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martedì 16 maggio 2017

Au-Dessus - End of Chapter

#PER CHI AMA: Post Black, Deathspell Omega
Sono stato da un paio di settimane in Lituania, una terra ricca di fascino, storia e tradizioni. Ho colto l'occasione del mio viaggio per visitare un negozio di dischi: con orgoglio il commesso mi parlava delle band locali, gli Obtest, i Dissimulation e anche di questi Au-Dessus. Strano che la Les Acteurs de l'Ombre Productions abbia messo sotto contratto il quartetto di Vilnius, considerata la loro quasi esclusiva predilezione per le band transalpine. Deve esserci quindi qualcosa di assai interessante nell'estremismo sonoro di questi ragazzi, in quello che è il loro full-length d'esordio che segue progressivamente a livello di titoli, l'EP omonimo del 2015. Si parte allora con l'epica ostilità di "VI", un brano di monumentale e arioso black metal, infarcito da atmosfere sognanti, eccellenti e fresche linee di chitarra, vocals epiche, pulite ed in screaming, che mi fanno ben sperare nella qualità del disco. Una opening track tanto melodica quanto assai fuorviante, tant'è che la successiva "VII" mostra la natura bislacca dei quattro musicisti lituani che qui appaiono piuttosto come un ibrido tra il sound dissonante dei Deathspell Omega e le vocals maligne dei Mayhem, altra roba rispetto alla traccia d'apertura, ma di altrettanto caratura. Con "VIII" aumentano le scorribande in territori post black, e non solo: il sound si fa infatti più avvolgente ed ipnotico, in una song matura per stare addirittura in un disco degli Isis. La complessità ritmica va aumentando con la quarta traccia, "IX", in una malefica miscela tra black old school, punk, dilatazioni post-metal e psichedeliche divagazioni droniche, che sembrano perpetrarsi anche nella successiva e riuscitissima "X", proposte però al contrario. La traccia, la più lunga del disco coi suoi nove minuti e mezzo, parte infatti con atmosfere soffuse per poi lanciarsi in pericolose accelerazioni post tra selvaggi vocalizzi e spaventosi rallentamenti, con una seconda parte eterea quanto affascinante, a suggellare la brillante proposta della compagine lituana, che peraltro opta per un'azzeccatissima scelta a livello grafico, con il viso di una bambina con gli occhi coperti da due monete, utili a pagare lo psicopompo Caronte nel traghettare la sua anima nell'Ade. Nel frattempo il disco prosegue con le ultime due song: la darkeggiante "XI" e la mefitica "XII: End of Chapter", il giusto dirompente e schizofrenico finale, ideale epilogo per un album come questo. Bella scoperta gli Au-Dessus, aveva proprio ragione quel tizio del negozio di dischi di Vilnius. (Francesco Scarci)

(Les Acteurs de l'Ombre Productions - 2017)
Voto: 80

lunedì 15 maggio 2017

Vaiya - Remnant Light

#FOR FANS OF: Post Black
Listening to Vaiya's music has been about as rewarding as reading Milton's 'Paradise Lost'. There is an immense heap of dry atonal content that meaninglessly meanders in Vaiya's long-winded catalogue, a simple show of how many words can cover a page without catching the attention of its audience. Luckily, the man behind the band has finally created something of value and come into his own as a musician and, dare I say it, an artist. Rob Allen has shown so much potential and perplexingly thrown it away throughout this project. Years of wallowing in such unremarkable stagnation must have finally pissed him off and snapped something in this musician's mind that motivated him to strive for something better because 'Remnant Light' is finally something that works and captures the potential he had only been hinting at for years.

A one-man act from Australia, Vaiya creates some densely cloistered black metal in 'Remnant Light' that grows outwardly from its intense desperation to invigorate as it expands. Each song steps into the light after indulging the darkness it is bred in and takes a deeply personal journey that is translated into a warmer approach to black metal, but not without its own expressions of anguish through painful evolution. Finally finding focus, Vaiya finds riffs, the drums have become audible, wailing tremolos shine as cymbals crash and embrace the elaborate cacophony of real and palpable black metal rather than shoehorning words into a genre designation for a name without manifestation to back it up. The longer this album steps into the light, the higher the riffs rise, the more captivating is the atmosphere, the higher the score for this album rises, and the more this reviewer appreciates the effort and evolution this musician has gone through to achieve a worthy benchmark. Finally, a band has been born from the fetid womb of a gaseous bedchamber.

