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domenica 14 gennaio 2018

The Wake - Earth’s Necropolis

#PER CHI AMA: Swedish Black, Dissection, Unanimated, Cradle of Filth
In Romania, quelli della Loud Rage Music hanno un certo fiuto nell'assoldare le band. Dopo i Kultika, ma prima ancora Grieving Mirth e Bereft of Light, tanto per fare qualche nome, ecco arrivare il duo rumeno/teutonico dei The Wake, da non confondere con gli omonimi finlandesi di inizi anni 2000. I nostri, sotto gli pseudonimi V e XII, ci guarniscono le orecchie con il debut 'Earth’s Necropolis' e la loro miscela di black melodico che vede nell'incipit strumentale "Proem" un buon punto di partenza per fornire fuorvianti indicazioni dal sapore dark doom sulla proposta musicale della band. Quello che posso sottolineare è un approccio musicale che guarda alla scena black scandinava come punto di riferimento. Questo diviene però palese solo nella seconda "Isolated Illusion", song dotata di un sound tagliente e melodico quanto basta per scendere a facili paragoni con bestiacce quali Unanimated e Dissection. Buono l'apparato ritmico, sempre ben bilanciato tra glaciali sfuriate black e squarci pregni di melodia che smorzano la violenza intrinseca nelle note di questi due musicisti. I brani sono diretti, secchi e brevi: "Lost Painting" dura tre intensi minuti, una tempesta il cui elemento portante, oltre allo screaming belluino del vocalist, è sicuramente il basso. Si corre sui binari di un tumultuoso post black con "Cadavers", una traccia che nei momenti più oscuri e ritmati, ha un che dei Cradle of Filth nelle sue corde. Si procede spediti e si arriva alla più criptica "Ship Of Hope" che vede il featuring al microfono di Joshua Kabe Ashworth dei christian metallers americani Society's Finest. "The Painter Of Voices" è un altro pezzo convincente che ammicca alla scena svedese, mentre le successive ed arrembanti "Earth's Necropolis" e "Trial Against Humanity" vedono altre due partecipazioni eccellenti: Michael Pilat, ex dei The Ocean nella prima e Costin Chioreanu dei Bloodway nella seconda a dare il loro prezioso contributo. In definitiva, 'Earth’s Necropolis', pur non inventando nulla di nuovo, si propone come un disco interessante per gli amanti di sonorità abrasive ma melodiche in ambito estremo. Concluderei, elogiando la lugubre cover del disco a cura di Travis Smith che in passato ha prestato i suoi servigi a gente del calibro di King Diamond, Death, Opeth, Devin Townsend e Katatonia, giusto per citarne alcuni. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 70

Kultika - Pursuance

#PER CHI AMA: Post Metal/Progressive, The Ocean, Riverside
Ecco una band che ho amato sin dal loro esordio, i rumeni Kultika. Accasatisi presso la Loud Rage Music, il quintetto di Timisoara rilascia un nuovo EP di due pezzi, intitolato 'Pursuance', come apripista ad un nuovo album schedulato per questo 2018. Un bel modo comunque per dire al mondo che la band è presente, è in forma e ha voglia di stupire. "Do You Want To See The Splendor" è la prima song, suadente, rilassata e atmosferica che per più di otto minuti ha modo di offrire le proprie melodie di pianoforte prima e di chitarra poi, attraverso un riffing convinto, riflessivo ed intimista, ed un intreccio vocale tra clean vocals, voci femminili e un growling davvero notevole. I punti di riferimento guardano ai teutonici The Ocean (anche come impianto vocale) soprattutto per quell'alternanza vocale che si muove lungo le ispiratissime linee di chitarra che trovano ancora modo di corazzarsi, gonfiarsi e spingere verso una cavalcata finale quasi al limite del post black, salvata tuttavia da orchestrazioni da brivido. Una song quasi da 10 e lode. Passo ahimè alla seconda e ultima "Unburden Me", un pezzo in acustico che mostra tutta l'eleganza di cui i Kultika sono dotati, complici una splendida voce maschile e delle atmosfere sognanti e raffinate che lasciano intuire una possibile svolta dei nostri verso lidi progressivi che ammiccano a Porcupine Tree e Riverside. I miei complimenti... (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 80

sabato 13 gennaio 2018

Stass - The Darkside

#FOR FANS OF: Swedish Death Metal/Doom
Stass is a death metal quintet at the helm of Crematory's Felix Stass and Paganizer's Rogga Johansson. For fans of both Crematory and Paganizer, you guys have already a clue of what Stass' music is all about. Indeed, it is pretty much a fusion of the traditional Swedish melodic death metal and gothic metal with a soft touch of doom elements.

