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mercoledì 16 dicembre 2015

Appollonia – Dull Parade

#PER CHI AMA: Postcore/Post Grunge/Psichedelia
Ci arriva con un sensibile ritardo questo splendido quarto album, pubblicato nel 2014, dalla band transalpina degli Appollonia, act proveniente da Bordeaux e attivo fin dal 2005. La maestria accumulata in anni di note e sudore, si sente tutta e si mostra alla grande nella sapiente modalità compositiva del trio, nella classica veste rocciosa di basso, chitarra e batteria. Una scrittura musicale completa, capace di creare un potente heavy/rock dalle tinte forti e psichedeliche alla stessa maniera, una vena metal moderna e revisionista come potrebbe essere considerata quella degli ultimi album dei mitici Mastodon, anche se qui la componente progressive è meno evidente e lascia posto ad una vena di pesante rock coperta di delicate e allucinate escursioni in tinta post-core. In realtà gli Appollonia, che già avevo avuto piacere di recensire nel buon precedente album, mostrano un ulteriore passo in avanti, affilando le proprie armi in un sound corposo, suonato divinamente, che non esaspera mai le sue influenze, e che alla fine risulterà potentissimo e intricato al punto giusto, mescolando egregi granitici riff metallici e cori hardcore con una cadenza post grunge devota al suono di certi lavori degli ultimi Alice in Chains. Una punta di leggerezza che caratterizza tutti i brani, ricavata da una verve indie/neo prog/psichedelica molto cara ai visionari Mercury Rev e ai polacchi Riverside. Il risultato è inspiegabile per una band con un simile impatto e la resa dei brani è impressionante. La solidità delle composizioni e la bellezza delle parti cantate a più voci è a dir poco perfetta, affascinante, orecchiabile, in grado di dare un valore aggiunto inestimabile, un'originalità incantevole senza l'obbligo di dover per forza suonare come qualcosa di nuovo. Lo scorrere dei brani è fluido, coinvolgente ed anche la scelta di trascinare l'ascoltatore in una scaletta che parte dalle tracce più potenti per finire dolcemente sulle ultime due tracce, "Anelace" e "Welsh Rarebit", animate da un puro spirito rock più moderato e psichedelico, è simbolo di padronanza estetica e maturità compositiva ormai raggiunta, vicina alla totale perfezione. La cosa sconvolgente è che dietro ad un album del genere ci sia poi un'ottima produzione indipendente e che ancora dopo dieci anni di attività, una band simile non sia stata acclamata dalla scena musicale internazionale. La Francia si dimostra ancora una volta fabbrica eccezionale di talenti musicali e gli Appollonia meritano tutta la nostra ammirazione e il massimo supporto. Album da sogno! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 90

Of Spire and Throne – Sanctum in the Light

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Carattere oscuro e personalità da vendere, passione e tenebrosità. Una musica schiva, intensa per questo primo full length della band scozzese degli Of Spire and Throne, un album carico di luoghi comuni del doom ma allo stesso tempo ricco di fascino e mistero, trascinante e a suo modo fantasioso, che coglie lo spirito eterno del suono Sunn O))) e lo rielabora in una forma più accessibile, più rock, che riprende i canoni usuali del doom e li rilegge con una tetra sensibilità da far impallidire anche l'ascoltatore più esigente. Proprio qui sta la forza della band di Edimburgo, riuscire ad essere personali ed interessanti con cadenze tipiche del funeral e rallentamenti ipnotici, aperture epiche ed atmosfere infinite dal sapore di epoche antiche, primordiali. Brani interminabili, voce maligna, con esplosioni inaspettate ed evoluzioni curate, un certo gusto cinematico e una esasperata, deliziosa pesantezza, mai forzata né arrogante, sempre in equilibrio, paragonabile solo al capolavoro 'As Heaven Turns to Ash...' dei Warhorse, una genialità seminale, inesorabile, devastante e "Upon the Spine" ne è la prova, un brano stupendo. Sono quattro le tracce dalla durata interminabile che in totale sfiorano l'ora di musica, eppure tutto scorre tranquillamente in un ascolto vario ed impegnato tra impennate lisergiche, atmosfere drammatiche, drone, sound granitico e cadenza rallentata. La produzione è impeccabile e si vede che i quattro musicisti scozzesi ne hanno fatto di strada dal 2009, ad oggi. Le numerose fatiche fatte a suon di demo, split ed EP hanno dato frutto a questo gioiellino sotterraneo indipendente, distribuito in cd dalla Aesthetic Death Records, in cassetta e vinile rispettivamente dalla Tartarus Records e dalla Tatterdemalion Records. 'Sanctum in the Light', ossia il fascino luminoso dell'oscurità, un album perfetto! D'obbligo l'ascolto per gli amanti del genere. Splendido lavoro! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2015)
Voto: 90

