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domenica 15 dicembre 2019

James Murray & Francis M Gri - Remote Redux

#PER CHI AMA: Electro/Ambient
Devo ammettere che è sorprendente come il concetto del MA filosofico della tradizione buddista giapponese sia stato messo in musica da quest'unione musicale a distanza tra Milano e Londra. Sorprendente è anche la qualità e la ricerca sonora con cui brano dopo brano, prende forma il significato, di vuoto pieno di senso, un qualcosa di emotivamente enorme ed irraggiungibile, un qualcosa di rarefatto che appaga e riempie l'anima. In queste cinque tracce più una versione estesa della splendida "Toma", James Murray & Francis M GRI ci permettono di fluttuare, di perlustrare e aprirci a viaggi interiori in un cosmo incantato, lasciandoci dissolvere in una rigenerazione sciamanica, oltre ogni confine, oltre ogni paura. Tutto questo viene espresso musicalmente attraverso il sound di un ambient puro e tradizionale, con la cura ossessiva dei particolari, piccoli interventi di chitarre e piano su tappeti di synth infiniti, tanta sensibilità e l'assenza totale del ritmo a sottolineare la potenza positiva del vuoto. Il risultato dell'intero ascolto del disco è 'Remote Redux', una lunga colonna sonora, omogenea e compatta, che segue una logica mirata ad ipnotizzare l'ascoltatore e liberarne l'emotività, a volte anche con suoni siderali, ghiacciati, immobili, statici ma nel contesto stesso, pieni di uno splendore quasi divino. I synth suonano tecnologici ma caldissimi, esprimendo sempre questa sensazione costante di vuoto. Non siamo di fronte al solito disco preconfezionato di musica ambient digitale, finta ed asettica, il calore dell'uomo e la sua ricerca interiore s'intravedono tra le note che esprimono una suggestione compositiva di notevole rispetto, tanta la capacità ed una scrittura musicale che non annoia (quasi) mai, sebbene i brani abbiano una durata impegnativa che in un caso arrivano a sfiorare i tredici minuti. Le tracce "Ma" e "Toma" sono al di sopra delle righe e bisogna ammettere che anche stavolta la Ultimae Records ci ha regalato un ottimo album (disponibile anche in formato digitale a 24bit) composto da due musicisti di classe, permettendoci ancora una volta di sognare e riflettere alla luce di un suono astrale, senza tempo ed infinito. Album da ascoltare senza remore, un piccolo gioiellino. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2019)
Voto: 76

https://ultimae.bandcamp.com/album/remote-redux-2

7am - Benefit for Iggy´s Shirt

#FOR FANS OF: Punk/Garage Rock
'Benefit for Iggy's Shirt' is the 2019 release from Slovenian alternative rockers 7am - lead by Anabel on vocals and bass, Mico on guitar and vocals and Devor on drums. 7am are punk rockers at heart who play their instruments and wear their influences on their sleeves, delivering a sound reminiscent of Northern England's indie rock scene of the early 2000's with hints of Weezer and with a taste of The Ramones thrown in for good measure. Fronted by Anabel on lead vocals and bass it differentiates 7am from the male dominated vocalists of the genre making their sound fresh. Singles "Ugly Life" and "Everytime" kick off proceedings and immediately deliver a sound you can get excited about. In the midst of dull generic sounding rock pop it's great to find something authentic you can stomp your feet to. Single "I Can't Believe" transitions nicely into power rock pop whilst enjoying every sound the guitar can create. Tracks "At Least I Tried" and "Nevermore" see 7am showing their more minimal side with the sound feeling more intentional. 7am capture their raw live sound on this record mixing messy aggressive guitars, head bobbing base lines and sweet vocals with depth that set their sound apart from music in the alternative rock genre - delivering an enjoyable record from start to finish. (Stuart Barber)