Those who dig the Gothenburg sound and Scandinavian approach extreme metal, will find the band's debut full-length album 'The Darkside' enjoyable. In fact, even enthusiasts of a more doom-laden music and gothic flavored extreme metal music will take a lot of pleasure on this album. However, I personally deemed this record mundane and lacking of a heavy punch. But my judgment on this offering does not mean that the whole record is not worthy to listen to.

Tracks like "Warriors Land", “Crawling from Ashes” and “The Final Disease” are foot tapping and catchy into the ears of the listeners, though it has some pretty bland characters. The warmongering spark of the guitar riffs that are accompanied by hasty and pitiless means of the tenacious drum work, brings forth a very bellicose manner to the mentioned songs. That evident blend between modern death metal and the presence of the raw essence of the genre during the early to mid-90s, can be found on the songs that I had indicated above. Perhaps, if the rest of the tunes in this offering had the same characteristics with "Warriors Land", “Crawling from Ashes”, and “The Final Disease”; the album would have been an entirely solid offering.

“Angel of Doom”, like the three songs I had uttered, is also an upside on this full-length. Its very sludgy and gloomy segments give a very nasty and hostile undercurrent to the song. The haunting mood of this one brings to mind a very similar sound that is found in the music of Candlemass and Paradise Lost. And though that unilluminated ambiance topped the whole nature of the track, its Swedish death metal feel can still be felt strongly throughout its whole playing time.

Outside the four catchy songs I mentioned, the rest of the tracks in the album are boring and to some extent frustrating due to the lack of savagery and atrociousness that a band labeled as death metal should have. I have the highest respect for both Felix and Rogga, as these two had accomplished numerous excellent recordings with their respective bands in the past, but what they had produced with Stass is just not that memorable and convincing enough to make 'The Darkside' a worthy album that should stay in every metalheads' collection shelves in a long time.

Overall, Stass had come up with a prosaic record with their debut 'The Darkside'. Yes, there are a few decent songs in this release but the rest of the tracks are nothing but a bunch of uninteresting and forgettable materials. But I am not giving up on this band yet. For all one knows, these guys might pull something off good in the future that'll make Stass a more interesting band to keep on my radar. After all, it's Felix and Rogga that we are talking about here. (Felix Sale)

