alternativa tipica degli Stati Uniti. Quello dei Martriden (nome che trae origine dal folklore scandinavo ossia gli spiriti femminili maligni responsabili degli incubi) è un quartetto death metal, le cui sonorità sono fortemente ispirate ai suoni del nord Europa, al black contaminato dei norvegesi Enslaved, al death degli Hypocrisy, al prog degli Opeth e al movimento swedish in genere. Nonostante i nomi altisonanti, non ci troviamo però tra le mani un lavoro eccelso: forse la band ai tempi di questo debut EP, era ancora troppo acerba per dimostrare le sue effettive qualità. E cosi nei 25 minuti a disposizione, il quartetto di Denver ci propone quattro discrete tracce, in cui i nostri fanno conoscere la loro musica al mondo. L’iniziale “Blank Eye Stare” è un mix black-death, tipico scandinavo, con un break acustico centrale niente male e un discreto finale emozionante. Tutte le influenze dei nostri, dagli Emperor ai primi Katatonia, passando attraverso Immortal e My Dying Bride, convogliano inevitabilmente nel loro sound. Nel secondo brano, un mid-tempo ragionato e cadenzato, si percepiscono anche reminiscenze thrash, stile Nevermore, per un brano francamente un po’ insignificante. Con “In Death We Burn” emergono le influenze swedish death, così come pure nella conclusiva “Set a Fire in our Flesh”. Ottimi i suoni, bravi i musicisti, più che discreta è la personalità del vocalist, ma un senso di già sentito e scontato pervade le mie orecchie. Qualcosa di poco convincente caratterizza l’intero lavoro per cui alla fine fatico a venirne a capo. Dategli un ascolto e aiutatemi a capire. (Francesco Scarci)

(Siege of Amida Records - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/martriden

Tholus - Constant

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Death, Carcass, Meshuggah
L’inizio di questo Cd mi ha subito riportato alla memoria gli inframmezzi inquietanti che introducono ogni brano di 'Necroticism' dei Carcass. Ma chi sono i Tholus? È la band del polistrumentista Dave Murray (Estradasphere, Deserts of Traun), qui accompagnato dai migliori musicisti della scena estrema statunitense (e si sente), con lo scopo di riportare ai fasti di un tempo, quel death iper-tecnico e fantasioso, che ben poco fu compreso negli anni novanta con Cynic e Atheist. Quel che è certo, è che non è semplice neppure un approccio così immediato a 'Constant', album che ruota attorno ad un concept alieno. La musica dei nostri è infatti parecchio ostica, e se pensate, che nella loro biografia, i Tholus descrivono il loro sound, come un improbabile incrocio tra il death metal di Death e Carcass e l’avantgarde-fusion di Frank Zappa e Chick Corea, capirete quanto la musica dei nostri sia assai complessa. Montagne di riffs intricatissimi vengono innalzati dai due axemen (ci sono poi altri due chitarristi, uno solista, l’altro acustico), giri di chitarra claustrofobici e ridondanti, richiamano palesemente il mood dei Meshuggah (ascoltatevi “Staring Black”, canzone pazzesca, la migliore del disco). Il drumming fantasioso ed imprevedibile traccia ritmiche allucinanti, ipnotiche e psichedeliche, le chitarre, nonostante la loro brutalità, esplorano territori sconosciuti al metal (jazz, fusion, musica etnica); le growling vocals (forse la vera pecca del lavoro) rappresentano forse l’unico legame con la musica metal, mentre i tre(!) bassi dipingono, in modo magnificente, desolati paesaggi marziani. I Tholus hanno mostrato classe sopraffina ad elevatissimi livelli, un vero peccato poi siano scomparsi nel nulla. Un unico consiglio va dato però, prima di avvicinarsi a questo disco: aprite la vostra mente, perchè questa musica non è di questo pianeta... Allucinanti! (Francesco Scarci)

(Goregorecords - 2007)
Voto: 76

https://tholus.bandcamp.com/releases

Scent of Flesh - Deform in Torture

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Monstrosity, Cannibal Corpse
I finlandesi Scent of Flesh sono dei brutti ceffi, capaci da sempre, di unire all’estremismo sonoro tipico del loro brutal sound, con quel pizzico di melodia che non guasta e anzi ne migliora notevolmente la proposta. Ma si sa, in Finlandia le cose non capitano mai per caso e l’uscita di 'Deform in Torture' datata 2007, terza e ultima release del combo guidato da Matti Viisainen, non fa che avvalorare la mia tesi. Questo capitolo dopo l’EP 'Become Malignity' del novembre 2005, riconsegna una band in strepitosa forma, abile, quanto basta, nello spaccare qualsiasi caso gli capiti davanti. Mezz’ora (ci risiamo) e poco più di musica estrema, violenta, brutale e maligna, un concentrato dinamitardo, che raccoglie il sound dei precedenti lavori, amalgamandolo in modo sapiente ed intelligente. Le otto tracce contenute, sono accomunate dal desiderio di devastare il mondo: veloci crushing riffs pestano dal primo all’ultimo minuto sull’acceleratore non lasciando via di scampo; la batteria, martellante e precisa, che sfocia spesso in territori grind, segna il tempo che scorre, con il malvagio growling di Matti a vomitare tutta la sua rabbia. L’influenza della scuola americana c’è e la si percepisce interamente nella musica del quartetto finlandese: ottima tecnica individuale, unita a fantasia compositiva (merce assai rara nel brutal death). L’attitudine splatter/gore dei nostri è poi sempre ben radicata nei loro testi, così come accade per i maestri di sempre Cannibal Corpse. Proposta convincente, peccato solo che il quartetto di Imatra sia ai box ormai da 12 anni. (Francesco Scarci)

(Firebox Records - 2007)
Voto: 71

http://www.scentofflesh.com/