giovedì 12 dicembre 2019

Außenseiter - S/t

#PER CHI AMA: Blackgaze
Dalla regione dell'Appalachia ecco arrivare gli Außenseiter (non certo un moniker tipicamente statunitense) con il loro EP omonimo, che parrebbe narrare proprio di quelle regioni montane cosi misteriosamente affascinanti. Lo dimostra subito l'opening track "Appalachia", attraverso il suo aspro blackgaze, le vocals disperate del suo frontman e le melodie scoscese propinate nei primi quattro minuti dell'EP. "Endless Fog" prosegue sulla falsariga con un sound decisamente raw che vive di uncinate accelerazioni in tremolo picking, urla disumane e qualche raro chorus che emerge dalla coltre di nebbia che impera nell'album. "Blind Existence" conferma lo status casalingo a livello produttivo puranche il genere che abbracciano questi sinistri Außenseiter in questo 4-track che con qualche miglioria a livello di pulizia di suoni, potrebbero anche risultare pienamente interessanti. Per ora, la proposta della band, confermata anche dalla conclusiva strumentale "Throw Me Into the Water", e alla stregua di quanto anche recentemente proposto dai Wounds of Recollection, rimane piuttosto acerba e necessitante di una certa sgrezzata a 360 gradi. Le potenzialità ci sono ma non possono nemmeno essere espresse in questo modo, vanno assolutamente convogliate nella giusta direzione. (Francesco Scarci)

mercoledì 11 dicembre 2019

Everdying - Black Acid Soul

#PER CHI AMA: Death/Black, primi In Flames, Dissection
Interessante la proposta di questi Everdying, duo dell'Illinois che si propone di combinare il sound dei primi In Flames con God Dethroned, Naglfar e Hypocrisy, senza dimenticare l'apporto di Opeth e Dissection, niente male no, almeno sulla carta. Ecco beh, io tutte queste influenze in un colpo solo non le ho sentite a dire il vero. Ascoltando l'opener di questo 'Black Acid Soul', "The Air You Breathe", ho percepito sicuramente i Dissection per quella melodia tagliente delle chitarre e lo screaming della voce, poco altro però. Le cose cambiano radicalmente con la title track, dove gli echi dei primi In Flames s'incontrano davvero con le band citate, però la sensazione è quella di ascoltare una band diversa da quella sentita nella traccia d'apertura. Francamente il risultato ha quasi del miracoloso sconquassando le mie orecchie con una buona dose di genuinità e ottime melodie, soprattuttto nella parte conclusiva del brano. Il terzo episodio dell'EP, "The Dead Heart", è interamente suonato dal polistrumentista e mastermind di questo progetto, ossia Johnny Dove. Le carte in tavola cambiano ancora e questa volta mi sembra di aver a che fare con i Rammstein, ma che diavolo combina Mr. Dove? Niente paura, perchè l'approccio industrial viene interrotto da un estremismo sonoro dirompente che perdura ahimè per pochi secondi, generando ancor più confusione nel sottoscritto. In definitiva, 'Black Acid Soul' è un esperimento piuttosto eterogeneo che per quanto possa risultare ai più ancora piuttosto acerbo, ha in serbo importanti buoni spunti e una discreta dose di originalità. Da tenere assolutamente sotto traccia. (Francesco Scarci)