sabato 12 dicembre 2015

Nono Cerchio - Ombre

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal strumentale
Il primo album dei Nono Cerchio è uno di quei lavori in cui ti imbatti tanto casualmente quanto ti lascia di stucco già dopo pochi minuti, ma partiamo dal principio. Il trio nasce a Bologna nel 2013 e vede coinvolti Francesco D'Adamo (Nero di Marte), Andrea Burgio (Nero di Marte, Miotic) e Jonathan Sanfilippo (Caffè dei Treni Persi), quindi musicisti di grosso calibro del panorama musicale nazionale. Da subito la loro idea era di fondere il proprio bagaglio artistico per dare alla luce ad un progetto post rock strumentale, con grosse influenze prog e ambient. Il mix è oscuro, complicato e affascinante come non mai, infatti le sei tracce vi accoglieranno tra le loro lunga braccia e vi trasporteranno in quel posto recondito in fondo al vostro cervello, dove le sinapsi brillano e pulsano come esseri bioluminescenti. "Cocito" metterà subito alla prova le vostre difese mentali e vi avviso che l'unico modo per apprezzare la musica dei Nono Cerchio è l'abbandono totale. Quasi undici minuti di intrecci strumentali, dove batteria-basso-chitarra vi racconteranno una storia che evolve costantemente in una profusione di riff, feedback, delay e ogni altro suono etereo che può essere generato da uno strumento fisico. La classica struttura strofa-ritornello-break viene sbriciolata per non rimanere incatenati ad alcun cliché che limiterebbe l'espressione artistica del trio bolognese. Vi troverete avvolti da un'inquietante atmosfera che non farà altro che accrescere il vostro stato di ansia, con suoni che sembrano unghie su una lavagna o lame che stridono sul vetro, ma un secondo dopo l'esplosione vi annienterà. Tutto grazie a una chitarra distorta, un basso profondo e ad una batteria simile ad un bisturi da quanto è precisa e perentoria. Pochi secondi di vuoto e poi arriva "La Porta Cremisi", un'intro sostenuta da una batteria dai suoni talmente realistici che sembra di averla li in salotto appoggiata sul tappeto buono. La ritmica è intrecciata, complessa e poco a poco, basso e chitarra si appoggiano alla stessa per iniziare a raccontare la loro storia fatta di riff sinuosi e umidi. Il breve break permette un attacco più incisivo, carico e di nuovo il drumming fantasioso conduce i giochi, tra rullate velocissime e tocchi da maestro. Atmosfere liquide e degne di un film di Lynch, semplicemente perfette. "La Caduta" ricalca l'approccio delle precedenti tracce, con una continua iperbole di arrangiamenti fatti di arpeggi delicati di chitarra che si infervorano e portano all'esplosione totale che non ha in realtà mai un vero picco, ma si configura come un saliscendi continuo, con intermezzi noise ed ambient che farebbero ammalare qualsiasi mente equilibrata. Una musica che scrosta la patina di finzione che ricopre la vita di tutti i giorni e porta alla luce i nervi tesi, il sudore e i denti che digrignano in silenzio. "Ombre" è il post rock portato ai massimi livelli, quello introspettivo che non cede alla depressione, anzi sfrutta le debolezze dell'animo umano per scandagliarne le profondità e cogliere ogni singola sfumatura. Immaginate i Vanessa Van Basten redivivi e incazzati, o i Giardini di Mirò che si scrollano di dosso la polvere del pop. Se questa è la musica italiana underground, impegnata e alla continua ricerca del fuoco artistico, mi tengo stretto questo cd e a tal proposito, cercatevi putr la XXXIII Limited edition e cominciate a sbavare. (Michele Montanari)