(Mighty Music - 2017)
Score: 60

Kaunis Kuolematon - Vapaus

#PER CHI AMA: Death Doom, Insomnium, Black Sun Aeon
Dall'infinita distesa di lande finlandesi, ecco sbucare i Kaunis Kuolematon, con il loro secondo Lp, 'Vapaus', arrivato a distanza di tre dal fortunato debut, 'Kylmä Kaunis Maailma'. Ci troviamo al cospetto di un quintetto che abbraccia membri ed ex di Sinamore, Routasielu ed End of Aeon, tanto per citare qualche nome, non certo degli sprovveduti pertanto, bravi qui a proporre un bell'esempio di death doom cantato in lingua madre. E 'Vapaus' alla fine, affianca e sorpassa la performance del debutto dei nostri grazie ad una prova carismatica, tipica delle band finniche. I ragazzi di Hamina impressionano lungo i nove brani di questo lavoro, mostrando energia, passione e devozione per un sound che passa in rassegna altre grandi realtà locali, e penso ad Insomnium e Swallow the Sun, non dimenticando le lezioni passate di Amorphis e Black Sun Aeon. E allora dopo la suggestiva intro (che vede peraltro proporre le parole del poeta finlandese Eino Leino), ecco immergermi nel granitico ma assai melodico sound di "Eloton", pezzo assai compatto che vede la presenza di una gentil donzella a smussare le possenti growling vocals del bravo Olli. Il disco prosegue con la più dinamica "Hurskas", massiccia a livello ritmico, quanto assai fresca in termini melodici. Uno splendido break spagnoleggiante le conferisce poi quella marcia in più per prendere le distanze dai maestri e per coltivare una proposta tutta propria, dando largo respiro alle chitarre e a delle melodie che salgono d'intensità e aprono alla più drammatica "Yksin" e ad un'altra chitarra acustica da brividi. Proprio in questo, i cinque musicisti finnici cercano il cambio di marcia rispetto ad altre band che propongono questo genere: una voce pulita, opera di Mikko ed un lento e inesorabile giro di chitarre che richiamano gli Amorphis di 'Elegy', sebbene il rifferama sia qui decisamente più compassato. Poi ecco tuonare "Tuhottu Elämä" (song da cui è stato anche estratto un video), dove maggiore spazio viene concesso alle brillanti clean vocals di Mikko. Quello che continua a convincere è quell'alternanza tra atmosfere più pesanti e tirate a momenti più rilassati ed onirici, proprio come accade verso metà brano che preannuncia un finale da urlo, avvolto in una spirale di affascinanti melodie. Con "Ikuinen Ikävä" si ritorna a suoni più canonici per il genere, ma la traccia si conferma comunque dotata di un certo spessore e di una velata vena cibernetica, pur rimanendo ammantata di una spessa coltre nostalgica. "Ikaros" ripropone l'alternanza vocale tra i due frontman su di un tappeto ritmico costantemente in bilico tra death e doom, proposti però in chiave emozionale. Siamo ormai sul finire, ma c'è ancora tempo per la splendida "Arvet", che ammiccando ai Throes of Dawn, mette in luce ancora una volta le capacità canore del bravo Mikko. A chiudere, ci pensa la più melliflua e darkeggiante "Sanat Jotka Jäivät Sanomatta", ultimo atto di un signor album che merita assolutamente tutta la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(Haminian Sounds - 2017)
Voto: 80

Abhordium - Omega Prayer

#PER CHI AMA: Black/Death, Belphegor, Behemoth
La Finlandia non è solo patria di band dal suono ricercato, folk, prog o power avanguardistico, è anche il luogo d'origine di mostri sacri quali Impaled Nazarene, Horna, Behexen e Azaghal, tutta gente che sa di certo come far male. A quest'ultimo stuolo di band black/death si aggiungono anche gli Abhordium, band che arriva con questo 'Omega Prayer', al traguardo del secondo Lp, proponendo un concentrato sinistro di blackened death metal. Nove i pezzi a disposizione del quintetto di Salo per mostrare i muscoli e la malignità che contorna i pezzi qui inclusi. Si apre con la ritmica frenetica di "The Chronology of Decadence" che sembra individuare nel techno death, la sfera in cui la compagine finnica si muove. In realtà, nell'apocalittico sound perpetrato dai nostri, ci sento un che degli ultimi Immortal unito a un death tiratissimo e brutale che si confermerà anche nelle successive "Channeled be My Hate" e "Asebeia", due brani diretti, killer e brutali, che non lasciano scampo. Si continua a pestare sul pedale e il canovaccio non sembra cambiare nemmeno con "Obsidian Chamber" e "Perpetual Desertification", altri due esempi di come si possa suonare veloci, ferali e assassini, proponendo un death metal che in un qualche modo sembra comunque contaminato dalle melodie glaciali del black svedese, quello dei Setherial e dei Dissection per intenderci, o di gente come Behemoth o Belphegor. Insomma, credo che sia piuttosto semplice da inquadrare la proposta del tutto genuina dei cinque musicisti finlandesi che tuttavia hanno qualche cartuccia in canna da sparare: proprio in quest'ultima citata "Perpetual Desertification", song più compassata delle precedenti, il tiro cambia e va rallentando, colpendo il bersaglio peraltro con dei chorus quasi dal sapore liturgico/esoterico che frizzano il mio giudizio conclusivo sull'album, spingendomi ad una più approfondita analisi del disco, e riponendo per qualche minuto nel cassetto, i miei giudizi su un lavoro che fin qui era risultato troppo monocorde. E di fatti, le sorprese sono dietro l'angolo anche con la marziale "At the Highest Temple" che contribuisce a rendere ancor più interessante il cd, che troppo velocemente e ingiustamente, avevo bollato come semplicemente death metal. Spettacolare infatti la traccia, cosi atmosferica nel suo incedere spettrale e orrorifico. Si torna a mietere vittime con un approccio più death oriented, all'insegna di blast-beat belluini con "Dreary Touch of the Void" e "From the Depths I Slithered", sebbene le vocals si muovano invece in territori più devoti allo screaming del black. Peccato che le sperimentazioni si siano già perse, torneranno però nell'ultima title track che ci informa che gli Abhordium hanno tutte le carte in regola per poter offrire qualcosa di originale e che spesso soffermarsi in superficie è quanto di più sbagliato ci sia al mondo. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 70

