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mercoledì 19 novembre 2025

Psycho Symphony - Silent Fall

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Thrash/Progressive
I rumeni Psycho Symphony non si sono mai sciolti eppure non esistono uscite ufficiali dal 2002, quando venne rilasciato l'EP 'Schizoid'. Quest'anno tuttavia, ritorna in auge 'Silent Fall', il lavoro che uscì originariamente in cassetta nel 1997 e poi CD-r nel 2000, e che soltanto oggi, vede la luce formalmente grazie alla Loud Rage Music e a un nuovo remastering. La band di Carei muove i propri passi lungo un sottile confine fra il progressive anni '70 e il techno thrash progressive degli anni '80/'90 (per intenderci, gente del calibro di Watchtower, Anacrusis o Psychotic Waltz). Ascoltando l'album vi accorgerete infatti i vari punti di contatto con le band suddette attraverso la sofisticazione degli arrangiamenti che con l'iniziale "The King", vi farà già capire come il quartetto fosse in grado di costruire una matrice ritmica davvero complicata alternata a momenti più tecnici, evocando in certi passaggi, anche i Cynic di 'Focus' (assai palese ad esempio nel break atmosferico centrale "Temptations"). Solida e talvolta debordante ("Bloodthirsty Desires") la prova del bassista, a fungere da collante tra melodie e ritmica, al pari della folgorante prova alle pelli del drummer Gindele Gábor "Gabica", fantasioso e preciso nel passare da momenti dal piglio jazzy a esplosioni thrash. Notevole anche la prova delle chitarre, abili nel ricamare riff ultra tecnici o assoli raffinati (spettacolari a tal proposito "The Temple of Delight" o la disturbante e assai complessa, "Over the Walls"). Ho tenuto per ultimo la prova del cantante, che a mio avviso, rappresenta il punto debole dei nostri. Non sono infatti riuscito a digerire la sua voce nasale per quanto, in un contesto del genere, potrebbe essere anche particolarmente originale ed espressiva nella propria drammaticità. In chiusura, la lunga suite "Reality Falls Asleep I & II" è perfetta a riassumere la vena onirico-lisergica dei nostri (nella prima parte) combinata con la componente più veemente della band (la seconda metà). Insomma, se anche voi come il sottoscritto, vi siete persi questa release quasi trent'anni fa, beh avrete modo di rifarvi e capire come il thrash progressivo si sia ahimè nascosto nel sottobosco in un'epoca e in un contesto geografico alquanto complicati. (Francesco Scarci)

(Self/Loud Rage Music - 1997/2025)
Voto: 76

giovedì 13 novembre 2025

Trivium - Struck Dead

#PER CHI AMA: Metalcore/Thrash Progressive
In un'epoca in cui il metalcore si divide tra revival nostalgici e ibridazioni pop-oriented, i Trivium rimangono probabilmente un faro di integrità, una band che dal 1999 a oggi, ha definito il genere con un mix di tecnicismo thrash e melodia catchy, influenzando acts come As I Lay Dying o Bullet for My Valentine. La band, peraltro ultimamente impegnata in un tour in Nord America, per dare ulteriori segnali ai propri fan, ha pensato di far loro un regalo per Halloween, rilasciando questo 'Struck Dead', giusto tre pezzi per sottolineare quanto siano in forma oggi i nostri e sempre avvezzi a spaccare culi a destra e a manca. Non servono troppi convenevoli infatti a "Bury Me With the Screams" per far capire che il terzetto di Orlando, rimasto orfano dopo questo EP del drummer Alex Bent, rimane sempre uno dei migliori interpreti del metalcore, quello pesante e incazzato, ma sempre dotato di venature melodiche. Non ingannino infatti gli ostici giri ritmici che l'opener e la titletrack ci regalano, dando sfoggio peraltro di grande tecnica e al contempo freschezza sonica che si palesa attraverso cavalcate violente e incessanti, manco fosse l'ultima grandinata che ha messo ko la mia automobile. La band picchia di brutto, ma è sempre pronta a smussare le spigolature del proprio sound cambiando il registro vocale, regalando splendide linee melodiche, graffianti assoli (quello della title track sembra preso in prestito dagli Slayer) o una tribalità inaspettata nelle percussioni (ascoltatevi bene la seconda parte della title track, un brano comunque notevole, tra i migliori della band). La terza "Six Walls" sembrare partire con più miti consigli, viste le chitarre acustiche, ma niente paura, i nostri tornano a pestare che è un piacere in un pezzo quadrato, che vede in stop'n go da paura, una serie di assoli affilati come una lama di un rasoio (il penultimo sembra esser stato preso in prestito dagli Helloween), e una prova a dir poco monumentale dietro alle pelli di Alex Bent. Peccato solo un finale in fade out, che io detesto a dir poco. Nonostante questa piccola imperfezione, i Trivium ci sono, rimangono ben centrati sull'obiettivo e sono pronti a spezzare le gambe a tutti, statene certi. (Francesco Scarci)