The album is split into three equal parts, each exactly thirteen minutes long. This makes for a long-winded and immersive exploration. Despite their length, each song's gradual pace is captivating and entertaining as it emerges from the maw of darkness to bask in the glow of hypnotic singing and beautiful guitar notes. The growth of “Confrontation” is best displayed in its flowering finish while “Banishment” takes wailing tremolos, upping the ante with harmonious intensity and a churning drumming backdrop that is actually audible and uses the space rather than simply fills it in. Later in the song is a fantastic moment where the ambiance of the guitars and synth march the treble notes into a grinder of drumming that gets me thinking of how Emerna layered his “Esoteric Digression”, forging a flourish from the fodder into a fleeting fortress quickly forsaken to its own fragile foundation. The general mix is more bass oriented than your average under-produced black metal release and the guitars fill this role with deeper notes thickened with reverb but in a warmer climate than what is usually expected from the European standard. The highest notes are noticed in a distant rhythm guitar quashed in so much reverb in “Transformation” that its bassy grain becomes a hypnotic meditation for the flowery highs of the lead harmony. The songs sound similar to each other, making for a cohesive thirty-nine minute ride that approaches the same sort of energy with different notes, but the structuring keeps things fresh enough as they evolve and the riffs have their stand-out moments that ensure they shy enough away from each other to forge their own paths.

Like his album's theme, Rob Allen has finally stepped into the light. Languishing in the darkness of a one man band pretentiously prostrating inanity at his audience with one hand outstretched shaking a tip can of oxidized pennies and the other hand tightly cupped around his trembling anus eagerly anticipating the next foul dose that he imbibes from his crack is a snapshot of a time that seems an age ago. 'Remnant Light' has redeemed this musician from the doldrums of barely passable mediocrity to find a man in an age of discovery, introspection, and self-realization. If this album completes Viaya's journey, it was well worth the agony of enduring so many terrible ideas to get to this high water mark. Here tears of joy can be shed as though we have made this journey together and we can rest, contented with where the path has taken us. (Five_Nails)

(Nordvis Produktion - 2017)
Score: 70

https://nordvis.bandcamp.com/album/remnant-light

Repetitor – Gde ćeš

#PER CHI AMA: Alternative/Post Punk, Sonic Youth
Ci sono voluti piú di quattro anni, ai “Sonic Youth serbi”, per dare un seguito al fortunato 'Dobrodošli Na Okean', di cui parlammo ai tempi anche da queste parti. Da allora i tre ragazzi hanno macinato migliaia di chilometri in giro per l’Europa, su e giú dai palchi, sviluppando un’intesa e una resa nell’impatto sonoro che risultano evidentissimi in questo loro nuovo album, come sempre dato alle stampe dall’ottima Moonlee Records. 'Gde ćeš' non perde un briciolo dell’aggressività del suo predecessore, anzi è ancora più cattivo e intransigente nel coniugare le dissonanze dei Sonic Youth più diretti, certe strutture conturbanti dei Nirvana di 'Bleach', il protopunk degli Stooges e certi umori fuzz alla Dead Moon. La lingua serba è affilata e respingente almeno quanto il suono delle chitarre del terzetto, e sembra fatta apposta per questo punk rock strafottente e ultracompresso, tra l’indolenza un po’ svogliata di Ana Marja, sorta di Kim Gordon balcanica e l’aggressività carismatica di Boris. I brani sono potenti, le chitarre sono in grado di staccare la vernice dai muri e non fanno nessuna facile concessione, il basso di Ana Marja martella asciutto mentre Milena dietro le pelli sfodera una prestazione davvero ragguardevole. Rispetto al passato si registra un generale ispessimento del suono, evidente soprattutto nella seconda parte della scaletta, spezzata in due da “Crvena”, la traccia più particolare del lotto col suo incedere solenne e declamatorio proprio di certi Swan. Un album coraggioso, che non cerca facili ammiccamenti alla ricerca di un consenso più ampio ma che sembra quasi respingerlo, rifugiandosi dietro un muro di suono ansioso e violento. Chapeau. (Mauro Catena)