Inferno Requiem - Nüwa

#PER CHI AMA: Black Old School, Gorgoroth, Setherial
Osannati un po' ovunque, ho deciso di andare controcorrente questa volta e dire che i taiwanesi Inferno Requiem sono dei discreti mestieranti nell'ambito metal estremo e nulla di più. La band è in realtà guidata dal solo Fog, che dopo un paio di EP e un full length, torna alla carica con questo secondo lavoro intitolato 'Nüwa', un concentrato di incandescente black metal old school che attraverso i nove pezzi di questa release, si diletta nel rilasciare minimalistici riff di chitarra, sorretti da harsh vocals e una sciagurata batteria, frutto di una drum machine da incubo che irrompe schizofrenica nel contesto arcigno del disco. L'apertura affidata alla title track è devastante, con riff infernali in stile scandinavo, con Setherial e Gorgoroth in cima alle referenze del mastermind di Taiwan. Con la seconda "Ten Suns", il sound si fa più atmosferico, essendo più carica la componente tastieristica, ma non temete che anche qui non mancheranno le sfuriate ritmiche. È il turno di "Apocalypse Chaos" ove si continua a viaggiare su ritmi incalzanti, tra grida sguaiate e una batteria che diventa brano dopo brano sempre più inascoltabile. "Nefarious Moaning" si muove più su un black mid-tempo con le chitarre in tremolo picking a dare un tocco di malinconia alla proposta, ma l'effetto non è certo dei migliori. Facciamo un salto indietro nel tempo con l'inutile "The Investiture I", e suoni che potevano essere attuali forse 20 anni fa. Dicasi lo stesso per il caotico sound di "Necrobewitchment", dopo aver sorvolato sull'ambient minimal di "Mephitis Leftover". Insomma, un sound aberrante quello degli Inferno Requiem che di certo non raccolgono la palma di band più innovativa dell'anno, almeno per il sottoscritto. Serve ben altro infatti per sconfinferare il mio interesse. Per quanto mi riguarda, rimandati. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2017)
Voto: 55