(Voice of the Soul Studios - 2019)
Voto: 68

https://everdying.bandcamp.com/album/black-acid-soul

Raven Legacy - Sol Invictus

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
I Raven Legacy sono un progetto capitanato da Wassim Amdouni (in arte Invictus) e Hugo Spezzacatene, originariamente nato in Tunisia nel 2003 col moniker Lord of Terror e poi trasferitosi in quel di Roma nel 2016. 'Sol Invictus' è il risultato di questa collaborazione, un EP di debutto contenente sei pezzi che si aprono con "Cleaving the Bones of Your God", un brano che caratterizza immediatamente le peculiarità del combo capitolino, ossia un death/black metal dotato di pesanti elementi sinfonico-orchestrali. L'assalto è a dir poco spaventoso con velocità iper tirate, un'alternanza tra screaming e growling vocals, ed una forte dose di tastiere. Un bel chorus contraddistingue invece la seconda song, "The Infernal Herald", che mostra dapprima una ritmica detonante per poi assestarsi su velocità più pacate, comunque davvero affascinanti, che avvicinano la band ai nostrani Ade. "As I'm Born in Hell" è un brano meno ricercato che mantiene comunque intatta la sua valenza sinfonica, ma che mette semmai in evidenza (finalmente) un bell'assolo di matrice classica, susseguito da un attacco ritmico davvero invasato. Si prosegue con lo strisciante black sinfonico di "The Abyssal Portrait", un altro esempio di come si possano combinare elementi di musica estrema con ottime orchestrazioni, il tutto ovviamente supportato da una produzione potente e cristallina che ne esalta il risultato finale. Queste in breve le caratteristiche dei nostri che anche nei conclusivi pezzi si adoperano per intrattenere i fan con tutte le armi in loro possesso. Se proprio devo trovare il pelo nell'uovo, direi che c'è una certa mancanza a livello solistico che rischia di appesantire la proposta dei nostri e indurre qualche sbadiglio di troppo già a livello della quarta song. E allora visto che le potenzialità tecnico-strumentali ci sono, vediamo per lo meno di sfruttarle fino in fondo. (Francesco Scarci)

Lesath - Like the Wind

#PER CHI AMA: Depressive Black
Quanto mi affascinano le band il cui moniker si rifà al nome di stelle: Lesath è infatti una stella azzurra della costellazione dello Scorpione che ha da poco intrapreso il percorso per diventare una supergigante. Non so quali siano le ragioni che hanno portato alla scelta di tale nome, fatto sta che la one-man-band di oggi ci propone un EP di due tracce (banalmente "I" e "II") intitolato 'Like the Wind'. La prima song si manifesta sottoforma di un black depressive che vive del contrasto tra chitarra acustica ed una ritmica mid-tempo su cui si affaccia la voce sussurrata del mastermind di questo progetto. Niente di stravolgente, se non l'emozionalità dirompente che scaturisce dalle tiepide note di questi primi minuti. Interessante proposta, che necessiterebbe di qualcosa di più stimolante per decollare. Eccomi accontentato visto che "II" è una devastante traccia black con tanto di chitarre e screaming ringhianti, che vanta tuttavia ottime melodie e avvincenti cambi di tempo. Rimango curioso di ascoltare un disco completo di questi Lesath per capire esattamente dove vogliano andare a parare con la loro musica, vista la discrepanza contenutistica di codesto 'Like the Wind', che non mi aiuta di certo a valutare in toto la proposta musicale del polistrumentista misterioso che si cela dietro a questo moniker stellare. (Francesco Scarci)

I Maiali - Cvlto

#PER CHI AMA: Noise/Post-Hardcore
Devo ammetterlo: il nome della band mi aveva fatto pensare ad uno di quei gruppi punk più interessati a scandalizzare che a confezionare un’opera in grado di stupire e rivolgersi ad un pubblico eterogeneo. Fortunatamente I Maiali, formazione romana attiva dal 2016, hanno infranto i miei pregiudizi con 'CVLTO', il loro debut album partorito quest’anno dopo un lungo travaglio, vuoi perché questa creatura luciferina è stata concepita là dove scorrono lo Stige e il Flegetonte, vuoi perché i ragazzi hanno preferito prendersi tutto il tempo necessario per lasciar maturare le loro idee. Se la seconda ipotesi è quella giusta, possiamo affermare che è valsa la pena aspettare.

Prodotto da Phil Liar (Monolith Recording Studio), masterizzato presso gli studi americani di Mistery House Sound e pubblicato per Overdub Recordings, 'CVLTO' si compone di dieci tracce roventi come i gironi infernali che evoca fin dall’introduttiva “Ave”, con la quale questo sulfureo concentrato di post-hardcore e noise-rock, inizia subito a scorrere nelle viscere dell’incauto ascoltatore come un filtro che abbia il potere di mettere a nudo i demoni nascosti in tutti noi. Gli ingredienti di questa pozione malefica? Versare copiosamente nel calderone le percussioni incazzate di Angelo Del Rosso, aggiungere le linee nevrotiche del basso di Matteo Grigioni e i taglienti riff della chitarra di Daniele Ticconi e non dimenticare la fondamentale formula magica recitata, urlata e bestemmiata da un mefistofelico Francesco Foschini.

