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venerdì 28 marzo 2014

Enthroning Silence – Throned Upon Ashes of Dusk

#PER CHI AMA: Depressive black metal, Burzum, Yayla, Coldworld
La band piemontese attiva discograficamente sin dal 2002, interrompe un silenzio lunghissimo rimettendosi in pista con questo lunghissimo e drammatico album, datato 2013 e licenziato via Dusktone. Alfieri del genere depressive black metal, i nostri non si smentiscono e sfornano un album catatonico, malato, depressivo e colto al punto giusto. Chitarre dissonanti, zanzarose ed echi lontani di ritmiche aggressive, la voce in presenza sporadica e di cupo effetto, un'alchimia estraniante ed un sostrato di effettivo rifiuto del mondo così come lo conosciamo; sei pezzi che oscillano tra gli otto e i quattordici minuti racchiusi in un artwork dalle sembianze deliziosamente tetre. Un forte aspetto psicologico governa questo tipo di musica, una via di liberazione attraverso le lande del dolore infinito, la ricerca del vuoto che permette di creare qualcosa. Alla base di tutto questo si celano gli insegnamenti del più isolazionista Burzum ma anche di realtà diverse e meno famose ed altrettanto intriganti come Yayla o i Coldworld, anche se qui, a differenza delle composizioni della band tedesca, l'elettronica non c'è e nemmeno l'ambient. Certamente coesiste una matrice atmospheric black che accomuna questi progetti così diversi. Il sound è alla deriva del miglior black sotterraneo e non mostra compromessi presentandosi come un lungo funereo cammino di riflessione, carico di delusione e rammarico che comunque nasconde una grossa vena romantica nel suo essere così drammatico, una sorta di reinterpretazione sonora del 'Dracula' offerto nell'interpretazione di Klaus Kinski, con lo stesso effetto isolazionista che la colonna sonora del film curata dagli Popol Vuh riusciva a dare. Drammatico, sepolcrale e illuminato. (Bob Stoner)

Valdur - At War With

#FOR FANS OF: Blackened Death Metal, new Behemoth, Acheron, Kult ov Azazel
Initially starting off along a similar route but diverting slightly for a few albums, California Blackened Death Metal act Valdur return for a crushing third opus that actually pulls off their original style fairly competently if not exactly bristling with originality. Weaving a path that recalls modern Behemoth to a tee, from the rapid-fire drumming overloaded with blastbeats and clashing cymbals to an alternating series of charging high-speed riffing with the intent of utter devastation regardless of casualties or injuries along the way or a more melodic style incorporating tremolo-picked variations in a less-chaotic-but-still frantic tempo, deep slaughtering vocals and a darkened, sinister vibe, this all feels like the most infamous plays in the Poles playbook and doesn’t really offer up much deviation in the attack. The few cases of deviation occur due to their more traditional Black Metal leanings which cause a surprisingly coherent mesh with the more modern influences and results in a heavy atmosphere to surround the material when it’s not in full-on blasting mode, the lengthy mid-tempo dirges and elongated rhythms seemingly borrowed from Acheron to allow for a more straightforward assault than expected. While this does in fact produce a good sense of intensity and ferocity throughout the album, borrowing liberally from those two does tend to leave this one feeling a little like a rehashing of Behemoth leftovers covered by Acheron and Kult ov Azazel and really knocks some points off for the unmistakable feeling of familiarity present in the band. That still doesn’t take away from the songs themselves, which are quite enjoyable at times. After a brief intro to get things started on the right path, proper first track "Conjuring the Fire Plagues" is pretty indicative of what to expect with its bombastic drumming, scorching riff-work and rapid-fire tempos careening throughout the piece, while still delving into cacophonous-sounding patterns reminiscent of the retro Death Metal revival scene and throwing some thrash in a few places, all the while maintaining a dark, ominous vibe with the riffs and drum-work. A slightly-slower but still similar march is employed in "Death Winds Will Cleanse" while "The Calm Before War" and "Hammer Pit" offer up more rousing, up-tempo stylings. The sprawling, multi-sectioned epic "At War with the Old World" is a highlight as well, maneuvering through a blinding series of tempo changes, mood variations and a dynamic set of riffs to keep the track from becoming a lumbering chore to get through. The album’s weak-link is the back-to-back brief tracks "Incantre" and "Vast," as the former merely come off like leftover riffs that were stuck on to make this a proper length release with their one-note blasting and minute, barely-noticeable pattern changes that don’t do much of anything dynamic and the latter being a worthless mid-section interlude. Even still, the band is at the most extraordinarily competent at this style so it does regain a little favor with its precision attacks and engaging skill-set, and that does make for a better-than-expected if slightly familiar effort. (Don Anelli)