(Moonlee Records - 2016)
Voto: 75

https://repetitor.bandcamp.com/album/gde-e

sabato 13 maggio 2017

Cowards - Still

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Ottima uscita per i Cowards che si confermano una delle realtà hardcore metal più oscure e affascinanti del panorama francese. Solo 19 minuti in questo EP per puntare ad un infuso al veleno che contiene sfuriate hardcore, sludge, schegge di black metal alla Deathspell Omega e sentori malatissimi di rabbia e ribellione, racchiusi in un contenitore di tecnica e composizione visionaria estrema. La voce è una sciabola che semina fendenti ovunque, mentre la musica, tra rasoiate ed energia nera, sostiene un concetto di hardcore evoluto e dal sottoscritto anche assai ben voluto con punte di noise e colori black che si sposano a puntino, una sorta di maestoso Breach e Cursed sound estremizzato e riadattato come in uso ai giorni nostri. I primi tre brani, "Still (Paris Most Nothing)", "Let Go" e "Like Us" volano distruttivi e feroci sulle ali della velocità e del rumore più piacevole per lasciare posto a due rivisitazioni in stile puramente Cowards. La prima "You Belong to Me" dovrebbe essere la rivisitazione di "Every Breath You Take" dei Police e se qualcuno riesce ad individuarne qualcosa batta un colpo. La seconda, "One Night Any City" vorrebbe essere "One Night in NYC" dei The Horrorist ed anche qui vi sfido a riconoscerla perché per me potrebbe essere tranquillamente un fuori onda dei Killing Joke epoca 'Democracy'. Comunque ottime interpretazioni entrambe che si sommano egregiamente all'intero lavoro, mantenendolo costante ed omogeneo nel drammatico suono e nel drastico, splendido concetto musicale del combo transalpino, che dopo il buon full length del 2015, 'Rise to Infamy', ci delizia con una nuova uscita targata Dooweet, uscita sul finire del 2016. Copertina poi dall'artwork fantastico, una costante per i Cowards... Spettacolare! (Bob Stoner)

(Dooweet - 2016)
Voto: 85

https://cowardsparis.bandcamp.com/

Mils - We Fight/We Love

#PER CHI AMA: Electro Rock
Il nuovo mini-cd dei francesi Mils si presenta subito bene: copertina bianca con immagine in tonalità blu-rosse rappresentante un lascivo bacio saffico, con tanto di lingua in bella vista. Non male per riassumere graficamente il sound dell’ensemble transalpino. I nostri infatti propongo un sound accattivante e moderno, un rock elettronico molto trascinante e altrettanto catchy. A farla da padrona è la voce della cantante, tratto distintivo della band che, energica e potente, ci trascina lungo i cinque brani di questo 'We Fight / We Love'. A dire il vero la seconda traccia è per lo più cantata da una voce maschile (di tale Duja), che solo nella parte finale del brano s'interseca con la timbrica femminile. Il prodotto in questione sicuramente si presenta bene anche dal punto di vista sonoro, le chitarre sono abbastanza taglienti e definite e soprattutto il manto elettronico-tastieristico è molto deciso e preponderante nel sound dei nostri. L’opener “Come Home” ben si pone all’inizio del lavoro, essendo la canzone più compatta, diretta e no-frills del CD. “No Body” invece è una power-ballad piuttosto tradizionale nel mood e nella struttura, dove la voce maschile pare ben collocata, sebbene la pronuncia dell’inglese non brilli in particolar modo. Il terzo brano, “Escape”, riassume bene la proposta dei nostri, con struttura serrata, voce decisa, a tratti ossessiva ed ampio respiro. La band ne ha tratto anche un interessante videoclip che vi invito a cercare. Si continua poi con "Strange Night", che a mio avviso è il brano migliore dei cinque. La voce si fa a tratti più rilassata e profonda, e da questo scaturisce una canzone molto lirica ed emozionale, che davvero si stampa nella teste e nelle corde più umorali dell’ascoltatore. Il tutto si chiude con l’ultimo pezzo “Casus Belli”, breve e diretto, che ben circoscrive quanto iniziato con “Come Home”. Senza dubbio alcuno la band si fa apprezzare ed emerge per coinvolgimento dell’ascoltatore e per accuratezza e labor lime nella composizione. Per sviluppi futuri spero i Mils diano maggiore risalto ai mid-tempo e ai rallentamenti atmosferici. Nelle parti più riflessive sanno infatti colpire l’animo e alzare l’asticella della loro già complessivamente buona proposta musicale. Il finale di “Come Home” è in questo senso emblematico di quanto possa emozionare questa band. (HeinricH Della Mora)