Morphing Into Primal - Collateral

#FOR FANS OF: Melodic Death Metal, Planet Rain
The Spanish Melodic Death Metal act offers up album number two here, and it’s quite a decent offering a more modern-day melodic death metal with some very enjoyable elements found within. Basically taking the main route that the almighty chug riff is the dominating factor in here, there’s very little else on display throughout here as the band tends to whip through the material quite easily. With these chugging riffs keeping the material for the most part up-tempo and enjoyable, providing this with some intensity as it rages along at a mostly mid-tempo pace that will occasionally kick up into a minor gallop but for the most part dropping down into a series of swirling rhythms and loud, ringing melodic leads played over the top of the weak, shrieking vocals that manages to constitute the majority of Melodic Death Metal these days. In a nutshell, that along harms the album more than anything else, for its’ certainly decent enough when it lets loose but the vast majority of the running time is spent in slower, overly-familiar areas that aren’t really that original or emphatic enough to really rise this up a whole lot despite the seeming competence on display. It’s really more a factor of the band not really doing much of anything extra impressive throughout here to really differentiate with its rhythms and riff-work, which is the main stumbling factor. For the most part, the songs aren’t that bad. Intro ‘When the Evil Wears Gold’ offers furious razor-wire riffing and frenetic tempos with dexterous drumming along the scorching melodic leads and the more up-tempo rhythms that continue along the jagged solo section that continues on into the dynamic finale that makes for a solid starting point. ‘Karma’ features a simple chugging riff with mid-tempo melodic leads flowing through the slow, stuttering rhythm with simple patterns and low-key moments with the minor solo section bringing more urgent intensity into the charging final half for a decent if not altogether thrilling effort. ‘Until You Can Fly’ goes for a similarly simple chugging riff but offers more dynamic melodic leads as the more intense drumming blasts bring the blazing melodic leads into fine fashion with the more technical riffing flowing throughout the strong solo section into the melodic finale for a pretty strong and enjoyable effort. The overall bland ‘My Demons' Words’ starts with a melodic keyboard riff into a steady mid-tempo charge that keeps the hard-hitting chugging on full-display with a melodic tinge offered here with the straightforward riffing that delves into more fervent melodic realms on the solo section in the final half for an overall disappointing and wholly bland effort. Making up for that last effort, ‘Out of the Blue’ launches forth with swirling rhythms and generally more intense melodic leads with plenty of fine rhythms bouncing along at a fine mid-tempo pace as the varying tempo changes fire away into the scorching melodic solo section with the melodic rhythms carrying through the finale for a decent if unspectacular effort. Instrumental ‘Road 317’ offers a simple acoustic guitar strumming away on a one-note performance throughout for a fine mid-album break before segueing into the vicious ‘Bucle’ features rapid-fire drum-blasts and plenty of frantic razor-wire riffing that allows the rather intense mid-tempo chugging rhythms to take over after swirling and diving through the intense solo section with plenty of bombastic drumming running throughout the blistering tempos of the final half for the album’s best song overall. ‘She...incomplete’ continues with more up-tempo chugging and fine melodic leads that bring forth the intense melodies alongside the urgent chugging rhythms that keeps the second half’s tight pace in line through the solo section with the mid-tempo melodies continuing through the final half, making for a solid effort overall. ‘Inhumano’ charges along at a frantic pace with intense swirling riffing and blasting drumming carrying through an urgent, intense series of rhythms diving along at frantic tempos with frantic melodic rhythms running along the intense solo section as the chugging leads into the frantic finale for another strong effort. Lastly, ‘Throne of Two Lands’ blazes through intense razor-wire riffing and dexterous lead rhythms through utterly frantic tempos scorching with melodic leads with a stuttering drop-off into a simply bland mid-section break that kicks back into the more frantic tempos back into the strong melodic leads of the final half for a great ending note here. It’s really just the one main issue here holding this one back. (Don Anelli)