(Bloody Mountain Records - 2013)
Score: 70

https://www.facebook.com/pages/VALDUR

mercoledì 26 marzo 2014

Shylmagoghnar - Emergence

#PER CHI AMA: Black Progressive, Enslaved, Throes of Dawn 
Non proprio semplicissimo da ricordare il nome di questo ensemble olandese: il nome Shylmagoghnar non è di sicuro il modo migliore per far breccia nella testa dei fan. Quando vado ad analizzare poi la musica di 'Emergence', fortunatamente mi trovo di fronte un combo preparato, di cui mai penserei si trattasse del full lenght di debutto e alla fine mi risulta abbastanza semplice venir conquistato dalla proposta dei nostri. La lunga opening track dà sfoggio del sound potente, cristallino, coinvolgente e a tratti dark, dell'act dei Paesi Bassi; peccato solo sia una song strumentale perché una bella voce arcigna avrebbe calzato a pennello, per quella che è una proposta che si avvicina agli ultimi lavori dei finlandesi Throes of Dawn. Nella successiva title track, giunge a supporto della musica anche la voce che auspicavo poc'anzi, a dare ampio conforto al sound vibrante del duo di South Limburg. L'offerta degli Shylmagoghnar si presenta come un black atmosferico venato di fraseggi pagani, con piacevoli cambi di tempo, belle linee melodiche e rimandi alla tradizione vichinga nord europea. "Edin in Ashes" nel suo riffing iniziale ricorda gli Immortal più melodici, mixati con il progressive degli Enslaved; poi un bel riffone thrash si impossessa della song e la guida verso un finale che colpisce per un epico assolo. Un trio basso/batteria/tastiere apre la breve e orrorifica "This World Shall Fall" in cui mortifere (ed eccelse) vocals, cantano probabilmente la fine del mondo. L'atmosfera apocalittica che si respira in questa song è perfetta e tutto risulta ben bilanciato per dipingere il catastrofico destino del nostro pianeta. "Squandered Paradise" è un brano mid-tempo, che a parte la splendida sfuriata centrale (in stile Unanimated/Dissection) ha ben poco da dire. Seguono un paio di suggestive e autunnali tracce strumentali, ma ancora una volta finisco per sentire la mancanza dei bei vocalizzi del duo formato da Nimblkorg e Skirge, finendo per associare le melodiche linee di chitarra a quelle degli svedesi Slumber/AtomA (band che peraltro adoro). Quando attacca "A New Dawn" ho la definitiva conferma che gli Shylmagoghnar acquisiscano una propria e definita anima se uno dei due vocalist traina la song che nel suo avanzare, subisce qui il fascino per le atmosfere dei Cradle of Filth più ispirati. 'Emergence' è un album che mi piace parecchio, che tuttavia soffre ancora un po' delle pesanti di ispirazione dei giovani musicisti. Con il prossimo lavoro, sono certo che i nostri raggiungeranno una maggiore personalizzazione della loro proposta, ma intanto dategli fiducia che lo meritano. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70