venerdì 12 maggio 2017

Elm - S/t

#PER CHI AMA: Noise Rock, Melvins, Jesus Lizard
Non è difficile immaginare cosa devono avere pensato alla Bronson, quando hanno ascoltato per la prima volta il demo di questi misteriosi ELM, che sulla loro pagina bandcamp attestano la loro provenienza da una non meglio identificata zona del Texas. Di sicuro devono essere sobbalzati sulle loro sedie, spettinati dall’impatto di questi 16 minuti carichi di feedback e distorsioni parossistiche. Un concentrato di suggestioni AmRep ed echi delle più devastanti band del panorama noise rock a stelle e strisce, come Melvins, Cows, Scratch Acid, Jesus Lizard, Usane, ma anche Helmet e Butthole Surfers, il tutto registrato nel bagno di servizio di un qualche drugstore in mezzo al deserto, con mezzi di fortuna e tutte le manopole fisse sull’undici. Probabilmente, o almeno così mi piace pensare, la decisione di metterli sotto contratto è arrivata ben prima di scoprire che in realtà la band arriva dalla provincia di Cuneo, tale e tanta l’urgenza sprigionata in queste registrazioni. E così hanno dato alle stampe questa cassetta (poteva esserci supporto più appropriato?) di cinque pezzi e lanciato gli ELM sui palchi dove chi li ha visti ne ha parlato in modo lusinghiero. Nelle note che accompagnano questo esordio si parla di canzoni che raccontano storie di “solitudine, abiezione, rabbia, raccontate usando linguaggio e immagini proprie dell’American Bible Belt, terra di predicatori ossessionati e squallido moralismo, culla di irredimibili perdenti”. Per il momento andiamo sulla fiducia anche perché i testi, immersi in un mare di distorsioni, sono difficilmente intellegibili, e ci accontentiamo, si fa per dire, della potenza sprigionata dai riff di brani come "Scum", "King of Mormons" e "Lyndon", da chitarre che lacerano come seghe arrugginite e una sezione ritmica implacabile, ma rimaniamo in attesa del loro primo lavoro sulla lunga distanza che, a quanto pare, è in fase di registrazione. Urticanti e scurissimi. (Mauro Catena)

(Bronson - 2016)
Voto: 70

https://elmcult.bandcamp.com/releases

mercoledì 10 maggio 2017

Haunter - Thrinodia

#PER CHI AMA: Black/Sludge/Crust, Deafheaven
Direttamente da San Antonio (Texas), ecco arrivare gli Haunter, band attiva dal 2013 ma che giunge al debutto solo nel 2016 con questo 'Thrinodia'. L'album, che include sette tracce, è un riottoso concentrato di sonorità black death contaminate, ove le danze sono aperte da "Perinatal Odium Dilute", una song abrasiva per suoni e produzione, e in cui a mettersi in luce sono sicuramente le vocals maligne del frontman Bradley Tiffin, accompagnate da un riffing stralunato che si fa più dissonante e controverso nella successiva "Untitled", brano psicotico che mischia le linee disarmoniche in stile Deathspell Omega con il crust, per una proposta di sicuro particolare, soprattutto perché in questo tripudio di caos primordiale, si scorgono anche delle venature dai tratti progressivi. Peccato che le sonorità siano un po' ovattate, sicuramente una produzione più cristallina avrebbe giovato nella percezione di alcuni particolari musicali, ma ovviamente ne avrebbe anche perso buona parte di quella genuinità di fondo tipica delle produzioni DIY. E quel sound catramato si ritrova anche nella corrosiva "Shrouded Moor", traccia violenta, caustica, in cui il black diventa punk e il punk diventa black metal, in un incedere di sicuro minaccioso. Si corre sui binari di un post black frenetico con la breve "Vial", ove il sound è fondamentalmente sovrastato dalle schizoidi scorribande di blast beat e riff allucinati, che ritornano anche nella convulsa dinamicità di "Thus My Undertaking, To Reject Stagnation, and to Liberate Fervency", song che fortunatamente ha da offrire anche un lungo break post rock che rompe la forsennata frenesia ritmica del terzetto texano, in un finale ondivago tra sludge e black. C'è ancora tempo per fare male, con le ritmiche tiratissime (e un filo melodiche) di "Apnoeic (Polarized in Retrospective Contempt)", track che vanta comunque un epilogo che nelle sue dilatazioni soniche, richiama nuovamente il post rock, un po' come quanto fatto dai Deafheaven, in una versione qui più urticante. Pronti per il gran finale? La title track è una traccia di oltre 14 minuti, in cui il trio convoglia tutte le combinazioni ritmiche fin qui apprezzate in un deragliamento sonico feroce, tra screaming sguaiati, chitarre al fulmicotone, break acustici prendi fiato e una baraonda infernale a livello di batteria. Che altro dire, se non di avvicinarvi con cura a 'Thrinodia' e a questi diabolici Haunter. (Francesco Scarci)