The Wankerss - Blackborn

#PER CHI AMA: Punk Rock
Padova è un'altra provincia ad alta concentrazione di band, questo a conferma che la musica è in ottima salute. Il quartetto dei The Wankerss, composto da Micke Lafayette (voce e chitarra), GG Rock (chitarra), Syracuse Hewitt (basso) e MC Memphis (batteria), ci riprova dopo il primo album 'Tales for a Sweet Demise' lanciato ormai cinque anni fa. Per loro infatti 'Blackborn' rappresenta la rinascita, un nuovo inizio che a leggere la presentazione dell'album sembra un percorso obbligato che la band ha dovuto prendere come unica alternativa per dare un senso alla strada fin'ora percorsa. Lasciamoci alle spalle questo oscuro manifesto ed addentriamoci nella musica dei nostri, un punk rock (o meglio death punk come loro stessi dicono) rude e veloce come vuole la vecchia scuola, ma impreziosito da cambi puntigliosi, potenza quanto basta e sonorità moderne. "And the Legion Goes..." è la opening track, una tirata di ben quattro minuti e mezzo, considerando che il genere predilige brevi excursus, dove salta all'orecchio la potenza del vocalist e della sezione ritmica. Non aspettatevi quindi il classico punk furioso degli anni che furono, con la batteria sempre dritta e quattro accordi ripetuti all'infinito, la band qui arricchisce il brano con assoli in stile Slash, sovraincisioni e cori, per cui alla fine 'Blackborn' si caratterizza per una ridotta velocità di esecuzione che permette di ricamare varie linee melodiche e arrangiamenti rock. C'è spazio perfino per le tastiere che aiutano nei cambi di direzione della traccia con un tappeto di string/pad. Un bel brano, carico ed eseguito con perizia ed esperienza. L'accelerazione finale chiude poi in bellezza; magari non rischiamo di strapparci i capelli per l'originalità, ma la band fa comunque il proprio dovere. Qualcosa cambia in "27 Miles Behind Enemy Lines", ove il sound è ancora più oscuro, la voce esplode e i riff di chitarra danno una sferzata di aria fresca, infrangendo la barriera del punk. Dopo queste tracce mi domando perchè definirsi con questo genere visto che si le song viaggiano a tavoletta, ma il punk ha ben altri canoni e nel caso dei The Wankerss mi sembra alquanto riduttivo. "Geminaìs Drowning" è il pezzo che mi ha catturato maggiormente: in solo settantadue secondi, la band patavina tira fuori un intermezzo oscuro, tra il doom e lo sludge che viene spezzato da una linea melodica di tastiere oniriche. Una divagazione che spero non sia solo il frutto di una jam in studio, ma che nasconda un seme veramente oscuro pronto a germogliare se ben curato. L'ultimo pezzo del quartetto è un mix che sfrutta anche passaggi hardcore, metal e quant'altro, per trasmettere il subbuglio emotivo dei suoi componenti, che sgomitano e si agitano sentendosi a proprio agio nei quattordici brani incisi discretamente per la Jetglow Records. Buona la prova dell'ensemble veneto che in alcuni tratti si trova legata a doppia corda ad alcuni canoni inflazionati, ma che sente il bisogno di una conferma dal pubblico per poter osare di più. Personalmente avete la mia benedizione, avete le palle, quindi osate e sarete ricompensati. (Michele Montanari)