domenica 23 marzo 2014

Stoner Kebab - Simon

#PER CHI AMA: Stoner/Psichedelia/Doom
Il quartetto da Prato più stoner/doom del momento esce con un nuovo lavoro, il quarto in ordine temporale e non potevamo farcelo sfuggire. Come fautori di tale genere, gli Stoner Kebab non posso esimersi dalle accordature più basse possibili permesse dagli strumenti a corda e questo li avvicina al sound classico del genere, ma i nostri giocano la loro carta vincente anche in altro modo. Puntano infatti su un cantato meno tenebroso e su arrangiamenti di chitarra che rendono la loro produzione potente e allo stesso tempo diversa da altri gruppi legati al classico doom. Infatti "St. Lucy" è la prima traccia dell'album che con i suoi dodici minuti abbondanti di riff, feedback e cattiveria varia, vomita il meglio del repertorio dei quattro immondi ragazzi. Molto saggio l'assolo di chitarra al quarto minuto che regala, anche se per poco tempo, un'atmosfera post-qualcosa e ci permette di sopravvivere alla potenza inaudita di watt sperperati al vento e prendere fiato per immergersi di nuovo nella tempesta. Un brano duro come il marmo e alienante allo stesso tempo. "Mad Donna" invece è puro stoner alla Sky Valley, veloce, scandito e urlato al cielo come non ci fosse un domani. Pura energia tramutata in pressione sonora che vi scompiglierà la lunga barba e se non ce l'avete già, provvedete al più presto. La quarta traccia è "Sex Sex Sex" che viene introdotta dal sitar che negli ultimi anni sta imperversando nelle produzioni stoner, forse per quella componente tribale che si cerca di ritrovare nelle nostre profonde radici su questo arido pianeta. Poco dopo lo strumento a corde indiano viene schiacciato da uno dei riff più lenti e oscuri della storia del doom, ma non pensate che sia finita qua. Gli Stoner Kebab cambiano ancora direzione e ci regalano un break psichedelico con tanto di tastiera. Verso la fine il riff si ingrossa pur rimanendo fedele alla linea simil anni settanta. "The Monster" chiude la versione digitale di "Simon" (nel cd fisico troverete una traccia in più) e ci circonda con i suoi lunghi tentacoli, come in una novella di Lovercraft, dove l'immenso orrore è pronto ad assalirci e trascinarci nei profondi abissi senza tempo. Un brano molto emozionale, da non ascoltare assolutamente al buio e da soli, la pazzia potrebbe avere la meglio... La band è sicuramente valida e il loro meritato successo è proprio dovuto alla loro sfrenata pazzia che non ha certo paura di sperimentare. La costante crescita rispetto ai precedenti lavori ci fa sogghignare e possiamo solamente immaginare cosa ci aspetta in futuro. Nel frattempo mi cospargo di cenere il capo per averli persi al Circolo Bahnhof di Montagnana, ma cercherò di rimediare al più presto. (Michele Montanari)

(Santa Valvola Records - 2013)
Voto: 80

Dementia Senex - Heartworm

#PER CHI AMA: Death/Djent/Postcore 
I cesenati Dementia Senex debuttano con un EP di tre pezzi, con l'intenzione di mostrare di che pasta sono fatti. Speriamo che questo sia l'antipasto di quanto bolle in pentola, che si preannuncia essere alquanto prelibato, ma per il momento non ancora cotto a puntino. Il five-piece romagnolo ci offre un concentrato abrasivo di sonorità di matrice death metal, pesantemente influenzato dall'ultima ondata post (hardcore e metal). La gavetta fatta a supporto di bands come Mouth of the Architect, Ulcerate o Fleshgod Apocalypse, darà sicuramente i suoi frutti in un immediato futuro. Ma passiamo all'analisi dell'EP. "Unscented Walls" è una song che inizia e scivola via piano prima di carburare, sciorinando un riffing schizoide, vocals al vetriolo e un martellante drumming. Ahimè il potenziale esplosivo della band rimane tuttavia inespresso e lascia con la voglia di ingurgitare qualcos'altro di più sostanzioso per saziare il proprio appetito. E dire che in termini di preparazione tecnica non vedo alcun problema, musicalmente i nostri sono ineccepibili, ma sembra sempre che il colpo rimanga strozzato in canna. Non basta, seppur apprezzabile, un breve break semi acustico o delle leggere interferenze industrial, per conciliarmi appieno con la proposta dell'ensemble italico; in un genere ormai estremamente competitivo come il post, bisogna osare e stupire e i nostri non ci riescono ancora al 100%. La opening track rimane quindi e ahimè, un'incompiuta, speriamo nelle successive. "Kairos" è un breve pezzo di due minuti in mezzo, decisamente più votato a quel death metal, da cui i nostri erano partiti: un sound mai troppo feroce ma ricco di cambi di tempo, di scuola Death. Un inizio acustico apre la conclusiva title track, che si rivela essere la song più variegata delle tre, dove le sonorità alternative/nu metal della struttura armonica, si miscelano con un funambolico attacco all'arma bianca, mentre le vocals si alternano tra un growling ulceroso e un "neo" cantato pulito. Le ritmiche poi rientrano nei binari di un death venato di djent, mostrandosi serrate e puntuali, e completando il quadro corroborante di un lavoro che palesa ancora alcuni difettucci in termini di songwriting, di cui sono certo, la band sarà in grado di raddrizzare, ma confermando anche le enormi risorse che l'act di Cesena può vantare. Ovviamente, anche la durata complessiva di 'Heartworm' (17 minuti) non giova, rendendo più complicata un'analisi approfondita della proposta dei nostri. Dalle band italiane si pretende sempre il massimo e io dai Dementia Senex mi aspetto molto di più. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records - 2013) 
Voto: 65 