https://pestproductions.bandcamp.com/album/n-wa

lunedì 8 gennaio 2018

From Oceans To Autumn - Ether/Return To Earth

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale, Russian Circle, Isis, Explosions in the Sky
Il post metal è un genere che non può essere delimitato in maniera definita proprio perché le strutture e i suoni propri del metal sono presi e mescolati come colori su una tavolozza atti a creare un dipinto totalmente nuovo. I From Ocean to Autumn (FOTA) hanno preso alla lettera questa caratteristica e il risultato è un disco fortemente atmosferico, carico di emotività e variegato nella composizione. Si parla in realtà di un doppio cd, per un totale di dodici brani e un milione di scenari diversi. Rieccheggiano nelle tracce le influenze di band come Earth, Explosions in the Sky, Russian Circle e personalmente mi è parso di scorgere alcuni elementi del capolavoro 'Panopticon' degli ISIS. Siamo davanti ad un lavoro totalmente strumentale che però non risulta mancare di nessuna componente musicale, i brani sono sostenuti e decisi e a volte sembra addirittura di sentirla una voce, lontana e lamentosa come se arrivasse da dietro le nuvole. Il disco si chiama 'Ether/Return to Earth' ma più che un ritorno sembra proprio una partenza, il lancio di una navicella spaziale diretta verso il pianeta abitabile più vicino alla Terra. Dalla navicella si vede la galassia che è infinita e spettacolare, le stelle sono così da far perdere il senso di sé che dolcemente si prende una pausa e si siede ad ammirare la magnificenza del cosmo. L’orchestralità è forse il maggiore punto di forza del disco, ove si susseguono, negli oltre 100 minuti di musica, un turbinio di ambienti e incastri strumentali come a voler replicare tutte le combinazioni possibili del dialogo tra i vari strumenti. L’esperienza d’ascolto è qualcosa che estranea ed eleva, non c’è niente da capire ne da risolvere, le emozioni sono trasmesse in modo diretto ed immediato, tutto ciò che è richiesto all’ascoltatore è la pazienza di osservare l’evolversi della musica. È come assistere alla formazione di una stella all’interno di una nebulosa, con la materia che si addensa lentamente e gli atomi collidono su se stessi generando energia e calore. Una menzione particolare va a “Medium”, brano diviso in due parti: i primi tre minuti sono densi di suoni sospesi a mezz’aria senza ritmica che però entra incalzante nella seconda parte accompagnata dal crepitare di valvole e dall’ululato dei feedback in un climax sonico terapeutico e rilassante. La song riassume le migliori caratteristiche della musica degli FOTA apprezzabili anche per esteso negli epici brani "Quintessence/Core" e "Stratus/Vapor" che insieme superano la mezz’ora di ascolto. 'Ether/Return to Earth' nella sua grazia eterea rifulge di luce propria e può illuminare la mente vessata dal grigiore della realtà quotidiana in un lavoro completo, chiaro nella sua identità e incredibilmente ricco di atmosfere. Consigliato a tutti gli appassionati di musica sperimentale. (Matteo Baldi)

Культура Курения / Regnmoln - Split album

#PER CHI AMA: Post Punk/Black Depressive, An Autumn For Crippled Children
Dalla glaciale Siberia ecco arrivare il quartetto dei Культура Курения (da tradurre in Cultura Fumante), dalla Svezia invece, la one-man-band dei Regnmoln, per uno split album all'insegna del post black depressive, sotto l'egida della cinese Pest Productions. Due i brani a disposizione della band di Novosibirsk per dimostrare di che pasta sono fatti: "Конфискатор" si presenta come un freddo e malinconico esempio di black mid-tempo, spruzzato di reminiscenze shoegaze e di una mefistofelica aura post rock, che si riflette nella splendida voce in screaming del vocalist Andrey Stashkevich. Ne esce una traccia sghemba, che nel finale vive la sua progressione post black tra cristallini suoni disarmonici e harsh vocals. La seconda, "2015 Холодных Зим", mette in mostra ancora le capacità della band russa nel sapersi districare tra sonorità black e post-punk malinconiche che ammiccano alle prime uscite degli olandesi An Autumn For Crippled Children, tra sonorità intimiste, sfuriate black, break acustici e cambi di tempo magistrali. Ben fatto direi. Mi avvicino a questo punto alla proposta del musicista svedese e la prima cosa che si palesa nelle mie orecchie, è una registrazione a dir poco casalinga, un vero peccato in quanto rende decisamente più difficile godere appieno di un sound che, se proposto con tutti i sacri crismi, poteva regalare maggiori soddisfazioni. Mi abbandono comunque al furente depressive black dell'enigmatico mastermind scandinavo che si diletta in "Kött Och Blod" nel proporre un suono rozzo, ma comunque efficace e pregno di melodia, complici le chitarre in tremolo picking, tra sfuriate black e momenti di calma apparente che proseguono anche nella successiva "Infektioner", song angosciante e non solo per quel suo suono troppo ovattato, ma anche per un mood malinconico che ne contraddistingue i primi 90 secondi, prima che il frontman si lanci in un'arrembante cavalcata di cosmic black, che si pone esattamente a metà strada tra Dissection e Darkspace, proponendo taglienti chitarre in un contesto rarefatto. "Tomma Ord" è l'ultima traccia dall'intro acustico e dalla progressione black mid-tempo. Alla fine, lo split Культура Курения / Regnmoln non è altro che un modo interessante per farsi una cultura di due intriganti band dell'underground europeo. Ma, se solo il nostro amico svedese avesse registrato pensando ad una resa acustica migliore, il mio giudizio finale sarebbe stato nettamente diverso. (Francesco Scarci)