(Roadrunner Records - 2025)
Voto: 75

Carach Angren - The Cult of Kariba

#PER CHI AMA: Symph Black
Un silenzio durato cinque anni. Tanto ci è voluto agli olandesi Carach Angren per tornare sulle scene dopo l'album 'Franckensteina Strataemontanus', e lo fanno questa volta con un EP di cinque pezzi, intitolato 'The Cult of Kariba'. Il duo tulipano lo seguo da sempre, sin da quell'album di debutto, 'Lammendam', che tanto rumore aveva fatto alla sua uscita, per quel suo black sinfonico dal taglio orrorifico. A distanza di 17 anni da quel lavoro, ritroviamo oggi una band solida, che fondamentalmente poco si è discostata da quell'approccio, e che vede influenze evidenti in band quali Dimmu Borgir, per le orchestrazioni drammatiche e i Cradle of Filth, per una certa teatralità di fondo, ma per potenza non sottovaluterei nemmeno l'influsso dei Septicflesh. Il nuovo lavoro consolida comunque la band come una dei punti di riferimento del genere, bilanciando aggressività e narrazione (che già in "Draw Blood" è altamente evidente), senza dimenticarsi anche una componente cinematica, che ritroveremo lungo l'intero ascolto del dischetto. Un disco che rappresenta un esempio di maestria orchestrale, grazie alle pompose orchestrazioni che provano a contrapporsi all'intensità di ritmiche sparate a tutta velocità. La produzione cristallina privilegia poi la grandiosità del tutto, esaltando un ascolto immersivo che darà somma gioia ai fan della band e non solo. Interessanti le atmosfere spettrali di "The Resurrection of Kariba", che accompagnano le liriche che sviluppano questo nuovo EP in un racconto horror in cinque parti, radicato nel folklore della Dama Bianca di Schinveld, ora intrecciato con la sinistra figura di Kariba: un'avvelenatrice e presunta strega. Avvincente anche l'utilizzo delle clean vocals, che vanno a sostituire lo screaming efferato di Seregor in molteplici parti del disco. Parecchio intrigante anche "Ik Kom Uit Het Graf" (che tradotto dall'olandese significherebbe "esco dalla tomba"), un brano che sembra coniugare la teatralità dei nostri con influenze di stampo industrialoide di matrice "rammsteiniana". La conclusiva e più cinematica "Venomous 1666" infine, si ricorderà per la presenza di un violino che guida una gradevole melodia di sottofondo, e che apre a molteplici possibili evoluzioni nel futuro dei Carach Angren. Per ora, questo 5-track non è altro che una splendida conferma delle qualità della band olandese. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2025)
Voto: 77

mercoledì 12 novembre 2025

Funeral Baptism - In Solitude

#PER CHI AMA: Black/Death
C'è qualcosa di inevitabilmente esotico nel pensare al black metal che arriva dall'Argentina, un paese dove il genere si tinge di un'austerità quasi monacale, lontana dai clamori europei. I Funeral Baptism sono la creatura di Damien Batista, personaggio oscuro della scena underground di Buenos Aires, attivo dal 2012, ma ora trasferitosi in Romania, e qui supportato da Stege. I nostri propongono un suono che mescola black a venature più atmosferiche e death oriented. Il loro nuovo album, 'In Solitude', uscito via Loud Rage Music, che arriva ben otto anni dal debutto 'The Venom of God', riprende là dove aveva lasciato, ma con una maggior consapevolezza, una migliore cura nei dettagli, abbandonando quindi quell'approccio lo-fi degli esordi, e privilegiando una produzione più pulita e potente, in grado di spingere la musica del duo verso livelli qualitativi più maturi, sebbene la proposta non abbia nemmeno un 1% in fatto di originalità. Ma ormai questa è la norma della maggior parte delle uscite discografiche che ogni giorno vedono la luce, pertanto la mia non vuole essere una discriminante di un prodotto scadente, anzi. Credo semmai che ci troviamo di fronte a un album onesto e diretto, che in soli 26 minuti liquida la pratica, tra sonorità sparatissime sul versante black (l'incipit della title track non lascia alcun dubbio a tal proposito), coadiuvate tuttavia da una discreta vena melodica, un uso delle vocals interessante (a metà strada tra screaming e growl), al pari dei rallentamenti doomeggianti, di cui godremo da poco meno di metà brano, fino al termine. E questo pone appunto l'accento sulle qualità e l'estetica di una band, che pur non inventando nulla, riesce comunque a sopperire ai propri gap, con buone doti tecniche e una quasi raffinata ricerca della melodia, che si palesa attraverso parti atmosferiche, come accade per l'opener "Scarring Silence". Poi, spazio a ritmiche stratificate, pezzi mid-tempo (la mia favorita è "The Brink of Ruin", con un piglio alla Cradle of Filth nella sua componente vocale), impennate di furiosa rabbia con blast-beat impazziti, un interessante bridge in "Exsequiae", ottimi assoli un po' ovunque e qualcos'altro che rende comunque l'atto di ascoltare 'In Solitude', semplicemente dovuto. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2025)
Voto: 65