giovedì 20 marzo 2014

Ars Goetia - Servants Of Void

#PER CHI AMA: Old school black metal, Mayhem, Celtic Frost
Il black metal è un genere poco fantasioso ma certamente ampio, tanto che usualmente lo si identifica solo nella sua accezione della second wave tralasciando le radici thrash. I padovani Ars Goetia invece sono riusciti ad andare più indietro rispetto alle altre band che cercano di emulare, spesso con risultati deludenti, le icone del genere. Se solitamente le influenze o i plagi sono di band storiche come Darkthrone, Marduk o Burzum (per fare degli esempi profondamente differenti tra loro in modo da ampliare il raggio di possibili richiami), i nostri presentano un sound non votato alle gelide lande a cui solitamente facciamo riferimento, ma più ad una forma primordiale tipica dei primi lavori di gruppi fondatori come Mayhem, Bathory, Celtic Frost o Sarcofago, quando etichettavano la loro musica come "deathrash". La composizione è difatti minimale, sporca, non c'è millimetrica precisione ne elevata velocità ma solo oscurità e rabbia, la title-track all'apertura del disco ne è la prova, come la successiva "The Witch of Endor" mentre le tracce più rappresentative che scavano nelle radici musicali del genere toccando l'hardcore, punk e il thrash si trovano nella seconda metà del disco, come "Virgin Prostitute" e "Crusted Blood". Quello presentato dai nostri blacksters è un prodotto originale che emerge dal piattume "wannabe black metal", il quale purtroppo rovina questo genere culto generallizando tutti i loro adepti. L'unico lato negativo di quest'opera potrebbe essere la mancanza di mordente e la staticità della composizione, che nonostante un songwriting schietto ed old school rischia di annoiare a causa del minutaggio del disco. Ad ogni modo missione compiuta Ars Goetia! (Kent)