(Red River Family Records - 2016)
Voto: 70

https://hauntertx.bandcamp.com/album/thrinod-a

martedì 9 maggio 2017

1476 – Our Season Draws Near

#PER CHI AMA: Indie/Post Punk/Neofolk
Dei 1476 siamo stati tra i primi, in Europa, a parlare, all’epoca dell’uscita del loro secondo album 'Wildwood', accoppiato all’EP acustico 'The Nightside', e all’epoca li definimmo come uno dei segreti meglio custoditi dell’underground americano. Finalmente qualcuno se n’è accorto, per la precisione l’ottima label tedesca Prophecy Productions, che lo scorso anno ha ristampato i lavori, inizialmente autoprodotti, della band di Robb Kavjian e Neil DeRosa. Non è mai bello vantarsi delle proprie scoperte, dire “L’avevo detto io…” con aria saccente e compiaciuta, però è indubbio che faccia piacere vedere una band di cui si era parlato con toni più che positivi più di quattro anni prima, raggiungere ampi e diffusi consensi una volta promossi come si deve da un’etichetta competente. E allo stesso modo non è bello poi, girare la faccia dall’altra parte davanti ad un nuovo disco pubblicato dalla nuova etichetta, dicendo che “erano meglio prima”. Per cui eccolo qui, 'Our Season Draws Near', un disco atteso come pochi altri ultimamente, e che vale ogni giorni passato ad aspettarlo. Rispetto al decadentismo un po’ naif (ma anche tanto affascinante, va detto) delle release precedenti, questo è un album asciutto e rigoroso, che abbandona ogni sovrapproduzione e si concentra sul suono delle chitarre e della batteria, ora acustico e sussurrato, ora ruggente e aggressivo, in un’esasperazione dei contrasti che, alla fine, è il tratto distintivo della band del New England. È evidente il miglioramento a livello di produzione, che ha permesso ai 1476 di esplorare un nuovo lato della loro natura, evolvendo definitivamente dall’art rock degli esordi in un ibrido tra canzoniere gotico americano, una certa wave scura e selvaggia e metal estremo che non ha effettivamente termini di paragone al giorno d’oggi nel panorama internazionale. Provate a pensare, se ci riuscite, a una fusione tra 16 Horsepower, Death in June, Agalloch, Gun Club e, chessó, Iced Earth, e forse vi avvicinerete all’effetto finale. Non è facile descrivere certe tracce, ma la sequenza "Solitude (Exterior)" – "Odessa" – "Sorgen (sunwheels)" - "Solitude (Interior)", col suo alternarsi tra atmosfere acustiche e muri di suono, dolcezza ed improvvise accelerazioni che conducono ad un saliscendi emotivo davvero incredibile, è una cosa che vale intere discografie. La voce di Kavijan si conferma una delle più particolari ed emozionanti sulla piazza, e marchia a fuoco 10 canzoni (11 nella deluxe edition) che sono forse meno immediate al primo impatto rispetto al passato, ma che crescono in maniera costante e inesorabile ad ogni ascolto, disegnando i contorni di quello che si configura come un grande classico, un disco con cui dovremo tutti fare i conti alla fine dell’anno e negli anni a venire. (Mauro Catena)

(Prophecy Productions - 2017)
Voto: 85

https://1476.bandcamp.com/album/our-season-draws-near