Doom Cult Commando - Das Erwachen der Schlange

#FOR FANS OF: Raw Black
The older, the uglier. I guess this hits quite perfectly when it comes to aging and also to Doom Cult Commando, at least if you consider that Desaster boss Infernal K. is part of the band.

To be honest, 'Das Erwachen der Schlange' (The Awakening Of The Snake) has almost nothing to do with the typical thrash Desaster has been performing for many decades now, but much more with some raw black metal like Impiety on their masterpiece 'Skullfucking Armageddon' (especially the sound of the instruments). Also, the vocals are quite different from everything concerning Desaster. The vocalist Doom Cult sounds a lot like Attila from Mayhem when he is practicing his demonic chants and praises.

This combination offers a very intense, brutal atmosphere with some super fast and sinister songs on that demo. What is remarkable is that the sound quality differs from song to song. I guess that the guys didn’t record them in a single session; otherwise, I cannot explain the fluctuation in the quality. If you compare the opener "Wie die Fliege zum Licht” with the next track “Geist ist Alles,” you will clearly notice the increase in quality in the recording. Although I like both recordings, to be honest, raw black metal doesn’t have to have a Dimmu Borgir sound, does it?

The sickest track on the demo is probably “Menschenmüll” (Human Waste), which has some very deep growled vocals (does anybody remember the fabulous demo “…by the Force of Sacred Magic Rites” by Darklord?). With a running time of 2:50 minutes, this one is by far the shortest and also the fastest track. And if you listen carefully, you can hear Infernal’s love for punk songs, too.

'Das Erwachen der Schlange' is a really nice demo for everybody who likes war and raw black metal. Let’s hope that the guys will release a full-length soon. (Michael Baier)

(Nomad Snakepit Productions - 2025)
Score: 75

martedì 11 novembre 2025

Dodengod - Heralds of a Dying Age

#PER CHI AMA: Black/Death
Se non avessi saputo la provenienza dei Dodengod (si ringrazia sempre Metal Archives per questi dettagli), avrei pensato che il trio fosse originario della Svezia, per quella loro proposta all'insegna di un death dalle chitarre super ribassate, che mi ha evocato band come Unleashed o Grave. In realtà, i nostri arrivano dal Belgio e questo 'Heralds of a Dying Age' è il loro secondo album. Un lavoro che ci schianta immediatamente in faccia la loro efferata violenza. Fatto salvo per l'intro "In Darkness", le successive "The Grinder Feeds on Hate" e "Breathe Deep the Dark", mi investono con una sezione ritmica debordante, fatta di tonalità oscure e asfissianti. Non c'è un barlume di luce nelle note di questi 10 pezzi. Anzi, l'atmosfera si fa addirittura più cupa in un pezzo come "The Adversary", grazie al suo piglio doomish, che sfocia, per alcune acuminate linee di chitarra, anche nel versante black, ma che sorprende al tempo stesso, per alcuni ghirigori in tremolo picking che ne amplificano la melodia. E non è certo una novità, visto che già le precedenti tracce avevano palesato rallentamenti doom, con una fortissima predilezione per melodie quasi psichedeliche (e ripenso al finale di "The Grinder Feeds on Hate"). Questo per dire che alla fine i Dodengod non sono dei veri e propri picchiatori, o che propongano unicamente un genere monolitico e da lì non si spostano di un millimetro. Direi che seguono un canovaccio, che vede spesso cominciare i brani con una ritmica piuttosto robusta per poi disorientare l'ascoltatore con trovate atmosferiche, lisergiche, sempre inattese. E anche un pezzo come "Devouring Fires" mostra lo stesso comportamento, tra derive psych, accelerazioni deflagranti, un rifferama potente, tagliente e brutale, ma poi ecco che suoni spettrali si palesano in un sottofondo che ha molto spesso da regalare qualche inusuale sorpresa. E sta qui la forza dei nostri, che altrimenti avrei etichettato come l'ennesima band che voleva fare il verso ai mostri del passato. E se ci aggiungiamo anche una buona perizia strumentale, un ottimo gusto nella sezione solistica, le contaminazioni black (spaventosa la ritmica della title track, ma anche quello screaming che talvolta si affianca al growl) e doom (ascoltate la successiva "Born"), potrete intuire anche voi come questo album non debba essere frettolosamente scartato come mera copia dei grandi act del passato. La mia traccia favorita? La diabolicamente sinistra e di scuola Altar of Plagues, "No Distant Flame Ahead". Insomma, per concludere, 'Heralds of a Dying Age' è un lavoro estremo, davvero violento, ma con una sorprendente voglia di stupire con trovate melodiche sempre interessanti. (Francesco Scarci)