Man mano che i brani si susseguono come una raffica di pugni nello stomaco, ci si rende conto che a colpire non è soltanto la furia sonora (qualità che fortunatamente non manca nel panorama noise e hardcore nostrano), quanto la personalità del quartetto nel destreggiarsi tra reminiscenze di quel rock graffiante e al tempo stesso accessibile che ha fatto le fortune di Marlene Kuntz e Il Teatro Degli Orrori, mantenendo i piedi sempre ben piantati nell’underground e gli occhi puntati verso gente come Nerorgasmo e Negazione. Il risultato è un sound compatto, moderno e dinamico, che si mantiene sempre accattivante, nonostante la rabbia selvaggia sprigionata in “Carne”, le atmosfere cupe di “Abbandono” e la schizofrenia di “Danza come Manson”.

“Adora il cvlto, adora il cvlto” grida ossessivamente il cantante nell’irresistibile title-track, perfetta sintesi dei contenuti di un disco zeppo di riferimenti a rituali poco ortodossi che garantiranno alla band le consuete accuse di oscure venerazioni. Ma qual è il culto oggetto di tanto fervore? E che c’entra il maiale, sbattuto in copertina nell’inquietante artwork del maestro Coito Negato?

Nulla in 'CVLTO' è stato scelto per caso o al solo scopo di scatenare le ire dei paladini di presunte radici nazionali: il rapporto morboso e al tempo stesso contradditorio tra l’uomo e la simpatica bestia, quotidianamente servita sulle nostre tavole malgrado sia il simbolo per eccellenza di impurità, sporcizia e istinti animaleschi, sembra una metafora di una triste consuetudine della nostra società, ossia l’ostentazione fanatica di valori e principi puntualmente rinnegati e sacrificati sull’altare delle nostre ambizioni e dei nostri bassi istinti. Ed è forse proprio questo l’unico culto che onoriamo fanaticamente: l’ipocrisia. (Shadowsofthesun)


(Overdub Recordings - 2019)

domenica 1 dicembre 2019

Ketoret - Departure

#PER CHI AMA: Post Metal/Blackgaze
'Departure' non è altro che una prova per vedere di che pasta sono fatti gli israeliani Ketoret, pasta buona direi io. La band di Gerusalemme propone infatti tre tracce per 26 minuti di musica all'insegna di un post-metal riflessivo, impreziosito da certe venature blackgaze. Questo è almeno quanto ho potuto assaporare dall'ascolto dell'opening track "Ivy", una song che si dipana tra melodie solenni e decadenti assai simili ad una colonna sonora degna di un colossal, che solo sul finire prende le sembianze di un post-black (con tanto di screaming vocals) davvero ispirato, che non fa che aumentare la mia curiosità per questa compagine. Con mia sorpresa, l'incipit di "Box" è molto più pacato, con voci pulite che sembrano condurci in mondi alternativi (musicalmente parlando); poi sprazzi di ferocia, ma sono ancora le sonorità alternative a prevalere, prima che nuovamente la band si conceda ad un finale suggestivo all'insegna di un blackgaze sognante, che mi fa ben sperare per il futuro. E visto che ci siamo, diamo un ascolto anche all'ultima traccia, gli undici minuti di "Departure in a Heartbeat" che partono dai sussurri del vocalist che evolvono a grida di dolore su di un atmosferico tappeto di melodie soffuse che va via via crescendo fino all'esplosione di un pathos disarmante che mi lascia senza parole e per cui auspico, che quanto prima qualcuno si accorga di questi affascinanti Ketoret. (Francesco Scarci)