(Baphomet in Steel - 2013)
Voto: 70

Giza - Future Ruins

#PER CHI AMA: Instrumental Post-metal, Sludge, Isis
Da quanto tempo non vi capitava di premere repeat per quattro volte di seguito per un brano di un disco nuovo? Personalmente da un bel po’. E mi è capitato adesso, con “Hour of the Bullfight”, traccia numero 4 di questo lavoro di debutto dei Giza: un riff che cresce e monta piano, fino ad esplodere fragoroso e irresistibile come il lavoro indemoniato della batteria, e poi una seconda parte meditabonda, con colpi lenti che sembrano i magli di una fonderia. Il biglietto da visita con cui si presenta questo trio di Seattle è di quelli importanti, molto importanti: pur essendo un'autoproduzione, questo loro esordio è stato infatti registrato nei leggendari Litho Studio (per intenderci quelli in cui sono stati registrati i dischi di Alice in Chains, Soundgarden, Pearl Jam, tra gli altri) da Matt Bayles, già produttore di gente come Mastodon, Isis, Cursive, Russian Circles, tanto per far qualche altro nome. E in effetti il suono di questo disco è di quelli che ti fanno vibrare dentro. I tre sono autori di un post/sludge strumentale potentissimo e piuttosto apocalittico (la copertina parla chiaro, del resto), giocato su una profondità sonora e compositiva davvero invidiabile, in grado di mostrare nuove sfumature ad ogni ascolto. Apocalittici, si diceva, e apocalittico è l’attacco di "Séance", lenta e maestosa marcia di distruzione, portata da una chitarra devastante, un basso lirico e impressionanti gragnuole di colpi della batteria. Se non siete annichiliti dopo dieci minuti così, ci sono ancora da affrontare l’ondivaga “Wake & Drag”, con il basso ancora una volta a fungere da strumento solista, la rutilante “Roaming Hordes” e la conclusiva “Great Leader”, che contribuisce non poco a ridefinire il concetto di potenza, così come lo conoscevano gli altoparlanti del mio stereo. L’unico appunto che si può muovere ai Giza è quello di non essere proprio originalissimi (dopotutto Isis e Pelican sono in giro da un po’), ma in loro si intravede il marchio dei fuoriclasse. Se lo siano davvero, ce lo dirà il tempo. (Mauro Catena)

(Self - 2012)
Voto: 75

Barbora – Tartarus

#PER CHI AMA: Metal Avantgarde, Ephel Duath, Voivod, Disharmonic Orchestra  
Barbora è una chitarrista proveniente dalla Slovakia di base a Londra con una passione smodata per la chitarra e il metal in generale. Lei programma le percussioni, suona anche il basso e ovviamente tutte le chitarre presenti su questo album interamente autoprodotto. Diciamo subito che l'aspetto di Barbora non ci aiuta a capire di quale musica potrebbe nutrirsi una giovane tanto graziosa e questo ci riserva un'ottima sorpresa. L'apertura di questo album è data dal brano "Creation", brano di due minuti circa che già fa presagire qualcosa di particolare. Il pezzo inizia con rumori d'ambiente creando il tappeto ideale per l'ingresso di 'Tartarus' che sembra appena uscito dalla scatola magica degli Ephel Duath, tanto il suono riflette dissonanze prog e schegge di jazz metallico impazzite, ritmiche stregate dal potere lunare adatte a coltivare un amore per le allucinazioni sonore di scuola Voivod con sperimentazioni a volte anche azzardate. In "Orpheus" ci si scontra con una sonorità thrash/death devastante e trasversale in stile Disharmonic Orchestra, contornata da una voce growl violentissima (quella di Simon Duthilleul Vannucci aiutante per voce e synth). Il brano si snoda in un groviglio di note e riff contorti e vorticosi in cui potremmo facilmente affogare, onde sonore anticipate da un intro di vago ricordo Jeff Buckley. Nel quarto brano "Eurydice", ci si scioglie in un'onirica suite, delicatissima e sognante che offre un istante di alternative folk al cd e ci traghetta dolcemente verso "Odysseus". Il brano mette in luce il lato più progressivo della nostra eroina che per l'occasione mostra una voce indie inaspettata, quella dell'amica Kaya Labonte-Hurst, affascinante, ammaliante e alquanto atipica per il genere (ascoltate la cover di Chris Isaak, "Wicked Game", fatta dal duo che trovate su bandcamp). Nel finale un'altra suite per la bella chitarra di Barbora che si cimenta in un brano acustico dove sfodera parte delle sue doti esecutive e compositive leggermente offuscata da una registrazione non in linea con il resto del lavoro. Un EP decisamente stravagante, tanto prog metal alternativo con svariate buone idee, un sound intrigante e solo in parte bisognoso di una produzione più intensa e professionale. Un concept ispirato alle leggende dell'antica Grecia, un album metal non catalogabile, fuori dagli schemi, bello e non di facile approccio. Diremo una sfida... che Barbora ha vinto! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 70