(Pest Records - 2025)
Voto: 70

giovedì 6 novembre 2025

Leaving Time - Loop / Live Beneath

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dream Pop
Nell'ottica di evadere dagli estremismi sonori, ecco soccorrermi gli statunitensi Leaving Time, fautori di un sound a metà strada tra l'alternative e lo shoegaze. Solo due pezzi, che arrivano giusto un anno dopo l'uscita del loro album di debutto 'Angel in the Sand'. La proposta del quartetto della Florida è molto chiaro: dei bei chitarroni saturi e lineari, su cui estendere le vocals chiaramente eteree tipiche del genere. Niente di nuovo insomma, se non farsi cullare dal contrasto sonoro tra il melodico wall of sound eretto dai nostri e quelle linee vocali sognanti. Nessun sfoggio di tecnica fine a se stessa, niente assoli, fatto salvo per un bridge al limite del noise, nella coda di "Loop". La melodia regna sovrana in "Live Beneath", in quel suo tiepido inizio, parecchio ruffiano (zero chitarroni qui), molto dream pop e contraddistinto da vocalizzi quasi nascosti dal rumore delle chitarre che lentamente salgono di volume e robustezza. Poi, il canovaccio è il medesimo della prima traccia: vocals e melodie litaniche, un break atmosferico che si dilata nel tempo e nello spazio, un apporto chitarristico decisamente più graffiante e i giochi terminano qui, anzi tempo, giusto per saggiare di che consistenza sono fatti questi musicisti di Jacksonville, qualora non li conosceste. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 63

De Profundis - The Gospel of Rot

#PER CHI AMA: Death Old School
Nuovo capitolo per i deathster inglesi De Profundis, una band che, in tutta franchezza, non ho mai particolarmente amato. Si tratta di una band dalla lunga militanza nell'underground che dal 2005, anno della loro formazione a oggi, ha visto il quintetto londinese passare dal death doom degli esordi, a un black death a metà del loro percorso, fino a completare la propria trasformazione in un death nudo e crudo di stampo americano. La band fa il suo ritorno sulle scene con questo EP di quattro pezzi, intitolato 'The Gospel Of Rot', che include tre inediti più la cover di "Subtraction" dei Sepultura. Si parte con la corrosiva "I: Corruption", i cui unici punti di interesse risiedono in una basso iper tecnico, in qualche apertura di chitarre in stile Atheist e una buona vena solistica. Per il resto, suoni ormai vetusti, voci al vetriolo in un mix tra screaming e growl, e zero emozioni. "II: Deception" non è da meno, con quella sua galoppata ormai troppo old school per chi come me è cresciuto con questi suoni trent'anni fa e per cui gli originali, rimangono i migliori interpreti di un genere che trovo abbia ben poco da dire, fatto salvo per alcune rare eccezioni. Ribadisco la validità tecnica della band, esplicata attraverso interessanti trame solistiche e un tentativo di riproporre anche il sound svedese nella terza "III: Indoctrination". Per il resto, trovo il tutto poco allettante, anche la cover dei Sepultura riletta in chiave americana, visto che è sparata a tutta velocità manco fosse un pezzo di brutal death. Per me è un no grazie, ascolto altro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 60