(Jetglow Recordings - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/THE-WANKERSS

mercoledì 9 dicembre 2015

VI - The Praestigiis Angelorum

#PER CHI AMA: Avantgarde Black Metal, Deathspell Omega, Blut Aus Nord
La Agonia Records è un portento! Ha una capacità fuori dal comune di immettere nel mercato band dalle potenzialità incredibili, proprio come il trio francese denominato semplicemente VI. La band parigina, formata da componenti di Antaeus, Aosoth e The Order of Apollyon, è straordinaria nel ripercorrere le linee tracciate dai maestri Blut Aus Nord e Deathspell Omega con la stessa classe e fantasia, la stessa ricca composizione dove i brani si evolvono in senso progressivo senza mai dimenticare la furia violenta della fiamma originaria che diede inizio al genere black metal. Il versante transalpino con questa uscita si riconferma scena originalissima e prodigiosa, carica di sostanza e capace di vivere autonomamente, proprio come questo album che passo dopo passo ti incolla allo stereo senza mostrare pietà verso l'ascoltatore. Il trio suona velocissimo, claustrofobico, velenoso ma allo stesso tempo intenso ed evocativo; grazie a una chitarra geniale, si ha la tipica sensazione astratta del black metal d'avanguardia, quel confine labile tra malinconia, follia e ribellione. Gli stacchi nervosi, gli arpeggi distorti dal sapore apocalittico e le dissonanze, modellano le sfuriate al vetriolo in maniera tale che l'intero disco, di ben quarantaquattro minuti, sia una sorta di film devastante a livello emotivo con brevi ma continui cambi di scenario. L'iniziale "Et in Pulverem Mortis Deduxisti Me" non lascia scampo e si finisce in adorazione di una sei corde che fa degli accenti stralunati e dei riff dissonanti le sue armi più letali, una chicca stilistica che si ripete in "Una Place Parmi Les Morts" e che relega la figura del cantante e chitarrista INVRI a leader indiscusso ed insostituibile del progetto. Una sezione ritmica di tutto rispetto ed una produzione calda e reale, li rende super appetibili e facile preda di fans intransigenti, incalliti ammiratori di Forgotten Tomb, Virus, Arcturus, Deathpsell Omega oppure di Pale Chalice. 'The Praestigiis Angelorum' è un colosso sonoro in continua evoluzione, un'esposizione molto personale del black più estremo, una reinterpretazione intelligente e una prosecuzione degna di nota di quello che i maestri oscuri francesi (Blut Aus North e Deathspell Omega su tutti) hanno insegnato fino ad oggi. Ascoltatevi "Il Est Trop Tard Pour Rendre Gloire..." dove il titolo rispecchia perfettamente la trama sonora: affascinante, buia, drammatica e violentissima. Otto tracce divine! Un piccolo gioiello oscuro! (Bob Stoner)

(Agonia Records - 2015)
Voto: 90

martedì 8 dicembre 2015

Martin Nonstatic – Granite

#PER CHI AMA: Ambient/Elettronica
Sono convinto che l'autore olandese di questo splendido album, uscito nel 2015, sia stato colpito nel profondo (come riporta nel booklet interno al suo digipack) dalle atmosfere colte in un viaggio attraverso la nazione austriaca, tra natura e riscoperta del proprio essere, esattamente lo spirito che serve per affrontare un lavoro simile. 'Granite' è un album mastodontico creato ad arte in una forma spettacolare nata per ipnotizzare, aumentare la ricerca della propria esistenza tramite suoni, rumori, umori e ritmiche raccolte dalla natura e fatte evaporare nello spazio libero, mirate all'introspezione, dimenticando la banalità di una vita metropolitana, sfruttando la tecnologia moderna per creare arte senza tempo né spazio. Il suono in hi–fi è d'obbligo, quindi tra bassi profondissimi d'ispirazione dub, tecno e drone music, vediamo intercalarsi retaggi mistico/estatico di Kitaro e tribalità minimal alla Seefeel. Una musica elettronica variegata divisa a metà tra anni novanta e duemila, la dinamica sonora dello stupefacente esperimento musicale firmato John Fox e Luis Gordon ai tempi di 'Crash and Burn' in veste ambient e votata all'atmosfera più riflessiva, nessuna traccia di frenesia e senza dimenticare quanto sia importante la figura del Ryuichi Sakamoto dei momenti più intimi, almeno come fonte d'ispirazione. Album prodotto divinamente con un piede nell'orecchiabilità ed uno nella struttura complessa, ricercata e proiettata verso un ascolto impegnato e mai ostico. Dodici tracce per una durata consistente di circa settanta minuti di pura evasione mentale, un album ispirato e colto per menti libere da preconcetti sonori, proseguo ideale in chiave ambient della via illuminata dalle divinità Tim Hecker e Tosca. Ennesimo gioiellino rilasciato dall'ottima etichetta francese Ultimae Records. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2015)
Voto: 80

Lachrymose – Carpe Noctum

#PER CHI AMA: Dark/Doom, Nightwish, Candlemass
Una campana a morto scandisce lentamente l'incedere di una spettrale atmosfera. “Precipice Of Bliss”. La notte cala. E con la notte i Lachrymose si destano, presentandosi nella seconda traccia “False God” con un intro in pieno stile doom. Il tempo cresce e viene lasciato spazio alle lyrics. È a questo punto che veniamo colpiti dall'inaspettato cantato della vocalist Hel, con una vera e propria impostazione lirica che ricorda le vecchie vocals di Tarja nei primi Nightwish, anche se le materie sono decisamente differenti. I greci Lachrymose, in questo primo lavoro, si muovono in direzione death/doom, grazie sicuramente alle influenze apportate dai due fondatori Blackmass (guitars) e Mancer (drums), già attivi nei Rotting Flesh, prima di prendere parte nella formazione dei Lachrymose, che si completano poi con la già citata Hel e il bassista Kerk. Il disco prosegue sulla strada intrapresa già nel prologo, senza troppi sconvolgimenti e senza uscire dagli schemi. Buona la prova offerta dai nostri nel brano “My Shadow”: con i suoi 8 minuti sfora leggermente dal minutaggio medio, intro e outro sono dominati dal basso, mentre nel mezzo si articola un brano dalle cupe sfumature, sostenuto da un buon lavoro di chitarre. Piacevoli risultano anche la title-track, in cui il tempo si abbassa e il riffing incessante della sei corde ci accompagna fino alla fine, ed anche la più death oriented “In a Reverie”. Questo pezzo vede la partecipazione speciale di Thomas Vickstrom, già in forze agli svedesi Therion. La sua impostazione operistico/teatrale, impiegata nel duetto con Hel (a cui si aggiungerà poi anche il growling viscerale di Blackmass), contribuisce notevolmente alla buona riuscita di questa song, apportandovi un tocco di particolarità allo stile dei nostri. L'ultimo pezzo prima della conclusione strumentale è affidato a “Thyella”, che insieme al precedente, rappresenta uno dei brani meglio riusciti in questa prima fatica della band ellenica. Nel complesso il debut è sufficiente ma i Lachrymose potrebbero dire sicuramente di più, sfruttando al meglio le proprie peculiarità (in particolare la voce di Hel) e garantendo una maggior cura a particolari e sfumature (che fanno risaltare brani come i già citati “My Shadow” e“In a Reverie”). Questo garantirà alla band greca di non uniformarsi e non cadere nella monotonia, come purtroppo accade in alcuni passaggi di 'Carpe Noctum'. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Pure Steel Publishing - 2015)
Voto: 65